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Autore: laurelleghuleh    06/01/2022    6 recensioni
[KuroTsuki + velata allusione alla BokuAkaKuroTsuki]
"Kuroo Tetsurou è stato l’epicentro di quella calamità avvenuta mesi e mesi prima. Akaashi e Bokuto scosse di assestamento."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tadashi Yamaguchi, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Condivido con voi la mia prima KuroTsuki scritta un paio di notti fa mentre non riuscivo a chiudere occhio.
Spero non sia troppo una follia e possa piacervi. 
A chi è vittima di un qualche segreto disastro tellurico e ha smarrito ogni bussola, stella polare o punto cardinale, a Kei, a me stessa, ad Elisa.

 



TECUM SUNT QUAE FUGIS
 trad. lett. “sono con te le cose da cui fuggi” 
(CIV, Epistulae Morales ad Lucilium, Seneca)


La campanella dell’ultima ora riecheggia squillante tra le mura del liceo. Quella, ha un suono diverso dalle altre, le precedenti, che giungono fredde e austere, scandiscono il tempo con precisione chirurgica tra un’agonia e l’altra, quasi non si sentono. Sono solo i borbottii lontani prima del tuono finale, quello invece arriva e il cielo si spezza in due. 

Tsukishima Kei seduto rigidamente al suo banco ne sente rintoccare solo la prima nota, il resto muore, inghiottito tra gli strepitii dei suoi compagni. Lui invece, come preda ad un tic nervoso, contrae la mascella e fa scattare il collo ruotandolo quasi innaturalmente verso il basso. E’ un suono che odia. Lo odia nel suo insieme. Ne odia il ritmo, odia il chiasso che si crea un secondo dopo, la calca. Ma soprattutto odia proprio il fatto che suoni. Ne odia la puntualità maniacale, la logica. Odia che il tempo sia sempre lo stesso. 

Dall’ultimo training camp la terra ha continuato a girare come se nulla fosse e i secondi a scorrere indisturbati, incuranti di tutto. Kei non se ne capacita e attende solo il momento in cui quella campanella cada in fallo, che ritardi anche solo di un secondo, che anche il fluire del tempo si deformi.

Dall’ultimo training camp tutti i piani e gli assi del ragazzo si sono spostati, hanno perso il loro baricentro, stravolti da una qualche calamità naturale, di quelle imprevedibili e drammatiche, così devastanti da finire in televisione con un nome di persona. E nella testa di Kei anche con un volto. Ora per lui tempo e spazio hanno unità di misura che non riesce a trovare su nessuno dei suoi libri di testo. Si immagina sfogliarli freneticamente ma quella è un’anomalia così assurda da non essere contemplata nemmeno in teoria. E di questo Tsukishima ne è convinto, fermamente. 

Dall’ultimo training camp lui non si è mosso. Una Mikasa è stata schiacciata a terra, non troppo lontano, potrebbe essere un metro più in là o addirittura in un altro campo. E’ uno scroscio pieno, deve averla mandata a terra un asso. Poi però l’ennesima campanella tra quelle vecchie mura lo ha fatto sussultare sul posto e allora non ha senso, nulla ha senso. La palestra della scuola è troppo lontana per sentire un colpo del genere e persino quel folle di Hinata non si sognerebbe di palleggiare in corridoio. I piani combaciano e coesistono, si piegano l’uno sull’altro fino a baciarsi in un punto imperfetto, casuale, che ogni volta prende alla sprovvista Kei e ogni centimetro della sua pelle.

E’ un’esperienza viva, non se lo sta sognando.

Gli sono rimasti addosso gli occhi felini di Kuroo Tetsurou. Lo graffiano alle spalle quando si volta di scatto pur di non starlo a sentire. Ma il numero 1 del Nekoma è un osso duro, gli saetta addosso di tutto, schiude le labbra e sono colpi da cecchino. Anche stesse zitto quelle due iridi profonde e nere come bossoli lo perforerebbero comunque. Nel più insospettabile dei momenti, il contorno netto disegnato da quelle sue ciglia lunghe e scure gli taglia i pensieri come un fulmine a cielo aperto, ma è un colpo più forte, frusta a terra come una Mikasa ben assestata. 

