Libri > L'Attraversaspecchi
Segui la storia  |       
Autore: Jeremymarsh    03/02/2022    4 recensioni
Una volta si erano ripromessi di affrontare ogni cosa insieme, ma poi lui le aveva lasciato la mano, abbandonandola di nuovo.
Ora lei lo ha ritrovato e riportato nel Dritto, incurante delle conseguenze, ma si renderà conto che la parte più difficile deve ancora arrivare.
Ofelia e Thorn scopriranno che prima di amarsi, prima di cominciare quella vita tanto agognata, dovranno trovare il coraggio per affrontare ciò che sono diventati. Eppure nemmeno quello avrà importanza, se prima non impareranno a condividere i rimorsi e le proprie paure.
Scopriranno che l’unico modo per curare le ferite e colmare i vuoti sarà affidarsi all’altro e cominciare un nuovo viaggio insieme.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lettera

 

Quel tardo mattino il piccolo appartamento al piano terra era più disordinato e movimentato del solito.

La mobilia fremeva d’ansia e di energia mal distribuita, le stoviglie chiacchieravano incessantemente come a voler consigliare un abitante in particolare e i pezzi di carta stropicciati, pieni di inchiostro ormai sprecato, sguazzavano per terra come pesci senza acqua. Infine, la sciarpa sbuffava e si annodava, schiaffeggiando con vigore la sua amica di sempre a intermittenza per renderle chiaro quanto il suo umore non le andasse a genio.

Il motivo di tanto trambusto era infatti l’ansia e l’indecisione di Ofelia che quel giorno aveva deciso di portare a termine un compito che da tempo rimandava: scrivere una lettera ai genitori.

Il fatto che attorno a lei vigesse il caos, però, dimostrava che niente stava andando come avrebbe voluto e l’esasperazione aveva influenzato ogni oggetto in quello spazio, prima fra tutti la sciarpa che quasi la strozzava nel tentativo di colpirla.

Il tutto, ovviamente, stava mettendo a dura prova i nervi saldi — e gli artigli — di un certo ex-intendente che era sul punto di prendere delle forbici e sminuzzare la sciarpa colpevole nei confronti della moglie. In realtà, a ben dire, Thorn avrebbe già volentieri distrutto quell’ammasso uniforme di lana colorata se non fosse che le forbici da cucina facevano parte di quel gruppo di stoviglie che stava cercando di consigliare Ofelia. Si agitavano così tanto che l’uomo aveva ormai capito che, a meno che non avrebbe voluto ritrovarsi con qualche falange in meno, doveva rinunciare ad afferrarle. Aveva dunque preferito continuare a osservare quell’indumento pestifero con due occhi gelidi ridotti a fessure mentre, contemporaneamente, elencava nella mente tutti gli altri modi in cui avrebbe potuto finirla.

L’immagine paradisiaca di un mondo senza sciarpa, però, gli sembrava troppo bella per essere vera e aveva abbandonato quella fantasia quasi subito perché lui era un uomo pratico e razionale che non si lasciava andare a sogni irrealizzabili.

Ma quello scenario li riportava, soprattutto, a una figura incurvata sulla piccola scrivania in legno al centro del salotto.

Ofelia continuava a fissare il foglio di fronte a sé come se si aspettasse di ricevere un segno divino dagli antenati. Aveva la penna alzata a metà e, accanto, il calamaio che continuava a danzare da un posto all’altro, lasciando schizzi di inchiostro un po’ ovunque nel tentativo di dimostrare il suo entusiasmo e la voglia di essere messo a lavoro. Era ormai il quinto che la giovane utilizzava — gli altri, ormai spenti e delusi, si erano suicidati tempo addietro e giacevano a terra insieme alla carta stropicciata e sporca — e il marito si chiese dove avesse nascosto quella scorta fino a quel giorno e quanto ancora sarebbe durata quella pantomima.

“Hmph,” sbuffò Ofelia. “Abbiamo deciso che ‘Cari mamma e papà,’ è perfetto come inizio, giusto?” gli chiese tutto d’un tratto.

