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Autore: TheSlavicShadow    21/01/2022    0 recensioni
She can kill with a smile, she can wound with her eyes
And she can ruin your faith with her casual lies
And she only reveals what she wants you to see
She hides like a child but she's always a woman to me
She can lead you to love, she can take you or leave you
She can ask for the truth but she'll never believe you
And she'll take what you give her as long as it's free
{She's always a woman - Billy Joel}
Raccolta di missing moments dal POV di Steve. {E3490, ovviamente.}
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Ottobre 1996

 

Nervosamente si era passato una mano tra i capelli, cercando di non pensare troppo al fatto che avrebbe cenato a casa di qualcuno dopo così tanto tempo. Non era passato molto tempo da quando si era risvegliato dal suo lungo sonno nel ghiaccio. Pochi mesi erano nulla a confronto a quello che aveva passato nella carcassa del Valchiria. Ancora non capiva nemmeno come potesse essere realmente vivo. Aveva dato per scontato che sarebbe morto nell’impatto con il ghiaccio. Nessuno poteva sopravvivere ad una cosa simile. Credeva che lo stesso valesse anche per lui. Avevano farfugliato qualcosa sul siero che lo aveva trasformato, ma in realtà non li aveva ascoltati molto. Era troppo scosso dal sapere che aveva passato 50 anni nel ghiaccio e si era perso molte, moltissime cose.

Avevano vinto la guerra. Questa era stata una delle prime cose che Nick Fury gli aveva comunicato, come se appena sveglio a lui fosse importato qualcosa della guerra in cui aveva combattuto. 

Anche perché quella guerra gli aveva portato via tutto. Aveva perso Bucky e aveva perso Peggy. La sua splendida Peggy che grazie al cielo era andata avanti e si era rifatta una vita. Anche se incontrarla e vederla così invecchiata era stato uno shock non indifferente. 50 anni erano davvero troppi. 

Lo avevano fatto svegliare in una stanza che sembrava uscita davvero da un ospedale degli anni 40, per evitargli uno shock aveva detto, ma avevano fatto male i compiti a casa e li aveva smascherati subito. Una situazione davvero surreale era stato abbattere una parete che era in banale cartongesso in quello che sembrava un set cinematografico.

Aveva appoggiato la testa contro lo schienale in pelle del sedile della macchina. Un autista molto silenzioso lo stava accompagnando a casa di Howard Stark. Lo stesso Howard Stark che aveva conosciuto così tanti anni addietro. L’uomo era stato una costante da quando si era risvegliato. Sia lui che Peggy in realtà.

Peggy. Peggy. Peggy. 

Non faceva altro che pensarci da quando si era risvegliato. Peggy era stata il suo ultimo pensiero. Non aveva nemmeno potuto darle un vero addio, solo la falsa speranza di un ritorno. Non voleva nemmeno provare ad immaginare come potesse essersi sentita la donna quando non aveva più fatto ritorno. Classico cliché da racconti di guerra, ma non avrebbe mai voluto renderne Peggy la protagonista. Avrebbe voluto invece renderla la donna più felice del mondo, avrebbe voluto darle tutto. Ma non era mai stato fortunato con le persone. Quelle poche che aveva amato gli erano tutte state portate via.

“Capitano Rogers, siamo arrivati.” La voce dell’autista dello S.H.I.E.L.D. lo aveva ridestato dai suoi pensieri e aveva subito guardato dal finestrino. La Stark Mansion da fuori sembrava enorme, e non osava nemmeno pensare quanto potesse esserlo all’interno. Aveva subito notato che all’ingresso c’era già Howard che lo aspettava. Un Howard molto più vecchio e con i capelli bianchi. Così diversi dai capelli neri con cui lo aveva conosciuto. Se ne stava sulla porta di casa con le mani nelle tasche, come se fosse ancora il giovane ragazzo conosciuto durante la guerra.

“Rogers, spero che il mio invito non ti abbia colto troppo di sorpresa.”