Gli è rimasta nelle orecchie la voce squillante di Bokuto Koutaro, la sua risata sguaiata, i suoi oya inopportuni. E’ un suono molle, da liquefarcisi dentro, che nessun altro saprebbe pronunciare allo stesso modo. Nemmeno quel compagno di classe che ora alle sue spalle quel suono molle lo ha appena urlato. Strillato. E’ irritante. Non è giusto e non ha senso. Kei rabbrividisce di nuovo sul posto, è una scarica lungo la schiena di disgusto ed elettricità, una pioggia imprevista in piena estate. L’asfalto si asciuga in un attimo al caldo quando smette, ma il sapore ci rimane incastrato dentro e Tsukishima crede di sentirselo sotto la lingua.

Tadashi osa chiedergli che succede, con quel tono buono e calmo che ha lui di formulare anche le cose peggiori, tipo questa invasione di campo, e Tsukki non resiste più, il sedile lo spinge in piedi e le gambe fuori dalla classe. E’ una corsa a perdifiato verso il prossimo posto che almeno non sia quello. E che per questa volta è il bagno dei ragazzi, al secondo piano, in cima alle scale, subito sulla destra.

Tutto è azzurro, dalle piastrelle a terra al soffitto, e l’acqua che continua ad accumularsi nel lavello la riflette. Kei si getta a ripetizione sul volto pugni di freddo pur di svegliarsi. Lo fa con foga, schizza lo specchio e gli occhiali da vista abbandonati poco più in là. Non vede quasi nulla, la vista è offuscata dalla miopia e dall’acqua, ma tutto, davvero tutto lì intorno è di un colore che stona, lo riconosce anche se sfocato. Dall’ultimo training camp per Tsukishima esiste una sola punta di azzurro che è quella degli occhi di Akaashi Keiji, gli filtrano il reale e se li sente scivolare tra le gocce umide sul volto. E’ un colore che lo calma, ma se è già così, in tempesta com’è ora, allora è un blu che inonda e affoga. Se fosse un teppista, adesso Kei pur di placarsi sferrerebbe un pugno allo specchio fino a farsi sanguinare le nocche.

Ma lui non lo è affatto. Tsukishima Kei è un tipo metodico e controllato, perfetto come il tempo e le campanelle che rintoccano esatte; logico e fattuale come i manuali di teoria. Tsukishima Kei ha solo bisogno di un grosso respiro a pieni polmoni, di un secondo per calmarsi. Anche un orologio rotto suona due volte al giorno l’ora esatta, deve solo aspettare che arrivi. Oppure spingere a mano le lancette in avanti, o lasciare che qualcun'altro lo faccia per lui. E quel qualcuno per fortuna arriva. Uno studente del terzo anno entra in bagno e l’istinto di sopravvivenza costringe il numero 11 del Karasuno a ricomporsi in tempi record. Recupera gli occhiali e esce di lí come nulla fosse.

Ad attenderlo all’ingresso, prevedibile ed immutabile come il tempo, c’è Tadashi. Non ha la minima idea di cosa stia passando per la testa all’amico nell’ultimo periodo, ma la pazienza non gli è mai mancata. Si limita a guardarlo con apprensione e aspetta segretamente anche lui che quell’ora esatta arrivi, che Kei sputi finalmente il rospo. Per ora però Tsukishima non dice nulla, lo sorpassa e gli fa cenno con la testa di seguirlo. Come sempre. Puntuali, uno fa scattare il mento all’insù e i piedi dell’altro automaticamente lo seguono.

Sulla strada di casa - che si percorre senza troppe chiacchiere e quasi inconsapevolmente - Kei sbircia dall’alto l’amico. Sono all’altezza del parco del quartiere, è qualche metro più in là, da lì se ne vede già l’inferriata. Quello è il loro posto e la sagoma di Tadashi ci si incastra sempre a pennello. Sta bene con la forma scompigliata dei cespugli e le lentiggini bianche dell’erba. Quello è giusto, ha senso. 

Il pensiero lo calma ma come sempre, quando meno se lo aspetta, i piani si inclinano, contorcono e ripiegano su loro stessi. Tsukishima sa già che il prossimo passo sull’asfalto lo porterà da qualche altra parte, in un altro momento. 