“No,” rispose perentorio Thorn. “Continuo a essere dell’idea che un ‘Egregio signor Padre e signora Madre’ sia una formula più adatta al tipo di missiva che vuoi inviare.”

Ofelia sbuffò ancora. “È troppo formale, Thorn, te l’ho già detto! Se scrivessi così mia madre si accorgerebbe subito che qualcosa non va e noi non vogliamo suscitare dubbi non necessari, vero? Già l’intera situazione è ingestibile così com’è.” Si spostò un ciuffo ribelle dagli occhi e, inavvertitamente, lo macchiò dell’inchiostro in più rimasto sui guanti metallici.

L’uomo fece una smorfia, come se solo l’idea di utilizzare una formula così poco aggraziata come quella scelta da Ofelia fosse inconcepibile. “Per lo meno, considera invertire i due nomi,” concesse infine. Non voleva nemmeno pronunciare le parole ‘mamma’ o ‘papà’ per quanto inappropriate.

Di rimando, Ofelia rabbrividì. Se avesse davvero fatto come il marito le suggeriva, avrebbe solo scatenato l’ira della madre. Non voleva nemmeno immaginare che cosa avrebbe urlato se, dopo più di due anni, avesse finalmente ricevuto una lettera dalla figlia e quella cominciasse con ‘Cari papà e mamma’.

“Bene,” proruppe di nuovo Thorn, anche se nulla andava bene, “per lo meno abbiamo deciso di utilizzare questa formula? Possiamo proseguire?” Era già da un’ora che la donna andava avanti così solo per scegliere l’intro della sua lettera e lui, abituato a svolgere il tutto in tutt’altro modo, sentiva l’esasperazione aumentare di secondo in secondo. E infatti, in parte era anche lui colpevole dell’agitazione dell’intero appartamento, sebbene il suo animismo non facesse guai quanto quello della moglie.

“Ehm… ecco,” provò a dire Ofelia, mordendosi un’altra pellicina del labbro inferiore e ritraendosi di scatto a causa dell’ennesimo schiaffo della sciarpa.

Thorn spostò allora il suo sguardo gelido verso di lei e la sfidò a dire che era ancora indecisa. Ofelia sussultò e si affrettò ad annuire. “Sì, certo, va bene; possiamo andare avanti.”

“Bene,” ripeté lui. “Ora, credo che sia doveroso proseguire con una frase che esprima tutto il tuo pentimento e dispiacere per avere fatto preoccupare i tuoi genitori ed essere stata la causa del loro struggimento interiore. Se ti mostri sufficientemente affranta ci sono più possibilità che tua madre ne rimanga così colpita da dimenticarsi, per il momento, di tutto il rancore che sicuramente ora prova a causa della tua assenza.” Ofelia era convinta che niente e nessuno avrebbero fatto dimenticare a sua madre di come la figlia degenere era scomparsa per due anni, ma lo fece comunque continuare. “Introdurrei il problema con ‘comincio questa mia missiva mandandovi le mie sentite scuse per la condotta deplorevole che ho condotto sino a questo momento e-”

“Thorn!” esclamò lei, interrompendolo.

“Cosa?” volle sapere il marito. “Non ti sembra adeguato? Hai ragione, forse non è il miglior modo per cominciare. Sarebbe meglio ‘chiedendo venia per-”

“No, Thorn!” lo interruppe ancora, poggiando sulla scrivania la penna e girandosi a guardarlo, allibita. “Non posso scrivere nulla del genere; non ho mai parlato in questo modo. Se cominciassi con frasi del genere chiunque riconoscerebbe la tua firma!”

Thorn arcuò un sopracciglio. “Credo che sia alquanto improbabile. Nessuno della tua famiglia è abbastanza familiare con il mio modo di scrivere.”