“Stark.” Era sceso dalla macchina sorridendo all’uomo che gli era andato incontro. “Un po’, ma sarà piacevole passare una sera diversa dalla solita allo S.H.I.E.L.D..” Non erano male le serate al quartier generale dello S.H.I.E.L.D., ma iniziava a stargli stretto il modo in cui tutti lo trattavano. Come un eroe di guerra senza macchia. Una leggenda vivente. Non avrebbe mai pensato che dopo la sua scomparsa la sua fama si sarebbe propagata a macchia d’olio ovunque. L’agente Coulson, che era stato onnipresente da quando aveva aperto gli occhi, gli aveva spiegato tutto. Gli aveva fatto vedere tutto il merchandising che era uscito su di lui e ne era rimasto davvero meravigliato. Un semplice ragazzo di Brooklyn era diventato alla fine così famoso. Non sapeva ancora come prendere davvero la notizia. Certo, era stato famoso anche durante la guerra, ma era diverso. Era famoso soprattutto tra i soldati. O almeno aveva sempre creduto fosse così.

“Per questo ho pensato che sarebbe stato un bene cambiare per una sera. Vieni, ti presento mia moglie. Dovrebbe esserci anche mia figlia, ma non so che fine abbia fatto.”

“Sono ancora stupito dal fatto che ti sei fatto una famiglia, credimi.” 

Howard aveva riso e lo aveva guidato in casa. Era lussuosa. Davvero molto lussuosa aveva potuto constatare subito. Non voleva sembrare maleducato, ma non era riuscito a trattenersi dal guardarsi attorno. 

“Le persone cambiano, Rogers. Non sai nemmeno quanto cambiano, anche se a me è capitato in tarda età. Pensa che mia figlia ha solo 16 anni e io sono un vecchio ormai.” Erano entrati in un enorme salone con un lunghissimo tavolo da pranzo. Non aveva decisamente badato ad alcuna spesa quando aveva fatto costruire ed arredare quella casa. “Steve, questa è Maria, mia moglie.”

“Lieto di fare la sua conoscenza, signora Stark.” Aveva allungato la mano verso quella curata e delicata della moglie di Howard. Era davvero molto elegante con un tailleur azzurro e i capelli perfettamente raccolti. Sembrava la moglie di un qualche generale o pezzo grosso che aveva incontrato in passato. Quelle donne gli davano la sensazione di essere sempre pacate, di essere come dei delicati fiori, ma che in realtà non si piegavano a nulla. La loro gli sembrava tutta apparenza. E Maria Stark non faceva eccezione. Anche perché immaginava che una donna al fianco di Howard Stark dovesse essere molto più di una semplice moglie piacevole da esibire in pubblico.

“Il piacere è tutto mio, Capitano. Mio marito mi ha davvero parlato molto di lei e delle sue gesta.”

“Spero non abbia esagerato a tessere le mie lodi, perché a quanto pare sono stato un po’ troppo idealizzato in questi decenni.”

“Non essere sciocco, Rogers. Quello che hai fatto tu per questa nazione non può non essere idealizzato.” Aveva notato Howard fare un gesto con la mano, e subito era arrivato quello che doveva essere il maggiordomo. Per forza una casa così grande doveva avere qualcuno che la gestiva. L’uomo era entrato con un vassoio e quattro bicchieri con quello che doveva essere un qualche aperitivo. “Questo è il nostro maggiordomo, il mio fedele Jarvis che è qui con me da moltissimo tempo. E’ arrivata?”

“Non ancora, signor Stark. Con tutta probabilità avrà trovato traffico per strada.” 

Howard aveva preso un bicchiere dal vassoio e aveva sospirato. 

“Coraggio, sediamoci intanto che aspettiamo. Sperando che l’attesa non sia troppo lunga.” Lo aveva osservato sedersi, e lo aveva imitato prendendo a sua volta un bicchiere dal vassoio. “Tasha studia a Boston, al MIT.”

“A soli 16 anni?”

“In verità sono già due anni che è all’università. Studia ingegneria meccanica e sta per laurearsi.”

“Non proprio la cosa più adatta ad una ragazzina, non trova, Capitano Rogers?” Maria Stark gli aveva sorriso, ponendo quella domanda come se fosse stata argomento di più di una discussione.

“Suvvia, donna. Quella ragazzina è portata per le macchine, lo sai benissimo anche tu. Se non fosse così l’avrei mandata al tuo corso di ricamo sicuramente.”

