Rimasi
seduta sul pavimento del
bagno con lo stomaco in subbuglio. Avevo asciugato le lacrime, ma non
riuscivo
ancora a calmarmi, il dispiacere che provavo era forte. Presi a tremare
mi
accorsi di essere allo sbando.
La
consapevolezza che Mycroft
fosse il nemico mi soffocava. Eppure non potevo credere di essermi
sbagliata su
di lui. Non c'era niente di Myc in quell'uomo che mi aveva spaventato
poco
prima. Quello che era ritornato dalle torture non era il mio irritante,
ma
gentile Holmes. La persona premurosa che mi proteggeva comunque andasse
tra
noi. Era uno sconosciuto di cui avevo paura. Cercai di alzarmi, ma le
gambe non
mi reggevano.
Sentii
lo strascicare delle
stampelle accompagnate dai suoi passi, mi tirai indietro. La porta era
socchiusa, mi riparai dietro quella debole difesa.
"Laura,
non temere non mi
avvicino. Dimmi solo se stai bene, solo questo." Parlava a voce bassa,
lentamente, aveva perso la sua autorevolezza. Si interruppe, lo sentii
respirare con difficoltà.
"Sta
arrivando Anthea, avrà
cura di te." Ascoltavo dispiaciuta e allo stesso tempo arrabbiata.
Insisteva quasi supplicante. "Ti prego, rispondimi, dimmi che stai
bene.
Non me ne andrò se non ti sento."
Mi
feci forza, addolorata nel
sentirlo così abbattuto. "Sto bene, sto meglio." Cercai di
essere
convincente nella stupida idea di tranquillizzarlo.
Il
suo tono si fece rassicurante,
riconobbi la dolcezza dei primi tempi.
"Laura,
sono stato
imperdonabile. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto e disprezzarmi
per il
male che ti ho fatto e che ti sto facendo. Forse i farmaci per la
depressione
non mi aiutano."
Si
interruppe, prese tempo, si
rendeva conto che qualcosa in lui non andava. "Sono totalmente confuso
e
incapace di mantenere uno stato accettabile di stress. Mi sento nervoso
e
irritato, non riesco a recuperare un equilibrio tollerabile. Mi
dispiace,
Laura."
Un
silenzio pesante ci avvolse, ma
la paura, la rabbia e il dolore mi trattennero dall'uscire e
abbracciarlo.
Nonostante tutto lo amavo e sentivo la sua sofferenza.
Assunse
un tono smarrito che mi
sorprese, come se parlasse a sé stesso, stava ripercorrendo
il suo calvario
cercando di giustificare il suo cambiamento.
"Non
sono mai tornato dalla
mia prigionia, Laura, sono sempre lì con la mente. Legato a
una sedia, mentre
mi torturano e mi insudicio e puzzo, non riuscendo a controllare il mio
corpo." Annaspò in cerca d'aria. "Ho gridato e implorato
senza
ritegno."
Si
fermò, un sottile dolore mi
percorse la schiena, rabbrividii: soffriva e ammetteva le torture. "Mi
hanno abusato con crudeltà per il piacere perverso di
umiliarmi, ora sai il
perché e chi lo ordinò."
Due
lacrime mi scesero brucianti
mentre lo ascoltavo. Mi alzai e sbirciai dalla porta socchiusa. Il
cuore smise
di battere quando lo intravidi. Era appoggiato con la schiena allo
scaffale,
reggeva le stampelle nelle mani. La nuca appoggiata, la fronte rivolta
verso
l'alto. Gli occhi socchiusi. Si era slacciato la cravatta, aperto il
collo
della camicia, il suo costoso gilè sbottonato. La giacca
pendeva sulle spalle.
"Non
sono l'uomo che
ricordi." Lo udii appena, un silenzio sordo ci penetrava come una lama,
distruggeva le mie deboli difese, mentre il mio cuore si spaccava in
mille
pezzi. Ma la lite di prima era stata brutale e reale, rimasi
colpevolmente
dietro alla porta.
Malvest
aveva compiuto la sua
vendetta personale sull'uomo che amavo, ed era riuscito a dividerci.
Come
se avesse avvertito il mio
pensiero, la sua voce si fece improvvisamente aspra e secca.
"Edwin
pagherà per tutto
questo, per come è riuscito a cambiarmi, ma ti prometto che
non dovrai più
temerlo."
Riconobbi
la sua determinazione.
"Ti chiederà scusa."