Lei alzò gli occhi al cielo. “Ma hanno familiarità con il mio! E ti assicuro che cominciassi chiedendo venia, due domande se le farebbero. Inoltre, chiunque ti abbia incontrato almeno una volta può immaginare che è proprio il modo in cui parleresti tu.”

In realtà, se Ofelia avesse davvero scritto qualcosa del genere, la madre e la sorella avrebbero probabilmente pensato che fosse ammattita definitivamente e non avrebbero fatto alcun collegamento con Thorn. Ma era piuttosto buona la sua conoscenza del marito da pensare che chiunque avrebbe subito riconosciuto determinati vocaboli come quelli di Thorn.

“Cercavo di aiutarti ed evitare che questo,” indicò l’ennesimo foglio che si era appallottolato da solo e stava conducendo insieme agli altri una partita di calcio, “andasse avanti ancora per giorni,” sbottò in parte offeso.

A quel punto la donna non resistette più e, guardando l’espressione seria sul volto del marito, scoppiò a ridere. L’intera stanza si immobilizzò e tutti i sentimenti negativi dati dalla frustrazione sparirono. Continuò a ridere di cuore, pensando a quanto fosse carino l’uomo con quell’espressione accigliata dedicata solo a delle palle di carte. Per un attimo, Thorn fu preso in contropiede come ogni oggetto della stanza e non seppe più come comportarsi. Poi la fissò ammaliato, ammirando il modo sereno e libero con cui si stava lasciando andare. Gli angoli delle labbra si incurvarono in su e cercò di ricordare l’ultima volta che l’aveva vista così felice e spensierata. Non ci riuscì; era passato così tanto tempo.

“Oh, Thorn, ha ragione,” gli disse infine, tra un singhiozzo e l’altro dato dalle risate, “hai perfettamente ragione.” Si rigirò ancora verso la scrivania e mise il tappo sul calamaio che tentò inutilmente di scappare. “Credo che per oggi sia abbastanza,” decretò, il tono gioioso.

L’intendente di una volta sarebbe stato oltraggiato da tale risoluzione, soprattutto dopo tutto il tempo sprecato senza concludere niente e perché lui non lasciava mai un compito inconcluso o lo rimandava. Però, il Thorn di oggi, quello che rinasceva giorno dopo giorno a New Babel, lasciò perdere la cosa.

D’altronde, era abbastanza intelligente da constatare quanto quell’attività stesse logorando i nervi di entrambi. Avrebbe preferito mille volte sentire la sua risata cristallina e ammirare quel sorriso luminoso.

Annuì e insieme a lei cominciò a raccogliere ogni pezzo di carta che sovrastava il pavimento del loro soggiorno-cucina.

 

***  

 

Il giorno dopo, di buon’ora, Ofelia decise di chiamare ancora la zia Roseline alla quale aveva promesso di non sparire di nuovo e di tenerla costantemente aggiornata. In più, voleva assicurarla che era sulla buona strada — beh, non proprio buona — per scrivere ai genitori e che, quindi, a breve non avrebbe più dovuto preoccuparsi di ricevere pacchi bomba dalla sorella.

“Ofelia, cara,” esordì una voce squillante che non era quella di Roseline. “Ho immaginato subito fossi tu. L’ho detto a Roseline questa mattina e il mio istinto non sbaglia mai; le ho detto che oggi ci avresti chiamate.”

L’Animista e il marito accanto a lei furono presi alla sprovvista, soprattutto quest’ultimo che improvvisamente sentì il senso di colpa invaderlo.

