Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Ella_    31/01/2022    1 recensioni
"Giorno fa fatica a ricordare un periodo della sua vita che non sia trascorso assieme a loro; i loro genitori giurano che fin dai loro primi passi siano sempre stati complici, e Giorno si domanda spesso come sarebbe stata la sua vita se non li avesse conosciuti, se suo padre non avesse deciso di tenerlo con sé e lo avesse lasciato dall’altra parte del mondo con sua madre.
A volte si sente come se fossero un unico corpo, un unico cervello, un unico grosso organo pulsante che si coordina per far funzionare alla perfezione tutti i loro bisogni, i loro pensieri, i loro desideri."
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[Josuke/Giorno/Jolyne][8900+ parole]
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Dio Brando, Giorno Giovanna, Jolyne Kujo, Josuke Higashikata
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
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Salve a tutti!
Ci tengo a spendere due parole in più su questa fic prima che procediate con la lettura: questa qui non è la sua forma originale.
Questa fic nasce come una PWP che per ovvie ragioni non posso assolutamente pubblicare nella sua versione esplicita qui su efp (la trovate completa qui, su AO3) e secondo me senza le scene R18 perde un sacco, ma al tempo stesso mi faceva davvero troppo strano non postarla anche su questo profilo, perché ci sono praticamente tutte le mie storie scritte in 13 anni.
Essendo stata pensata come una pwp, il contesto AU non è particolarmente dettagliato, né sono specificate con attenzione le varie parentele: nella mia testa, in qualche modo, senza alcuna base plausibile, si mantiene tutto l'albero genealogico del canon, che ovviamente sarebbe improbabile viste le età dei personaggi; alla fine il punto è che: a me interessava la parte porn, e molto poco tutto quello che c'era attorno XD 
L'ultima cosa che ci tengo a dire è che questo Giorno è un po' più psycho di quanto non lo descriva di solito (e mi fa impazzire), perché ho preferito lasciargli una impronta più decisa dell'influenza di Dio Brando, da cui è stato cresciuto in questa fic.
Concludo i blatereggiamenti, spero sia piacevole da leggere nonostante le varie modifiche!
Alla prossima!

ps: per qualche motivo ho avuto problemi con l'editor, che non mi ha mantenuto il corsivo, SIGH

 

Cintura di Orione


“Il termine  Cintura di Orione,  indica un insieme di tre stelle al centro della costellazione di Orione.

Le stelle principali di Orione sono molto simili come età e caratteristiche fisiche, cosa che suggerisce che abbiano avuto un'origine comune. In effetti, l'intera costellazione di Orione è la più vicina zona di formazione stellare, ed è stata a volte considerata per intero un'associazione OB,  ossia un gruppo di stelle giovani e blu, estremamente luminose e caldissime.”  

(fonte: Wikipedia )  

 

Giorno non è mai stato un grande fan dei luoghi rumorosi e pieni zeppi di persone; è più un tipo da pomeriggio passato in camera a leggere, o a fare una passeggiata tranquilla per fermarsi a prendere un gelato: non ama parlare se non necessario, non ama interagire con gli sconosciuti. Gli piace circondarsi di poche persone nel suo spazio protetto.  

Tra tutte le situazioni che vorrebbe evitare, trovarsi il venerdì notte in discoteca è forse al primo posto nella lista, per due motivi ben precisi: gli studenti che vogliono ubriacarsi, e gli studenti che sono già ubriachi.   

“Me la sarei cavata anche da sola, blondie ”.  

Giorno prova davvero un affetto viscerale e profondo per sua cugina, ma al tempo stesso sa di volerle staccare la testa per averlo costretto ad essere lì quella sera: fa fatica a sentirla parlare anche lì in bagno, dove la musica assordante della sala da ballo è leggermente più ovattata; sente un nauseante odore di piscio e di deodorante alla vaniglia che forse riuscirà a farlo vomitare più in fretta dei due drink annacquati che si è scolato per riuscire a sopravvivere.  

“Lo so”.  

