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Autore: Red_Coat    25/12/2021    1 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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EPISODIO V – Caccia al tesoro (parte 1)


Sola, senza più una casa né un futuro, dopo aver visto entrambi i due volti di suo padre dissolversi come neve al sole e aver seppellito il suo corpo col solo appoggio di suo fratello Gideon, per un po' di tempo Emilie divenne più cupa di suo padre dopo la morte di Belle.
Chiusa nella sua stanza, ne usciva solo per mangiare sulla loro tomba, come fossero ancora lì con lei, e sempre in assenza di suo fratello, che dopo diverse lettere senza risposta decise di mettere in pausa i suoi studi e tornare a casa da lei, per starle vicino.
Il giorno che arrivò, valige in mano e un tormento nel cuore, la trovò seduta vicino alla tomba di Tremotino, la faccia rivolta verso il tramonto e il volto atono, gli occhi rossi e gonfi unico segno del suo stato d'animo.
Non appena lo vide risalire la collina si alzò e rientro in casa, dove restò ad aspettarlo assorta nella lettura di un vecchio tomo imponente e polveroso.
Trovò la porta spalancata, pochi piatti nel lavandino e la casa invasa dai volumi.
Lei gli dava le spalle, e sembrava non essersi nemmeno accorta del suo arrivo.
Sospirò, appoggiando a terra le valige.
 
«Sono a casa.» disse, ricevendo in risposta un laconico e infastidito.
«Lo so. Smettila di sottolineare l'ovvio.»
 
Fece un giro veloce della stanza, osservando i volumi.
Il cuore s'incupì.
 
«Emilie … cosa stai facendo?» domandò, serio e preoccupato.
«Sto studiando, non si vede?» replicò sarcastica lei, senza nemmeno staccare gli occhi dalla pagina.
 
Gideon prese in mano uno dei libri, aperto su una pagina scritta nella lingua delle fate, con la traduzione scritta a penna su un pezzetto di pergamena. Non era la calligrafia di Belle, ma la sua. E parlava di sortilegi oscuri.
 
«Magia nera?» domandò «Davvero?»
 
Solo a quel punto lei sollevò gli occhi su di lei, fissandolo con astio.
Aveva le occhiaie e pesanti borse sotto agli occhi, segno evidente di una lunga privazione del sonno.
 
«Perché?» replicò stizzita «Hai qualcosa da dire?»
 
Gideon abbandonò il libro dove lo aveva trovato e, senza più indugio, si sforzò di sorridere.
 
«Certo. Avevi promesso a nostro padre. Gli avevi promesso che non avresti ceduto all'oscurità, e ora…»
«Nostro padre è morto!» sbottò lei, senza lasciarlo finire, schizzando in piedi e battendo i pugni sul tavolo, tesa «O forse ti è sfuggito anche questo?»
 
Parole che suonarono come un'ingiustificata accusa verso di lui, che ne rimase sconvolto.
 
«Ma che stai dicendo?» mormorò.
 
Ma Emilie era un fiume in piena, e senza freni, provata dal dolore e dalla stanchezza, glielo riversò contro con tutta l'acrimonia di cui era capace.
 
«Proprio così, Gideon. Nostro padre è morto, e anche nostra madre. Magari te ne saresti accorto se non fossi stato tanto impegnato ad accrescere la tua cultura, mentre loro invecchiavano.
Lo sai perché nostro padre se n'è andato? Perché non sopportava di restare da solo, senza la mamma. Hai per caso idea del vuoto che si era creato dentro al suo cuore? Delle notti passate insonni a pensarla? E dov'eri quando ha deciso di partire? O quando ha iniziato a ritrasformarsi nel coccodrillo? Ah, già. Non lo sai. Non puoi saperlo, perché … Cosa stavi facendo? Ah, sì. Stavi sfogliando un libro cercando di superare uno stupido esame universitario!»
 
Gliele sputò in faccia quelle parole. E alla fine si ritrovò in lacrime e senza fiato, con gli occhi che bruciavano come trafitti da una moltitudine di spine e il petto che doleva, come se gli avessero strappato di colpo il cuore.
Forse era così. Forse lo avevano fatto e non se n'era resa conto.
 
«Tu non c'eri quando papà ha cominciato a tornare quello di un tempo. Sono stata io, solo io, a prendermi cura di lui! Io gli stavo vicino la notte, sdraiata accanto a lui al posto di mamma, a guardarlo fissare il soffitto come se neanche esistessi. Io l'ho accompagnato in quel viaggio e ho fatto di tutto per evitare che dovesse scontrarsi con la parte peggiore di sé stesso. Io! Sempre e solo io! Eri lì con me per caso, quando si è sacrificato per quell'idiota d'un pirata? No! Non c'eri! Tu studiavi… studiavi …» ripeté disgustata, poi afferrò il libro che stava leggendo e glielo mostrò «Dimmi, tra i libri che hai imparato a memoria non hai trovato nulla sul come assumersi le proprie responsabilità? O sul come prendersi cura degli altri? Ah, già. Queste cose non s'imparano nei libri. Non in quelli che hai studiato tu …»
 
Gideon l'ascoltò in silenzio, e ad ogni parola sentì una fitta dolorosa al cuore. Avrebbe dovuto sentisse offeso, e lì per lì un po' lo fu. Ma poi iniziò a comprenderla, e pian piano anche i suoi occhi si riempirono di lacrime. Aveva ragione. Maledettamente ragione.
Ci fu un breve attimo di silenzio tra loro, attimo in cui Emilie lo fissò aspettandosi di sentirsi almeno chiedere scusa. Ma lui non seppe farlo, e allora lei prese a scagliargli contro uno per uno tutti i libri di magia nera che le capitavano a tiro, urlandogli contro tutto il risentimento di cui era capace.
 
«Studia questi, allora! Questa magia nera! È stata questa a permettere a nostro padre di ritrovare Bae, non i tuoi inutili libriciattoli! Questa! Questa! E questa!»
 
E sempre quella se lo era portato via, in un certo senso.
Prima che potesse lanciargli contro il libro successivo, Gideon si riebbe e la bloccò, paralizzandola in un abbraccio che tuttavia all'inizio lei respinse assieme alle sue parole di conforto, ancora più infuriata.
 
«Lo sai come ho fatto a sopravvivere mentre aspettavo che papà tornasse? Mentre aspettavo di vederlo morire?» gli chiese, gli occhi pieni di acredine e dolore.
 
Quindi agitò le dita, e una fitta nebbiolina viola materializzò sul palmo della sua mano il pugnale dell'Oscuro, ora senza alcun nome sopra.
Gideon sgranò gli occhi, sorpreso. E la vide ghignare amara.
 
«Magia nera.» annuì «Esatto. E indovina un po' chi è stato ad insegnarmela?» annuì nuovamente, una smorfia di dolore contorse le sue labbra «Papa. E la sua versione più oscura. Nessuno dei due ne aveva più paura. Forse perché nessuno dei due aveva più niente da perdere? O magari perché era l'unico modo per rimediare a questa follia!»
 
Urlò, facendo scomparire nuovamente il pugnale e recuperando il suo libro da terra, tornando poi a sedersi.
 
«Adesso vattene e lasciami sola con la mia oscurità.» gli ordinò «Deve esserci un modo per rimediare, e non smetterò fino a che non lo avrò trovato.»
 
Gideon la fissò rammaricato, gli occhi lucidi pieni di lacrime e tristezza. Sorrise.
 
«Tu non hai ancora abbracciato l'oscurità.» le rispose, e la vide tremare, voltandosi a guardarlo mascherando a malapena la sorpresa «Vero?» le domandò, quasi commosso.
 
Lei abbassò gli occhi, tornando a gettarli distrattamente sul libro.
 
«Non ancora …» ammise sottovoce «Un patto è un patto.» aggiunse con voce tremula «Ma nulla m'impedirà di farlo se sarà necessario.» decretò determinata, disperatamente decisa.
 
Suo fratello annuì, sedendosi accanto a lei ed osservandola con un sorriso commosso.
 
«La mamma aveva ragione …» mormorò.
 
Emilie sospirò, tesa, seguitando a fissare il libro per nascondere la tristezza sul suo volto.
 
«Riguardo a cosa?» chiese, pentendosene subito dopo.
«Sei tale e quale a papà.»
 
Una risposta che l'angosciò ancor di più. Rimase in silenzio, ingoiando il magone.
Con suo grande sollievo Gideon si alzò e la lasciò sola, ma fu per poco, giusto il tempo che serviva a rimettere a posto il contenuto delle valige e prepararle qualcosa di caldo con cui riempire lo stomaco.
Tornò con due scodelle piene di stufato e due tazze di tè.
Emilie lo guardò di sottecchi.
 
«Non ho fame.» rispose secca.
«Devi mangiare se vuoi davvero essere in grado di ricavare qualcosa da questi libri.»
 
Fu allora che, per la prima volta da che era tornato, Emilie tornò realmente a guardarlo.
 
«Non hai intenzione di fermarmi?» chiese, sorpresa.
 
Gideon scosse il capo, alzando le spalle.
 
«Non riuscirei a farti cambiare idea in nessun modo. O mi sbaglio?»
 
La vide sciogliersi in un sorriso commosso, scuotendo lentamente il capo.
 
«No...» mormorò con voce tremula «Neanche per tutto l'oro del mondo.» aggiunse sorridendo e strappando un sorriso divertito anche lui, che quindi le prese la mano e concluse, da amorevole fratello maggiore.
«Perciò se non posso farti cambiare idea, posso almeno aiutarti a trovare una soluzione che non comporti infrangere il patto tra te e papa? Del resto lo hai detto tu, i libri sono la mia specialità, e questi li conosco da prima che nascessi tu.» le domandò, e stavolta la vide davvero sciogliersi in lacrime, stringendo forte la sua mano.
«Non potrei chiedere di meglio.» mormorò, grata.
 