Yamaguchi gli ha appena chiesto di vedersi al parco, è quasi ora di cena ma si tratta di una questione urgente che non può attendere oltre. Kei si fa scivolare addosso quell’allarme e lo asseconda presentandosi senza repliche nel luogo e all’ora prefissati, non un minuto in più non uno in meno. Svizzero.

Le mani di Tadashi si muovono nervosamente nella tasca della felpa. “Non so da dove iniziare…”, gli confessa con lo sguardo tra i piedi. 

“Dal punto, Yams. Dal succo della questione. Riassumi, che qua fuori si crepa di freddo.”

Yamaguchi si mangia le labbra con i denti poi sputa fuori che, in breve, gli piacciono i ragazzi. O almeno crede. Dice che lo sa perché lo ha sempre sospettato e poi al sospetto si sono aggiunte le prove. 

"Quando mi hai chiesto perché fossi sparito di recente… E hai fatto quella battuta sulla fidanzata che ti tengo segreta… Ho deciso che dovevo dirtelo. Tanto girarci attorno è inutile… Non mi faccio più tanto sentire perché mi alleno con Shimada-san. Mi sta dando una mano con i servizi. Le ragazze non c’entrano niente. Penso che non c’entreranno mai niente.”

Quel giorno, a quella rivelazione, Kei gli aveva risposto un secco ma confortante “E quindi?”, con tutta l’impassibilità che il ragazzo sapeva imprimere ai dati di fatto, le cose ovvie che non spostano i baricentri. Per Tadashi non doveva sembrare così scontato, ma per Tsukishima non v’erano dubbi. La conferma era arrivata nei giorni successivi quando il biondo non aveva alterato il proprio comportamento di una virgola. Aveva continuato comunque a dirgli di chiudere il becco a quello starnazzo troppo acuto e ad aspettarlo a fine lezione per tornarsene a casa insieme. Tutto come sempre, immutato.

Il passo che Kei mette dopo, sull’asfalto e nel presente, lo rivomita fuori da quella linea temporale fino a questa. Le foglie secche lungo la strada sono le stesse ma tra i due quello a tenersi dentro una confessione indicibile ora è il numero 11. Una confessione e una marea di domande, quesiti contorti degni di esperimenti e ricerche su scala nazionale.

Come fa, si chiede? Sbircia l’amico dall’alto, un'altra volta, forse l’ennesima, e si chiede, come fa? Come fa lui e come fanno tutti gli altri a capire? Tsukishima pensa solo che non abbia senso, che sia impossibile o per lo meno non così semplice. Tutti così sicuri, ciecamente certi che questo è quello e quest’altro non può essere. Che ci sia il nero o il bianco, e solo l’uno o l’altro.

Come fanno gli altri a capire la differenza tra il sangue nei pantaloni e quello tra le costole, a distinguere l’amore dall’amicizia, il platonico dal romantico, la passione dall’affetto, e che poi nelle relazioni devono esserci entrambi e deve esserci un po’ di tutto, sì ma in quali quantità? In quali percentuali? Che prove avrà mai trovato Tadashi? E gli altri?

Qualche ora dopo, Kei è a casa, in camera sua, e sta tentando, chino sui libri, di distrarsi con i compiti per il giorno dopo. Tra i problemi di chimica guarda quelle formule con la fronte aggrottata e prova a risolvere i bilanciamenti. Un elemento sbagliato e la soluzione rischia di esplodere, allora con il cuore non è forse lo stesso?

No. Il gioco non vale la candela, la puntata è troppo alta per un azzardo simile.

Questa sera nemmeno i problemi nero su bianco del libro trovano risposta. E’ una materia rognosa e questo è un altro dato di fatto. 

Lascia perdere per adesso e prende il telefono in mano, sbircia la chat di classe, qualcuno potrebbe aver condiviso le soluzioni. Magari qualcuno queste e quelle altre risposte ce le ha. Il gruppo però è arido, tutto tace, mentre quello della squadra di pallavolo è in fiamme. Centinaia di messaggi in sospeso, probabilmente solo una sfilza di onomatopee scritte a casaccio e altre stronzate tra quel pelato di Tanaka e quell’altro squinternato di Noya. Kei per un secondo si tinge di invidia, è verde dalla testa ai piedi. Vorrebbe avere quella loro stessa leggerezza, quella semplicità deduttiva. Sapere che se il nero è nero allora per esclusione il bianco deve essere bianco, e non stare lì a domandarsi se non esista anche il grigio o se nero e bianco siano solo parole giustapposte, messe lì un po’ per caso, e magari domani qualcuno quello stesso colore prende e lo chiama pincopallo.

