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Autore: coopercroft    25/12/2021    0 recensioni
Laura Lorenzi è un giovane dottoressa italiana, arrivata a Londra per specializzarsi in patologa forense. Convive con un doloroso passato che l'ha chiusa in una solitudine forzata.
Quel lavoro, che tanto ha voluto, le fa conoscere un uomo complicato e singolare con cui inizia un rapporto altalenante pieno di luci e ombre: Mycroft Holmes, fratello maggiore del più noto Sherlock.
Quella frequentazione problematica trascina Laura in gioco di potere, di attentati, di omicidi che logorerà entrambi.
Tra discussioni e riavvicinamenti, si ritroverà a combattere con caparbietà per quel sentimento tormentato che li avvolge sempre più strettamente: una "solitudine elettiva" che li porterà ad aprirsi reciprocamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Rimasi seduta sul pavimento del bagno con lo stomaco in subbuglio. Avevo asciugato le lacrime, ma non riuscivo ancora a calmarmi, il dispiacere che provavo era forte. Presi a tremare mi accorsi di essere allo sbando.

La consapevolezza che Mycroft fosse il nemico mi soffocava. Eppure non potevo credere di essermi sbagliata su di lui. Non c'era niente di Myc in quell'uomo che mi aveva spaventato poco prima. Quello che era ritornato dalle torture non era il mio irritante, ma gentile Holmes. La persona premurosa che mi proteggeva comunque andasse tra noi. Era uno sconosciuto di cui avevo paura. Cercai di alzarmi, ma le gambe non mi reggevano.

Sentii lo strascicare delle stampelle accompagnate dai suoi passi, mi tirai indietro. La porta era socchiusa, mi riparai dietro quella debole difesa.

"Laura, non temere non mi avvicino. Dimmi solo se stai bene, solo questo." Parlava a voce bassa, lentamente, aveva perso la sua autorevolezza. Si interruppe, lo sentii respirare con difficoltà.

"Sta arrivando Anthea, avrà cura di te." Ascoltavo dispiaciuta e allo stesso tempo arrabbiata. Insisteva quasi supplicante. "Ti prego, rispondimi, dimmi che stai bene. Non me ne andrò se non ti sento."

Mi feci forza, addolorata nel sentirlo così abbattuto. "Sto bene, sto meglio." Cercai di essere convincente nella stupida idea di tranquillizzarlo.

Il suo tono si fece rassicurante, riconobbi la dolcezza dei primi tempi.

"Laura, sono stato imperdonabile. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto e disprezzarmi per il male che ti ho fatto e che ti sto facendo. Forse i farmaci per la depressione non mi aiutano."

Si interruppe, prese tempo, si rendeva conto che qualcosa in lui non andava. "Sono totalmente confuso e incapace di mantenere uno stato accettabile di stress. Mi sento nervoso e irritato, non riesco a recuperare un equilibrio tollerabile. Mi dispiace, Laura."

Un silenzio pesante ci avvolse, ma la paura, la rabbia e il dolore mi trattennero dall'uscire e abbracciarlo. Nonostante tutto lo amavo e sentivo la sua sofferenza.

Assunse un tono smarrito che mi sorprese, come se parlasse a sé stesso, stava ripercorrendo il suo calvario cercando di giustificare il suo cambiamento.

"Non sono mai tornato dalla mia prigionia, Laura, sono sempre lì con la mente. Legato a una sedia, mentre mi torturano e mi insudicio e puzzo, non riuscendo a controllare il mio corpo." Annaspò in cerca d'aria. "Ho gridato e implorato senza ritegno."

Si fermò, un sottile dolore mi percorse la schiena, rabbrividii: soffriva e ammetteva le torture. "Mi hanno abusato con crudeltà per il piacere perverso di umiliarmi, ora sai il perché e chi lo ordinò."

Due lacrime mi scesero brucianti mentre lo ascoltavo. Mi alzai e sbirciai dalla porta socchiusa. Il cuore smise di battere quando lo intravidi. Era appoggiato con la schiena allo scaffale, reggeva le stampelle nelle mani. La nuca appoggiata, la fronte rivolta verso l'alto. Gli occhi socchiusi. Si era slacciato la cravatta, aperto il collo della camicia, il suo costoso gilè sbottonato. La giacca pendeva sulle spalle.

"Non sono l'uomo che ricordi." Lo udii appena, un silenzio sordo ci penetrava come una lama, distruggeva le mie deboli difese, mentre il mio cuore si spaccava in mille pezzi. Ma la lite di prima era stata brutale e reale, rimasi colpevolmente dietro alla porta.

Malvest aveva compiuto la sua vendetta personale sull'uomo che amavo, ed era riuscito a dividerci.