Steve aveva fatto un sorriso mentre osservava Maria Stark alzare un sopracciglio in direzione del marito. Anche se adesso era curioso di vedere quale prodigio di ragazza fosse uscito dai geni di Howard Stark. Lo aveva ritenuto sempre un grandissimo inventore. Il suo scudo lo aveva fatto lui. Molte armi che aveva usato le aveva fatte lui. Sua figlia sicuramente non poteva essere da meno.

Ma non aveva dovuto attendere a lungo. 

Con la coda dell’occhio aveva notato una figura all'ingresso della sala da pranzo e l’aveva guardata subito. Ed era bellissima. 

Si era stupito che quello fosse stato il primo pensiero che aveva avuto per quella che era palesemente solo una ragazzina. Con i capelli scuri raccolti in una treccia, il viso leggermente truccato, e i pantaloni strappati, ma era bellissima. 

Istintivamente si era alzato, non sapeva se per educazione o cosa, ma era scattato subito in piedi.

“Natasha, sei in ritardo.” 

“Prova tu a guidare da Boston fino a qui il venerdì pomeriggio. Una vera delizia.” L’aveva guardata mentre alzava gli occhi al cielo, mentre si avvicinava al tavolo da pranzo. Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso ed era una cosa davvero strana per lui. C’era stata solo una persona che era riuscita a catturare così la sua attenzione dal primo istante. E non credeva possibile che potesse capitare ancora. Eppure eccolo lì a guardare la giovane figlia di Howard Stark che con sicurezza si avvicinava a loro. 

“Potevi partire questa mattina quando ti ho telefonato.”

“Oh, certo. E non presentare il saggio sulla termodinamica al professore? La prossima volta che decidi di avvertirmi all’ultimo manda un elicottero a prendermi.”

“Tasha, abbiamo ospiti.” Maria Stark l’aveva guardata, sorridendo lievemente, anche se era palesemente solo un sorriso di cortesia. Aveva imparato a conoscerli e riconoscerli quei sorrisi falsi. Aveva quasi pena per quella ragazzina che doveva essere nel pieno delle ribellioni adolescenziali e doveva dare contro ai genitori ad ogni costo. 

“Oh. Giusto.” Si era voltata solo allora verso di lui, come se prima non avesse nemmeno notato la sua presenza. Lo aveva guardato negli occhi e lui aveva ricambiato lo sguardo, divertito da quello sguardo così fiero che sfoggiava la ragazza. Doveva essere un tipetto niente male se da subito aveva quel comportamento. E gli piaceva. Odiava chi lo trattava con rispetto e ammirazione solo per il titolo che aveva. “Capitano, è un piacere conoscerla. L’ho osservata dormire mentre era ancora congelato.” Gli si era avvicinata tendendo la mano nella sua direzione, e lui non aveva potuto fare altro che stringerla. Howard e Maria l’avevano subito richiamata, ricordandole le buone maniere ma lei sembrava ignorarli deliberatamente. 

“Il piacere è mio, signorina Stark. Howard mi ha parlato molto di te.” Le aveva sorriso, stringendo ancora la sua mano. Era piccola, minuta, ma aveva una stretta di mano decisa. Come se con quella dovesse dimostrare qualcosa al mondo, e lui questo lo capiva fin troppo bene.

“Strano visto che il mio illustre padre non ha fatto altro che tessere le proprie lodi da quando ho memoria.” Howard aveva scosso la testa alle parole della figlia, ma stranamente non aveva detto nulla. Dovevano sicuramente avere uno di quei rapporti complessi che aveva visto nei film in televisione. “E di come Capitan America sia un po’ anche una sua creazione.”

L’aveva osservata stranito per un istante, ma poi le aveva sorriso. Voleva anche risponderle, ma Howard si era alzato dalla sedia alterato.

“Natasha, non essere maleducata.”

“Questa cosa l'abbiamo in comune, Capitano. Può vantarsi che il suo genio ha creato un super soldato e i suoi geni una mente brillante come la mia.”

“Natasha, questo è troppo!” 

“Calmati Howard, non ho detto nulla di così tanto offensivo. Vero, Capitano?” Aveva voltato la testa verso il padre per poi tornare a guardare lui. C’era uno scintillio di sfida nei suoi occhi. O almeno così lo aveva interpretato.