Subito dopo, si alzò e lo abbracciò forte, sciogliendosi finalmente in lacrime e venendo accolta dal calore delle sue braccia e da dolci carezze, come quelle che le faceva quando da piccola, durante le sue mille avventure o dopo un brutto sogno, aveva bisogno dell'aiuto del suo fratellone.
 
«Mi sei mancato.» mormorò, tra i singhiozzi.
 
Lui sorrise, lasciandole un bacio sulla nuca.
 
«Anche tu. E mi spiace di non esserci stato. Avrei dovuto capire che avevate bisogno di me.»
 
Emilie sorrise, annuendo.
 
«Avresti, si … ma meglio tardi che mai.» gli rispose, strappandogli un altro sorriso.
 
Pianse a lungo, quella sera. Aveva tanta tristezza e tanta tensione da scaricare che alla fine si senti come svuotata di qualsiasi forza ed emozione, e finì per addormentarsi china sul libro che aveva spulciato meticolosamente fino all'arrivo del suo fratellone.
Dopo aver raccolto tutte le sue lacrime, Gideon le mise una coperta sulle spalle, la prese tra le braccia e la trasportò con facilità fino al lettone dei loro genitori, stendendola sul posto del loro padre e accomodandosi al suo fianco.
Era stanco, ma aveva bisogno di riflettere e alleggerire i pensieri. Prese dal cassetto del comodino il libro preferito di sua madre e lo aprì sul suo pezzo preferito.
Nemmeno si accorse che Emilie aveva riaperto per un istante gli occhi.
 
«Anche papa aveva ragione su di te.» mormorò, ancora assonnata, facendolo sobbalzare.
 
Le rivolse uno sguardo sorpreso, poi sorrise a sua volta, chiudendo il libro e abbracciandola, disteso al suo fianco.
 
«In merito a cosa?» domandò, anche se conosceva già la risposta.
 
Emilie si perse in quell'abbraccio, raggomitolandocisi, appoggiando la testa sul suo petto e ascoltando il battito del suo cuore.
 
«Lo sai.» replicò infatti, richiudendo gli occhi e godendosi le dolci carezze sui suoi capelli «Sei tale e quale alla mamma.»
 
\\\
 
Una settimana e mezzo dopo …
 
Con un profondo sospiro Emilie chiuse e abbandonò l'ultimo libro sul tavolo e si accasciò sulla sedia, reclinando il capo e portandosi la mano sinistra alla tempia.
Gideon, intento a versarle un po' di tè, si voltò a guardarla e la vide scuotere il capo più volte.
 
«Ti sei arresa?» sorrise.
 
Le gli lanciò uno sguardo di sottecchi.
 
«Certo che no.» replicò riavendosi «Ma qui non c'è niente che possa essermi utile. Questo era l'ultimo libro.» decretò.
 
Suo fratello le si avvicinò lasciandole la tazza accanto al libro chiuso.
 
«Allora che vuoi fare, adesso?»
 
Emilie la prese tra le mani e inspirò una boccata di quel profumo rinvigorente.
Bevve un sorso, quindi replicò decisa.
 
«Zelena era riuscita ad aprire un portale temporale. Papà aveva fatto una cosa simile per Emma e Uncino, per rispedirli indietro nel tempo dopo che ne furono risucchiati. Ciò significa che i viaggi nel tempo sono difficili, ma non impossibili. Esiste un sortilegio in grado di farlo, ma …» scosse il capo, tornando a parlare tra sé «Se riuscissi a trovare un modo per renderli più semplici, potrei tornare indietro e impedire che muoia. Potrei addirittura impedire che lo facciano la mamma e Bae.»
 
Gideon sgranò gli occhi.
 
«Viaggi nel tempo …» ripeté, quasi non riuscisse a credere alle sue orecchie.
 
Emilie ghignò appena, anche se a lui sembrò più una smorfia infastidita.
Appoggiò la tazza, scostò il libro e prese il pennino d'oca intinto nel calamaio, iniziando a scrivere qualcosa su un pezzo di pergamena.
 
«C'era un qualcosa, dentro ai libri del Tremotino del desiderio.» mormorò «Un riferimento a un occhio di un dio, o qualcosa di simile. Ma la pagina era strappata, e sono sicura che non è stato lui …»
 
A quel punto, vista la pericolosità di quel piano, Gideon si sentì in dovere di richiamarla all'ordine.
 
«Emy, non è fattibile.» la interruppe con veemenza «Ne avevi già discusso con papà, ricordi? I viaggi nel tempo sono rischiosi e imprevedibili, non puoi usarli indiscriminatamente per cambiare quello che è stato.»
 
Emilie sospirò spazientita, quindi si voltò e gli rivolse un gran sorriso sarcastico.
 
«Non ho mai detto che fosse facile, altrimenti non sarei qui a scervellarmi sul come renderlo tale.» replicò seraficamente.
 
Gideon provò a replicare, ma ogni parola s'infranse contro un muro di sarcasmo.
 
«Inoltre …» seguitò la sua sorellina «L'unico vero motivo per cui papa non ha mai provato era perché aveva paura. Per lui i viaggi nel tempo erano una magia troppo pericolosa perché non aveva abbastanza informazioni, se avesse saputo quello che so io ci avrebbe riflettuto di più.»
 
Quindi si diresse nella loro stanza matrimoniale, e dall'ultimo cassetto del comodino trasse fuori un sacchetto dorato, sorridendo nostalgica mentre se lo rigirava tra le mani.
Gideon la seguì e quando la vide prendere quel piccolo tesoro ebbe un altro sobbalzo.
 
«Cosa hai intenzione di fare?»
 
La vide aprire il sacchetto e farsi scivolare nel palmo un fagiolo magico, che scintillò di una luce chiara.
 
«Devo cercare più informazioni riguardo a quel manufatto. E se nei libri che abbiamo qui non se ne parla, allora devo passare a quelli che papa ha lasciato indietro, al Castello Oscuro.» decretò, rimettendo dentro il fagiolo e richiudendo il sacchetto.
 
Si diresse quindi verso l'armadio, lo spalancò e sfiorò assorta con la punta delle dita i vestiti di suo padre e quelli di sua madre, prendendo poi una giacca beige e una camicia appartenuta a lui, e un paio di scarponcini di Belle.
Se li mise addosso e affondò il naso nel loro tessuto, sentendo le lacrime pungerle gli occhi.
Sul colletto pomposo della camicia era rimasto il profumo intenso dell'acqua di colonia usata da suo padre, la giacca l'avvolgeva come fosse un suo abbraccio, regalandole una sensazione di calore profondo e dolce.
Gideon rispettò quel suo momento, ma dovette intervenire e stringerla in un abbraccio quando la vide nuovamente crollare in lacrime, cadendo in ginocchio.
 
«Milly …» mormorò dolcemente, carezzandole piano i capelli «Mancano anche a me.»
 
La giovane parve riaversi. Scosse il capo, si staccò da lui e si asciugò le lacrime.
 
«Non lo faranno a lungo, Gideon. Posso sistemare le cose, dare a loro e a noi un vero lieto fine. Insieme. Vivi.»
 
Ma lui scosse piano il capo, amorevole e triste, prendendole il viso tra le mani e asciugandole con i pollici le ultime lacrime che si staccavano dalle sue lunghe ciglia.
 
«Il loro tempo è finito, Emilie.» sussurrò «Hanno vissuto la loro vita, e ci hanno cresciuto con amore. Ora tocca a noi …»
 
Parole che avrebbero voluto essere una carezza, e che invece la raggiunsero come una coltellata a tradimento in pieno petto.
Lo sguardo s'incupì all'istante, gli occhi si empirono d'ira e delusione.
Lo respinse all'improvviso, e voltandogli le spalle iniziò nervosamente a preparare la sua bisaccia, l'unica cosa che aveva intenzione di portare.
 
«S'è questo che pensi allora va’, fatti la tua vita.» gli rispose glaciale «Finisci gli studi, trovati una moglie, fai dei bambini e raccontagli tutte le balle che desideri su quanto il cuore di nostro padre fosse puro e pieno di coraggio e amore. Io intanto penserò a prendermi cura di lui, come ho promesso.»
 
Gideon sospirò, scuotendo il capo.
 
«Va bene, Milly. Ti chiedo scusa.» replicò, cercando di fermarla, ma lei svincolò ancora una volta e si diresse verso la porta, pronta a partire «Anche io ho fatto una promessa.» rivelò quindi, e all'istante la vide fermarsi.
 
Sospirò di nuovo, stavolta sollevato.
 
«Che genere di promessa?» gli chiese lei, voltandosi a guardarlo e facendosi seria «A chi l'hai fatta?»
«Alla mamma.» spiegò «Pochi giorni prima che morisse. Ho promesso che se papa avesse trovato il modo di raggiungerla mi sarei preso cura di te.»
 
Gli occhi della giovane si riempirono all'istante di lacrime.
Strinse i pugni, irrigidendosi.
 
«Milly. Sto solo cercando di evitare che tu faccia qualche stupidaggine.» le disse infine suo fratello, addolcendosi, quasi a volerla supplicare.
 
Lei sorrise, lo raggiunse e lo abbracciò avvolgendogli con una mani la nuca. Attese qualche istante, poi si fece di nuovo determinata e mormorò, accostando la bocca al suo orecchio.
 
«Te ne sono grata, Gideon. Ma lo sai qual è la vera differenza tra noi e i nostri genitori?»
 
Sciolse l'abbraccio, tornando a porre distanza tra di loro, e guardando quella sua espressione confusa concluse, quasi sibillina.
 
«Tu non sei la mamma, ed io non sono papà. Quindi smettila di cercare ad ogni costo di farmi cambiare idea col tuo amore fraterno e le tue buone intenzioni. Non ci riuscirai.»
 
Con grande sorpresa, stavolta fu lui a sorridere ed abbracciarla.
 
«Lo sospettavo.» le disse, osservandola scrutarlo confusa.
 