“B-Berenilde,” rispose Ofelia, schiarendosi poi la voce. “È un piace sentirvi,”

“Oh, ovviamente, cara Ofelia, ovviamente è un piacere,” continuò l’altra come se fosse, per l’appunto, normale che la giovane trovasse piacere nel risentirla. “Quando hai chiamato la prima volta non potevo credere alle mie orecchie; sapessi quanto dolore ci hai causato,” disse ancora portandosi una mano al petto. “Eravamo entrambe così in pena per te! Saremmo venute a trovarti molto prima se non fosse per i mille impegni che ci trattengono e, poi, non volevo imporre alla mia piccola Vittoria un viaggio così lungo ed estenuante. Spero che tu possa capire, cara Ofelia. Sapessi quanto stressante è già la vita qui al Polo ora che molte cose sono cambiate,” sospirò spostandosi la mano alla fronte. “L’ansia che io e tua zia provavamo per te non ha fatto che aumentare il nostro malessere interiore,” aggiunse, apparentemente ignara dell’effetto che quelle parole avevano sul senso di colpa della coppia. “Ma, fortunatamente, questa tua inaspettata chiamata ci ha risollevati tutti d’animo. Persino il signor Archibald che ormai ha più giornate no che altro ha dato subito segni di miglioramento non ha appena ha sentito il tuo nome. Ovviamente, per farlo contento gli abbiamo detto che avevi chiesto di lui; spero non ti dispiaccia, cara Ofelia. Saresti così gentile da mandargli un saluto? Sai che non mi piace mentire, e faresti davvero un’opera di bene ad averlo nel tuo cuore ora che la malattia lo sfinisce giorno dopo giorno.”

Sembrava che il monologo della donna non volesse proprio concludersi e Ofelia non sapeva dove mettere bocca, colpita così com’era dalla valanga di informazioni.

“Ah, ma sarai contenta di sapere che non rischia grandi cose, cara Ofelia. La malattia lo deperisce, ma il medico ci ha assicurato che non morirà tanto presto. Certo giorni mi affliggo per lui, povera anima. Dopo essere stato tagliato dalla Rete ne ha passato di tutte. Però la mia dolce Vittoria gli risolleva ogni giorno l’animo; sarebbe difficile altrimenti visto quanto è preziosa. Non è vero, Ofelia? Certamente concorderai con me,” le disse, nonostante Ofelia non vedesse la propria figlioccia da più di due anni, quasi tre. “Ma ora che anche tu sei resuscitata da questa fase di negazione, Archibald ne sarà sicuramente contento. Inoltre—Ofelia? Cos’è stato quel rumore?”

“Oh, nulla, Berenilde, nulla,” si affrettò a dirle Ofelia mentre lanciava un’occhiataccia al marito colpevole del ringhio che la donna aveva sentito. Evidentemente, la gelosia nei riguardi di Archibald non era stata scalfita da quella provata per il Visionario. A quanto pare, Thorn aveva abbastanza spazio nel suo cuore per odiare entrambi allo stesso modo, anche se forse Archibald meritava di più quel sentimento rispetto a Octavio.

“Avrei giurato di aver sentito un suono… oserei dire… maschile.”

Cosa?” Ofelia sentì chiaramente lo squittio acuto proveniente dalla zia Roseline. “Cara, dai a me questa cornetta, perdindirindina! Hai parlato anche abbastanza,” continuò strappandole il telefono di mano. E Ofelia era sicura glielo avesse strappato, perché in sottofondo sentì anche le due donne litigare per l’oggetto. Alla fine la zia vinse, ma senza uscirne indenne. “Ah, Ofelia, cosa mi tocca sentire! Un uomo? Cosa ci fa un uomo in tua compagnia e senza chaperon? — Oh, insomma, Berenilde! Non posso nemmeno pensare con questo mal di testa! Smettila di fare la bambina.”

Ofelia sbuffò. Quella telefonata continuava da quasi venti minuti e non aveva ancora avuto modo di parlare. Per quanto ancora le due donne avrebbero mandato avanti una conversazione tra loro senza darle spazio? “Zia,” la interruppe, “prima che voi possiate dire altro vi confermo che non c’è nessun uomo con me la cui compagnia possiate giudicare inappropriata.”

Mezza bugia. D’altronde, Thorn era suo marito e la zia non avrebbe dovuto preoccuparsi di nulla.

