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Autore: Kaiyoko Hyorin    04/02/2022    2 recensioni
Ciao a tutti! Questa doveva essere una raccolta di One-shot ma, dopo aver realizzato la verità, è diventata una raccolta di capitoli in stile Slice-of-Life che tratta un piccolo sequel del finale alternativo della mia fanfic "Lo Hobbit, un amore inaspettato". Se sapete di cosa sto parlando allora meglio così, altrimenti consiglio di leggervi almeno l'ultimo capitolo della suddetta (Finale Alternativo) perché altrimenti potreste non capire cosa state leggendo. Detto ciò, auguro buona lettura a tutti, nostalgici e non, della coppia Thorin/Kat.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lo Hobbit'
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IL PULEDRO IMPENNATO


 


– Ehi, Thorin! Ultimamente ti si vede spesso!

La gioviale voce da baritono del proprietario del locale la fece voltare di slancio verso la porta aperta, appena in tempo per vedere la figura dell’uomo stagliarsi contro il vano dell’ingresso. Immediatamente il cuore di Kat accelerò i battiti, come ogni volta, e dovette sforzarsi per evitare al nervosismo di trapelare mentre gli andava incontro con il menu in mano.

Erano già trascorse due settimane dal loro primo incontro e da quando l’aveva presentata al proprietario di quella locanda, risolvendo in un colpo solo tutti i suoi problemi: aveva trovato un buon posto dove passare la notte ed aveva anche trovato un lavoro per coprire le spese. E che posto!

A quanto pareva, la moglie del proprietario era una fan accanita di Tolkien ed aveva convinto il marito a chiamare la loro locanda “Il Puledro Impennato”. Non avrebbe potuto trovare posto migliore in cui fermarsi per un po’.

Soprattutto per lui, le suggerì maligna la sua vocina interiore.

Thorin le rivolse un mezzo sorriso e lei, proprio in quel momento, non riuscì a coordinare bene i piedi calzanti i pattini a rotelle. Incespicò proprio all’ultimo secondo e, in meno di un battito di ciglia, si ritrovò sorretta fra le braccia dell’uomo a fissarne l’espressione sorpresa ed allarmata.

L’aveva afferrata al volo ed ora la sosteneva dietro la schiena e per le spalle, mentre la fissava con quei suoi occhi di ghiaccio ben spalancati.

Non appena entrambi si resero conto dell’accaduto, Kat avvampò come un peperone e lui le rivolse un altro di quei suoi mezzi sorrisi da infarto.

– Ciao, Kat – la salutò, con una punta d’ironia nella voce calda.

E tutto quel calore minacciò di far divampare in lei un vero e proprio incendio, facendole andare in fiamme il viso delineato di un sorrisetto teso ed ebete.

– Ciao, Thorin. – lo ricambiò istintivamente, tentando di sopprimere tutto il proprio nervosismo – Vuoi un tavolo o ti accomodi al bancone?

– Ti ci metti anche tu adesso? – le chiese lui con un sopracciglio inarcato, scrutandola dall’alto della sua statura mentre la aiutava a tornare dritta sui pattini.

Sembrò sul punto di aggiungere altro quando la voce della moglie del proprietario li interruppe.

– Ecco, hai visto? Te l’avevo detto che quei cosi sono un pericolo! Faglieli togliere, prima che si rompa una gamba anche lei!

Voltandosi entrambi momentaneamente a guardare la coppia di mezza età intenta a discutere dall’altro capo della sala, Kathrine non poté evitare di ridacchiare, grata per quella parentesi comica di cui approfittò per ricomporsi e ritrovare il proprio autocontrollo.

– L’avrà vinta lei anche questa volta, vedrai – commentò Ethan al suo fianco, con un mezzo sorriso divertito e l’aria di chi ha assistito a una scena simile innumerevoli volte.

Kat ridacchiò ancora, troppo presa dal formicolio che il tocco altrui le aveva lasciato sulla pelle, prima di defilarsi con una scusa. Si fiondò in cucina come se ne andasse della propria stessa vita. E, in effetti, era come se il cuore, ogni volta che lo vedeva o si trovava a parlare con lui, tentasse di uscirle dal petto.


 

– Noi andiamo!

– A domani, signor Bilbo!

Il suono della porta che si chiudeva anticipò di netto il rimbrotto del proprietario della locanda.

– Come…? Ah, Fili! Kili! Ma dove…? – l’uomo si asciugò le mani nello strofinaccio, emergendo dalla cucina con espressione accigliata rivolta verso l’ingresso della sala, prima di scuotere la testa e prendere a brontolare – Benedetti ragazzi, non si fermano un minuto! Che fretta avranno mai, dico io… la vita è troppo breve per correre!

Ethan, ormai avvezzo a quel genere di teatrino, tornò alla propria birra, scegliendo di ignorare la vicenda e le stranezze del vecchio proprietario del Puledro e degli avventori abituali del locale: ormai era del tutto certo che gli abitanti del loro piccolo borghetto non solo lo assecondassero, ma lo incoraggiassero pure. Era sicuro di aver sentito il vecchio Bil chiamare qualcuno della comitiva Balin o Dwalin.

Non sapeva come mai, ma la faccenda alle volte, se vi si soffermava troppo a lungo, gli faceva nascere una strana sensazione al petto, così bevve un altro sorso proprio mentre il locandiere finendo di borbottare saliva dietro al bancone al quale era seduto.

