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Autore: InvisibleWoman    19/12/2021    2 recensioni
[Un Professore]
Altra piccola one shot che parte da un prompt letto su Tumblr. Quindi ringrazio ladymcres per l'idea.
Manuel deve portare in giro Simone, che non è ancora in grado di guidare da solo, e dopo l'incidente e il quasi tentativo di suicidio, lo tratta come se fosse un pulcino fragile e questo manda Simone fuori di testa. E' quando Manuel lo bacia di nuovo per consolarlo, che Simone scatta finalmente. Manuel inizia a farsi sempre più domande su stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno in cui Simone era uscito dall’ospedale, Manuel era lì. A dirla tutta era andato a trovarlo ogni singolo giorno in quella stanza bianca e asettica, dove tutto puzzava di disinfettante e l’incessante bip dei macchinari lo mandava al manicomio. Gli aveva tenuto compagnia, raccontandogli della scuola e delle lezioni di suo padre, che era riuscito a strappare a entrambi un esame per poter evitare di perdere l’anno. 
“Dovemo studià insieme poi, eh” gli intimò una volta. La benda alla testa era ormai stata rimossa e tutto ciò che rimaneva era una specie di grosso cerotto al lato destro. Anche la cannula dell’ossigeno non serviva più, mentre il polso era stato immobilizzato con del gesso. 
“Io dovrò studiare e tu copierai come al solito, immagino” gli aveva risposto Simone con un’espressione fintamente scocciata.
“No no, stavolta studio per davvero, oh” aveva concluso Manuel facendo giurin giurello. “E’ ora di mettere la testa a posto.”
Persino quando era stato dimesso, Manuel era entrato in camera sua e aveva preso il piccolo borsone con le cose di Simone e l’aveva messo in spalla, accompagnandolo fino all’uscita insieme a sua madre. Dentro l’auto di Floriana c’era Dante alla guida che li aspettava. Nessuno di loro possedeva una macchina, eccetto lei, sarebbe stato impraticabile girare per Roma, tra le città più trafficate d’Italia. Sua nonna, invece, lo aspettava a casa e aveva già cucinato per un esercito intero. 
Manuel si era fermato a pranzo e per un attimo a Simone era sembrato tutto normale, come se quell’incidente e gli ultimi giorni in ospedale non fossero mai accaduti. 
Nei giorni seguenti con i genitori avevano concordato di iniziare a vedere uno psicologo. Era evidente che l’assenza di ricordi relativi al fratello scomparso fossero dovuti a un trauma mai superato e di cui Simone aveva un forte bisogno di parlare, dopo aver soppresso quei sentimenti per oltre dieci anni. Il comportamento ignobile che aveva avuto con Pin era un’altra dimostrazione del profondo disagio che avvertiva da tempo. Inoltre c’erano anche le sedute di fisioterapia per il braccio che era stato operato e sul quale presto avrebbe dovuto portare un tutore. 
“Ce penso io, professò” aveva detto Manuel un giorno, prendendosi in carico gli spostamenti vari di Simone dopo la partenza di Floriana. Visti i problemi fisici che ancora lo affliggevano, non poteva tornare così in fretta a guidare. Di tanto in tanto Dante prendeva il suo posto, ma un po’ perché era impegnato con la scuola e un po’ perché Simone preferiva certamente la compagnia di Manuel, la maggior parte delle volte era lui a portarlo in giro. 
Quando vide il motorino, Simone si fermò all’istante e deglutì a fatica. Il cuore iniziò a pompare fuori misura e la vista gli si annebbiò. Era la prima volta dopo l’incidente che tornava in sella a un motorino. Manuel notò la sua incertezza e gli circondò le spalle con un braccio.
“Annamo piano, stai tranquillo” cercò di rassicurarlo, passandogli uno dei caschi. 