Gli occhi verdi di Jolyne sembrano molto più scuri con le luci soffuse del bagno, mentre lo fissa dallo specchio sopra al lavandino: si sta ripassando il rossetto di Gucci color Valentine Verdante che Josuke ha scelto per lei un pomeriggio che erano da Sephora ; Giorno non potrebbe mai dimenticare la sua espressione soddisfatta mentre passava la carta di suo padre Jotaro nel lettore per pagare quarantuno euro virgola novanta per un rossetto verde che potesse matchare il più possibile i money pieces fluo dei suoi capelli.  

“Allora perché mi hai trascinata via?”.  

Il problema degli studenti ubriachi è che non riescono mai a scegliere con attenzione con chi avere a che fare: Giorno ha osservato un paio di minuti questo gigantesco tizio con i capelli lunghi e fucsia che cercava in tutti i modi di metterle le mani addosso, e l’unica cosa che ha potuto fare è stata afferrare Jolyne per il braccio e trascinarla nei bagni per evitare qualsiasi spiacevole situazione.  

“Perché non sei particolarmente propensa alla diplomazia, Jolyne” sbotta, incrociando le braccia contro il petto fasciato in una giacca che sta indossando senza niente sotto. “E io voglio evitare di finire in commissariato perché hai rotto la faccia ad uno che vuole il tuo numero” vorrebbe dire di nuovo , ma non lo dice.  

Lei ride, scuote la testa e si gira nella sua direzione, dando le spalle allo specchio: Giorno riesce a vedere la sua schiena lasciata completamente scoperta dal top a forma di farfalla che le stringe il seno, e il tatuaggio a forma di stella che si sono fatti per il suo diciottesimo compleanno spicca evidente sulla sua pelle chiarissima.   

“Sei tu quello che ci sa fare con le parole” dice, sistemandosi l’orlo corto della gonna da cui spuntano le sue cosce toniche fasciate da un paio di calze a rete già smagliate, poi gli si avvicina: è più alta di lui di un paio di centimetri e, con la suola alta delle Dr. Martens che sta indossando quella sera, Giorno è costretto ad alzare il mento per guardarla negli occhi. “Dovresti rilassarti un po’, Giorno” gli dice, lisciando con attenzione il colletto della sua giacca color carta da zucchero. “Sei l’unico al mondo che non sa divertirsi alle feste”.  

Giorno fa una smorfia. “Potrei vedere le stesse cose allo zoo” dice, poi le stringe i fianchi tra le mani, e Jolyne lo sta già baciando: a bocche schiuse, con il metallo del suo tongue che gli solletica il palato, le sue braccia strette intorno al collo, e Giorno è sicuro di poter sopportare ancora un altro po’ il pessimo odore che sente in quel bagno, o le molestie di qualche altro universitario sbronzo, mentre sente la consistenza dei suoi seni schiacciati contro il petto.  

Jolyne sa della vodka che ha bevuto, e Giorno si sta chiedendo perché non siano rimasti a casa, mentre le passa il palmo della mano sulla schiena increspata di brividi e lei si lascia scappare un sospiro esplicito.  

“Siete degli stronzi”.  

Josuke è fermo sulla soglia del bagno, con in mano i due drink che gli avevano chiesto di andare a recuperare al bancone con troppa gente accalcata: lui è indubbiamente più alto, ed è più facile che si faccia notare; ha addosso una camicia blu che fa risaltare il colore dei suoi occhi, ma Giorno non riesce a togliere i suoi da un paio di bottoni che fanno fatica a restare chiusi ad altezza dei suoi pettorali gonfi.   

Jolyne gli regala il suo sorriso più furbo, facendogli cenno di avvicinarsi, e Giorno tiene la bocca chiusa mentre lei passa il polpastrello del pollice sulle sue labbra.  

“Il verde gli sta bene” dice, riferendosi al rossetto che ha stampato sulla sua faccia, e Josuke adesso lo sta guardando con occhio critico, “non trovi?”.  

“Non so” risponde mentre le porge la sua vodka redbull, ma non prima di aver preso un lungo sorso dalla cannuccia. “Lo fa sembrare un po’ un villain, coi capelli biondi”.  

Giorno accenna un sorriso divertito, mentre Jolyne ride e gli passa il braccio sulle spalle ampie; la osserva mentre si alza sulle punte per premere la bocca contro il suo orecchio e sussurrargli qualcosa che non riesce a sentire, però il modo in cui Josuke sgrana gli occhi è inequivocabile, così come è palese che le sue guance siano rosse, anche nella luce soffusa di quel bagno.  