Mi
sorpresi per quella
affermazione, rabbrividii quando spiando lo vidi sistemarsi il vestito
con
cura, afferrare le stampelle e assumere quell'aria fredda e determinata
che
ricordavo bene.
Era
tornato l'uomo di ghiaccio che
faceva paura a molti.
Riconobbi
la voce decisa dei primi
tempi. "Laura, tra poco sarà qui Anthea. Si
prenderà cura di te. Perdonami
se riesci."
Si
allontanò, con le spalle
dritte, il passo sicuro. Non feci nulla per fermarlo, mi maledissi per
amarlo
così tanto da non riuscire a stargli lontana. Finivo per
perdonargli tutto.
Sapevo che aveva bisogno di me, ma nessuno dei due riusciva ad
avvicinarsi, una
maledizione che non si scioglieva e lentamente ci stava distruggendo.
Pochi
minuti e Anthea fece
capolino sulla porta socchiusa. "Sono io, Laura, non avere paura, fammi
entrare." Sospirai di sollievo nel vederla, aveva una faccia tesa, mi
scrutava attenta.
"Stai
bene? Respiri
ora?" La rassicurai, ma aver visto Myc in quelle condizioni mi aveva
turbato. Mi trascinò fuori premurosa e mi fece sedere nella
parte privata del
laboratorio. Andò al distributore automatico e mi
riempì un bicchiere colmo
d'acqua. Lo mandai giù in fretta e tossii. Si sedette vicina
e fui un fiume in
piena.
"Ho
avuto paura, Myc era
così...diverso, minaccioso...non lo riconoscevo." Lei
appoggiò il
bicchiere di carta, lo teneva troppo stretto, ne rovesciò un
po'.
"Lui
non decomprime, Laura,
mai. È abituato a tenere il dolore dentro di sé,
non concede a nessuno di
vedergli dentro. Finisce per allontanare tutti. Anche le persone che
gli
vogliono bene."
"Mi
ha spaventato! Anthea,
temevo mi colpisse. Era fuori controllo!" Le presi le mani, cercando di
trasmetterle il mio tormento.
"Laura,
lo sai che prende i
farmaci antidepressivi?" Annuii, lei continuò decisa. "Si
lamenta che
lo limitano molto. Si sente inquieto, nervoso, assente, ma sono
necessari. Li
vuole sospendere il che vuol dire che sarà esposto agli
attacchi di panico che
ora riesce a controllare." Anthea sembrava dubbiosa per la decisione
del
suo capo. Aveva ragione, ma nessuno era sicuro che i suoi cambi di
umore
fossero dovuto ai farmaci.
Mi
sporsi dalla sedia avvilita.
"Se peggiorerà mi sentirò in colpa, ma cosa posso
fare per aiutarlo? Mi ha
praticamente lasciato." Mi aggiustò i capelli che
disordinati mi
ricoprivano la fronte.
"Fa
quello che senti dentro
al cuore, Laura, perché il tuo è grande."
Mi
strinsi nelle spalle piena di
dubbi.
Anthea
sorrise, conosceva bene il
suo capo, collaborava con lui da anni. "Mycroft ha bisogno di tempo per
capire che lo ami anche se è tornato ferito." Mi prese le
mani. "Di
una cosa sono sicura, lui ti ama e sta combattendo con sé
stesso perché ha
paura di deluderti." Forse aveva ragione... Forse.... Chissà.
Un
timore mi agitava, mi procurò
una fitta allo stomaco. "Dov'è andato Mycroft?"
Sussurrò
incerta, sapeva di
violare le regole. "Credo voglia affrontare Edwin in modo
definitivo."
Mi
allarmai pensando al suo stato.
"Ma non è in grado, non sta bene!"
Anthea,
strinse le labbra,
percorsa da una fermezza inaspettata, sapeva bene chi era il Mycroft
della
governance.
"Sa
quello che fa Laura. È
arrivato il momento di fermare quel bastardo. Non la passerà
liscia dopo quello
che gli ha fatto, e soprattutto per come si è comportato con
te." Si alzò
e mi accarezzò il volto. "Sta serena, Laura. Non sai molto
di lui, ma presto
capirai di quale potere dispone."
Abbassai
la testa, sapevo che non
era un funzionario governativo qualunque, tremai turbata da quelle
ammissioni.
"Sta con lui Anthea, non voglio si comprometta." Lei mi
massaggiò la
schiena con complicità.
"Tranquilla,
andiamo, ti
accompagno a casa, ti prendi una pausa."
Mi
aiutò a sistemare lo studio, si
assicurò che avessi superato la crisi e lasciammo il san
Bart.