“Ah, tu non me la racconti giusti, Ofelia. E quel ragazzaccio che continua a darti tanto lavoro da fare? Spero che tu non l’abbia mai incontrato da sola o in luoghi poco consoni al tuo stato,” la redarguì. “Lo sai che queste cose sono importanti, nipotina. Quante volte devo dirtelo?” La giovane Animista immaginava anche l’occhiata di disapprovazione che la zia indossava al momento, accompagnata al tono.

La stessa che le stava lanciando Thorn accanto a lei, al solo pensiero della moglie sola con il Visionario.

“Ma n-no, zia, che dite,” balbettò per un attimo, sotto il peso di quello sguardo. Poi si schiarì la voce. “Pensate che potrei infangare così la buon’anima di mio marito?” esclamò, oltraggiata, e giocando sui sensi di colpa — e non le dispiacque nemmeno, considerando le volte in cui le due dall’altra parte della cornetta avevano utilizzato la stessa tattica su di lei.

La domanda zittì subito Roseline, la quale sussultò come colpita da uno schiaffo — o da una sciarpa particolarmente animata. “Oh, Ofelia, non avrei mai! Oh, certo che no, nipotina mia. Non mi permetterei mai.”

“Oh, no, zia, non aggiungete altro,” continuò la ragazza, tirando su con il naso per finta, “non vorrei portare avanti l’argomento.” Thorn la guardò ancora con disapprovazione.

“Certo, Ofelia, cara, ma certo. Ne hai già passate tante e ora ti sento così rinvigorita. Sentire la tua voce più gioiosa è come un balsamo per la mia anima — non quello che Gertrude, la figlia della cugina Penelope, si ostina a utilizzare ancora. Non vuole proprio capire che con quello sporco nido di uccelli che si ritrova in testa nemmeno i fantastici esperimenti del cugino Geremia avrebbero mai effetto.” Ofelia alzò gli occhi al cielo e si chiese quanto ancora sarebbe durata. “Ma non preoccuparti, non riaprirò l’argomento, soprattutto ora che sembra tu abbia po’ superato la cosa.”

La giovane digrignò i denti e ricordò che la zia era ancora convinta che Thorn fosse disperso e, per quanto ne sapessero gli altri, morto.

“Grazie, zia,” annuì nonostante tutto. “E mi rallegra sapere che anche voi state bene — voi e Berenilde, ovviamente.” E prima che Roseline potesse cominciare l’ennesimo discorso strappalacrime su quanto fosse lieta di risentirla più felice, aggiunse: “Oltre a farvi avere mie notizie come vi avevo promesso l’ultima volta, la mia chiamata ha anche un altro scopo.”

“Oh? Cosa mai sarà successo?”

“Ho cominciato a scrivere ai miei genitori. Non appena la mia lettera sarà pronta, la spedirò da voi al Polo. Spero che vogliate farmi il favore di mandarla ad Anima da lì e di non essere un peso.”

“Ofelia,” cominciò la zia con tono più ferreo di prima, quello che di solito utilizzava quando voleva riprenderla. “Non voglio sentirti dire che sei un peso, è chiaro? Non ti racconto mica di tua madre per farti sentire in colpa. Per chi mi hai preso?” sbottò, oltraggiata.

Ma per quanto dicesse, Ofelia era sempre convinta che sia Roseline che Berenilde volessero farla sentire un po’ in colpa. Ciò nonostante, apprezzò quanto detto. “Va bene, zia, mi dispiace avervi offesa.”

“Quisquilie! Ora, sono molto contenta di sentire che stai scrivendo ai tuoi genitori. Cos’altro mi racconti? Stai respirando aria pulita? Sei ancora in quella vecchia causa opprimente e cupa? Quando ti deciderai a tornare al Polo?”

Alzò di nuovo gli occhi al cielo e ponderò se fosse saggio rivelare alla zia del suo trasferimento senza farsi scappare altro. “Faccio lunghe passeggiate ogni giorno, zia,”

“Bene, bene, mi fa piacere. Hai almeno un’accompagnatrice? Mi duole il cuore pensarti tutta sola laggiù. Se ora fossi qui al Polo potremmo farle insieme.” Sospirò.