“Diglielo tu” borbotta, ma lei scuote la testa, sussurra qualcos’altro, e lui diventa ancora più rosso. “Non vale” aggiunge.  

Giorno gli tira via dalle mani il dry martini che si è fatto portare, poi: “cosa?” chiede.  

Loro ridono guardandosi, ma Josuke gli risponde prima che possa chiederlo un’altra volta; non che lo avrebbe fatto, comunque. Non gli piace ripetersi. “JoJo diceva” (allunga la mano per afferrare la sua, e Giorno lascia che Josuke lo tiri verso di sé; Jolyne non ha ancora spostato il braccio dalle sue spalle, e così adesso sono tutti e tre abbastanza vicini da poter riuscire anche a parlare a voce più bassa) “che vorrebbe proprio vederti mentre mi lasci il rossetto sul cazzo”.  

Giorno non dice niente.   

Butta giù il suo dry martini tutto in una volta, gli fa bruciare la gola e girare la testa.  

“È la prima proposta sensata che sento questa sera” sbotta, serio, e Jolyne sta ridendo quando Josuke si abbassa a baciarlo: ha il sapore chimico della redbull, e il verde non sta male neanche a lui.  


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Se dovesse descriversi, Giorno si definirebbe un ragazzo normale, come tanti altri.   

Frequenta il primo anno di Medicina e Chirurgia (anche se suo padre avrebbe voluto che facesse l’avvocato come lui per metterlo un futuro a capo del suo studio), è vegetariano tendente al vegano (e questo, per suo padre, è davvero incomprensibile oltre che, testuali parole, “umiliante”, qualsiasi cosa voglia dire) ed ha un amore sconfinato per tutto ciò che è bello; quest’ultima, a conti fatti, è l’unica cosa che definirebbe un problema, perché vorrebbe tenere a bada le sue manie di shopping compulsivo, comprare soltanto capi vintage o second hand per un discorso prettamente ecologico, ma la verità è che il suo completo elegante preferito è il modello Sicilia di Dolce&Gabbana , un tre pezzi in lana viola tendente al lilla che ha pagato (o meglio, che suo padre ha pagato) duemila trecentocinquanta e rotti euro, che usa soltanto per le occasioni più speciali e che è sicuro che metterà anche il giorno della sua laurea, per quanto lontano.  

Josuke ha un problema molto simile al suo, ma il punto è che tutti i soldi che spende li guadagna facendo in giro vari lavoretti dal minimo sforzo e con massima resa (uno tra tutti: posa come modello per un certo Rohan, che lui non ha mai sentito nominare, ma che Josuke gli giura essere un famoso artista che gestisce anche un blog dal nome Thus Spoke Kishibe Rohan in cui racconta tutte le storie più strane che gli sono capitate durante le sue ricerche, e che a quanto pare gli fa anche fruttare un botto di soldi); inutile dire che sua madre non sia affatto contenta di come Josuke gestisca i suoi guadagni, visto che ogni volta che riesce a mettere da parte una buona somma finisce per spenderla in capi di alta moda, possibilmente italiana.  

Jolyne è l’unica tra loro a cui davvero non interessa se quello che indossa sia di marca o meno, vero è che alla fine spende comunque cifre con più zeri ogni volta che le serve qualcosa di nuovo, per due motivi principali: sono lui e Josuke a consigliarle cosa comprare, uno; svuotare il conto in banca di suo padre le provoca una sadica e profonda soddisfazione, due.  

“Devi farlo proprio adesso?”.  

Giorno fa fatica a ricordare un periodo della sua vita che non sia trascorso assieme a loro; i loro genitori giurano che fin dai loro primi passi siano sempre stati complici, e Giorno si domanda spesso come sarebbe stata la sua vita se non li avesse conosciuti, se suo padre non avesse deciso di tenerlo con sé e lo avesse lasciato dall’altra parte del mondo con sua madre.   

A volte si sente come se fossero un unico corpo, un unico cervello, un unico grosso organo pulsante che si coordina per far funzionare alla perfezione tutti i loro bisogni, i loro pensieri, i loro desideri.  