“Mi hai dato del topo di laboratorio, ma in modo davvero elegante.” Steve le aveva sorriso per poi farle segno di accomodarsi. E lei aveva fatto un sorriso soddisfatto prima di andare a sedersi accanto alla madre. Aveva ignorato gli sguardi severi dei suoi genitori e lui non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso mentre si sedeva.

Era solo una ragazzina, si era ripetuto mentre cercava di concentrarsi nuovamente sugli altri commensali. Aveva fatto una domanda ad Howard, una domanda banale, giusto qualcosa per spostare la propria attenzione su altre cose. Non era il momento e nemmeno il luogo per lui di trovare qualcuno per cui provare interesse. Soprattutto non la figlia adolescente di Howard Stark. 

Solo Peggy Carter era riuscita ad attirare così la sua attenzione, così tanti anni addietro. Pensava, era convinto che non sarebbe mai più potuto succedere. Invece eccolo lì che cercava di fare la persona adulta e conversare con Howard dello S.H.I.E.L.D., di nuove armi, di come anche il farsi la guerra fosse cambiato in tutti gli anni in cui era ibernato. Quando improvvisamente gli era venuto in mente che anche Peggy gli aveva parlato di quella ragazza. Se ne era dimenticato. Non aveva fatto molto caso a quello di cui in effetti Peggy gli diceva, perché era più concentrato a pensare a quello che aveva perso. Gli capitava spesso quando vedeva Peggy. Ma Peggy Carter gli aveva parlato di quella ragazza.

“Mi hanno detto che studi ingegneria meccanica al MIT. Peggy mi ha detto che stai cercando di costruire un robot.”

L’aveva vista alzare di scatto la testa dal proprio piatto, colta alla sprovvista dal fatto che qualcuno le avesse rivolto la parola. Aveva ancora la forchetta in bocca e aveva deglutito senza nemmeno masticare, o così gli sembrava.

“L’ho quasi finito.” Era un mormorio più che una vera risposta, come se si stesse vergognando del suo lavoro. “E’ per la gara annuale del MIT, di progettazione robotica.”

“E’ solo un progetto su cui sta perdendo tempo invece di concentrarsi sugli studi.” Steve aveva voltato la testa verso Howard. Non gli era mai piaciuto quando qualcuno sminuiva le passioni degli altri. Ma i genitori erano così, no? Avevano grandi aspettative per i figli e se i figli si allontanavano da questo percorso prestabilito allora non andava più bene. 

“Non è una perdita di tempo, papà. Se riesco a farlo funzionare come voglio potrebbe essere utilizzato in molti rami, dalla meccanica alla medicina.”

“E’ solo un braccio meccanico. Sai quanti ce ne sono in circolazione?”

“Dum-E è diverso!” Natasha aveva alzato la voce, e da questo aveva dedotto che avevano avuto quella discussione più di una volta. Non avrebbe mai pensato che Howard fosse diventato un genitore così serio. L’aveva osservata mentre abbassava lo sguardo, e gli dispiaceva. Gli dispiaceva davvero. “Risponde ai comandi vocali. Le altre braccia meccaniche non lo fanno. Rispondono a comandi inseriti manualmente, Dum-E no.”

“Gli hai anche dato il nome giusto devo dire.”

“Io trovo che sia molto affascinante.” Con noncuranza aveva ripreso a mangiare. Voleva darle in qualche modo il suo supporto, per quello che potesse valere il supporto di un perfetto estraneo. Ma era stato sottovalutato anche lui più di una volta. Sapeva bene come ci si sentisse quando cercavano di tarparti le ali. “Sono quelle cose che una volta si leggevano solo nei libri di fantascienza e ora sembrano essere diventate la realtà. Bucky leggeva molte di queste cose e fantasticava su come sarebbe stato il futuro. Se saremmo mai riusciti ad andare nello spazio oppure costruire robot. E a quanto pare tutto questo è diventato realtà.”

“Io sono della teoria che lo sbarco sulla luna sia stato girato in studio.”