Simone se lo infilò in testa e quando Manuel mise in moto, si sistemò dietro di lui, stringendolo più di quanto sarebbe stato naturale fare tra due amici. Gli dava ancora fastidio la luce e ogni tanto soffriva di vertigini. “Sono gli effetti del trauma cranico” l’avevano rassicurato i medici. Quei sintomi sarebbero andati via nel giro di qualche settimana e così qualcuno si doveva incaricare dell’onere di scarrozzare Simone in giro tra i vari appuntamenti medici. 
Manuel si era abituato a quella nuova routine. Gli piaceva sentire le braccia di Simone che gli avvolgevano la vita quando giravano in motorino. Percepiva la sua testa che si appoggiava alla sua schiena e poteva talvolta vedere dal finestrino i suoi occhi chiusi mentre cercava di placare le nausee e gli effetti fastidiosi che la luce intensa ancora gli provocava. Erano rari i momenti in cui Manuel lo lasciava da solo. Aveva paura di dire la cosa sbagliata, di comportarsi in modo sconsiderato. Aveva insomma paura che qualsiasi cosa facesse potesse riportare Simone sull’orlo del precipizio. Di tanto in tanto si svegliava ancora madido di sudore dopo l’ennesimo incubo in cui rivedeva Simone steso sull’asfalto. Non aveva mai avuto così tanta paura in vita sua, se non quando aveva visto sua madre minacciata da Sbarra. Quelli erano i due incubi che si intervallavano a fasi alterne nella sua testa. Entrambi gli eventi appartenevano alla stessa giornata, che Manuel avrebbe con facilità potuto descrivere come la peggiore della sua vita. 
Non era raro che dopo le sedute di Simone dallo psicologo, si ritrovassero seduti al bar a bere un caffè o a mangiare un gelato. L’estate iniziava ad avvicinarsi, così come quell’esame di fine anno che avrebbe potuto decretare la fine del percorso di Manuel in quella scuola. Se fosse stato bocciato un’altra volta, avrebbe dovuto cambiare ateneo e di lasciare i suoi compagni di scuola e Simone, non aveva proprio voglia. 
Dopo un paio di settimane anche Simone aveva ripreso le lezioni. Iniziava a stare meglio, ma dato che non si sentiva ancora in grado di guidare, era suo padre che lo accompagnava in motorino, e Manuel quello che lo riportava a casa. Rimaneva tutti i pomeriggi lì con lui con la scusa di dover studiare per l’esame. 
Simone non lo aveva mai visto impegnarsi tanto in vita sua. Eppure percepiva qualcosa di diverso nel suo amico. Una delicatezza che nei suoi confronti non aveva mai avuto. Lo vedeva soppesare le parole che pronunciava, cercava di non affrontare mai l’argomento “Jacopo”, e ovviamente nemmeno quella parentesi che li aveva riguardati da vicino. Simone stesso non aveva più fatto alcuna menzione alla loro notte insieme o ai sentimenti che aveva provato per lui. Che provava per lui. Parlarne con uno psicologo, tuttavia, l’aveva aiutato anche sotto quell’aspetto. Aveva smesso di cercare in Manuel ciò che sapeva non avrebbe mai potuto ricevere. Aveva accettato che le cose non sarebbero cambiate e si limitava ad apprezzare la sua compagnia. Ma gli mancava il suo amico, quello cazzone e irriverente che era sempre stato. Gli mancavano le sue provocazioni, le sue prese in giro. Gli mancava persino il periodo in cui non riuscivano a non arrivare alle mani per ogni cazzata. Se non altro al tempo erano vivi. Quello stato di stasi perenne in cui erano finiti iniziava a mandarlo fuori di testa. Ogni tanto Simone ci provava a provocarlo, ma raramente queste andavano a buon fine. Manuel si arrendeva sempre troppo facilmente. L’idea di essere trattato da lui come una statuina di cristallo, troppo fragile e delicata, che rischiava di rompersi in mille pezzettini, lo faceva incazzare profondamente. 