Josuke ha messo in pausa il videogame a cui lui e Jolyne stanno giocando da almeno un’ora e mezza; Giorno non ha mai avuto interesse per questo genere di passatempi, ma loro non fanno altro che ricordargli che lui ha la camera più grande delle loro, ed il televisore con più pollici e con la migliore risoluzione, quindi alla fine si presentano di fronte la porta di casa sua con la console, i controller ed i vari dischi per mettersi comodi sul divano della sua stanza.  

Giorno lo fissa senza capire: ha in mano un roditore morto che ha lasciato scongelare durante la notte, e sta per dare al suo pitone reale il suo pasto settimanale. “Cosa?” chiede.  

Josuke fa una smorfia. “Lo sai che odio i rettili, e davvero non voglio vedere quel coso che ingurgita un topo morto” borbotta. “È disgustoso”.  

“Ho scelto quello morto perché pensavo potesse farti più impressione quello vivo” spiega, e Jolyne scoppia a ridere mentre Josuke fa un lamento.  

“Non è questo il punto”.  

Jolyne gli colpisce la spalla, poi gli fa cenno di tornare a concentrarsi sul televisore. “Tu non guardare” gli dice, “ha già dovuto spostare la tartaruga nell’altra stanza per colpa tua”.  

“Testuggine” la corregge Giorno, mentre inserisce la preda nel terrario. “Ed è adorabile, non capisco che fastidio ti dia”.  

Josuke inarca un sopracciglio. “Sai cos’altro sembra adorabile ma non lo è, Giorno? Tu. Sei inquietante , cazzo, potevi scegliere un animale domestico normale”.  

Giorno si stringe nelle spalle. “A papà non piacciono i cani”.  

“Non tocchiamo il discorso tuo padre che non ne usciamo più” dice Jolyne, poi: “papà dice sempre che è fuori di testa”.  

Josuke ride. “Ah be’, detto da zio Jotaro ”.  

Giorno si rende conto che è maleducato farlo, ma non può fare a meno di ridere, mentre Jolyne colpisce il braccio di Josuke con uno schiaffo.   

In realtà Jotaro non è davvero loro zio, ma Giorno ha smesso di cercare di capire quali siano i legami del loro bizzarro albero genealogico anni ed anni fa, quando ha scoperto che il signor Joseph oltre ad essere il padre di Josuke è anche il bisnonno di Jolyne; quindi, alla fine, considera Josuke e Jolyne suoi cugini anche se non lo sono davvero, solo perché sono quasi coetanei e sono cresciuti assieme, e si fa andare bene tutti gli appellativi di parentela che gli hanno insegnato, anche se la metà di questi è sbagliata.  

A interrompere le loro risate è D’Arby, il maggiordomo: bussa due volte contro la porta e “signorino Giorno” dice, “suo padre la richiede nel suo studio”.  

Giorno non ha mai davvero capito che necessità ci sia ad avere un maggiordomo nel ventunesimo secolo, ma a volte suo padre sembra davvero arrivare da un’altra epoca, nel suo modo di ragionare e di comportarsi, quindi ha semplicemente smesso di farsi domande.  

“D’accordo” risponde, senza neanche curarsi di andare ad aprire la porta, perché sta controllando che il suo pitone reale mangi tutto il topo, “digli che sarò subito da lui”.  

Lo studio di suo padre è al secondo piano della villa, ma nell’ala opposta rispetto alla zona con le camere da letto; non è raro che decida di passare le giornate chiuso lì anziché nell’ufficio del suo studio legale con i suoi dipendenti quando deve occuparsi di casi molto lunghi, e questa è una di quelle giornate.  

D’Arby gli apre la porta per farlo entrare e la prima cosa che gli arriva al naso è il pesante odore di chiuso e di umido del legno, poi sospira buttando un’occhiata alle pesanti tende che impediscono alla luce di filtrare dalle finestre.  

“Dovresti smetterla di lavorare al buio, padre”.  

Lui finalmente alza gli occhi dai documenti che stava osservando con estrema attenzione; accanto a lui, alla sua destra, c’è la sua guardia del corpo personale, un tale che si fa chiamare Vanilla Ice, e Giorno si rifiuta da sempre di credere che quello possa essere il suo vero nome.   

“Sciocchezze” sbotta. “Credi di sapere meglio di me, Dio, quale sia il modo migliore per lavorare?”.  

