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Autore: moira78    18/01/2022    5 recensioni
Candy e Albert si conoscono da sempre e, da sempre, un filo invisibile li lega. Ma la strada che li porterà a venire a patti con i propri sentimenti e a conquistare la felicità sembra essere infinita e colma di ostacoli...
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annie Brighton, Archibald Cornwell, Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester, William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E ora che ne sarà del mio viaggio?
Troppo accuratamente l’ho studiato
senza saperne nulla.
Un imprevisto è la sola speranza.
Ma mi dicono ch’è una stoltezza dirselo.

(Eugenio Montale)

***
La vita è sempre trionfo dell’improbabile e miracolo dell’imprevisto.
(Henri de Lubac)
 

Imprevisti

Karen afferrò i bordi del water e la testa scattò in avanti quando il primo conato la raggiunse, trasmettendole un sapore acido su per la gola. Il disgusto fu tanto che bastò un altro conato perché la colazione finisse lì dentro.

Imprecando tra i denti, attese che quell'incombenza ripugnante terminasse il suo corso e la facesse di nuovo respirare normalmente, quindi si tirò indietro i capelli con una mano e andò al lavabo del bagno per sciacquarsi la bocca e il viso. Si guardò allo specchio e vide guance pallide e occhi cerchiati.

Era la terza mattina che vomitava l'anima, ma non aveva detto niente a Terry. Se i suoi sospetti erano fondati, erano nei guai entrambi. In grossi guai.

Cosa mi è venuto in mente di nasconderci allegramente tra gli alberi, quella sera? Pensavo forse che non sarebbe bastata una singola svista perché accadesse?

Doveva andare subito dal medico e avere conferma, allora... allora cosa avrebbe fatto? Sarebbe scappata nell'Europa dell'Est, dove sapeva che certe pratiche erano state legalizzate? Rabbrividì al solo pensiero. No, non era certo lei tipo da fare scelte simili, soprattutto nella sua situazione sentimentale attuale.

Mentre si tamponava il viso umido con un asciugamano e tornava nella sua stanza, Karen immaginò tutti gli scenari possibili: la tournée sarebbe andata a monte oppure Terence sarebbe partito con un'altra attrice, proprio poco dopo averla sposata.

Che ironia, io ho rimpiazzato Susanna quando le accadde l'incidente e ora qualcuno mi deve rimpiazzare per un altro tipo d'incidente...

Era un paragone azzardato, ma rendeva l'idea. Aveva sognato a lungo di lavorare con Terence come sua moglie, tornare a casa o in albergo insieme dopo il teatro essendo una coppia davanti alla legge e a Dio.

E tutto era sfumato a causa della loro poca attenzione. Sì, perché l'idea era stata sua, ma la scappatella sotto l'albero l'avevano fatta in due.

E meno male che volevo insegnare qualcosa a Candy! Lei, almeno, era in abito bianco. Io non potrò indossare neanche quello.

Tutto a un tratto, la portata di quella probabilità, con tutte le sue implicazioni, le si rovesciò addosso come un'ondata e Karen crollò a sedere sul letto con le mani sul viso, cominciando a singhiozzare. Aveva appuntamento col medico entro un'ora, con Terence entro due e con le prove in teatro quasi subito dopo.

Le dita si contrassero, allontanò le mani dal voltò ed emise un grido. Liberatorio, frustrato.

Stai raccogliendo ciò che hai seminato. Anzi, ciò che avete piacevolmente seminato.

La sua carriera era rovinata. Robert avrebbe avuto un infarto fulminante e Terence... Terence non sapeva come avrebbe reagito. Non avevano mai parlato di figli, non per l'immediato futuro, perlomeno: avevano ancora molti anni di carriera davanti e lo stop sarebbe dovuto essere programmato.

Invece, ora, si trovava quasi certamente incinta alla vigilia del suo matrimonio e di una delle più importanti tournée della sua vita.

Con un gesto stanco si alzò e appoggiò una mano sul muro, dove era appeso un calendario: lo sfogliò, lo studiò come se avesse una dannata risposta e, nonostante già sapesse la verità, si ritrovò a sperare in un'intossicazione alimentare coi fiocchi.
 