Si era bloccato con la forchetta a mezz’aria guardandola subito. Gli avevano parlato dello sbarco sulla luna. Gli avevano fatto vedere i filmati dell’epoca. Lo aveva affascinato tantissimo l’argomento. E sarebbe piaciuto molto anche a Bucky. 

“Ma perché avrebbero dovuto fingerlo?”

“Perché i russi hanno spedito il primo uomo in orbita. Non potevamo essere da meno. Ma con la tecnologia dell’epoca sbarcare sulla luna sarebbe stato impossibile. E perché poi nessun altro ci ha provato? Mai più e sono passati quasi trent’anni.”

L’aveva osservata incuriosito e pensieroso allo stesso tempo. Alcuni particolari glieli avevano omessi, e lui non aveva cercato ulteriori informazioni. Aveva dato per certo quello che gli avevano fatto vedere e per lui era stata la verità, meravigliato anche solo dal semplice fatto che erano stati nello spazio. Ma nessuno gli aveva fatto venire nemmeno mezzo dubbio che potesse essere stato tutto una montatura. Pura e semplice propaganda.

Non aveva notato che l’atmosfera nella stanza fosse cambiata fino a quando non aveva sentito Maria Stark rivolgersi alla figlia appoggiandole una mano sul braccio.

“Natasha, tesoro, perché non vai ad aiutare Jarvis con il dolce?” La ragazza aveva semplicemente annuito, e in silenzio si era alzata. Non aveva guardato nessuno mentre usciva dalla sala da pranzo, e lui non aveva potuto non seguirla con lo sguardo. Avrebbe voluto chiederle altro, ma quello decisamente non era il momento giusto.

“Scusala, Steve. E’ ancora giovane e non capisce molte cose.” Howard aveva bevuto un sorso di vino, appoggiando la schiena comodamente contro la sedia. “Spesso ha queste uscite stravaganti per lo più per farmi perdere la pazienza. Sai come sono i ragazzini. Credono di sapere tutto e di essere i padroni del mondo.”

“Devo ammettere che era molto interessante quello che stava dicendo. Non l’avevo mai vista sotto quest’ottica, anche perché mi hanno fatto vedere il video dello sbarco solo settimana scorsa. Credo di avere molte cose da recuperare per potermi ambientare in questo nuovo decennio.” Steve gli aveva sorriso e aveva poi di nuovo guardato la porta da cui era uscita la ragazza. 

“Non ti preoccupare per lei. Sicuramente resterà in cucina a parlare dei suoi robot con Jarvis. Non parla d’altro ultimamente.”

“Devi ammettere che costruire un robot non è cosa di tutti i giorni.” Aveva bevuto un po' di vino a sua volta e aveva guardato ancora Howard. “Tu volevi costruire una macchina volante, non credo di dovertelo ricordare io. E non ci sei ancora riuscito.”

“Ero giovane e con delle idee strane in testa!” Howard aveva riso e Steve aveva notato Maria guardare il marito incuriosita.

“Macchina volante? Costruivi macchine volanti e non permetti a Tasha di costruire i suoi robot?”

“Perché è sprecata per i robot, Maria. Lo sai anche tu che potrebbe usare la sua intelligenza per altre cose, ma si è fissata con sta storia dei robot e non si schioda.” Howard aveva sospirato e non sembrava più sul piede di guerra con la figlia come lo era solo pochi minuti prima. “Capisce più cose lei di alcuni dei nostri dipendenti di Ricerca&Sviluppo, anche se non dovrei farle ritoccare le nostre armi, visto che è una bambina ancora.”

“Peggy mi aveva accennato qualcosa al riguardo in effetti, ma devo essere sincero, molte cose non le avevo colte. Anche solo perché ho davvero troppe cose da recuperare, nonostante non sia una scusa molto valida. O non lo sarà ancora per molto.”

“Capitano Rogers, non deve avere fretta e recuperare tutto e subito. Nonostante mio marito probabilmente la pensi in modo completamente diverso, io credo che per ogni cosa ci sia un tempo giusto.” Gli piaceva Maria Stark, aveva deciso mentre la donna gli sorrideva delicatamente. Sembrava molto più pacata di quello che ricordava essere Howard, ma gli teneva testa. Con delicatezza e senza alzare la voce lo aveva messo all’angolo. 