Giorno scuote la testa. “Certo che no” risponde, poi: “perché mi stavi cercando?”.  

Dio si alza in piedi, e Giorno lo conosce da tutta la sua vita, come è da tutta la vita che conosce i suoi parenti Joestar, ma in qualche modo la loro stazza impressionante continua non avere alcun senso per lui, che è alto un dignitosissimo metro e settantacinque; deve alzare il mento per poterlo guardare negli occhi.  

“Volevo sapere se i tuoi amichetti resteranno qui a cena o impareranno un po’ di educazione e torneranno a casa loro, ma viste le figure genitoriali incompetenti non mi stupirei del contrario”.  

Giorno sospira. Si stringe il ponte del naso tra le dita. “Padre”.  

Lui fa uno sbuffo, quasi una risata, come se avesse appena detto una cosa terribilmente comica. “No, certo, non starò qui a ripeterti quanto non mi piaccia che tu abbia simili frequentazioni, cercare di parlarti è davvero inutile-”.  

“Inutile, inutile, inutile, inutile” sussurra a denti stretti.  

“Cosa? Mi fai il verso?”.  

“Non oserei mai, padre”.  

Dio sospira, si porta una mano al petto in una posa teatrale, come se stesse davvero soffrendo terribilmente. “Voi Joestar siete davvero ottusi, e sfacciati, e mi dispiace che questa piaga abbia colpito anche te, che sei il mio figlio preferito” (“Sarei anche l’unico tuo figlio, comunque”), “ma per fortuna da me hai preso tutte le tue altre qualità” conclude, continuando come se non lo avesse nemmeno ascoltato. “Adesso per favore facci sapere se avremo due ospiti per cena, se non ti costa molto – ho chiesto qualcosa di impossibile, forse?”.  

“Certo che no, padre” dice, poi: “sarebbe anche bastato chiedermelo su Whatsapp , comunque”.  

Quello che ricava dalla sua osservazione è un’occhiataccia ed un invito ad uscire dallo studio, quindi Giorno gli augura un buon lavoro, e fa dietrofront per ritornare nella sua stanza.  

Non è che Giorno non vada d’accordo con suo padre; non ha di sicuro un rapporto conflittuale come quello di Jolyne con il proprio, ma non è neanche un palese affetto come tra Josuke e il signor Joseph. Non dubita che suo padre Dio tenga a lui, solo che ha i suoi stravaganti modi di dimostrarlo, ma Giorno non riesce nemmeno ad aspettarsi qualcosa di diverso da un uomo di per sé molto, molto stravagante.  

Quando ha iniziato l’università, gli aveva detto che gli sarebbe piaciuto andare a vivere da solo, e come tanti altri studenti trovarsi casa con altri coinquilini e subirne tutti i pro e i contro che ne sarebbero arrivati; era anche abbastanza sicuro che suo padre potesse considerarla una buona idea, che avrebbe valutato questo suo slancio in maniera del tutto positiva, quindi si era anche già messo a cercare qualche appartamento nella zona più vicina all’università, ed era riuscito a mettersi in contatto con un tale Bruno Bucciarati, che viveva in casa con altre quattro persone, ma a quanto pare stavano cercando un sesto coinquilino.  

Eppure, in maniera del tutto inaspettata, Dio aveva bocciato la sua idea: lo riteneva uno spreco di tempo e di concentrazione, oltre al fatto che, testuali parole, “mio figlio non condividerà il suo spazio vitale con feccia plebea”, qualsiasi cosa volesse dire.  

Quindi, a diciannove anni compiuti la primavera scorsa, Giorno vive ancora in casa con suo padre, e Josuke e Jolyne sono ospiti tollerati ma non sempre ben voluti; Giorno è anche abbastanza sicuro che Dio sappia quello che c’è tra loro, eppure non riesce a togliersi di dosso la sensazione che quello sia l’unico motivo per il quale gli faccia il favore di non cacciarli fuori da Villa Brando, e non la bizzarra parentela che li lega.  

Quando apre la porta per rientrare nella stanza, il suo cervello ci mette poco meno di due secondi a reagire alla scena che si trova di fronte; si chiude l’uscio alle spalle, gira la chiave nella toppa (non che il maggiordomo potrebbe mai osare di entrare senza avere il permesso, ma Giorno è sempre stato un tipo abbastanza scrupoloso).   