- § -
 
Candy entrò nella cucina di Lakewood attirata dai profumi di ciò che Albert stava preparando: uno dei suoi splendidi arrosti, una zuppa e qualcosa di dolce che cuoceva nel forno.

Lui era piegato proprio lì, sbirciandone probabilmente la cottura, e Candy, ancora una volta, si sorprese di quanto il loro rapporto si fosse evoluto in pochi giorni di matrimonio: non credeva che la loro intesa mentale, la loro sinergia perfetta, sarebbe stata anche fisica fino a quei livelli.

Arrossì fissando il tavolo occupato per metà da ciotole e stoviglie. La sera prima lui l'aveva amata lì sopra, con le mani ancora sporche di farina, e lei aveva giocato con la marmellata di mirtilli spalmandogliela sul torace, prima di darsi a un piacevole assaggio. E per fortuna che avevano avuto cura di spegnere i fornelli o la villa di Lakewood avrebbe di certo preso fuoco insieme a loro. E non in senso figurato.

Era stato tutto breve ma intenso, frutto di un'urgenza esacerbata dal desiderio di ribadire quanto si appartenessero l'un l'altra ovunque e in qualunque occasione.

Dopo averla tenuta fra le braccia con immensa dolcezza, Albert le aveva chiesto all'orecchio dove le sarebbe piaciuto intrattenersi con lui la volta successiva e lei aveva riso, scandalizzata: "Ma, Albert, pensavo che avessimo già superato i limiti della decenza! Certe cose non dovrebbero essere confinate in una camera da letto?".

Le aveva fatto un occhiolino: "Prima cosa: noi siamo al di fuori degli schemi convenzionali; seconda cosa, siamo completamente soli; terza cosa: voglio farti mia in ogni angolo del mondo", finì per sussurrarle all'orecchio con una sensualità tale che si era sentita di nuovo sciogliere le viscere.

Non credeva che Albert avesse quel lato così irresistibile e avevano convenuto che entrambi lo avevano scoperto insieme. Era una complicità così profonda, proprio perché basata su un sentimento tanto imponente, da renderli davvero completi.

Candy si sorprese a fissare la schiena di Albert fin giù, alle natiche ben definite sulle quali non si era mai soffermata tanto in vita sua, e sentì il fuoco salirle al volto.
"Ti piace il panorama?", chiese lui all'improvviso, guardandola da sopra una spalla.

"Io... io... volevo solo aiutarti!", balbettò impacciata.

Lui rovesciò la testa all'indietro e rise, rise come solo Albert sapeva ridere, con quella spensieratezza da ragazzino affascinante che era come una calamita per lei. Gli si avvicinò e si baciarono senza indugi.

"Vuoi davvero aiutarmi?", le chiese lui con voce calda, uno sguardo così intenso negli occhi che si sentì bruciare il viso, il collo, l'intero corpo.

"S-sì", rispose colma di aspettativa.

"Bene", riprese con un sorrisetto, passandole una mano tra i capelli e facendola scivolare con lentezza esasperante fino alla nuca, posandole la fronte sulla propria: "Hai mai fatto la maionese?".

Candy, che era già con gli occhi chiusi e il respiro corto, riuscì solo ad emettere uno stupido: "Eh?", spalancandoli come se l'avessero appena buttata giù dal letto durante un sogno meraviglioso.

Albert si scostò da lei per guardarla: "Sì, una maionese. Sai? Tuorli d'uovo, olio e...".

"So cos'è una maionese, cosa credi?", ribatté lei altezzosa, alzando il naso all'insù come avrebbe fatto Eliza e allontanandolo da sé con una piccola spinta.

"Bene, allora apri il frigo, dovrebbero esserci delle uova", disse lui con fare pratico, afferrando un mestolo per mescolare il contenuto della pentola sul fuoco. "Olio e aceto sono sulla mensola vicino alla finestra".

Mentre si metteva al lavoro e cercava un cucchiaio per sbattere energicamente il composto, Candy guardò proprio da quella finestra. Tempo prima, avevano assistito alla furia della natura attraverso quei vetri e lei era tormentata da sentimenti che cozzavano l'uno con l'altro.