“Signori, posso servirvi il dolce?” Jarvis era comparso senza che lui se ne accorgesse, con un carrellino e dei piattini già pronti. Aveva sperato che ci fosse anche la ragazza con lui, ma di lei nemmeno l’ombra. 

Ed era davvero stupido. Solo perché aveva attirato così tanto la sua attenzione, avrebbe voluto vederla ancora. Si era ripetuto ancora una volta che aveva solo 16 anni, che era troppo giovane. Che appartenevano a due epoche troppo diverse. Che non poteva davvero avere alcun interesse per lei. Anche solo perché era la figlia di Howard. 

“Scusatemi, mi assento solo un attimo prima del dolce.” Si era alzato perché aveva bisogno di rinfrescarsi le idee. Non credeva al colpo di fulmine. Era una cosa troppo da romanzetto rosa di pessima categoria. Era solo perché non aveva conosciuto molte persone come Natasha Stark. Doveva essere quello. 

C’era stata Peggy però. Peggy era stata un colpo di fulmine dal primo istante in cui l’aveva vista. E anche Peggy aveva visto qualcosa in lui nonostante pesasse 40kg bagnato all’epoca. 

“In fondo al corridoio, Capitano.” Il maggiordomo gli aveva sorriso quando gli si era avvicinato e lo aveva ringraziato con un cenno del capo. Aveva davvero bisogno di un attimo per riorganizzare i pensieri. 

Doveva solo essere una cena da Howard, che voleva fargli conoscere la sua famiglia. E lui aveva accettato più che volentieri perché uscire dal quartier generale dello S.H.I.E.L.D. almeno una volta ogni tanto gli faceva bene. Lo stavano tenendo come una cavia da laboratorio, lo maneggiavano con guanti di velluto, e per una sera voleva sentirsi normale. Sapeva che con Howard sarebbe stato a suo agio. Anche durante la guerra quell’uomo non lo aveva mai trattato come se fosse un bene nazionale. Magari lo considerava tale, ma non lo aveva mai dato a vedere.

“Signorina Stark, tutto bene?” Era entrato in quella che era palesemente la cucina. Era sicuro di aver seguito alla lettera le indicazioni del maggiordomo, perché erano state brevi e chiare, e non pensava che si sarebbe trovato di fronte Natasha Stark con la fronte appoggiata al tavolo che sembrava in uno stato di autocommiserazione. 

Aveva di scatto alzato la testa, raddrizzando anche la schiena di colpo. Sembrava quasi un animale spaventato in quel momento.

“Capitano, credo mi sia venuto un infarto.”

“Stavo cercando il bagno, ma credo di essermi perso.” Le aveva sorriso, rimanendo ancora fermo sulla porta. Non sapeva esattamente cosa fare. Avrebbe voluto entrare e sedersi di fronte a lei per continuare a parlare. E voleva anche scappare perché non era assolutamente il momento giusto per una situazione come quella. Odiava il fatto che quella ragazza avesse attirato così tanto la sua attenzione. E odiava anche il fatto che doveva essersene accorto anche il maggiordomo di casa Stark, perché lo aveva mandato di proposito in cucina. “Credo di aver capito male le indicazioni di Jarvis.”

“Ha solo sbagliato porta, ma è nella direzione giusta.” Lo aveva guardato e aveva sorriso piegando solo un angolo della bocca verso l’altro. “Devo dire che il suo sonnellino nel ghiaccio ha fatto miracoli sulla sua pelle. Non ha neanche una ruga.”

“Non sono così tanto vecchio.” Aveva ridacchiato muovendosi verso di lei. Oh, era molto più vecchio di quello che dimostrava di essere. Se li sentiva tutti addosso gli anni che avrebbe dovuto avere. Il suo aspetto si era fermato a quando aveva 24 anni, ma dentro se ne sentiva il triplo. Anche se forse era solo lo shock di aver dormito 50 anni.

“Oh, lo so bene. Sono cresciuta con Howard, ricorda? Capitan America era sempre presente nei suoi discorsi.” Gli aveva fatto cenno di sedersi e l’aveva fatto senza alcuna esitazione. Aveva aspettato solo quello, si era reso conto. 