“Mio padre vuole sapere se vi fermate anche a cena”.  

Josuke è il primo a rispondere; ci mette comunque un po’, perché ha la lingua incollata alle labbra di Jolyne. “Non posso” dice, leccandosi la bocca lucida. “Ho promesso a mamma che sarei passato a fare la spesa prima di tornare a casa; le servono gli spaghetti di riso”.  

Jolyne si sistema per bene con la testa sopra al suo cuscino con la federa in seta bianca; gli manda un’occhiata un po’ assente da dietro le palpebre socchiuse, poi sospira: “se Josuke non resta non lo faccio neanche io” la sua ultima parola si rompe in un gemito sorpreso, perché Josuke è già tornato a leccare la sua bocca come se aspettare due secondi in più potesse ucciderlo.  

“D’accordo” dice; afferra il suo iPhone ricondizionato dalla scrivania in mogano e manda un messaggio a suo padre per fargli sapere che no, non resteranno a cena, poi si sbottona i pantaloni prima ancora di raggiungerli sul letto.  


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Giorno non si definirebbe un fervido amante dell’attività fisica, però non è neanche mai stato una persona pigra; quando il ritmo delle sue giornate non è duramente scandito dagli orari dei corsi, e quando non è costretto a occupare tutto il suo tempo nello studio di un esame particolarmente complesso, gli piace svegliarsi presto la mattina e andare a fare yoga in giardino, prima ancora di passare in cucina per la colazione, quando l’aria è ancora fredda e umida per la nottata trascorsa. A volte, quando ha bisogno di svuotare la testa, gli piace andare a correre o comunque camminare a passo più svelto possibile, magari nel parco.  

Suo padre ha sempre cercato di convincerlo a fare sport a livello agonistico (nel suo studio, esposti in delle teche di vetro, ha ancora esposti tutti i suoi trofei di football) ma Giorno ha sempre considerato l’attività fisica più come un momento per ritrovare il suo equilibrio interiore, e non gli è mai piaciuto farlo in compagnia; queste motivazioni sono sembrate abbastanza per convincere Dio a comprargli un cavallo in una tenuta distante un paio di ore d’auto da casa loro poiché, a detta sua, l’equitazione è una disciplina decorosa e antica, e non ha niente a che vedere con il suo ridicolo stretching.   

A differenza sua, Josuke e Jolyne hanno un abbonamento annuale in una palestra ben attrezzata in un quartiere lì vicino: ci vanno assieme cercando di incastrarsi con i nuovi turni di lavoro in centrale di Josuke e gli orari di scuola di Jolyne, e quando Giorno non ha granché da fare si prende l’impegno di andare a recuperarli, soprattutto se ci vanno la sera, così poi possono andare a cena fuori assieme.  

Questa è una di quelle sere.  

Giorno ha infilato dei jeans dal lavaggio chiaro ed un maglioncino di filo fucsia con lo scollo a vu, ha messo ai piedi un paio stivaletti in cuoio ed ha recuperato le chiavi dell’auto dallo svuota tasche in vetro di Murano dal mobile all’ingresso, poi è uscito dopo aver salutato.  

Ha aspettato in auto solo una decina di minuti prima che Josuke e Jolyne lo raggiungessero, profumati di bagnoschiuma e vestiti col cambio comodo; gli hanno entrambi lasciato un bacio morbido sulla guancia per ringraziarlo, e poi Giorno ha guidato verso quel ristorante giapponese che fa impazzire Josuke.  

“Dietro ha la divisa del lavoro” Jolyne sta litigando con le bacchette; per quanto cerchino di insegnarle come tenerle tra le dita, alla fine si fa sempre portare la forchetta per mangiare il ramen. “Gli ho proposto di fare qualcosa di interessante con le manette, ma ha detto di no”.  

Giorno nasconde un sorriso divertito dietro la mano mentre sposta i suoi occhi su Josuke: lui sbuffa, e sporge le labbra come fa sempre quando è indispettito. “Non posso usare le manette di servizio per questo genere di cose” spiega, poi: “se sei interessata, compriamo quelle adatte”.  