Simone viveva momenti di alti e bassi. A volte, dopo le sedute dallo psicologo, l’assenza di progressi lo faceva sentire irrequieto e giù di morale. Altre volte a Manuel sembrava essere tornato, invece, il solito di sempre. 
Quella sera di metà maggio, l’umore di Simone apparteneva alla prima categoria. Avevano studiato fino alle quattro del pomeriggio, poi Manuel l’aveva accompagnato dallo psicologo e al ritorno era rimasto a cena da loro. Ormai vedeva sua madre solo quando andava a dormire. La piscina all’esterno non era ancora stata riempita d’acqua, ma sapeva che la nonna di Simone si stava già adoperando affinché venisse sistemata entro la settimana successiva. L’estate era alle porte e Manuel pregustava già le tante feste che avrebbero potuto organizzare lui e Simone dopo la fine della scuola. Non partiva mai per le vacanze, perché chiaramente non poteva permetterselo. Ostia era generalmente il luogo in cui andava al mare con gli amici, quello per lui era il massimo del lusso. 
“Oh, che c’hai? E’ tutta la sera che non dici niente” gli domandò Manuel arrotolandosi tra le dita un lungo filo d’erba che aveva strappato durante quei lunghi istanti di silenzio. 
Simone si strinse nelle spalle con aria afflitta. Era stanco di quella situazione, era stanco di essere trattato come un malato, era stanco di non riuscire ancora a ricordare nemmeno piccoli frammenti del rapporto con suo fratello, era stanco di tutte quelle visite, era stanco di dover dipendere ancora da qualcuno. Era stanco e basta. 
“Non te ricordi ancora niente?” chiese indagando ulteriormente. 
“No” rispose Simone imbronciato. 
“Vabbè oh, è normale alla fine. C’avevi tre anni” fece Manuel. “Manco io che sto bene me ricordo che facevo a tre anni” provò a rassicurarlo. Si pentì immediatamente delle parole dette quando vide gli occhi di Simone farsi lucidi. Quello era uno dei momenti in cui in genere Manuel si trasformava in giullare di corte e cercava di risollevargli il morale per la paura folle che potesse nuovamente cadere nel baratro. Quella volta invece aveva mandato all’aria settimane di parole non dette, di freni tirati, di lingue mozzicate, dicendo la cosa più sbagliata e indelicata di tutte.
“Che poi chi è che sta bene, in fondo. Siamo tutti pieni de problemi, de paranoie, mica solo tu” provò a correggere il tiro, pensando istintivamente alla confusione mentale che lo stava affliggendo nell'ultimo periodo. “Oh” disse dandogli una piccola spallata, dato che non otteneva da lui alcuna reazione. Ma Simone non sembrava dargli retta e  continuava a fissare davanti a sé. La piscina vuota da anni, le foglie che avevano probabilmente otturato gli scarichi. La luna piena che quella sera illuminava distintamente le loro figure. 
"Quindi tu pensi che io non stia bene? Che ho bisogno di aiuto? Per questo sei sempre qui?" Simone chiese d'un tratto con tono ferito, quasi a fil di voce. Temeva la sua risposta.
"Ma va, Simò. Era così per di', per quello che hai passato. E sono qui perché ce voglio sta'" sottolineò. "Che poi tanto bene mica ce stai, oh" cercò di stemperare la tensione prendendolo in giro, senza però sortire l'effetto sperato.
