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Autore: NPC_Stories    10/01/2022    1 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: Dira_
Genere: introspettivo
TW: linguaggio politicamente scorretto




Decisioni

(e relativi sensi di colpa)



Una fattoria vicino a Secomber, Anno 1363, Estate


“Smettila di essere così testardo, Gorstag! La bambina ha un futuro a Waterdeep… non può buttarlo via per ereditare una fattoria!”
“La mia fattoria! Una delle più floride della Contea! O voi cittadini con la puzza sotto il naso pensate che il cibo si materializzi sulle vostre tavole per magia?!”

Dora ascoltava dalla porta socchiusa il litigio tra suo padre e la zia Jhessail, una cugina alla lontana di mamma e chierica di Lathander. Erano ore che stavano andando avanti su quel tema; la zia era venuta a trovarli a Mezzestate, per officiare lei stessa la Canzone del Mattino, la cerimonia che la loro piccola comunità di devoti di Lathander non mancava mai di organizzare a tutti i passaggi di stagione. Dora l’aveva aiutata attivamente, come aveva sempre fatto, ma quell’anno la zia, invece di limitarsi ad un generico ringraziamento e qualche regalino dalla città, l’aveva trattenuta una buona parte della serata, interrogandola sulla sua fede.
E quella mattina era arrivata alla fattoria con una proposta: l’anno prossimo, una volta compiuti tredici anni, avrebbe potuto seguirla a Waterdeep ed entrare nel Tempio delle Spire del Mattino.
Dora ci era stata una sola volta, quando la zia era stata ordinata Maestro dell’Alba e se ne era innamorata come ci si innamorava di un’opera d’arte; il Tempio era grande, splendente e candido quasi fosse fatto della stessa sostanza del sole, dalle enormi guglie a spirale ricoperte d’oro e d’argento, immerso in una città grandissima e caotica.
Davvero la zia pensava che avrebbe potuto studiare lì?
“Gorstag, cerca di ragionare…” la zia continuava a parlare con calma, ignorando i pugni che suo padre stava dando al tavolo. “Dora è intelligente, le piace studiare. Sarebbe uno spreco non darle l’opportunità di farlo.”
“Quei maledetti musi neri della locanda l’hanno convinta che serva a qualcosa!”
“Caro…” mormorò la mamma, ma suo padre tirò un altro cazzotto al tavolo e questo bloccò le parole della donna sul nascere.
“Intendi la locanda gestita da quella drow?” la zia fece un sospiro. “Neppure io ho simpatia per la razza, ma a quanto mi è stato detto è un buon luogo dove mandare i propri figli a passare l’inverno. Mi sembra che voi ne abbiate approfittato ampiamente, no?”
“Un’idea del cazzo di mia moglie!” ruggì l’uomo. “Vedi che succede a mandarli via? Poi se ne escono con delle idee assurde, dei grilli per la testa! Diventano disubbidienti, ribelli!”
Dora deglutì; stava origliando e non avrebbe dovuto, ma non era colpa sua se la porta della cucina era socchiusa e se stavano tutti parlando ad alta voce!
Dietro di lei, Rupert fece una smorfia. “Chi è che ha i grilli in testa? Non ho capito…”
“Shh, fammi ascoltare.”
“Ma siamo nei guai?”
“No, stavolta no,” Dora fece una pausa. “Credo.”
“Dora ha una fede molto profonda, e un sincero desiderio di aiutare il prossimo… ha una vocazione, lo capisci? Le vuoi davvero tarpare le ali?”
“Io capisco solo che ho fatto un’unica figlia normale, e tu me la vuoi portare via!” sbottò l’uomo, ma stavolta senza maltrattare il tavolo. Appoggiò le grosse mani sul legno e sospirò. “Quando sarò vecchio a chi dovrei lasciare la fattoria secondo te? A Randall? Ha più pugni che cervello… o a Stedd, che per fargli fare una roba lo devi pregare in ginocchio. E lasciamo perdere Rupert e Bruce, quei due mi son venuti ritardati.”
“Vaffanculo vecchio di merda,” cinguettò Rupert dietro di lei. Dora gli rifilò una gomitata, ma non se la sentì di zittirlo.
“Tu e Miri siete giovani, potete avere ancora altri figli.”
“Caro… Jhessail non ha tutti i torti,” mormorò sua madre. “Avere un figlio chierico è una grande benedizione. Pensa a quando tornerebbe a casa, come sarebbe benvoluta dalla nostra comunità…”
Suo padre fece una smorfia, passandosi una mano tra i radi capelli biondi. “Potrebbe diventare qualcuno in città?”