Jolyne ha i capelli raccolti in una coda bassa, un po’ morbida, che le serve per evitare che le ciocche le finiscano in bocca mentre mangia.  

È seduta accanto a Josuke, e adesso è girata verso di lui per guardarlo bene in faccia; in questa posizione, con il collo lasciato scoperto, Giorno non ha problemi a vedere un vivido succhiotto sulla sua pelle chiara. L'ultima volta che lo hanno fatto non c’era. “La divisa puoi tenerla, no?”.  

“Perché sei così interessata? Vuoi fare roleplay ?”.  

Giorno mette giù le bacchette per versarsi il sakè. “Voi due lo avete fatto negli spogliatoi, non è forse vero?” si zittiscono di colpo entrambi; le loro espressioni colpevoli sono abbastanza per togliergli ogni dubbio. “Il succhiotto” dice, indicandolo con la punta dell’indice.   

Jolyne si porta il palmo sul collo per coprirlo, come se servisse nasconderlo adesso, ed arrossisce. “Ti dà fastidio?”.  

Giorno sbuffa una risata, prende un sorso di alcolico. “Non se mi raccontate cosa avete fatto”.  

Ha due paia di occhi a fissarlo molto intensamente, adesso. Prende un altro sorso.  

“Sai cosa?” Jolyne si lecca le labbra per pulire la bocca dal brodo, ed incrocia le braccia sul tavolo. “ Tu saresti di sicuro quello cattivo, in un roleplay ”.  

“Io?”.  

Lei annuisce. “Certo: io sarei quella che viene incolpata ingiustamente perché ho dei precedenti comportamentali, ma tu, blondie , tu sei quello che è gentile con tutti e sempre al primo posto per aiutare il prossimo, ma che sa anche come sbarazzarsi di un cadavere, e che ha ucciso a sangue freddo almeno un paio di persone”.  

Josuke scoppia a ridere, poi: “sexy” commenta.  

Giorno si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio; non ha mai smesso di accennare un sorriso. “E questo perché lo dici?”.  

“Perché a volte sei un tantino possessivo”.  

“Solo con quello che è mio di diritto” afferma, e adesso ha smesso di sorridere, perché non potrebbe essere più serio di così.  

Jolyne non dice niente; Josuke si rilassa con la schiena contro la sedia, ed allunga il braccio su quella di Jolyne, senza distogliere i suoi occhi blu neanche per un attimo. Sta indossando una felpa morbida, ma Giorno riesce ad immaginare senza alcun tipo di problema i suoi muscoli espandersi al di sotto, e vorrebbe essere steso su di lui per poterli sentire pelle contro pelle. “È proprio vero” sussurra, pensieroso. “Il criminale saresti tu”.  


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Giorno non sarebbe in grado di dire quando e come sia iniziata; se scava nella memoria più in fondo che riesce, non è in grado di trovare un periodo in cui lui e i suoi cugini non si siano scambiati baci segreti, di nascosto da occhi estranei, con una naturalezza che assocerebbe al respirare.  

Ricorda però la prima volta che hanno chiesto a Jolyne di poterla vedere senza reggiseno: erano nella casa di vacanza al mare, e Giorno aveva passato una settimana intera a cercare di non ritrovarsi duro ogni volta che i suoi capezzoli le si indurivano sotto la stoffa sottile del costume, quando aveva la pelle d’oca dopo il bagno. Quella è stata anche la prima volta che glieli hanno leccati, e succhiati, e Giorno ha stampato a fuoco nel cervello il sapore di sale della sua pelle, che ha ritrovato anche tra le sue cosce qualche giorno dopo, quando Jolyne li ha implorati di toccarla.  

Ricorda anche la loro prima volta: Josuke stava per compiere diciotto anni, e lui e Jolyne erano disperati perché non avevano idea di cosa regalargli; non avevano accesso libero alle carte di credito dei loro genitori, e qualsiasi cosa valesse la pena di essere comprata costava troppo, mentre il resto era davvero troppo impersonale. Era stato per questo che a meno di ventiquattr’ore dal compleanno, Jolyne lo aveva guardato negli occhi e gli aveva detto: “dovremmo regalargli la nostra verginità”.  