Di nuovo, si ritrovò a pensare a quanto avessero sofferto, specialmente Albert che aveva piena coscienza di cosa stesse accadendo a loro due.

La sua voce alle proprie spalle la riportò coi piedi per terra: "Ieri mi stavi raccontando qualcosa a proposito di Karen e Terence, vero?".

Mentre combatteva con le uova per dividere i rossi dai tuorli senza far finire nel recipiente anche il guscio, Candy rispose: "Sì, ma ora mi rendo conto che forse non dovevo".

Lui rise di nuovo: "Dai, non dirmi che ti senti a disagio a parlarmi di queste cose! Non eri forse divertita all'idea di loro che tornavano alla nostra festa di fidanzamento con le foglie e i rametti tra i capelli?".

"Sono cose private, mi hai fatto solo bere troppo vino a cena!", ribatté piccata, vergognandosi per aver sciolto la lingua in quel modo. E non solo quella, pensò ricordando la loro performance di poco dopo.

L'alito caldo di Albert nell'orecchiò la fece sobbalzare e per poco non lanciò in aria la ciotola con i tuorli: "È che pensavo a quanto tu invece ami arrampicarti sugli alberi...".

"Ma Albert!", gridò lei più rossa dei tuorli stessi, facendolo ancora ridere di cuore.

Eppure, mentre si destreggiavano fra maionese impazzita e arrosto bruciacchiato per la distrazione, Candy pensò che non si era mai sentita così libera in vita sua.
 
- § -
 
Archie chiuse la valigia e rimase per un attimo con le mani poggiate sopra, la schiena china e i capelli che gli ricadevano davanti al viso.

L'addio ad Annie, la sera prima al telefono, era stato straziante. Si erano promessi che si sarebbero scritti e sentiti all'apparecchio, che si sarebbero... tenuti in contatto.
Proprio come due conoscenti e non come due fidanzati che erano stati a un passo dall'altare.

Avvertendo il dolore immenso di lei, era stato proprio Archie a fare un passo indietro, cercando di mostrarsi freddo e tranquillo, ma quando aveva riattaccato la mano con cui teneva la cornetta fino a pochi secondi prima bruciava come il fuoco.

Sapeva che, molto probabilmente, fra loro era appena finita e non poteva farci niente. I Brighton non avrebbero permesso alla loro unica figlia di rendersi ridicola tornando con un uomo che lei stessa aveva lasciato, men che meno con uno che, pur di buona famiglia, era stato in galera.

Non c'era nulla che potesse cambiare quella realtà.

Si raddrizzò, passandosi le dita fra i capelli in un gesto nervoso. Serviva a qualcosa recriminare ancora sugli errori del passato? Struggersi e infliggersi altra sofferenza e sensi di colpa?

L'errore era stato fatto. Da lui, da Annie, da entrambi.

Una lacrima gli bruciò nell'occhio, si raccolse appannandogli la vista e scese sulla guancia tracciando una linea di confine fra il passato e il futuro. Un futuro senza Annie, senza l'unica donna che avesse mai amato veramente, che non avrebbe mai tenuto fra le braccia.

"Sii felice, Annie", mormorò alla stanza vuota, accingendosi a prendere in mano una valigia che pesava in maniera intollerabile, rifiutando l'aiuto di servitori da cui non voleva farsi veder piangere.

Mai il futuro gli era parso così oscuro. Neanche in prigione, dove una luce di nome Annie lo aveva illuminato con i raggi intensi della speranza.
 
- § -
 
Terence squadrò Karen e capì subito che qualcosa non andava in lei. Si era seduta al tavolo e si torceva le mani come se avesse sulle labbra qualcosa da dire e non trovasse il coraggio di farlo.

"Ehi, cosa è successo?", le domandò. Era pallida e sembrava trattenere a stento le lacrime. Terence sentì un brivido gelido lungo la schiena. Per un attimo, ebbe una reminiscenza di quando Candy lo aveva lasciato e si ritrovò a temere che Karen facesse lo stesso. Non l'avrebbe sopportato, non stavolta.