Come se avesse avvertito il mio pensiero, la sua voce si fece improvvisamente aspra e secca.

"Edwin pagherà per tutto questo, per come è riuscito a cambiarmi, ma ti prometto che non dovrai più temerlo."

Riconobbi la sua determinazione. "Ti chiederà scusa."

Mi sorpresi per quella affermazione, rabbrividii quando spiando lo vidi sistemarsi il vestito con cura, afferrare le stampelle e assumere quell'aria fredda e determinata che ricordavo bene.

Era tornato l'uomo di ghiaccio che faceva paura a molti.

Riconobbi la voce decisa dei primi tempi. "Laura, tra poco sarà qui Anthea. Si prenderà cura di te. Perdonami se riesci."

Si allontanò, con le spalle dritte, il passo sicuro. Non feci nulla per fermarlo, mi maledissi per amarlo così tanto da non riuscire a stargli lontana. Finivo per perdonargli tutto. Sapevo che aveva bisogno di me, ma nessuno dei due riusciva ad avvicinarsi, una maledizione che non si scioglieva e lentamente ci stava distruggendo.

Pochi minuti e Anthea fece capolino sulla porta socchiusa. "Sono io, Laura, non avere paura, fammi entrare." Sospirai di sollievo nel vederla, aveva una faccia tesa, mi scrutava attenta.

"Stai bene? Respiri ora?" La rassicurai, ma aver visto Myc in quelle condizioni mi aveva turbato. Mi trascinò fuori premurosa e mi fece sedere nella parte privata del laboratorio. Andò al distributore automatico e mi riempì un bicchiere colmo d'acqua. Lo mandai giù in fretta e tossii. Si sedette vicina e fui un fiume in piena.

"Ho avuto paura, Myc era così...diverso, minaccioso...non lo riconoscevo." Lei appoggiò il bicchiere di carta, lo teneva troppo stretto, ne rovesciò un po'.

"Lui non decomprime, Laura, mai. È abituato a tenere il dolore dentro di sé, non concede a nessuno di vedergli dentro. Finisce per allontanare tutti. Anche le persone che gli vogliono bene."

"Mi ha spaventato! Anthea, temevo mi colpisse. Era fuori controllo!" Le presi le mani, cercando di trasmetterle il mio tormento.

"Laura, lo sai che prende i farmaci antidepressivi?" Annuii, lei continuò decisa. "Si lamenta che lo limitano molto. Si sente inquieto, nervoso, assente, ma sono necessari. Li vuole sospendere il che vuol dire che sarà esposto agli attacchi di panico che ora riesce a controllare." Anthea sembrava dubbiosa per la decisione del suo capo. Aveva ragione, ma nessuno era sicuro che i suoi cambi di umore fossero dovuto ai farmaci.

Mi sporsi dalla sedia avvilita. "Se peggiorerà mi sentirò in colpa, ma cosa posso fare per aiutarlo? Mi ha praticamente lasciato." Mi aggiustò i capelli che disordinati mi ricoprivano la fronte.

"Fa quello che senti dentro al cuore, Laura, perché il tuo è grande."

Mi strinsi nelle spalle piena di dubbi.

Anthea sorrise, conosceva bene il suo capo, collaborava con lui da anni. "Mycroft ha bisogno di tempo per capire che lo ami anche se è tornato ferito." Mi prese le mani. "Di una cosa sono sicura, lui ti ama e sta combattendo con sé stesso perché ha paura di deluderti." Forse aveva ragione... Forse.... Chissà.

Un timore mi agitava, mi procurò una fitta allo stomaco. "Dov'è andato Mycroft?"

Sussurrò incerta, sapeva di violare le regole. "Credo voglia affrontare Edwin in modo definitivo."

Mi allarmai pensando al suo stato. "Ma non è in grado, non sta bene!"

Anthea, strinse le labbra, percorsa da una fermezza inaspettata, sapeva bene chi era il Mycroft della governance.

"Sa quello che fa Laura. È arrivato il momento di fermare quel bastardo. Non la passerà liscia dopo quello che gli ha fatto, e soprattutto per come si è comportato con te." Si alzò e mi accarezzò il volto. "Sta serena, Laura. Non sai molto di lui, ma presto capirai di quale potere dispone."

Abbassai la testa, sapevo che non era un funzionario governativo qualunque, tremai turbata da quelle ammissioni. "Sta con lui Anthea, non voglio si comprometta." Lei mi massaggiò la schiena con complicità.

"Tranquilla, andiamo, ti accompagno a casa, ti prendi una pausa."

Mi aiutò a sistemare lo studio, si assicurò che avessi superato la crisi e lasciammo il san Bart. 

 

   
 
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