Manuel osservò il profilo triste di Simone, si soffermò sulle labbra arricciate che il suo amico stava mordendo nel tentativo di trattenere quelle lacrime di frustrazione che sembravano voler prendere il sopravvento. Scese lungo le mani strette l’una all’altra sul suo grembo e che Simone torturava per cercare di distrarsi. Avvertì il forte e potente istinto di consolarlo, di abbracciarlo, ma soprattutto di baciarlo, come aveva fatto tante settimane prima. Se si fosse soffermato a pensarci, avrebbe decretato come folle quell’idea, che non aveva alcun senso e soprattutto motivo di esistere. Invece diede retta all’impulso e avvicinò il viso al suo, cercando le sue labbra che sapevano del sale delle sue lacrime. Per un piccolo, brevissimo istante, Simone accettò quello strano e inaspettato bacio, non serrò le labbra e non sgusciò via di scatto come aveva fatto Manuel quando era stato lui che aveva provato a baciarlo quel giorno al museo. Poi però si allontanò e lo guardò ferito e arrabbiato, come quando gli aveva detto che per lui non esisteva nemmeno. 
“Non ho bisogno della tua pietà” gli ringhiò furioso. Assurdo, Manuel non capiva nemmeno cosa avesse fatto di sbagliato. “E non sono in vena di divertirmi” continuò acido, ricordando distintamente le parole che Manuel gli aveva rivolto riguardo quella notte. “E’ stato divertente”, peccato che per Simone avesse avuto tutt’altro significato e importanza.
Si alzò e se ne andò dritto nella propria stanza, chiudendosi la porta a chiave, lasciando un Manuel confuso e ferito a bordo piscina. Per settimane aveva cercato di mordersi la lingua davanti alle provocazioni di Simone, aveva provato con tutto se stesso a preservare il suo equilibrio emotivo perché sapeva che Simone aveva bisogno di tranquillità e stabilità e lui non voleva rischiare di spezzarlo un’altra volta. Aveva tenuto a bada tutti quegli strani sentimenti che si stavano impossessando di lui, quelle sensazioni a cui si stava pian piano abbandonando senza che nemmeno se ne rendesse conto. 
Che cazzo hai fatto? Si disse tra sé e sé ripensando a quel bacio. Si portò le mani alle labbra incredulo, cercando di riportare alla memoria la sensazione che aveva provato nel baciare Simone un’altra volta, ma nella sua testa si era fatto tutto di nebbia. Una profonda confusione e smarrimento, davanti a quelle domande che non riuscivano a trovare risposta. Non poteva parlare con Simone di quello che sentiva, perché non sapeva spiegarsi nemmeno lui quei sentimenti. E poi non voleva rischiare di illuderlo, facendogli credere potessero significare qualcosa che poi magari non era. Tuttavia, si facevano ogni giorno più intensi, e ogni giorno più complicati da gestire e tenere a bada. Era sul punto di scoppiare.
“Che è successo?” domandò Dante quando Manuel rientrò in casa per prendere le proprie cose e andare via. “Ho visto Simone correre come un fulmine in camera sua. Avete litigato?” 
“No, professò, non è niente. Ci vediamo domani” salutò scappando di lì il prima possibile per evitare ulteriori domande. 
Il giorno seguente, Simone non gli rivolse nemmeno una parola. Durante la ricreazione si allontanò con Pin, con cui aveva fatto ammenda una settimana prima. 
“Torno a casa con mio padre” quelle furono le uniche parole che pronunciò all’uscita da scuola, allontanandosi senza dargli nemmeno il tempo di rispondere. E per i successivi due giorni, dato che era arrivato il fine settimana, da Simone non ebbe più alcun commento. Stanco di essere ignorato, il pomeriggio di quella domenica di maggio arrivò in motorino a casa sua. Lo trovò seduto sul patio con un libro davanti a sé e un bicchiere di quella che sembrava essere una coca cola con del ghiaccio. 
Si avvicinò piano a lui, cauto come quel giorno in ospedale. “Come stai?” gli domandò subito.
“Non sono un infermo, sai?” rispose secco Simone. “Anzi, sono stufo marcio di essere trattato come un malato mentale. Sto bene, hai capito? Non devi preoccuparti per me” aggiunse abbassando di nuovo lo sguardo da Manuel al libro aperto sul tavolo. 
“Ok, stai bene. Se vede” rispose Manuel aggrottando le sopracciglia davanti a quella sfuriata. “Ma allora perché non me risponni?” chiese scostando la sedia in vimini per sedersi a capotavola. 