"Io... Terence, mi dispiace. Credo che non potrò partire per la tournée, dovrò abbandonare la recitazione per un periodo... piuttosto lungo", esordì lei mozzandogli il respiro.

Non aveva detto che non lo avrebbe sposato, ma che non avrebbe recitato. L'iniziale sollievo fu sostituito da una sensazione sgradevole alla bocca dello stomaco: "Karen... sei malata?", domandò d'impulso, ma in quel preciso istante arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni. "Può darci qualche altro minuto, per favore?", gli chiese, nervoso.

"Avrei bisogno di un bicchiere d'acqua, per cortesia". Si diede dello stupido: forse avrebbe dovuto pensarci lui. Gli parve che ora la fidanzata stesse persino sudando. Quando l'uomo tornò col bicchiere, lo bevve d'un fiato come fosse un whisky col quale volesse stordirsi.

Quello servirebbe a me...

Allungò un braccio per posarle una mano sulla fronte, certo che avesse la febbre, ma lei scosse la testa, allontanandolo con delicatezza: "Non sono malata, Terence. Sono incinta".

La consapevolezza di quelle parole lo avvolse lentamente. Dapprima, Terence aggrottò le sopracciglia come se non capisse, poi spalancò gli occhi per lo stupore, quindi frugò nella sua mente alla ricerca del dove e del quando una cosa del genere potesse essere accaduta.

In realtà, c'era stata più di un'occasione in cui la passione aveva preso il sopravvento sulla ragione, ma gliene venne in mente una in particolare ed era certo di non sbagliarsi.

Galeotta fu la festa di fidanzamento tra Candy e Albert.

L'ironia, però, non fu sufficiente a farlo sentire meglio e, teso come una corda di violino, disse tra i denti: "Usciamo di qui". Ci sarebbe solo mancato che qualcuno li riconoscesse e ascoltasse i loro discorsi.

Karen si lasciò condurre fuori, aggrappandosi al suo braccio come se temesse di cadere. Lui la sorresse forte, conducendola in un parco adiacente dove, all'ombra di un albero e seduti su una panchina, rimasero in silenzio per lunghi minuti.

"È stato quella sera, vero?", chiese guardando davanti a sé e desiderando ardentemente una sigaretta che non aveva. Pensò addirittura di andarsene a procurare qualcuna, ma di quei tempi era davvero una pessima idea, proprio come avere delle quote ancora investite in una distilleria...

"Non posso saperlo con certezza, ma credo di sì. Il periodo coincide", mormorò lei a testa china, le mani strette sulla gonna.

Fu allora che Terence si accorse di non averle fatto la domanda più importante: "Sei stata da un medico? Come stai... state?". Era così strano parlare al plurale! Immaginare che nel ventre di Karen si stesse formando una piccola vita proprio in quei momenti, di nascosto ai loro occhi...

"Il dottore mi ha visitata poco fa. Dice che è tutto nella norma", disse alzando gli occhi su di lui e rivolgendogli un timido sorriso, per poi aggiungere: "Terry, mi dispiace".

"E di cosa?", le domandò, conscio del fatto che si trattasse di una responsabilità condivisa.

"Io... mi sono comportata come una sciocca, quella sera. Non so perché l'ho fatto", mormorò.

Terence, nonostante il turbine di emozioni contrastanti che lo sommergevano, rimase stupefatto: da quando in qua Karen si scusava per una cosa simile? Doveva davvero essere sconvolta per assumersi un carico simile sulle spalle da sola.

"Io penso che tu l'abbia fatto per un motivo ben preciso", cominciò guardandola seriamente. Quando la vide socchiudere la bocca come a chiedergli qualcosa che non capiva, aggiunse: "È perché sono irresistibile", terminò riavviandosi i capelli in un gesto affascinante.

Karen si mise a ridere: "Stupido!", lo rimbeccò dandogli una leggera spinta. Almeno aveva spezzato un poco la tensione e l'aveva fatta ridere.

Ciò non toglieva che erano in un guaio di dimensioni epiche. Che avrebbero detto a Robert? Che ne sarebbe stato della tournèe e del contratto che avevano firmato? Cosa avrebbero scritto i giornali?