Le sfiorò delicatamente una guancia.
 
«Ma lo sai meglio di me, una promessa è una promessa. Volevo comunque fare un tentativo.»
 
***
 
Tempo dopo …
 
Quando giunse il momento di partire, Gideon la salutò con un caldo abbraccio e tante raccomandazioni.
Non aveva neanche la più pallida idea di quanto quel viaggio sarebbe stato rischioso per lei, ma quella promessa era ancora valida, quindi fece di tutto per farle sentire la sua vicinanza.
 
«Sei sicura che non vuoi che venga con te?»
 
Emilie sorrise, scuotendo il capo e accarezzandogli una guancia.
 
«Questa è la mia storia, devo farlo da sola.» fu la sua risposta «Comunque non preoccuparti. In un modo o nell'altro ci rivedremo.»
 
Il giovane uomo sorrise, abbracciandola di nuovo e poi tornando a guardarla negli occhi.
 
«Preferirei in questa vita, in questo tempo.» rispose.
 
Ma la ragazza ridacchiò.
 
«Mai porre limiti al destino.» disse, ricordando una delle ultime frasi che Tremotino aveva tanto amato ripetere loro «Fa sempre come gli pare, e ha più fantasia di noi.»
 
Il suo in particolare sembrava essersi sbizzarrito davvero parecchio.
 
\\\
 
Terminati i saluti, s'incamminò indossando i vestiti migliori di suo padre, il suo orologio e il suo anello, nella bisaccia un semplice taccuino di pelle, una penna e un sacchetto pieno di fagioli magici.
Non si voltò indietro, mai, fino a che non vide stagliarsi tra le alte cime della catena montuosa del nord le guglie del Castello Oscuro.
Furono giorni intensi, quelli che seguirono, in cui s'immerse in tutto e per tutto nello studio dei volumi più impolverati e di quelli più antichi, fino a terminare quelli dell'immensa biblioteca.
Mangiò il necessario, bevve molto thè e si addormentò esausta più di una volta china sul volume di turno.
A volte si ritrovò ad essere così assorta da dimenticarsi perfino di esistere. Tuttavia le informazioni che trovò furono vaghe, e tutte la indirizzarono ad un vecchio volume che sembrava essere assente da quella biblioteca. In uno dei libri scritti da sua madre si faceva accenno ad una mappa cifrata presente in esso, che avrebbe potuto concedere al possessore la chiave per la porta del tempo.
Si convinse che l'unico modo in cui Belle avrebbe potuto sapere di quella mappa era vedendola, quindi iniziò a cercarla per tutto il castello, stanza per stanza, fino a giungere a quella senza porte e finestre in cui il Signore Oscuro conservava la magia imprevedibile.
E fu lì che finalmente la trovò. Una vecchia pergamena chiusa dentro ad una cassaforte assieme ad altre scartoffie contenenti incantesimi in varie lingue.
Era scritta nella lingua delle fate, conduceva ad una grotta ai piedi del monte Olimpo in cui, secondo la leggenda, il dio Cronos era imprigionato.
Grazie ad uno dei libri conservati dentro ad una delle dispense presenti nella stanza, Emilie riuscì a capire che il motivo di quella prigionia era uno solo: Proteggere il tempo, poiché l'unico modo per cambiarlo non era altro che impossessarsi dell'unico occhio del gigante, onniveggente, che una volta strappato al suo proprietario si sarebbe trasformato nel più potente manufatto magico, in grado di permettere a chiunque di attraversare le epoche.
Non c'era da stupirsi che Tremotino lo avesse sepolto in quella stanza. Anche se la morte di Baelfire lo aveva ferito profondamente, l'istinto di autoconservazione aveva prevalso ancora una volta, e la paura gli aveva impedito di agire.
Emilie aveva il talento di suo padre e il coraggio di sua madre, un mix pericoloso.
C'era un solo, unico, piccolissimissimo problema: Il gigante era morto in quel tempo, ma lei aveva la bacchetta della fata nera e la formula per il portale. Restava da trovare qualcuno che avesse già attraversato il portale, e fu quella la prima volta che incontrò Emma e vide Storybrooke, quella città di cui aveva sempre, soltanto sentito parlare.
 
\\\
 
Non fu difficile convincere la salvatrice ad aiutarla, anche perché non dovette nemmeno presentarsi.
C'era una parte della magia che l'aveva sempre affascinata, ovvero la sua proprietà transitiva. Non sempre era necessario che la persona in grado di sbloccare un incantesimo fosse presente. Alle volte, come nel caso del cappello dello stregone di cui suo padre si era impossessato ingannando Anna di Arendelle, bastava una lacrima, o anche una goccia di sangue, qualcosa insomma che portasse con se la magia del proprietario.
Ebbene, nel suo caso fu sufficiente un semplice capello della Salvatrice, che si procurò coinvolgendola in una piccola imboscata, senza complicazioni.
Raggiunse la sua casa totalmente avvolta dal suo mantello nero, guanti di pelle per non lasciare impronte, una benda nera a coprirle la bocca e il naso e un paio di pesanti occhiali da sole per coprire le pupille grigie.
S'intrufolò in casa della Salvatrice in piena notte, simulando un furto e facendo quel tanto di rumore che bastava a svegliare quel pirata mano mozza di suo marito.
Si fece vedere all'ingresso della cameretta dei loro bambini, e una volta li lo stordì con una sonora botta in testa e lo chiuse dentro, senza spiegazioni.
Appena in tempo per ritrovarsi davanti la Salvatrice che gli puntava contro una pistola.
 
«Non fare un'altra mossa. Sei venuto a rubare nella casa sbagliata.» l'avvertì, ma Emilie sorrise sotto il velo da bandito.
 
Quindi si materializzò dietro di lei, le strappò una ciocca di capelli, e mentre Swan si riprendeva dallo stupore, lei si materializzò nella foresta, affrettandosi a legare la ciocca alla bacchetta di sua nonna e ad aprire quel maledetto portale.
Si sentì profondamente orgogliosa di sé quando vide l'esperimento riuscire, ma si concesse di esultare solo dopo averlo attraversato, giunta rocambolescamente nel bel mezzo della foresta incantata dopo il sortilegio oscuro.
Era a quell'epoca che aveva pensato, ma seppe di esserci capitata davvero solo dopo aver camminato a lungo fino al Castello Oscuro, e aver visto la combriccola di Robin Hood incontrarsi presso l'alto e minaccioso portone d'ingresso.
Si lasciò sfuggire una risatina e strinse i pugni, saltellando sul posto.
 
«Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta, papa
 
Era così soddisfatta di sé che non si accorse neanche di essere spiata.
Una freccia fatto di legno di frassino e piume d'anatra la raggiunse, piantandosi proprio nella corteccia dell'albero dietro al quale si era nascosta, a pochi centimetri dal suo viso.
Si voltò, e vide quello che poi sarebbe diventato il suo complice più stretto.
Will Scarlett prese un'altra freccia dalla faretra e gliela puntò contro.
 
«Stavo per farcela anche io se non ti fossi mossa.» disse serio, in quella che dal tono intuì avrebbe dovuto essere una minaccia.
 
Invece Emilie si lasciò sfuggire un'altra di quelle risatine stridule che tanto la facevano rassomigliare al Signore Oscuro.
 
«Sul serio?» esordì «Hai una mira che fa pena.»
 
Una voce femminile e autoritaria l'interruppe.
Una giovane donna dagli occhi a mandorla vestita di rosso e oro avanzò mettendosi tra di loro, abbassando con una mano l'arma del collega.
 
«Calmati Will. Usiamo la violenza solo in casi particolari, ricordatelo.»
 
Il cuore di Emilie prese a battere all'impazzata. Mulan le sorrise, presentandosi e porgendole una mano.
 
«A cosa dobbiamo l'onore di questa visita?» domandò «Hai bisogno di aiuto?»
 
Emilie si tolse gli occhiali e il cappuccio e lasciò cadere il velo che le copriva il volto. Era la prima volta che lasciava che qualcuno la vedesse. Soprattutto era la prima volta che si presentava a qualcuno del passato, e mentre lo faceva non potè non pensare a quanto fosse stata fortunata.
Mulan era stata una grande amica di sua madre, Will Scarlett … era un soggetto da tenere sotto controllo, ma poteva uscirne qualcosa di utile da un'alleanza con il fante di cuori.
 
«Emilie.» replicò, stringendo la mano alla guerriera «In effetti … sto cercando Robin Hood. Voi siete parte della sua compagnia?»
«Sei fortunata. Stiamo tornando al Castello. Seguici.»
 
Non se lo fece ripetere due volte. Durante la breve traversata, Will notò in silenzio che accarezzava spesso uno degli anelli che portava, e lo interpretò come segno di nervosismo.
In realtà, quello era l'unico modo che conosceva per poter comunicare ancora con suo padre, pur se da un'altra dimensione e un altro regno.
 
«Cosa cerchi da Robin Hood?» chiese il fante di cuori, ignaro, deciso a renderle le cose difficili.
 
Emilie si ritrovò con gli occhi dei due puntati addosso, percependo quella fastidiosa ostilità e sorridendo quasi sfrontatamente.
Quale che fosse il motivo per il quale Will Scarlett si sentiva minacciato dalla sua presenza, non aveva intenzione di stare ai suoi subdoli giochetti.
 
«In verità stavo solo cercando la vecchia dimora di mio padre. Ma dato che è stata occupata, vorrei poter risolvere la cosa pacificamente.»
 
Gioì nel vedere il fante rabbrividire. Mulan invece assunse un'aria interessata, scrutandola da capo a piedi.
 
«Tu sei la figlia di Tremotino?» domandò sorpresa «Ma il Signore Oscuro non aveva solo un figlio? Baelfire, giusto? L'ho conosciuto, non mi ha mai parlato di te.»
 
La ragazza sorrise di nuovo.
 