“Perché non avevo voglia” rispose lapidario. “Ah, è non è più necessario che tu mi accompagni in giro. Ho  deciso di riprendere a guidare il motorino” lo informò con sicurezza, prendendo un sorso di coca cola. 
Manuel si sentì mancare il fiato, come se qualcuno gli avesse dato un pugno dritto nello stomaco.
“Ma te la senti? Sei sicuro?” domandò con voce malferma. 
“Certo che me la sento. Ho bisogno di tornare a essere indipendente, di tornare alle mie abitudini” gli rispose e il suo tono sembrò placarsi. Vederlo così preoccupato per lui un po’ lo infastidiva, ma d’altro canto non poteva che farlo sentire apprezzato, amato. La verità era che non era più arrabbiato con Manuel, non riusciva a esserlo per più di qualche giorno.
“Ma scusa, non sei contento di non dovermi più scarrozzare in giro? Non cambia nulla. Anzi, finalmente potrai tornare alla tua vita, anziché farmi da badante” accennò un sorriso. 
Manuel avrebbe voluto ricambiarlo, ma il suo volto rimase teso. Già, avrebbe dovuto essere felice, perché non lo era? Perché la sola idea di non poter più vedere Simone tutto il giorno, tutti i giorni, lo mandava fuori di testa? Avrebbe avuto più tempo per fare ciò che gli piaceva, occuparsi delle sue moto, uscire con altri suoi amici, iniziare a frequentare le spiagge di Ostia che lo aspettavano come ogni anno. E invece avrebbe preferito rimanere lì sul patio a studiare matematica con Simone, o in sella a un motorino per portarlo in giro, o semplicemente seduti a bordo piscina a parlare come facevano spesso la sera. 
“C’hai ragione” rispose, ma la sua  voce tradiva il suo reale umore di fronte a quella notizia.
“Anzi, penso che inizierò proprio oggi” disse Simone scattando in piedi, pieno di buoni propositi. Usciti dall’ospedale non era riuscito ad andare al cimitero a trovare Jacopo come invece aveva chiesto a Manuel. Non se l’era sentita, non era pronto. Adesso però lo era. Aveva deciso di prendere di petto la vita, come gli aveva detto Stefano, il suo psicologo. Non poteva continuare a nascondersi dietro un dito e non voleva più avere paura. 
“Per annà dove di domenica?” chiese Manuel sollevando la testa per guardare il suo amico. 
“Al cimitero.”
“Avevo detto che te ce portavo io, no?” domandò inarcando un sopracciglio. Non voleva essere tagliato fuori dalla sua vita. Aveva commesso un errore, l’ennesimo, ma non gli andava di essere punito per questo.
“Non serve” disse lui.
“Ma voglio venire, Simò.” Aveva promesso di esserci per lui, non poteva tirarsi indietro proprio all’ultimo. “Te posso scarrozzà almeno per l’ultima volta?” 
Simone sembrò valutare quella proposta per qualche istante, poi arricciò le labbra e annuì. Tornò in casa per prendere il proprio casco e salì sul motorino.
Manuel chiuse gli occhi per qualche secondo, prima di mettere in moto. Voleva imprimere nella propria mente la sensazione delle braccia di Simone che gli circondavano la vita, sebbene ora con meno forza di qualche settimana prima, quando sembrava che avesse bisogno di aggrapparsi a lui per non crollare. La sua presa adesso era meno salda, ma Manuel si beò del calore del corpo di Simone contro il suo mentre sfrecciavano per le vie di Roma in quella calda domenica di maggio. 
Simone aveva ragione, in fondo non cambiava nulla. Avrebbe continuato a vederlo ogni giorno. Avrebbero continuato a studiare insieme, si sarebbero visti a scuola. Non cambiava nulla, ma per Manuel iniziava già a cambiare tutto.

 
  
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