Tsukki è in collera, stritola il telefono tra le mani, ma prima che possa chiudere di nuovo lo schermo una spia lo invita ad aprire un’altra chat. 

Kuroo Tetsurou è un ragazzo dai mille talenti e forse tra quelli ha masterato anche la telepatia. Chino anche lui sui suoi manuali di chimica, ma quella avanzata, trova che le vignette satiriche a fine capitolo sugli elementi siano uno spasso. Puntualmente, ogni tot giorni, quando finisce un argomento, le manda a Kei. Quest’ultimo altrettanto puntualmente lo sega subito dicendogli che le uniche due persone a cui potrebbe far ridere una demenza simile sono lui e l’autore del libro. E forse ad Hinata, o a chiunque con un QI che sfiori a malapena le due cifre.

22:34 Kuroo Tetsurou

Più ti conosco più i tuoi insulti diventano articolati, Tsukki-kun
Apprezzo l’impegno
Mi lusinga

Kei non ce la fa, è istintivo, vede nero sotto le palpebre per qualche secondo, butta gli occhi all’indietro e sbuffa.

Con tutte quelle formule che impari
Non hai ancora trovato il modo di farti esplodere?

Sì e poi tu come fai senza di me?

Faccio meglio
Puoi scommetterci

Non ci scommetterei
Non mi piace perdere

Purtroppo lo so bene

Cosa? 
Che non mi piace perdere o che se ci scommettessi perderei? 
Che fai, Tsukki? 
Ti contraddici da solo?

Sai che ti dico, Kuro-san?
Che tu sei solo un paroliere da quattro soldi 
Un feticista dell’ultima parola
Tante chiacchiere e zero fatti

Tsukki-kun 
Non tirerei troppo la corda fossi in te 
Te l’ho già detto che odio perdere 
Quando mi metto in testa che voglio qualcosa 
Stai pur certo che la ottengo

Se volevi ottenere la mia totale irritazione
Complimenti 
Missione compiuta

Più tu fai il finto tonto più io continuo, lo sai, sì?

A fare cosa?
Il vero tonto?

 

Tsukishima ha continuato a fare il finto tonto e Kuroo non aspettava altro. E’ giusto, ha senso. Il capitano del Nekoma sorride da solo in camera sua guardandosi riflesso nello schermo della loro chat. Kei potrebbe figurarselo vividamente quel ghigno che gli taglia la faccia e mostra uno spicchio di quei suoi denti bianchissimi. Una smorfia da folle, pensa, sembra tipo lo stregatto

Per questa volta Kuroo concede al suo avversario l’ultima parola, un po’ perché è uno stratega nato e sa che se vuole davvero ottenerla quella cosa, allora ad uno come Kei va lasciato il tempo e lo spazio per metabolizzarlo uno come Tetsurou. E un po’ perché lasciargliela quell’ultima parola è di fatto averla lui stesso, e questo anche Kei lo sa, lo accetta.

23:49 Kuroo Tetsurou

Buonanotte Tsukiakari* 
A domani

 

Sì, a domani
E piantala con questo Tsukiakari

No
Notte

Notte

A domani Tetsurou e Kei se lo dicono tutte le sere, che prima siano stati lì a battibeccare o meno. A Kuroo basta sbirciare fuori dalle tapparelle per ricordarsi che quella stessa falce di luna, chilometri più in là, la vede uguale anche quello spilungone di Tsukishima. La vede e sente che scrivergli ogni santa sera è un meccanismo logico e istintivo come il tempo, è l’ora esatta che scandisce quei due orologi rotti. 