«Oh, è una storia complicata.» rispose semplicemente «Non ho mai avuto modo di conoscerlo, in realtà. Ma vorrei tanto, per questo sono qui. Che posso dire? La vita ci ha divisi troppo presto, è il destino della nostra famiglia.»
 
Mulan annuì, Scarlett seguitò ad osservarla cupo.
 
«È un peccato che tu sia arrivata ora. Baelfire è appena tornato sull'isola che non c'è per salvare suo figlio. Magari avresti potuto dargli una mano.»
 
Si scuri un poco, stringendo impercettibilmente i pugni.
"Mancato. Per tanto cosi."
 
«Oh, sul serio?» replicò dispiaciuta «Che peccato.»
 
Nel frattempo erano giunti al portone d'ingresso, che si spalancò aprendo loro il passaggio a quelle mura che conosceva come le sue tasche. Erano diroccate, e l'atrio d'ingresso era pieno di armi, specialmente archi e faretre, appoggiati alle pareti e ammucchiati sul pavimento. Qua a là era sparso qualche sacco contenente provviste non deperibili, come abiti o carne secca, o anche materiale per fabbricare frecce.
 
«Wow...» fece, lasciandosi sfuggire un gemito.
 
I suoi due accompagnatori le rivolsero uno sguardo sorpreso.
 
«Mio padre non era certo un fissato per la pulizia, ma non ho mai visto il castello in … queste condizioni.» osservò con leggero disgusto.
 
Will Scarlett ghignò.
 
«Siamo arcieri, non abbiamo domestici.» replicò con sarcasmo.
 
La loro chiacchierata venne interrotta dal nuovo padrone di casa, Robin Hood, che scese dal piano superiore accogliendoli con un ampio sorriso.
Capelli rossi, occhi verdi e una folta barbetta incolta. Era proprio come se lo era sempre immaginato.
 
«Bentornati. Vedo che abbiamo un'ospite.» esclamò avvicinandosi.
 
Emilie compì un profondo inchino, un piede davanti all'altro, portando una mano sul cuore e allungando il braccio sinistro verso il cielo.
 
«Voi dovete essere Sir Robin di Lockslay.» esordì sorridente.
 
Lo vide annuire.
 
«E voi sareste?»
«Emilie Gold.» si presentò.
«Dice di essere la figlia del Signore Oscuro.» aggiunse Will, in un tono che insinuava sfiducia.
«Io non dico di esserlo. Lo sono.» precisò stizzita lei.
 
L'arciere si corrucciò.
 
«Strano. Non ne ho mai sentito parlare, neanche da Baelfire.» replicò, facendosi pensieroso.
«È chiaro e giusto che non vi fidiate di me. Ma mettetemi alla prova.» li invitò «Chiedetemi qualcosa che solo la figlia del Signore Oscuro potrebbe sapere.» sperando che cogliessero il suggerimento.
 
Fortunatamente per lei, dopo averci pensato un po' Lockslay annuì e decise.
 
«Accordato. Seguitemi.»
 
Li condusse proprio nella sala da pranzo, lì dov'era nascosta una credenza segreta che solo la magia del sangue avrebbe reso visibile.
Non le dissero nulla, né le diedero in mano la chiave per aprirla.
 
«Se conosci bene il Signore Oscuro sai che in questa stanza è presente un tranello.» la invitò il capo dell'allegra brigata «Risolvilo.»
 
Un ghigno divertito si dipinse sul volto della giovane.
 
«Davvero astuto, Sir Robin Hood.» si complimentò.
 
Poi si guardò intorno, prese il vecchio bastone di suo padre ch'era stato appoggiato in un angolo della stanza e lo fece roteare davanti al punto esatto in cui sentiva provenire il potente influsso magico.
La parete s'illuminò, e in meno di un secondo lo scomparto segreto apparve, lasciando tutti a bocca aperta.
 
«Magia del sangue. Qualcosa che può rendere vani perfino i tranelli di Tremotino.» concluse lei, voltandosi poi a guardarli e rivolgendo loro un altro sorriso furbo «Ma questo voi lo sapevate già, vero?»
 
Lockslay si sciolse in un sorriso assieme a Mulan, Will Scarlett rimase sbigottito a guardarla, senza più nulla da ribattere.
 
«A questo punto non ho più alcun dubbio.» concluse Robin «La magia del sangue non mente, ma dovrai spiegarci perché né il Signore Oscuro né suo figlio hanno mai parlato di te.»
 
Emilie annuì.
 
«Devo avvertirvi però, è una storia lunga e anche piuttosto controversa. Credo ci vorrà un po', sempre ammesso che riusciate a crederci.» li avvisò, strappando loro una risata.
«Ci piacciono le sfide, e siamo una compagnia dalla mente aperta.» le rispose l'arciere «Ti ascolteremo stasera a cena. Sei nostra ospite d'onore.»
«Ne sono onorata, allora.» scherzò lei, accennando nuovamente ad un ampio inchino.
 
E conquistandosi definitivamente le simpatie di tutti. O quasi.
 
\\\
 
In tutti gli anni trascorsi al Castello Oscuro in compagnia della sua famiglia prima e di suo padre poi, Emilie non aveva mai visto la sala delle feste così piena di gente ubriaca prima d'ora.
La cena era stata semplice, a base di cervo ed ortaggi coltivati nel giardino del maniero, dove prima crescevano erbacce e prim'ancora erbe magiche.
Bevendo della buona birra, Emilie aveva iniziato a raccontare la sua storia alla compagnia, omettendo qualche insignificante dettaglio per non rischiare di confonderli. Inaspettatamente, Robin, Mulan e Little John le avevano creduto, sostenendo che alla figlia del Signore Oscuro, quale che fosse la sua epoca di provenienza, tutto era fattibile.
C'era un ragazzo, in mezzo alla compagnia di arcieri che se la spassavano bevendo.
Un giovane di statura media, dal viso delicatamente asimmetrico, quasi anonimo in mezzo a quella moltitudine, la osservò per tutto il tempo con una espressione seria ma quasi rapita, standosene in disparte ad ascoltare i suoi racconti senza la minima espressione.
Fece finta di non accorgersene, ma in realtà anche lei si perse più volte ad osservare lo sconosciuto, chiedendosi cosa gli passasse per la testa. Era un ragazzo comune, ma quegli occhi … sembrava quasi racchiudessero in sé un'anima cangiante, capace di sorrisi sghembi e ironici così come di sguardi ingenuamente malinconici.
Com'era prevedibile che accadesse per la figlia di un uomo come Tremotino, ne fu rapita ma non disse nulla.
Tanto comunque alla fine della serata fu chiaro che, oltre alla fiducia di Robin Hood e della sua banda, avesse conquistato anche qualcos'altro di totalmente inaspettato.
Era ancora troppo presto però per dire se fosse ciò che i suoi genitori avrebbero chiamato vero amore.
 
***
 
Presente,
Foresta attorno a Storybrooke
 
Robin Hood stava giocando con suo figlio, il piccolo Roland, insegnandogli a tirare con l'arco, quando alzato lo sguardo verso il bersaglio vide, in lontananza appena dietro di esso, una figura fin troppo familiare.
Rumplestiltskin, meglio conosciuto come Mr. Gold, avanzava deciso verso il loro accampamento, un'espressione poco rassicurante in volto e il fedele bastone da passeggio sempre stretto nella mano sinistra.
Si voltò verso Little John, al suo fianco, e si accorse dalla sua espressione di non essere stato l'unico a vederlo.
"Che vorrà da noi, Tremotino?" si chiese, un po' preoccupato.
Che qualcuno della sua combriccola avesse seguito l'esempio di Will e avesse tradito i suoi principi?
Erano tutti bravi ragazzi, ma un semplice arciere non poteva leggere i cuori, non era mica un dio, per quanto bravo potesse essere.
 
«Continua tu?» disse, affidando a Little John suo figlio e andando incontro al nuovo ospite.
 
Per quanto in passato il Signore Oscuro fosse stato clemente con lui, risparmiandogli la vita, sapeva che poteva ancora essere letale, perciò ad ogni passo avvertì il cuore accelerare i battiti, e quando finalmente furono faccia a faccia dovette sforzarsi molto per riuscire a sfoderare il più cordiale dei sorrisi.
 
«Mr. Gold. A cosa devo l'onore?» lo accolse, per nulla sarcastico, aggiungendo poi, lanciando una rapida occhiata ai dintorni «Dev'essere qualcosa di veramente importante se l'ha spinta fin dentro la foresta?»
 
Il Signore Oscuro sorrise molto seccamente, quindi con un movimento rapido delle mani fece apparire tra le sue dita la freccia che aveva fermato l'ascesa di Zelena, e la sua prigionia, mostrandogliela.
 
«Effettivamente lo è» disse, quindi si fece minaccioso «Dimmi, Robin Hood, vuoi essere il prossimo ad avere un naso proporzionato alle tue bugie? Potrei anche riprendere da dove ho lasciato quella volta che ti ho sorpreso a rubare nel mio castello»
 
L'arciere rabbrividì, facendosi preoccupato. Si voltò a controllare che suo figlio fosse abbastanza lontano. Lo vide giocare con Little John e si rasserenò, ma solo un poco.
 
«Deve credermi, Tremotino. Non so di chi sia quella freccia» replicò a bassa voce, anche se gli altri erano abbastanza lontani da non riuscire ad udirli «Noi non ne usiamo più di questo tipo»
 
Mr. Gold non si arrese.
 
«Da quanto tempo per la precisione?» ripeté, con molta lentezza, quasi sillabando ogni parola.
«Dal nostro arrivo a Storybrooke, ve l'ho detto»
 
Tremotino storse il naso.
Dando per assodato che il furfante dicesse la verità, non restava che un'unica, semplice soluzione.
 
«E prima, chi c'era con voi? Voglio i nomi di chi avrebbe potuto usare questo tipo di frecce»
 
Lockslay si fece pensieroso per qualche istante. Prese in mano la freccia e la esaminò con accuratezza.
 