“Ha buone potenzialità,” rispose senza sbilanciarsi la zia. “Sicuramente si impegnerà con tutta sé stessa e ad un novizio di Lathander non si chiede altro.”
“Quindi te ne vai?” Dal tono di voce sbigottito, Rupert pareva aver afferrato solo in quel momento l’argomento della discussione.
Dora fece per rispondere, ma la voce di suo padre la fermò.
“Dora! So che sei lì dietro, vieni qui!” Una pausa. “E porta anche quell’imbecille di tuo fratello.”
Dora deglutì e, prendendo per mano un silenziosissimo Rupert, entrò in cucina. “Scusa papà, mi dispiace aver origliato…”
Suo padre fece un gesto come per scacciare una mosca. “Hai sentito tua zia. Dice che potresti diventare una chierica. Tu che vuoi fare?”
Vuoi…
Ricordava il discorso che Krystel le aveva fatto qualche anno prima di fronte ad un sacco di patate. Ricordava di non averci capito molto, ma adesso sì. Adesso capiva.
Da una parte c’era la fattoria, un’eredità che le toccava per nascita. Dall’altra la possibilità di servire il suo dio nel modo che voleva davvero: studiando, imparando cose nuove in una città grandissima, in un tempio alto e splendido.
“Voglio diventare una chierica come la zia.” La voce le uscì stabile, con una forza che non si era aspettata. Forse era Lathander a guidarla.
La zia sorrise soddisfatta. “Abbiamo il tuo benestare Gorstag?”
Suo padre si alzò, raggiungendola e chinandosi alla sua altezza. Aveva i suoi stessi occhi; seri e scuri. “Dora, io e la mamma vogliamo la tua felicità, lo sai. Ci mancherai molto però, e la fattoria non sarà la stessa senza di te. Mancherai anche ai tuoi fratelli. Come farà Rupert senza di te?”
Dora si voltò verso il gemello, che era pallido come un cencio. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte e Dora capì che se le avesse chiesto di rimanere, lo avrebbe fatto. Con rimpianto, ma sarebbe rimasta alla fattoria.
Non ci siamo mai separati da quando siamo nati. Se me ne vado, finirà per ammazzarsi in qualche modo stupido…
“Ragazzo, apri quella bocca! Non fai altro per tutto il giorno, renditi utile almeno stavolta!”
Rupert inspirò. E poi fece spallucce. “Mah… farei bene uguale. Sì, mi mancherà ma se deve andare deve andare. La gloria di Lathander e tutta quella roba lì, no? Si divertirà a studiare roba barbosa… mi sembra una cosa sensata, no? Cioè, regolare. Vai Dora, alla fattoria penserò io!”
Suo padre fece una faccia strana, come se volesse mollargli un manrovescio. “Beh… già. Insomma,” borbottò. “Vuoi veramente andare Dora?”
“Sì,” annuì facendo un sorriso alla zia. “Mi piacerebbe molto.”
“Allora è deciso!” esclamò la zia, battendo le mani come a sancire la cosa. “Tornerò all’equinozio del prossimo anno, per celebrare come sempre la Canzone. Intanto ci saranno un po’ di preparativi da fare, ma penserò a tutto io… hai fatto la scelta giusta tesoro,” le disse facendole una carezza. “Sono sicura che non sprecherai l’opportunità che ti abbiamo regalato io e i tuoi genitori, non è vero?”
“Vi renderò fieri di me!” confermò mentre con la coda dell’occhio notò Rupert sgattaiolare via, ormai ignorato da tutti. “Ora però… ecco, avrei un sacco di cose da fare, vi lascio parlare!” e senza aspettare risposta corse dietro al gemello.
Rupert era uscito nell’aia e stava prendendo a calci la polvere. “Ehi!” lo chiamò. “Guarda che puoi venire a trovarmi!”
Rupert si voltò, gli occhi rossi dalla polvere che si stava mandando in faccia. “Lo so!” sbottò. “Viva Lathander, eh?”
Dora sorrise appena, e poi lo raggiunse. Lo afferrò per un braccio e lo sentì irrigidirsi. “Mica ti picchio…” E lo abbracciò. Rupert la strizzò di rimando. “Ahia, piano!”
“Lathander mi sta sul cazzo,” borbottò appoggiandole il mento sopra la testa. Dora odiava quando lo faceva.
Ma sbuffò e glielo lasciò fare. “Smettila di bestemmiare.”
“Gnè gnè!”
“Per favore fa’ il bravo e non morire mentre non ci sarò.”
“Chi, il magnifico me che muore? Ma quando mai!”
Dora sospirò e lo strinse più forte. “Mi mancherai anche tu, scemo.”

   
 
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