“Ci penserò, zia,” tagliò corto Ofelia che ormai stava cominciando a scocciarsi. Thorn, lì accanto, ci aveva già rinunciato. “Ora devo lasciarvi: il lavoro mi chiama e sì,” aggiunse prima che Roseline potesse raccomandarle di chiedere a Octavio di ridurle il carico, “parlerò con il mio amico per poter lavorare di meno. Buona giornata; saluti anche a Berenilde.”

Posata la cornetta, emise un lungo sospiro esasperato e afflosciò le spalle, come se la telefonata l’avesse stancata anche fisicamente — com’era vero, d’altronde.

“Deve andare per forza così ogni volta che chiami tua zia?” chiese Thorn, altrettanto esasperato.

Ofelia scoppiò a ridere nonostante tutto, poi fece spallucce. “Almeno adesso siamo ancora in due arche separate. Pensa a quando torneremo al Polo,” scherzò.

Non avevano ancora parlato della cosa né sapevano quando sarebbe accaduto, ma erano consci del fatto che prima o poi il momento sarebbe arrivato.

Non avrebbero potuto continuare a scappare dai loro parenti per sempre.

 

*** 

 

Da quando si erano trasferiti, Thorn aveva continuato a insistere nel darle un mano laddove possibile, nonostante non fosse per nulla abituato a compiere certi compiti. Il più volte l’aiuto glielo dava in cucina ma, a differenza di quella che avevano nella vecchia casa di Lazarus, questa nuova era molto piccola e spesso e volentieri i due sposi finivano per scontrarsi. Il corpo dell’uomo, infatti, per quanto magro, risultava sempre un po’ ingombrante — non che a Ofelia dispiacesse davvero scontrarsi con lui. In realtà, apprezzava il fatto che non si ritraesse, ma cercasse sempre di più il contatto.

Era così appagante vivere quella nuova vita e, talvolta, si chiedeva quale sarebbe stato il prossimo passo. Dentro di sé aveva qualche speranza, ma non osava contemplarla troppo per paura di rimanere delusa. Non sapeva quando certe cose sarebbe successe, per quante volte potesse sognarle o immaginarle.

Una di quelle sere, Thorn e Ofelia avevano le braccia affondate nell’acqua piena di schiuma e, per disappunto di lui, molta era finita anche addosso a loro, bagnandoli dalla testa ai piedi. A un certo punto, l’Animista ci aveva anche preso gusto e aveva aumentato il numero degli incidenti, consapevole che, a parte qualche occhiataccia, il marito non si sarebbe lamentato poi troppo. Stava giusto ridendo di cuore alla vista dei suoi ciuffi biondi bagnati e quegli occhi di ghiaccio che cercavano di ammonirla, quando accadde.

Thorn si immobilizzò di nuovo nel vederla ridere di gusto e trattenne il fiato, godendosi quella vista. Poi, come colto da un fulmine, il suo corpo si piegò e un attimo dopo la stava baciando. Chiuse gli occhi e premette saldamente le sue labbra fredde contro quelle calde e semiaperte di lei, pregando che quel suo gesto avventato avesse un riscontro migliore del loro primo bacio.

E mentre riversava tutto il sentimento che provava per la moglie in quel contatto e ripensava ad eventi che sembravano vecchi di secoli, Ofelia rimaneva paralizzata.

Non era oltraggiata né arrabbiata, solo scioccata.

Fino a quel momento, era sempre stata lei a fare il primo passo, a spronare Thorn ad aprirsi, a dimostrargli quanto ci tenesse ad aiutarlo e a guarirlo, ad abbracciarlo. E aveva avuto dannatamente paura di fare proprio questo passo. Era una cosa così grande, come poteva sapere in che modo avrebbe reagito lui? Era pronto per passare a questo livello di intimità? Quelle domande l’avevano assillata e fatta desistere così tante volte. E invece…

E, invece, ora a sentire quelle labbra sulle sue in modo così inaspettato fu presa dal panico, tanto da non accorgersi nemmeno qual era l’effetto di quella sua immobilità sul marito.