«Will Scarlett» disse quindi «Ma lui non ha mai imparato il procedimento. Sapeva solo tirare.» riconsegnando l'arma.
 
Gold annuì riflettendoci su.
Il Fante di Cuori. Che interesse avrebbe avuto a salvarlo? Stava per chiedere se ci fosse stata anche una ragazza con lui, quando alzando lo sguardo si accorse di essere osservato.
Era un uomo sulla trentina, capelli bruni, una folta barbetta incolta, viso lievemente asimmetrico e occhi neri.
Li fissava da dietro un albero vicino, cercando di capire il più possibile di quella conversazione e al contempo di non essere notato.
Non gli riuscì, e appena si accorse di essere stato scoperto tornò a nascondersi dietro l'albero, riprendendo arco e frecce e fingendo di allenarsi.
Rumplestiltskin assottigliò le palpebre, quindi si rivolse di nuovo a Robin Hood.
 
«Vorrei parlare con i tuoi arcieri. A cominciare da quello laggiù.» disse, in un tono che più che una richiesta lo fece sembrare un ordine.
 
Hood annuì.
 
«Certo» acconsentì, facendogli quindi largo.
 
Sperando che nel frattempo quello specifico arciere avesse avuto modo di studiare una storia che suonasse plausibile e convincente alle orecchie del maestro degli inganni.
 
***
 
Passato,
Castello Oscuro

A sera tarda, quando l'alcool aveva ormai fatto il suo effetto e tutti si erano addormentati sul giaciglio a loro più confacente, rimasta sola Emilie si concesse finalmente un momento per riappropriarsi di quei luoghi a lei così famigliari, passeggiando tra i corridoio con aria innamorata e sognante fino a giungere di fronte alla porta della sala da pranzo privata, quella che aveva visto i primi dialoghi tra sua madre e suo padre e il loro giovane amore sbocciare e dopo la sua nascita, quella stanza era stata testimone di molte scene familiari. Ne accarezzò con delicatezza il legno intarsiato, poi la spinse piano e di fronte a sé vide apparire quell'ambiente intimo.
Le tende erano ancora aperte, e la luce della luna lo illuminava quasi a giorno, gettando un alone di mistero sulle credenze piene di ninnoli inutilizzati, e le ombre si allungavano sulle pareti in pietra dando quasi l'impressione di essere vive.
Ciò che però la sorprese fu trovare proprio quel giovane che l'aveva a lungo osservata durante il ricevimento in suo onore.
Era seduto su una delle sedie attorno al grande e maestoso tavolo rettangolare, lo stesso su cui molte volte lei si era chinata a studiare la lingua delle fate assieme a sua madre, che ne era esperta conoscitrice; era intento ad osservare una sfera di cristallo, probabilmente cercando di farla funzionare visto che ogni tanto la sfiorava coi polpastrelli o l'accarezzava come fosse la lampada di Aladino.
Non si era accorto di lei, talmente era concentrato. Lo fece quando, proprio osservando quei suoi impacciati tentativi di praticare la magia, la ragazza si lasciò sfuggire un risolino.
A quel punto lui alzò il capo quasi spaventato. I suoi occhi verdi scintillarono nel buio, come gli occhi di un rapace.
Si alzò in piedi e bofonchiò, imbarazzato.
 
«My Lady. Ha bisogno di aiuto?»
 
Di nuovo Emilie ridacchiò, stringendo le braccia al petto.
 
«No. Stavo solo rivivendo un po' casa» fece, intenerita e un po' bonariamente sarcastica, indicando con un gesto della mano i dintorni «Piuttosto tu ... non credo proprio che si faccia così, sai?»
 
Il giovane arciere le lanciò un'occhiata sorpresa, poi guardò la sfera confuso.
 
«Oh... è che … voi sapete come farla funzionare?»
 
Ancora una volta Emilie ridacchiò imitando spontaneamente suo padre.
 
«Certo che si» fece, avvicinandosi con calma a lui, che nel frattempo aveva preso ad osservarla in apprensione, quasi rapito.
 
Una volta faccia a faccia gli sorrise ammiccando, con un leggero movimento del polso sfiorò col palmo il vetro, che si riempì con le immagini del recente banchetto, come in una sorta di déjà-vu.
Si rividero, come in uno specchio. I loro sguardi, i loro silenzi. Ed entrambi tornarono a guardarsi provando di nuovo quella strana, intensa sensazione che li aveva coinvolti allora, solo molto più potente, grazie alla luce della luna, al silenzio e almeno per quanto riguardava Emilie all'ambiente in cui si trovavano, carico di storia ed emozioni forti quasi quanto quella che stava provando, se non addirittura di più.
Fu l'arciere a spezzare il momento, tornando a concentrarsi di nuovo sulla sfera, appoggiandovi i polpastrelli.
 
«Come hai fatto? Sono giorni che ci provo» passando senza chiedere a darle del tu, e arrossendo mentre fissava i ricordi svanire il vetro tornare vuoto.
 
Le labbra della ragazza s'incresparono in un sorriso appena accennato.
 
«La magia è fatta di sensazioni, non di ordini» gli spiegò «Devi usare il tuo cuore anziché la tua mente. Prova a ... pensare al sentimento più bello che ti è capitato di provare» concluse appoggiandosi coi gomiti sul tavolo, proprio di fronte a lui che la scrutò pensieroso, quindi sorrise e annuì.
«Va bene.» assentì lui.
 
Poi chiuse gli occhi, prese un respiro e solo quando senti il cuore accelerare ci riprovò. Fu difficile, perché lei lo osservava incuriosita e i suoi occhi grigi erano profondi, intensi ed ipnotici. Ma dopo qualche tentativo andato a vuoto spense ogni altro senso e si concentrò solo su ciò che andava fatto, e finalmente la sfera s'illuminò mostrandogli ciò che voleva vedere.
Sgranò gli occhi, sorpreso, aprendosi poi in un sorriso incredulo.
Emilie ridacchiò, battendo le mani.
 
«I miei complimenti! Hai talento per la magia» disse, strizzando le palpebre e facendogli cenno con la mano di suggerirgli il suo nome.
 
Solo allora il ragazzo si rese conto di non essersi ancora presentato e scusandosi profusamente lo fece con uno spontaneo gesto di galanteria che la lasciò basita e piacevolmente colpita.
 
«Oh, perdono» disse prendendole con delicatezza la mano nella sua, ancora protetta dal guanto che usava per tirare con l’arco, e sfiorandola con le labbra «Mi chiamo Ewan» le rivelò lasciandola quindi andare.
Emilie rimase incredula a fissarlo. Era proprio vero … che la nobiltà d’animo poteva trovarsi anche nel più misero degli uomini.
Cercò qualcosa da dire che non rompesse l’armonia di quel momento e la cavasse da quell’imbarazzante silenzio, ma mentre lo faceva si accorse osservando il globo con la coda dell’occhio che le immagini in esso riguardavano qualcuno a lei famigliare.
 
«Mio padre?» domandò sorpresa, prendendolo tra le mani e osservando il Signore Oscuro parlare con quel ragazzo e prendere in consegna da lui uno strano ninnolo «Hai fatto un patto con lui?»
 
Ewan annuì, sorridendo timidamente.
 
«In realtà… si» ammise «Gli ho donato un oggetto a me molto caro in cambio della vita di una persona importante»
 
La ragazza assentì comprensiva, tornando a guardare le immagini e focalizzandosi sull'oggetto che il Signore Oscuro stringeva in mano.
 
«Una collana?» domandò «Ed ora che il Signore Oscuro non c'è pensavi di recuperarla?» sorrise furbamente.
 
L'arciere scosse le spalle e annuì con un sorriso triste.
 
«Ho messo sotto sopra il castello, ma non ho trovato granché» rivelò mestamente, alzando poi gli occhi su di lei «Speravo che la sfera potesse darmi una mano»
 
La figlia del Signore Oscuro lo scrutò in silenzio per qualche istante, facendosi riflessiva. I suoi occhi grigi lo fissarono intensamente, studiandolo come uno strano fenomeno paranormale, e per un istante lui abbassò lo sguardo, sentendosi quasi sotto scacco.
 
«È evidente che non sapevi dove cercare» risolse infine, sciogliendosi in un sorriso mentre continuava a scrutarlo quasi divertita.
 
L’arciere la guardò stranito e soggiogato. Quegli occhi quasi vitrei gli facevano paura, ma c'era qualcosa in lei, in tutto il resto di lei, che gliela rendeva misteriosa e al contempo affascinante, affabile.
Somigliava molto a suo padre, ma non aveva assolutamente quella sua aura minacciosa, anzi.
Sembrava quasi una bambina, curiosa e imprevedibile ma buona in fondo all’anima.
Tutto cambiava invece quando la osservava praticare la magia, allora sì ch’era molto più simile a Tremotino di quanto non immaginasse.
Per questo fu un po' titubante nel chiederle quel favore, ma non dovette nemmeno azzardarsi a farlo perché fu lei ad avere l'idea
 
«Seguimi» esclamò, battendo il palmo sul tavolo.
 
Non se lo fece ripetere due volte.
La ragazza lo guidò alla stanza più segreta di quel castello, il laboratorio, muovendosi esperta tra quei labirintici corridoi esattamente come se li conoscesse da sempre, e ogni tanto raccontandogli qualche aneddoto su di essi.
 
«Oh, non credo si possa entrare. Ci ho provato ma non sono riuscito nemmeno a scassinarla. Forse è protetta da un incantesimo» la interruppe una volta giunti lì, di fronte alla porta sbarrata.
 
Emilie si voltò e gli rivolse un sogghignò, tirando fuori dalla tasca del pantalone in pelle che indossava una piccola chiave a croce, molto diversa dalle altre.
 
«Hai detto bene. Un incantesimo che può essere spezzato solo dalla chiave giusta» replicò sicura.
 