Il panico iniziò ad avvolgerlo e sudore freddo a scendergli dalle tempie. Era stato così preoccupato di tranquillizzare lei che adesso era lui ad aver bisogno di rassicurazioni.

"E comunque potevi stare più attento", disse lei d'improvviso, strappandolo dai suoi pensieri.

"Cosa?", fece Terence sbattendo le palpebre, incredulo. Non che avesse torto, ma...

"Hai sentito bene, io ti avrò provocato ma tu non hai fatto attenzione".

"Santo Dio, Karen, eravamo appoggiati a un albero, al buio e con i vestiti arrotolati addosso, cosa pretendi?".

"E non è stata nemmeno la prima volta!", continuò lei con l'espressione a metà tra il serio e il faceto. Pareva che avesse ripreso il suo vecchio smalto e ora desiderasse solo prenderlo in giro. "Devo ricordarti anche la volta sotto la doccia o nel camerino del teatro?".

"Va bene, va bene, ho capito! Ti ricordo che non ero da solo, mia cara, e non è che tu mi abbia dato tutto il tempo di... Ma adesso che fai, piangi?". Dove aveva letto che le donne in gravidanza passavano da un estremo all'altro in poco tempo?

Così, però, era troppo persino per lei. Un secondo prima aveva menzionato la loro performance nel camerino del teatro, di gran lunga più soddisfacente di quella recitata sul palco, quello dopo nascondeva il viso tra le mani e singhiozzava.

"Karen", mormorò stringendola a sé e cullandola. Forse era stata proprio la menzione del teatro a farla crollare definitivamente.

"Cosa faremo, adesso, Terence? Cosa faremo?", chiese, soffocata nel suo abbraccio.

"Ssst... andrà tutto bene", disse a bassa voce, baciandole i capelli, tentando disperatamente di riordinare i pensieri.

Se solo avesse potuto crederci anche lui...
 
- § -
 
Le labbra scesero sul collo morbido, gustando il sapore dolce della pelle di Candy che, con le braccia allacciate intorno alle spalle e le gambe intrecciate sui suoi fianchi, glielo offriva con gioioso abbandono.

La teneva saldamente per la vita con il braccio destro, mentre col sinistro si puntellava sul legno solido del tronco.

E ardeva, Albert, ardeva e si consumava contro il corpo di Candy, come se non si fossero già amati solo una manciata di ore prima.

"Albert", la sua era un preghiera e per lui non c'era nulla di più sublime che assecondarla, dannato e in Paradiso al contempo, trascinandola con sé lungo quel sentiero che nulla aveva di peccaminoso se non godersi ogni singolo respiro, ogni singolo gemito, ogni singolo bacio, oppure quel contatto così profondo che non era mai abbastanza profondo, che voleva essere una fusione fin nell'anima.

Che, in realtà, lo era da sempre.

La gloria e il brivido li scossero in un unico richiamo disperato uno dell'altra e le gambe gli cedettero. Ma non smise di muoversi contro di lei, neanche mentre cadeva in ginocchio stringendola più forte perché lo seguisse fin sull'erba, imprigionata fra lui e quella quercia immersa nella vegetazione, dove alfine avevano deciso di dare vita a quel malizioso intento su cui avevano solo apparentemente scherzato.   

Lei si era arrampicata con la sua solita agilità, spostandosi da un ramo all'altro proprio come una scimmietta. Era di nuovo la sua Candy, aveva pensato commosso, e si era affrettato a raggiungerla in poche mosse. Era riuscito a catturarla, a stringerla a sé, mentre lei rideva divertita, ripetendogli che no, non era proprio il caso di fare gli amanti equilibristi.

Allora erano tornati al piano originario, ma prima si era adoperato per adorarla il più possibile sospeso al ramo più basso, tra terra e cielo. Quando erano stati a un passo dall'impazzire l'aveva semplicemente aiutata a scendere e non avevano perso tempo.

Erano soli, erano sposati, erano vivi e felici. In quei luoghi avevano conosciuto tante gioie e qualche dolore. Ora sarebbe diventato il loro Eden.

"Stai bene?", le domandò scostandole i capelli dalla fronte, con un braccio poggiato a terra e l'altro che ancora la stringeva per la vita.