Ma Kei lo sa che non è colpa sua, ma di Kuroo, di quel maledetto di Kurroo Tetsurou se quel suo di orologio non funziona più. Glielo ha fatto cadere di tasca mentre lo distraeva con quei suoi paroloni e modi contorti di subordinare i pensieri in frasi, si è frantumato a terra e il motore è inceppato. La colpa è solo la sua.

Kuroo Tetsurou è stato l’epicentro di quella calamità avvenuta mesi e mesi prima. Akaashi e Bokuto scosse di assestamento. E i danni così si sono moltiplicati a perdita d’occhio, hanno mietuto vittime lungo tutti i km e le impossibili casualità che li dividono, ma questo ammasso informe di pulsioni che Tsukishima sente, gli stanno dentro, attaccate alle ossa e alla pelle e da questa di gabbia non c’è modo di fuggire, se la porta appresso ovunque. 

Potrebbe essere a Tokyo di nuovo a quel ritiro sportivo di mesi e mesi prima, ancora in quella palestra numero 3 oppure a casa sua a bilanciare elementi chino sui libri; al parco con Tadashi nella complicità dei loro silenzi oppure circondato dalle grida dei suoi compagni, soffocato tra la calca nei corridoi al rintocco dell’ultima campanella. Kei però è sempre lì, fermo, al momento dell’impatto, a quando quell’orologio si è rotto, caduto durante la prima scossa, e da lì non si è più mosso. A quando si è sentito scelto dall’indice teso verso di lui di quel maledetto Kuroo Tetsurou, dai discorsi folgoranti di quel Bokuto Koutaro, e dalla comprensione calda e mite di Akaashi Keiji.

Allora Kei tenta di tornare ad essere metodico e serio, sé stesso per un breve lasso di tempo e lucidità. Razionalizza e pensa che in realtà quei due del Fukurodani non li sente da un bel po’. E poi non li conosce così bene da trarre conclusioni del genere. E’ un azzardo troppo grosso, le provette rischiano di esplodere. 

Bokuto è così invadente da infastidirlo alla minima occasione anche online, valicando i confini della logistica terrena. Akaashi è abbastanza attento ed educato da scusarsi al posto suo e rimettere tutto in ordine con un sintetico scambio di battute. Ma quelli in fondo sono scambi innocui e rari, non hanno né alimentato né spento il suo animo, non sono prove sufficienti nè per avvalorare nè per smentire la sua tesi. Tutto è rimasto uguale, da quel training camp Kei non si è mosso. 

Mentre Kuroo… Kuroo è quello che scombussola tutte le formule e le teorie, non c’è esperimento che tenga. Kuroo è l’epicentro, Kuroo ha la colpa. Kuroo è dappertutto, sempre. Kuroo, Kuroo, Kuroo.

Kei sgombra la testa e lì, a tavolino, si convince che questo è quello e quest’altro non può essere. Che Keiji è il primo essere umano con cui abbia mai trovato affinità mentale, quella vera ed intellettuale; il primo suo più o meno coetaneo verso cui provi sconfinato rispetto e ammirazione. Ci mette l’etichetta dell’amore platonico, di un piano temporale e spaziale diverso, più alto. Poi che Koutaro ha un corpo disegnato e modellato a mano da qualche scultore antico, è fatto di carne e sangue e sezioni auree, e che ha un'energia travolgente e una presenza impossibile da ignorare, non avrebbe potuto in alcun modo sfuggirgli. Ci appiccica sopra un post-it con il disegnino stilizzato di un’erezione. Si chiama attrazione fisica e quella è la prova che forse anche a lui, in breve, piacciono i ragazzi.

Per Kuroo invece non ci sono scaffali, sezioni, etichette o post-it che reggano o che gli renderebbero giustizia. Nessuna scatola riuscirebbe mai a contenere qualcosa di così ingombrante, persistente ed esplosivo. Kuroo è tutto di tutto, nelle percentuali giuste, in un equilibrio atipicamente perfetto che però muta e detona ogni qual volta se lo trova davanti, quando sente l’odore pungente del suo sudore sotto rete o anche solo ad un suo messaggio, quello prima di andare a dormire, ogni santa sera.

Gli dice a domani per l’ennesima volta e quella è l’unica puntualità maniacale del tempo che non odia affatto, non odia neanche un po'.

*月明かり (tsukiakari), chiaro di luna
   
 
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