In tutto erano passati solo un paio di secondi.

Proprio nel momento in cui Thorn, affranto e con una nuova cicatrice sul cuore, stava per allontanarsi da lei, le dita metalliche di Ofelia si strinsero a pugno sulla sua camicia bianca e ormai bagnata. Strinse la presa con una mano, costringendolo a piegarsi ancora di più verso di lei, e ricambiò il bacio. Le sue labbra premettero con altrettanta pressione su quelle di lui, mentre la sinistra si alzava e andava a nascondersi nei suoi ciuffi chiari.

Fu la volta di Thorn di restare paralizzato, ma si riprese quasi subito, rincuorato dalla risposta di lei, portando entrambe le braccia alla vita di Ofelia e avvicinando di più i loro corpi. A quel punto, non c’era più spazio tra di loro e quel contatto — quasi — completo riportò alla loro mente così tanti dolci ricordi che sperarono di non doversi più separare.

Schiudendo leggermente la bocca, Ofelia cercò di approfondire il bacio, testando prima la reazione di lui. Nel giro di pochi secondi, divenne molto di più: le loro lingue si incontrarono, i respiri si mischiarono e i battiti accelerarono.

Quando, senza fiato, i due furono costretti a rompere il contatto, Ofelia sentì la voglia di scoppiare nuovamente a ridere per la felicità. Il suo sorriso ampio, però, mentre Thorn le scostava dolcemente un ricciolo bruno dalla fronte, parlava da solo.

L’uomo ricambiò il sorriso e tra sé e sé e pensò che, dopo tutto, quel bacio si era rivelato nettamente migliore di quello che le aveva rubato la prima volta.

Decisamente migliore.

 


N/A: Un paio di appunti per questo capitolo:

  • Non posso sapere con certezza in che modo Ofelia scrive le proprie lettere ai genitori perché sono sicura che non ci viene mostrato nella saga. Ho provato a ricercare il passaggio in cui è la sorella o la madre a scriverle, ma non l’ho ritrovato. Quindi per qualsiasi errore perdonatemi. Penso di essere andata comunque sul sicuro dicendo che Thorn scriverebbe una lettera molto più formale di Ofelia.
  • E rimanendo sul tema della formalità, c’è la questione del ‘voi’ usato praticamente con tutti nella traduzione italiana. Avrete ormai notato al capitolo 12 che non l’ho usato in questa mia storia finora se non nel capitolo in cui Ofelia chiama la zia, nemmeno con Octavio. Ho intenzione di lasciare le cose così per quel che riguarda i due e gli amici stretti — se Octavio ora non può considerarsi tale, non so cos’altro è —, ma probabilmente continuerò a utilizzare la seconda persona plurale per membri della famiglia e persone più estranee.
  • Sempre io che non ritrovo mai il punto esatto in un libro quando lo cerco, se la memoria non mi inganna sulla malattia di Archibald l’autrice è stata abbastanza vaga. Da qui, quindi, ho deciso che Archibald non morirà in questa storia — l’angst data da questi due ‘piccioncini’ credo sia abbastanza —, quindi mi sono limitata a dire che la malattia lo debilita molto. Lo incontreremo sicuramente in capitoli successivi — no, non vi dico quando — e probabilmente troverò il modo di affrontare meglio questo punto.

E credo sia tutto! Non sapete che difficoltà scrivere questo bacio tra loro; ne ho avuta meno nello scrivere smut in altre storie 🤣. Quindi spero vi sia piaciuto nel complesso e vogliate farmelo sapere! Apprezzo sempre ogni vostro commento e osservazione che mi fate ^^.

Eh, sì, siamo a buon punto se non l’avete ancora capito. Ora corro a concludere il prossimo. A prestissimo!

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > L'Attraversaspecchi / Vai alla pagina dell'autore: Jeremymarsh