"E me lo chiedi anche? Ti rendi conto che abbiamo ancora i vestiti addosso?", chiese lei ridacchiando.

"Mi pare che anche in cucina non ti sia dispiaciuto. E non mi riferisco a quando hai fatto la maionese per l'arrosto".

La sua risata cristallina riempì l'aria e lui la imitò. Si ricomposero in fretta e Albert si alzò in piedi, tendendole una mano: "Facciamo una passeggiata?", propose.

La capanna, il fiume, la buffa barchetta di Stair, tutto sembrava diverso con Candy al suo fianco. Era come ridipingere un quadro sbiadito con colori brillanti dove c'erano solo risate, baci e speranza.

Quando rientrarono a casa, Albert tirò fuori il grammofono, spolverandolo con cura prima di scegliere alcuni dischi jazz e di musica classica. Ballò con lei nel salone di Lakewood: senza ospiti, senza spettatori, senza regole. Durante un cambio di disco, Albert si ritrovò a fissare una copertina, incuriosito.

"Candy, hai mai ballato il tango?", le chiese togliendolo dalla custodia.

"Direi proprio di no", rise, "ma so che è un ballo del sud che... uhm... non è visto molto di buon occhio nell'alta società".

Albert tirò su le spalle con noncuranza: "Beh, qui ci siamo solo noi due. Vogliamo fare una prova? Se non ricordo male basta stare molto, molto stretti", le disse facendole l'occhiolino.

Candy sorrise, un leggero rossore le imporporò le guance e, alle prime note, Albert la strinse proprio come promesso.

Danzarono, impacciati e divertiti dalla loro stessa incapacità, trascinati dal ritmo, improvvisando passi e casquet, volteggiando fino a farsi girare la testa. Quando la musica finì, salirono nella loro stanza mano nella mano. 
 
- § -
 
Si strinse le mani l'una contro l'altra, guardando fuori dalla finestra come se fosse in bilico tra il gettarsi di sotto e il non farlo.

Annie dondolava con tutti i muscoli del corpo tesi, scrutando nella sera appena nata come se potesse scorgere un segnale nella prima stella o in quella luna pallida che si mostrava sfacciata nonostante i raggi del sole illuminassero ancora parzialmente l'orizzonte.

"Non voglio separarmi da lui! Vi ho capiti, sapete? Non mi farete sposare Archie neanche quando tornerà laureato e con una posizione!", gridò Annie davanti ai volti esterrefatti dei suoi genitori. Non aveva atteso neanche che la servitù finisse di ritirare i piatti dalla tavola, cercando un minimo di privacy.

"Annie Brighton!", l'apostrofò sua madre scattando in piedi, pallida e con le labbra contratte. "Non mi sembra di averti educata così! Cos'è questa piazzata mentre ancora non siamo arrivati al dolce?".

Lei l'aveva semplicemente ignorata, chiudendo gli occhi e cercando lo sguardo di suo padre: "Non voglio sposare quel Jacob!", pregò.

L'uomo si limitò a fissarla con sguardo gelido: "Calmati, figliola, non ti obbligherò a sposare Jacob se non è di tuo gradimento, anche se lo riterrei per te il partito migliore. Conoscerai altri giovani degni di...".

"No!", lo interruppe lei sull'orlo dell'esasperazione. "Voglio decidere io chi sposare, non potete farlo per me!".

I due la guardarono come se avessero davanti la vittima di una possessione satanica e una fitta di senso di colpa le artigliò lo stomaco. Non era più la giovane Annie remissiva, ma neanche la Candy vivace e ribelle: era una specie di furia della natura e stava decisamente perdendo il controllo delle sue emozioni.

Spaventata, eccitata, incuriosita e atterrita da quella nuova se stessa tornata a tutta forza dopo un periodo di apparente calma, si aspettò e ricevette lo schiaffo di sua madre. Pensava che suo padre l'avrebbe raggiunta prima: avevano dato vita a una specie di gara ridicola avvicinandola a grandi passi nello stesso momento.

"Ragazzina ingrata", le sibilò la donna, gli occhi lucidi di lacrime e la pelle terrea.