La sua prima reazione era stata ridere, ma lei era rimasta mortalmente seria, e dopo qualche secondo Giorno si era ritrovato a pensare che non ci sarebbe potuto essere nessun altro regalo più simbolico, più prezioso di quello.  

Di quella notte non ricorda tutto, perché aveva bevuto un po’ più del dovuto per ammorbidire la sua ansia, e la sua aspettativa, ma ricorda di aver leccato e succhiato il clitoride di Jolyne come se ne valesse della sua stessa vita per aiutarla a sopportare il dolore iniziale della penetrazione, con le sue mani strette nei capelli e i loro gemiti che gli facevano vibrare i timpani; ricorda la voce bollente di Josuke contro il suo orecchio che gli diceva di rilassarsi, mentre era dentro di lui e sentiva la metà inferiore del suo corpo spaccarsi, e quattro paio di mani carezzargli le guance e le tempie sudate.  
 

Il suo king size bed è l’unico che riesca ad accoglierli tutti e tre senza che debbano obbligarsi a stare scomodi.  

All'inizio, la sua stanza era occupata da un normale letto singolo, ma visti gli sviluppi della loro relazione Giorno si è trovato costretto a dire a suo padre che avrebbe voluto un letto da almeno due piazze e mezza: Dio l’aveva guardato per diversi secondi in silenzio, con la sua classica occhiata dura e glaciale, poi aveva annuito e “era l’ora che ti decidessi a vivere in uno spazio degno della tua persona”.  

Quindi adesso sono abbracciati, occupando la parte centrale del suo letto a baldacchino. Giorno si è sistemato contro il petto di Josuke, e Jolyne gli carezza lentamente la schiena con le estremità delle sue unghie lunghe, provocandogli un brivido di tanto in tanto.  

Josuke ha appena smesso di baciarlo: con dolcezza, con la sua bocca meravigliosa schiusa, carezzandogli i capelli con la punta delle dita, e anche se Giorno ha l’abitudine di fissare con insistenza le persone e tutto ciò che gli stia intorno per non lasciarsi sfuggire nulla, adesso tiene gli occhi socchiusi.  

Gli tornano in mente i pomeriggi passati a scuola, durante gli incontri tra i genitori e gli insegnanti; Dio è sempre stato un uomo estremamente impegnato col suo lavoro, ma non ha mai perso una sola delle occasioni per sentire il parere dei suoi professori: Giorno ricorda l’orgoglio nel suo sguardo tutte le volte che elogiavano le sue grandi doti di leadership, e del resto non potrebbe essere più vero. È stato anche eletto rappresentante degli studenti gli ultimi tre anni di superiori, ed è piuttosto sicuro di aver lasciato una impronta duratura su chiunque abbia incrociato il suo cammino (che sia positiva o meno, non fa differenza: Oscar Wilde diceva che l’unica cosa peggiore del far parlare di sé è il non far parlare di sé, e Giorno crede in queste parole con tutto il suo profondo essere).  

Ha sempre avuto una profonda e spiccata passione per il controllo, e forse in un certo senso è anche merito (colpa?) dell’esempio che gli ha dato suo padre; fin ora non ha mai avuto alcun motivo di pentirsene, però con Josuke e Jolyne a volte gli piace anche che sia così: che sia lui ad affidarsi, a lasciarsi trascinare, a lasciare che siano loro a decidere per lui e per tutto quello che sarà di lui.  

Alza la testa dal petto di Josuke dopo averci lasciato un bacio; incrocia prima i suoi occhi blu e poi quelli verdi di Jolyne. “Lo sapete che non vi lascerò mai andare, vero?”.  

Josuke arrossisce, borbottando qualcosa sul fatto che non può dire certe cose dal nulla; Jolyne accenna un sorriso ed annuisce, e “sarà meglio per te” dice, prima di sporgersi per baciarlo.  

Si lascia baciare e ricambia la dolcezza che Jolyne gli sta facendo scivolare nella gola, ma è sicuro che nessuno dei due abbia capito davvero la serietà che c’è dietro le sue parole: si abbandonerà sempre nelle loro mani, ma non permetterà mai che trovino un motivo per lasciarlo andare.  

Giorno non ha mai permesso che qualcosa sfuggisse al suo controllo, né ha mai ottenuto meno di ciò che abbia desiderato: non inizierà adesso.  

   
 
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