Ewan sgranò gli occhi mentre la osservava, trattenendo il fiato.
Le sue dita affusolate inserirono la chiave nella serratura, la girarono un paio di volte e la fecero scattare, aprendo loro l'accesso al tesoro più prezioso di Tremotino: la stanza degli incantesimi e delle pozioni.
Entrarono in punta di piedi, ma per motivi diversi.
C'era un'aura strana e pesante, li. Ewan l'avvertì subito, e gli sembrò quasi di essere tornato al cospetto del Signore Oscuro in persona.
Tutto il suo potere era lì, nascosto tra quelle pergamene e quelle pozioni.
Per Emilie invece fu come tornare a casa e ritrovare suo padre, il brillante e oscuro mago che le aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Il suo spirito era ancora lì, tra quelle provette piene di magia e i volumi impolverati tanto cari a sua madre.
Tra quelle pergamene si nascondeva anche il segreto di Cronos, e ora che vi aveva avuto accesso avrebbe finalmente potuto svelarlo una volta per tutte, elaborando un piano che le permettesse di raggiungerlo ed appropriarsene.
Ma prima c'era una cosa da fare.
 
«Dunque, una collana…» ripeté tra sé allegramente, ricacciando indietro le lacrime con un gesto delle mani.
 
Quindi si mise a cercare tra gli scaffali, gli occhi ansiosi e speranzosi di Ewan costantemente su di lei. “Comincio a capire perché a papa piacesse questa sensazione” ridacchiò dentro sé.
Aprì un paio di credenze senza trovare nulla di interessante, poi si avvicinò a quella che conteneva gli ingredienti per le pozioni, tirò un cassetto e finalmente potè esclamare vittoriosa.
 
«Oh, eccola qui. Sei fortunato che il sortilegio non l'abbia spedita a Storybrooke con tutto il resto» disse prendendola tra le mani e mostrandogliela.
 
Il ragazzo s'illuminò quasi commosso.
 
«Si, è lei!» disse allungando le mani per riprenderla, ma lei la trasse a sé prima che potesse riuscirci, guardandolo contrariarsi sorpreso e deluso.
 
Si morse le labbra trattenendo un ghigno.
 
«Questo è un osso di drago» osservò, tornando seria ad ispezionarla come se nulla fosse «Non mi sorprende che mio padre lo volesse. Te lo renderò se mi spieghi come sono andate le cose. Sono curiosa: come lo hai avuto?»
 
L'arciere tornò a sorridere. Sospirò rassegnato e annuì, scuotendo le spalle.
 
«Era di mio padre, un cavaliere al servizio di Re George. Lui lo diede a mia madre prima di partire per la sua ultima missione come talismano portafortuna, e lei lo diede a me prima di morire.» spiegò, rimanendo sul vago per non sentire nuovamente il peso di quei ricordi gravare sul suo cuore.
 
Emilie lo ascoltò con attenzione, e si accorse dei suoi occhi improvvisamente lucidi e della voce impercettibilmente tremula.
Sorrise comprensiva, sentendo un peso scendere a gravarle sul cuore.
 
«Capisco...» mormorò, poi buttò di nuovo tutto sul ridicolo per mascherare la commozione che l'essersi immedesimata in quel racconto le aveva provocato «Immagino quindi che tu non abbia barattato questo pegno d'amore per la sua vita» osservò «Chi è la fortunata?» domandò, ammiccando.
 
Lo guardò sorridere divertito.
 
«Oh, col senno di poi... nessuno d'importante» le spiegò, scuotendo il capo e le spalle.
 
Emilie Gold si corrucciò.
 
«E tu hai fatto un patto col Signore Oscuro per ‘nessuno d'importante’?» chiese virgolettando con indice e medio di entrambe le mani.
 
Ancora una volta il ragazzo tornò a ridere, stavolta sinceramente divertito.
 
«In realtà... lo era per me» chiarì, guardandola finalmente negli occhi senza più alcun imbarazzo o timore «Ero piccolo quando mio padre se n'è andato, e mia madre mi lasciava spesso a casa da solo per andare a vendere tutto ciò che riusciva a ricavare dal nostro orto e dal suo lavoro di sarta. Perciò ho sempre desiderato avere una famiglia, qualcuno da proteggere, per cui vivere, con cui condividere tutto l’amore di cui avevo sentito la mancanza. Lei invece...» sorrise di nuovo, un po' amaro «Diciamo che avevamo due modi diversi di vedere la vita.»
 
Senza accorgersene, Emilie annuì ammirata, sorridendo appena. Quella storia gli era così terribilmente familiare.
Lentamente, la mano che reggeva il ciondolo si abbassò e il palmo si dischiuse davanti a lui, mostrandogli il suo tesoro.
Incredulo, Ewan tornò ad alzare gli occhi verso quelli grigi di quella strana creatura che aveva di fronte, e quando i loro sguardi tornarono a unirsi quella strana magia accadde di nuovo.
Furono come stregati, incapaci di proferire altre parole.
Lei sorrise, sentendo il fiato farsi corto e un nodo chiudere lo stomaco.
Lui allungò piano la mano per riprendersi la collana e nello sfiorare la sua pelle ebbe un brivido.
Per un brevissimo attimo, entrambi si ritrovarono a sorridersi.
 
«Grazie...» bofonchiò lui, rimettendosi il ninnolo al collo «Ti devo molto»
 
La ragazza sorrise appena, scuotendo le spalle.
 
«Oh, avrai modo di ripagarmi» disse scoccandogli un occhiolino «Il vero amore è qualcosa di molto potente.» risolse infine, riavendosi a poco a poco e facendosi seria «La prossima volta scegli bene a chi donarlo»
 
***
 
Presente,
Storybrooke, foresta
 
Anche se erano passati ormai troppi anni da quando si erano incontrati, Tremotino non riconobbe quel giovane arciere, ma Ewan lo fece.
Nessuno poteva dimenticare il Signore Oscuro dopo averlo incontrato, anche se il sortilegio aveva restituito al suo aspetto la sua umanità.
Ma a differenza di tutti gli altri abitanti di Storybrooke, Ewan non vacillò subito ritrovandosi nuovamente di fronte a lui.
Semplicemente, strinse il ciondolo che portava legato al braccio e ricordò l'ultima promessa fatta a sua figlia. «Mio padre non dovrà mai sapere.»
Non perché si vergognasse di quell'amore, ma perché temeva per la loro incolumità. Sua, e dei suoi genitori.
Erano passati anni ormai dall'ultima volta che aveva visto quella ragazza. Secoli anzi. La stava ancora aspettando, come si erano promessi, nonostante il tempo gli avesse lasciato sulla pelle cicatrici evidenti.
E contrariamente a quanto Robin Hood poté pensare mentre lo guardava reggere il confronto col temibile Mr. Gold, quell'incontro fu ciò di cui aveva più bisogno.
Il segno che aspettava da tanto. Il momento che avrebbe avuto il potere di cambiare rotta alla sua vita.
Tutto iniziò con un cordiale saluto di Robin Hood, che fece finta di distrarlo dal suo altrettanto fittizio allenamento con l'arco.
 
«Ewan, conosci Mr. Gold vero?»
 
Abbassò l'arco e lo guardò.
L'uomo se ne stava in silenzio a scrutarlo con sguardo torvo, impettito nel suo completo scuro a coste, cravatta viola e l'inseparabile bastone da passeggio stretto tra le mani.
Ewan sorrise.
 
«Certo che sì» annuì, aggiungendo poi «Chi non conosce il Signore Oscuro, qui a Storybrooke e da dove veniamo?» tornando serio.
 
Tremotino incurvò gli angoli della bocca all'insù, in una smorfia soddisfatta.
 
«Mi spiace disturbarti, Ewan. Ma ho da farti qualche domanda e confido che la mia fama t'incoraggi a rispondermi con sincerità» soggiunse, senza scomporsi.
 
I due arcieri si lanciarono un lungo sguardo loquace, alla fine del quale il più giovane fece a Lockslay segno di lasciarli soli.
 
«Farò del mio meglio per accontentarvi, Rumplestiltskin» rispose sostenendo il suo sguardo minaccioso, e ribadendo con un cenno del capo a un titubante Robin Hood che andava tutto bene.
 
Convintosi, il capo dell'allegra brigata decise di lasciarli soli alla loro conversazione, che a quel punto che prese una piega decisamente più seria.
 
«In cosa posso esservi utile?» esordì Ewan, appoggiando l'arco su un tronco reciso, accanto alla sua faretra.
«È molto semplice» replicò il Signore Oscuro, facendo nuovamente apparire sul palmo della sua mano la prova incriminata «Conosci il proprietario di questa freccia? Il tuo capitano ha detto che sei abbastanza bravo in questo. L'hai fabbricata tu?»
 
L'uomo prese tra le mani l'arma, e mentre la scrutava attentamente il suo cuore tremò e sul suo volto apparve un sorriso quasi commosso.
 
«È una delle mie, si» ammise «Ma...questa è una freccia speciale. Come la persona per cui l'ho fabbricata»
 
Mr. Gold sospirò sollevato. Finalmente qualcuno con abbastanza sale in zucca da collaborare.
 
«E il nome di questa 'persona speciale' è per caso Emilie ?» domandò e stavolta lo vide davvero vacillare, come se avesse appena ricevuto un colpo a tradimento.
 
La mano che reggeva la freccia tremò, nella sua mente tornò prepotente il ricordo di quella promessa.
Nel frattempo, Tremotino seguitò a scrutarlo studiandone ogni movimento e constatando con un certo stupore quanto anche lui fosse sorpreso di risentire quel nome.
Lo sconcerto era autentico, e questo lo spinse a convincersi che, seppure avrebbe potuto dargli qualche informazione in più sulla misteriosa ragazza che diceva di essere sua figlia, quel giovane arciere non centrava nulla con gli ultimi eventi e probabilmente non sapeva nemmeno che lei fosse arrivata in città.
Decise comunque di ricavare quanto più poteva da quella conversazione, visto che lei stessa lo aveva sfidato a giocare quella caccia al tesoro.
E lui non perdeva mai ai giochi di questo genere.
 