“Sono rimasto stupito nello scoprire che Howard si sia sposato e abbia anche una figlia. E’ molto diverso dall’Howard che ho conosciuto io.”

“Erano altri tempi, Capitano. La gente cambia, non crede?” Le aveva sorriso. Howard aveva detto la stessa cosa.

“Può darsi. Certo è che i tempi cambiano. Ora i pantaloni si portano strappati?” 

Natasha era scoppiata a ridere ed era una risata contagiosa, doveva ammetterlo mentre si ritrovava a sorriderle. “Come mi immaginava, Capitano?” Aveva inarcato un sopracciglio, ma senza smettere di sorridere nella sua direzione. “Vestita come una bambolina?”

“No, bambolina no.” Steve aveva fatto una lieve smorfia. Non gli piacevano le donne bamboline nemmeno all’epoca. Al contrario delle ragazze che piacevano a Bucky.  “Non mi immaginavo pizzi e merletti, anche perché credo non si usino più. Ma qualcosa di più sobrio, forse. Cosa rappresenta quella maglietta?” Aveva indicato con un dito la maglietta che indossava. Aveva un disegno che non capiva e non conosceva. Era davvero ignorante con la cultura pop, doveva ammetterlo.

“Oh, questa? E’ del mio gruppo preferito. Glieli faccio ascoltare se vuole, anche se sono un po’ diversi da Vera Lynn e Marlene Dietrich.”

“Ho quasi paura a chiedere che tipo di musica facciano. Sono sveglio solo da un paio di mesi, e mi è capitato qualche volta di sentire la radio.” Aveva scosso la testa al ricordo della musica che aveva sentito in radio. Doveva davvero abituarsi a quel nuovo periodo.

“E io ho paura di chiederle che tipo di educazione moderna le diano quelli allo S.H.I.E.L.D..”

“Temo pessima. Non capisco neppure una maglietta, ma vedo moltissime persone camminare per la città con questi disegni strani stampati su esse. Ho iniziato a girare con un quadernetto su cui annotare tutte le cose che non conosco.”

“Oh, allora ha trovato la persona giusta! Posso riempire quella lista con cose molto interessanti! Tipo Star Wars e Star Trek. Sono un must. Deve vederli.”

L’aveva guardata un istante, prima di prendere il quadernetto che portava sempre con sé. Doveva segnare quei titoli che aveva appena pronunciato. E voleva chiederle se poteva essere suo mentore. Poteva farlo? O sarebbe stato troppo? L’aveva appena incontrata, molto probabilmente non l’avrebbe più rivista. E non era nemmeno giusto pensare di poterla vedere ancora. Era solo una ragazzina e lui era un veterano della seconda guerra mondiale. Suonava così male quella frase. Sembrava sporca. Sembrava una cosa viscida. 

Solo che quella ragazza lo aveva colto di sprovvista. Si era allungata sul tavolo e gli aveva quasi strappato quaderno e penna di mano. L’aveva solo osservata, incapace di reagire.

“Facciamo così, Capitano. Ora le lascio il mio numero di telefono e il mio indirizzo a Boston, anche se non è difficile trovare il campus del MIT.” Stava scrivendo velocemente, sembrava quasi che stesse prendendo degli appunti. E con molta probabilità, aveva pensato, era abituata ad annottare le cose con molta velocità. “Quando si annoia può scrivermi, o telefonarmi. E se quel mostro di Fury le lascia un attimo libero può anche venire a trovarmi. Ci sono molti posti fighi in cui potrei portarla.”

“Sono stato a Boston una volta. Per vendere titoli di guerra per sostenere lo sforzo bellico.”

“Oh, lo so. Credo di aver visto tutte le sue esibizioni in cui alla fine dava un pugno a Hitler.” 

Steve le aveva sorriso, mentre lei lo guardava. A momenti gli sembrava quasi di parlare con l’agente Coulson, solo che Natasha non lo trattava con la stessa devozione quasi religiosa. C’era uno scintillio diverso nei suoi occhi quando lo guardava rispetto a quello di Coulson. A momenti era quasi di sfida.

“Magari un giorno le farò vedere la collezione privata di Howard riguardo a Capitan America e i suoi Howling Commandos.”