Quella frase la riportò coi piedi per terra e la rabbia scemò, lasciandola tremante di adrenalina. Incapace di sostenere gli occhi delusi, stupiti e persino spaventati dei suoi genitori, Annie chinò la testa. Ma fu con tono deciso che disse: "Voi mi avete adottata e mi avete cresciuta come una figlia. Non vi potrò mai esprimere la gratitudine e l'amore che provo per voi, anche se ora non sembra. Ma non vi posso permettere di decidere della mia vita o di farmi sposare qualcuno che non amo. Preferisco ritirarmi in convento, piuttosto!".

La madre si portò la mano alle labbra soffocando un urletto, grosse lacrime si staccarono dai suoi occhi perfettamente truccati. Suo padre la prese per le spalle, consolandola.

Poi la guardò in modo non dissimile da poco prima: "Sei stata fidanzata a lungo con Archie Cornwell e hai deciso spontaneamente di allontanarti da lui. All'inizio io e tua madre abbiamo pensato che fosse un problema momentaneo, ma poi abbiamo discusso e convenuto che sia stato meglio così. Quel ragazzo fa parte del clan degli Ardlay, di certo uno dei più potenti, ma che ha anche i membri dal carattere più controverso che si sia mai visto in una famiglia di quel lignaggio. Ne è un esempio proprio il patriarca, che ha adottato e poi sposato la sua stessa protetta, una ragazza che se avessimo adottato al posto tuo non sarebbe certo andata in giro a fare l'infermiera", disse con un certo disprezzo che la ferì. "E tutte le sue decisioni, di cui l'ultima goccia è stata quella di lasciare le sue quote in una distilleria in questo momento storico! Non mi stupisce che abbia trascinato nel suo errore anche Archibald. E ti ricordo che gli stessi Lagan facevano parte del clan prima che li escludessero: l'unica decisione sensata che abbia mai preso William Ardlay!".

Annie ascoltava suo padre unendo finalmente tutti i tasselli del mosaico. Non era solo perché Archie era stato in galera o si erano già lasciati una volta: i suoi genitori temevano che in quella famiglia ci fosse una specie di tara che induceva i suoi componenti a comportarsi in maniera anomala.

Gli stava per raccontare quanto i Lagan fossero marci dentro fin da ragazzini, come Candy si fosse sempre comportata in modo molto più umano di loro pur essendo una ribelle e in che modo Albert fosse cresciuto per desiderare tanto la libertà. Ma era certa che a suo padre non sarebbe importato molto e, forse, tante di quelle cose le sapeva già.

Aveva perso, anche l'ultimo tentativo di ribellione era andato a vuoto.

"Sapevo che stare a contatto con quella Candy e la sua famiglia prima o poi l'avrebbe cambiata! Da piccola era così dolce e remissiva!", pianse sua madre appoggiandosi al marito, disperata come se stesse parlando di una figlia morta.

"Vai in camera tua. Hai fatto piangere tua madre e mi hai fatto infuriare come non mi era mai capitato in vita mia. Ne avevamo già parlato a sufficienza e stasera hai superato il limite. Essere diventata maggiorenne non ti da il diritto di trattare così la famiglia che ti ha dato una casa e una posizione. Vai e rifletti sui tuoi errori, figlia. Ne riparleremo tra qualche giorno".

Era l'epilogo. Annie s'inchinò come uscendo dal palco di un teatro, la conversazione a tavola cominciata con toni pacati che si era appena trasformata in una grottesca tragedia familiare.

Spalancò gli occhi di scatto. E, in quella sera di fine estate, Annie Brighton prese la sua decisione definitiva.

Ci aveva provato davvero a ragionare con i suoi genitori, pensò aprendo lentamente la porta finestra e facendo alcuni passi esitanti sul balconcino del secondo piano della sua bella stanza piena di bei vestiti e mobili sfarzosi.

Ma non era servito a nulla perché la sua felicità era altrove, a qualche miglio da lei, e si stava allontanando con un'automobile che l'avrebbe portata ancora più lontana.
Sorrise, allargò le braccia e chiuse gli occhi respirando forte.
   
 
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