«Voi... quanto sapete di lei?» domandò a sua volta Ewan, decidendo per la cautela.
 
Se Emilie era finalmente riuscita a farsi notare da suo padre significava che aveva deciso di uscire alla scoperto. Avrebbe vuotato il sacco solo nel caso in cui lei stessa lo avesse fatto per prima. Non sarebbe stato difficile convincere il Signore Oscuro a dargli ragione, o almeno a comprenderlo.
 
«So che è stata lei a fermare Zelena, e che conosce molte cose di me e della mia famiglia. Troppe per i miei gusti.»
 
Specie dopo gli ultimi avvenimenti.
L'arciere si fece ancor più serio. Ecco il motivo per cui quella promessa esisteva.
Emilie aveva avuto ragione ancora una volta su suo padre, finché non si sarebbe convinto che le sue intenzioni erano buone poteva essere un nemico temibile.
Aveva già fatto il passo più lungo della gamba rivelandogli di conoscerla, ma non aveva resistito.
Doveva sapere... se lei era di nuovo nel suo stesso tempo.
Ciò che apprese dal Signore Oscuro perciò lo sconvolse, facendo brillare i suoi occhi di lacrime di gioia.
 
«Lei...» mormorò guardandosi intorno «Lei è qui a Storybrooke. Ora?»
 
Mr. Gold lo scrutò per un istante, assottigliando di nuovo le palpebre. Poi sospirò, trasse dalla tasca del suo soprabito nero un foglietto ripiegato e glielo porse, guardandolo trattenere il respiro mentre i suoi occhi verdi scorrevano nervosamente quelle poche righe.
Era la pergamena che Emilie gli aveva fatto avere tramite Bae.
Per qualche motivo né suo figlio né quel giovane volevano parlargliene, e sinceramente la cosa stava iniziando a irritarlo.
Pensavano davvero di riuscire a fargli bere con facilità quella gigantesca montagna di frottole?
Almeno su una cosa però quel giovane era sincero: non aveva davvero mai avuto modo d'incontrarla di recente.
 
«Te lo chiederò un'ultima volta...» risolse, facendosi serio e compiendo un passo in avanti verso di lui, per poterlo guardare meglio negli occhi «Chi è Emilie? E dove si trova adesso?» lo incalzò comunque, impugnando il bastone e puntandoglielo contro.
 
Ewan gli rivolse uno sguardo quasi sperduto, ma sincero, senza arretrare di un passo.
 
«Mi creda. Glielo direi se potessi» rispose, stringendo emozionato quel plico tra le dita «Ma non lo so. È anche se lo sapessi... un patto è un patto, l'ho imparato da voi» sorrise.
 
Lo fece anche Tremotino, ma più nervosamente, mordendosi la lingua.
Se aveva deciso di metterla su questo piano allora stava giusto pensando di giocarsi anche quella carta, ma del tutto inaspettatamente l'arciere aggiunse qualcosa che lo frenò.
 
«Ciò che mi sento di dirle però è che... non ha alcun motivo per temerla. Lei...» sorrise, cercando le parole giuste «non farebbe mai nulla contro di voi. Ha sacrificato la sua intera esistenza per proteggervi, se avete ricevuto quel messaggio vuol dire che lo sapete già»
 
All'improvviso senza più parole, Tremotino fissò il plico che l'uomo gli aveva restituito e sentì in cuor suo di non poterlo contraddire.
Allora era tutto vero. Ciò che quella ragazza gli aveva detto nella lettera, ciò che sosteneva, i motivi che l'avevano spinta a salvarlo più e più volte; ripensò ancora una volta a tutte quelle che quella misteriosa presenza aveva aiutato sia lui che Belle, senza chiedere nulla in cambio.
Aveva perfino fatto in modo che fosse qualcun altro a sacrificarsi al posto di Baelfire per farlo ritornare dal regno dei morti, e gli aveva portato conforto durante la prigionia ad opera di Zelena. Più restava ad ascoltare le parole di quell'arciere, più se ne convinceva. Emilie era davvero sua figlia?
Purtroppo la vita gli aveva insegnato che nessuno compiva mai gesti simili senza chiedere nulla in cambio, inoltre non amava affatto ritrovarsi dalla parte del debitore, in qualunque caso.
L'esperienza con Zelena gli aveva ricordato ancora una volta il rischio che correva lasciando che persone di quel genere di "affezionassero" troppo a lui.
 
«Perché?» domandò, quasi rabbioso, stringendo forte il bastone tra le mani mentre tornava ad appoggiarlo a terra.
 
Ewan sorrise.
 
«La trovi e lo chieda a lei» suggerì «Non aspetta altro da tutta una vita»
 
Un ultimo, intenso scambio di sguardi tra di loro. Poi finalmente Mr. Gold decise di non insistere ulteriormente. Non che non volesse, ma aveva promesso a Belle e a suo figlio di andarci piano, e comunque anche sotto tortura quell'arciere non avrebbe mai potuto dirgli più di così.
Lasciò correre quindi, sorrise nervosamente e gli voltò le spalle, congedandolo con un gesto infastidito della mano e un formale
 
«Grazie per il tuo tempo»
 
Ma prima che potesse muovere un altro passo, Ewan lo richiamò.
 
«Mr. Gold»
 
Represse un'altra smorfia nervosa e si voltò, fulminandolo con uno sguardo.
Tuttavia, ogni cattiva intenzione morì nel momento in cui quell'uomo misterioso gli rivolse l'ennesimo sorriso sincero e una singola, per nulla enigmatica frase.
 
«Lei ed io abbiamo molto in comune. Soprattutto, sappiamo entrambi cosa vuol dire trovare il vero amore»
 
\\\
 
Intanto, al Granny's...
 
Seduta sola soletta al tavolo più nascosto del locale, quello appena dietro la porta d'ingresso, Emilie sotto le mentite spoglie di Alexandra Scarlett si godeva un meritato momento di riposo e solitudine, cercando di placare l'animo agitato che si era ritrovata ad avere e di chiarirsi al meglio le idee.
Per aiutarsi aveva ordinato un thè nero bollente e uno di quei dolci strapieni di crema pasticciera, ma non aveva toccato né l'altro, rimanendo a fissare con sguardo perso il vapore che dalla tazza si elevava verso il soffitto disperdendosi a pochi centimetri dal suo naso.
Era estremamente stanca di doversi nascondere. Aveva iniziato ad esserlo quando suo padre era stato prigioniero di Zelena, e continuava a sentirsi così anche ora che tutto era tornato a posto. Aveva fiducia in Tremotino, non ci avrebbe messo tanto a risolvere gli indizi che gli aveva lasciato, ma nel frattempo lei sentiva di aver bisogno di un abbraccio o in alternativa di un bel pianto liberato per scaricare la tensione accumulata. La cosa peggiore era che non poteva avere nemmeno queste due alternative.
Gideon non c'era, Bae non aveva ancora deciso se fidarsi e sua madre era troppo vicina al Signore Oscuro.
Il cucchiaino smise di girare a vuoto nella tazza e venne abbandonato sul bordo del piattino. Tremante, prese tra le mani la porcellana ancora rovente e se la portò alle labbra, ingurgitandone un bel sorso.
Le si ustionò la lingua, ma almeno le fu d'aiuto per non pensare al vero dolore. Chiuse gli occhi e strinse i denti, agitando il capo per resistere.
 
«Alex, tutto bene?» chiese Ruby, fermandosi al suo tavolo.
 
Sorrise, arrossendo appena.
 
«S-si si, a meraviglia» bofonchiò, pulendosi la bocca col tovagliolo «Anzi, credo che ci voglia di più del thè bollente per rimettermi in sesto oggi. Puoi portarmi qualcosa di forte con cui correggerlo?»
 
Non era solita darsi ai super alcolici ma quello sembrava il momento giusto per iniziare.
Ruby si aprì in un sorriso, comprensiva.
 
«Certo» rispose «Abbiamo del rum, se vuoi?»
 
D'un tratto si bloccò a pensarci, guardandola.
Ci mancava solo il riferimento a quell'idiota d'un pirata. Stava per rifiutare, ma poi pensò che nella sua vita per un breve periodo aveva fatto anche quello pur di spianare la strada al suo amato padre, quindi...
 
«Oh, al diavolo! E rum sia!» replicò tornando quasi inavvertitamente a riappropriarsi di quella gestualità inconfondibile.
 
Per fortuna Cappuccetto sembrò non accorgersene. Ridacchiò e si congedò con un
 
«Torno subito.»
 
Lasciandola nuovamente al suo silenzio.
Qualche istante dopo lei stava finendo di versare una buona dose di liquore nel suo thè quando al suo tavolo si accomodò in fretta il ragazzino più famoso della città.
 
«Ciao Zia!» la salutò allegramente, regalandole un largo sorriso.
 
Doveva essere appena tornato da scuola perché aveva ancora lo zaino in spalla, e tra le mani l'inseparabile libro di favole che appoggiò sul tavolo di fronte a sé.
Emilie sobbalzò, rischiando di farsi cadere il rum addosso.
 
«Henry... » lo salutò con un sorriso finto, poi mormorò sottovoce, avvicinandosi verso di lui e abbassandosi per nascondersi agli occhi indiscreti di Leroy, seduto in fondo al bancone, che ogni tanto la scrutava corrucciandosi «Cosa avevamo detto sulla segretezza?»
 
Il bambino mutò espressione in una più seria, annuì e assunse la sua stessa aria guardinga.
 
«Hai ragione, scusa.» mormorò, poi tornò ad agire normalmente ribadendo con un ampio sorriso «Come stai, Alexandra?»
«Potrei stare meglio... » bofonchiò lei, accorgendosi solo allora della presenza di Baelfire al bancone.
 