“L’Agente Coulson mi ha fatto autografare delle figurine che ha definito vintage. Non credevo neppure esistessero delle cose simili.”

“Ho dovuto cedere un paio delle mie per fargli completare la collezione e poter avere informazioni sul suo scongelamento.” Era arrossita? L’aveva osservata aggrottare le sopracciglia e distogliere lo sguardo. Adesso gli era sembrata proprio una ragazzina, nulla di più nulla di meno. Si atteggiava da donna vissuta e sembrava non avere paura di nulla al mondo, ma alla fine aveva rivelato la sua vera età. 

“Sì, me l’ha raccontato.” Timidamente lo aveva guardato quando aveva parlato, e lui da bravo sciocco non smetteva di sorriderle. “Me l’ha raccontato anche se facendolo rischiava il posto. Tra fan ci si aiuta, ha aggiunto, ma non sapevo stesse parlando di te.”

“Non sono una stalker. Era per la scienza. Solo per la scienza. Dovevo capire come il siero di Erskine sia riuscito a salvarla.” Si era sporta di nuovo un po’ verso di lui come se solo un secondo prima non fosse successo nulla. E lui non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Oh, Steven, era solo una ragazzina, continuava a ripetersi. “Non sono riuscita ancora ad ottenere tutte le informazioni che mi servono perché Howard è molto geloso di tutto quello che la riguarda. Credo che neppure Furry o Peggy abbiano mai avuto accesso ai documenti che riguardano l’esperimento che l’ha trasformata. Ma potrei essere sulla buona strada.”

“Vorresti replicare il siero?” Si era seduta improvvisamente composta sulla sedia, forse per il tono di voce serio che aveva usato. Sperava di non dover più avere a che fare con chi voleva replicare quel siero. A lui aveva salvato la vita, lo aveva reso anche molto più forte. Ma aveva visto cosa aveva fatto a Teschio Rosso.

“Assolutamente no. Voglio solo capire come sia stata possibile una tale trasformazione. Le ho detto, è per la scienza. Non sono interessata ad altro.” Lo aveva guardato seria a sua volta, dopo aver scosso la testa. “Studio meccanica per un motivo.”

“Allora forse riuscirai a far volare la macchina che Howard è riuscito a far alzare da terra solo per qualche istante.” Aveva sorriso quando la ragazza lo aveva guardato stranita. Doveva essere che Howard non avesse mai parlato della sua macchina volante con la sua famiglia, ma era sicuro di averle messo la pulce nell’orecchio. Aveva ripreso il suo quaderno osservando per un attimo la scrittura della ragazza. Veloce ma leggibile. Avrebbe solo dovuto recuperare uno di quei telefoni cellulari che usavano adesso, o come li chiamavano. “Mi ha fatto molto piacere scambiare qualche parola con te, Natasha, ma forse ora dovrei tornare di là.”

“Howard potrebbe credere che la abbia rapita e chiusa da qualche parte.” Natasha gli aveva sorriso e non gli aveva tolto gli occhi di dosso. Non aveva molta esperienza con le donne. Non ne aveva quasi nessuna in realtà. Ma non era praticamente mai stato guardato così. E doveva ammettere che non gli dispiaceva in realtà. “Però ha il mio numero. Quando si annoia e non sopporta più Fury sa dove trovarmi.”

“Lo farò.” Le aveva sorriso ancora e poi era uscito dalla cucina. Non si era voltato a guardarla anche se la tentazione era stata molta. Avrebbe quasi voluto girare i tacchi e ritornare in cucina per finire la serata parlando con quella ragazza. Era una cosa così stupida. Un’idea quasi da irresponsabile. Si era appena svegliato dal ghiaccio, non aveva ancora nemmeno elaborato tutto quello che aveva perso, tutto quello che era successo. E la sua testa già si stava focalizzando su altro. Dopo tutto quello che era successo non aveva ancora imparato che non avrebbe dovuto pensare ad altre persone con interesse. 

Eppure avrebbe voluto davvero tornare in quella cucina, sedersi ancora al tavolo per parlare fino a notte fonda di qualsiasi cosa.

Lo sapeva. 

Era finita.

Era perduto.

Si era preso una cotta istantanea per Natasha Stark.

 
   
 
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