Stava chiacchierando con Ruby, insieme si avviarono al loro tavolo.
La cameriera portava un vassoio colmo di cioccolate e delizie varie, Neal guardò verso sua sorella e le sorrise salutandola con un cenno della mano.
Emilie sgranò gli occhi sconcertata, sentendo puntarsi contro di lei lo sguardo di quel nano impiccione sempre appollaiato sul suo sgabello.
Giunti al tavolo, fratello e sorella si scambiarono muti cenni mentre Ruby riponeva tranquillamente ogni pietanza sul tavolo.
 
«Ecco a voi» disse cordialmente, salutandoli «Divertitevi»
«Grazie, Ruby» risposero padre e figlio quasi all’unisono.
 
Finalmente soli, Alexandra scalò sul posto in fondo al divanetto per sottrarsi alle attenzioni ora davvero insistenti di Leroy, che così la perse di vista.
 
«Maledetto nano impiccione...» bofonchiò contrariata sprofondando nella seduta.
 
Bae rivolse una rapida occhiata alle sue spalle, poi sorrise.
 
«Leroy fa sempre così con tutti. Rilassati e bevi il tuo thè» risolse con un sorriso, storcendo però subito il naso «Accidenti, quanto rum ci hai messo?» domandò disgustato «Si sente l'odore fin qui.»
 
Alexandra sospirò alzando gli occhi al cielo.
 
«Rum? Ti piace il rum?» sorrise divertito Henry «Saresti un ottimo pirata, allora» osservò, ridacchiando poi con suo padre.
 
Emilie tornò a sedersi compostamente, tirò a sé la tazza ingollò d'un sorso, lasciandoli di stucco. O meglio, Bae rimase di stucco, mentre Henry ridacchiò divertito osservandoli.
 
«Che ci fate qui voi due? Avevamo detto che per ora dovevamo mantenere le distanze»
 
Bae alzò le spalle.
 
«Henry voleva stare un po' con te... vuoi negarglielo?» le rispose.
 
La ragazza tornò ad incrociare lo sguardo del nipote, che le sorrise annuendo.
Sospirò di nuovo, e si aprì finalmente in un sorriso.
 
«No, direi di no»
 
Neal sorrise, iniziando a mangiare il suo hamburger. Henry invece mise da parte il libro per dedicarsi alla sua cioccolata.
Fu proprio Emilie a tirare nuovamente in ballo la questione, dopo aver scrutato attentamente l'importante volume.
 
«Questo è il libro che vi ha aiutati col primo sortilegio?» domandò.
«Si» replicò entusiasta Henry, porgendoglielo «Ti stavo cercando ma non ci sei» rispose.
 
Neal la osservò accarezzare la copertina con aria sognante, quasi nostalgica.
 
«Oh, non credo di poter esserci, piccolo» la sentì mormorare tristemente.
«Ma se...» fece ancora il bambino, abbassando il tono di voce e avvicinandosi di più a lei «Se hai cambiato il passato dovresti. Invece niente. E nemmeno le altre storie sono cambiate»
 
Emilie sorrise, anche un po’ compiaciuta.
 
«È perché sono stata brava» replicò «Cambiare il passato può essere pericoloso, mi sono limitata solo ad osservarlo da lontano»
«Intervenendo quanto bastava» aggiunse Bae, rivolgendole un'impercettibile sorriso al quale lei ricambiò con tenerezza.
 
Quindi, seguendo un ricordo, aprì il volume e cercò la pagina dove, in uno stile molto approssimativo ma comunque incisivo e suggestivo, adatto a un libro di fiabe, vi era illustrato il primo bacio di vero amore tra Tremotino e la sua Bella.
Con la punta delle dita ne sfiorò i colori, sentendo le lacrime affacciarsi agli occhi.

 
 
«In un dolce bacio d'amore, le loro labbra s'incontrarono e la magia più potente del mondo iniziò a fare il suo effetto.»
 
Recitava il libro sotto di essa
 
«Lentamente, l'incantesimo che incatenava il cuore della bestia iniziò a svanire.
‘Guarda, sta funzionando!’ mormorò felice Belle.
Ma Tremotino la respinse, adirato e spaventato. Il vero amore era imprevedibile.
Inoltre, non poteva cedere a quella magia, perché l'uomo dentro al suo cuore aveva bisogno della Bestia per sopravvivere.»
 
Senza che se ne accorgesse, la sua mente fu inondata dai ricordi.
Rivide i suoi genitori innamorati osservare l'interminabile tramonto alla fine del tempo, stretti l'una tra le braccia protettive dell'altro. E rivide sé stessa tra di loro, la piccola principessa di suo padre che lo amava come se fosse il più invincibile degli dei.
Ripensò a tutte le volte che i suoi gli avevano raccontato quella storia con quelle stesse parole, fu quasi come risentire la voce di suo padre e rivedere i suoi occhi colmi di gratitudine verso Belle, che aveva saputo ridargli la sua umanità credendo e combattendo perché quell'amore fosse possibile.
Infine rivide sé stessa trovarlo e lasciarlo andare, proprio come aveva fatto suo padre all'inizio di quella lunga favola.
Quando Tremotino aveva lasciato andare Belle le aveva detto che il potere era più importante di lei. Ora, Emilie si rese conto di quanto avesse agito nella medesima maniera, dicendo a Ewan che la felicità di suo padre era più importante di quel sentimento appena sbocciato tra loro.
La verità era che avevano agito entrambi da codardi. Tale padre, tale figlia.
Eppure il Tremotino alla fine del tempo l'aveva avvisata.
Il vero amore faceva paura anche al più intrepido dei cuori. Lei aveva usato suo padre per scappare il più lontano possibile. E ora?
Non sapeva nemmeno dove fosse Ewan in quel momento, se a Storybrooke o in qualche altro reame. Com'era diventato? L'avrebbe riconosciuta?
Ma soprattutto... Il loro amore appena nato aveva resistito alle intemperie del tempo come aveva fatto quello tra sua madre e suo padre?
C'era un solo modo per scoprirlo, ma lei era ancora maledettamente terrorizzata all'idea di attuarlo. E ancora una volta la scusa di dover dare la priorità a suo padre suonava perfetta.
 
«Alexandra...»
 
La voce di Baelfire la riscosse dai cupi pensieri in cui era sprofondata. Tornò a guardarlo e vide sul suo volto e su quello di Henry un'espressione preoccupata.
Una lacrima si staccò dalla sua guancia schiantandosi sul tavolo, solo guardandola incredula si rese conto di avere iniziato a piangere.
Il fiato corto e gli occhi in fiamme, si scusò e si alzò fiondandosi in bagno, dove nuovamente represse ogni cosa sciacquandosi il viso con acqua gelida e ingoiando ripetutamente il rospo stringendo i denti, fino a che non sentì di avere tutto nuovamente sotto controllo.
Tornata al tavolo, trovò il libro nuovamente stretto tra le mani di Henry, che lo chiuse non appena la vide arrivare.
Baelfire le rivolse un lungo sguardo preoccupato e comprensivo.
 
«Tutto bene?» domandò
«Si...» risolse lei, sbrigativa, rimettendosi il giubbotto di pelle e facendo per avviarsi all'uscita «Si. È che mi sono ricordata perché sono qui.» disse «Scusatemi»
 
Neal e suo figlio la fissarono andar via di fretta, fiondandosi fuori dal locale e fermandosi al centro del marciapiede, fissando con caparbietà il sole sopra di lei.
Si lanciarono uno sguardo complice.
 
«Andiamo?» domandò Bae, con un cenno del capo.
«Yep!» rispose il bambino, rimettendosi lo zaino sulle spalle.
 
Un istante dopo erano nuovamente tutti e tre insieme, proprio di fronte al Granny's.
Emilie sospirò nervosamente nel vederseli ancora alle calcagna.
 
«Sbaglio o non hai idea di dove andare?» fece Neal, con un sorriso.
 
Lei gli lanciò un'occhiataccia non tanto minacciosa, alzò gli occhi al cielo e si rivolse a Henry.
 
«Cosa fai quando vuoi divertirti e stare da solo?» domandò.
 
Il giovane scosse le spalle.
 
«Il Castello. La mia altra mamma ci ha fatto costruire un parco giochi» disse senza nemmeno pensarci.
 
Emilie si concesse qualche istante per riflettere.
 
«È vicino al mare...» osservò corrucciandosi.
«Si, ma non incontrerai Uncino se è questo che temi» la corresse Bae «Il porto è dall'altro lato della città»
 
L'ennesimo sospiro spazientito. Alexandra guardò Henry annuire, quindi sprofondò le mani nelle tasche della giacca di pelle nera e annuì.
 
«Perfetto. Fammi strada» decise, rivolgendosi ad Henry.
 
Baelfire annuì, sorridendo di nuovo. Avrebbe dovuto avvisare Emma, pensò. Lo fece con un rapido sms.
 
"Emilie ha bisogno di schiarirsi le idee. Io ed Henry siamo al Castello con lei."
 
Mentre Henry prometteva solennemente di non dire nulla di lei all'altra sua madre, Regina, che sembrava non rientrare più di tanto nelle simpatie di quella zia così particolare.
 
\\\
 
Dopo aver visto uscire di corsa quella strana sconosciuta, Leroy aspettò che se ne fosse andata per estrarre il telefono e fare un'importante chiamata.
La voce di David Nolan dall'altro capo del telefono non tardò a farsi sentire.
 
«Leroy!» lo accolse cordiale.
«Hey, vicesceriffo. Ho qualcosa da dirti di persona» disse «Puoi raggiungermi da Granny. E porta anche Bianca.»
«Oh, va bene» replicò il Principe, dopo un attimo di stupore «Dacci solo … dieci minuti e siamo da te. D'accordo?»
«Mh» bofonchiò il nano «Fate con calma, non c'è fretta»
 
Infine, chiusa la chiamata, ordinò un'altra birra e iniziò ad ingollarla con una porzione di lasagne nell'attesa.
 
(Continua …)
   
 
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