– …due giovani scavezzacollo, proprio come lo eri tu alla loro età.

Ed Ethan rivolse a Bil uno sguardo fra il perplesso e l’accigliato… che venne del tutto ignorato.

– D’altro canto, buon sangue non mente: non per niente sono tuoi parenti.

Ah, giusto. La storia del sangue dei Durin.

Come se i giovani Philias e Kyle non fossero soltanto suoi cugini di quarto grado ma i figli di sua sorella. Come se lui, poi, avesse una sorella.

Stava per aprire bocca e replicare quando la porta della cucina tornò ad aprirsi e ne emerse una ragazza dalla ribelle chioma color mogano e l’espressione assorta. Aveva un vassoio in una mano e con passo rapido e misurato attraversò la sala, diretta ad un tavolo a cui erano seduti quattro escursionisti di passaggio.

Ethan la seguì per un brevissimo tratto con lo sguardo, ma qualcuno lo colse comunque in flagrante.

– Che ne dici di provare a uscire dalla tua montagna, Thorin? – commentò Bilbo – O hai paura che la nostra Kat si tramuti in un piccolo drago sputa-fuoco?

Il diretto interessato tornò istantaneamente a guardare il locandiere con un cipiglio che, di per sé, non nascondeva niente, ma che comunque si ostinò a mostrare, per nulla entusiasta di essere stato colto in fallo. Così, dopo un primo momento di confusione mentale, l’unica cosa che il suo cervello partorì fu un tentativo di depistaggio.

– E tu? Come mai non le hai ancora dato un soprannome? – lo punzecchiò – Non dirmi che è troppo difficile.

Ebbe fortuna, o forse un po’ in quegli anni aveva imparato a conoscerlo, perché il vecchio Bilbo si accigliò pensoso e sollevò lo sguardo sulla sua cameriera part-time.

– Be’ be’… – si mise a borbottare fra sé e sé, tornando a lucidare il bicchiere che aveva fra le mani – …ammetto che non ho ancora deciso. È come se non le calzasse alcun personaggio del Maestro… solitamente, mi basta guardarla una persona per capire se ha qualcosa o no… ma lei, lo confesso, ancora non mi ha dato spunto. Ed è un peccato: si vede che fa parte di questo ambiente. L’ho capito dal primo momento in cui ha varcato quella porta. Però, il nome… il nome mi sfugge!

Ethan, come spinto a causa dell’argomento, tornò a cercarla con lo sguardo mentre Bilbo proseguiva il suo monologo riflessivo.

– Ti assicuro, è la prima volta che mi capita…

La ragazza posò l’ultimo piatto sul tavolo e, dopo un gentile augurio, si volse per tornare in cucina.

– È quasi come se non ne avesse uno dall’universo di Arda.

I capelli legati in una coda alta ondeggiavano ad ogni suo passo, il vassoio accostato al fianco. I suoi occhi grigi erano puntati alla sua meta, fieri e decisi.

Gli occhi di una guerriera.

– Come se…

La schiena era dritta, il portamento orgoglioso tipico di chi cerca di darsi un contegno.

L’orgoglio di una Figlia di Durin.

– Come se non potesse essere altri che…

– Katla.

Quel nome gli uscì spontaneo dalle labbra, nato da un pensiero astratto ed inafferrabile, o forse un’eco di una vita mai vissuta, e quasi non se ne rese conto. Quasi, perché il locandiere invece lo colse perfettamente.

– Katla? – ripeté.

Ed in quel momento esatto, Kat, che era già arrivata alla porta della cucina a lato del bancone al quale Ethan era seduto, si arrestò di colpo, voltandosi a guardarli.

Ma che…?

– Sì? – chiese ingenuamente.

Come i suoi occhi incrociarono quelli di lui, Ethan serrò la presa sul boccale che teneva di fronte a sé, per combattere l’impulso che violento gli salì dalla bocca dello stomaco. Non era la prima volta che notava l’offuscarsi di quelle sue iridi solitamente limpide, ma quella volta riuscì a distinguere chiaramente l’ombra che in un istante era calata dietro di esse: un misto di confusione e rimpianto, talmente profondi da scuoterlo nella parte più recondita del suo animo.

Poi Kat batté le palpebre e quelle infauste emozioni scomparvero, lasciando il posto ad un puro e semplice dubbio.

L’irrazionale bisogno di Ethan di stringerla a sé, per contro, non si attenuò.

– Oh, niente Kat – le disse Bilbo, infrangendo il silenzio e ricalamitando l’attenzione su di sé – Io e Thorin stavamo solo cercando un nome per te: ormai sei parte della Compagnia!

La ragazza allora parve arrossire e, con un sorriso che andava ampliandosi sempre più, spostò lo sguardo dall’uno all’altro con malcelato interesse.

– …e quale? – domandò ancora – La Compagnia dell’Anello o quella di Thorin Scudodiquercia?

Il locandiere da dietro al bancone scoppiò a ridere.

– Ahah! Bella domanda! Tu che rispondi, Thorin?

Ethan tradì un lievissimo sussulto delle spalle, preso alla sprovvista dalla piega della conversazione e, riemergendo a fatica dalle emozioni che lo avevano travolto sino a un attimo prima, cercò di ostentare indifferenza mentre sollevava il boccale per nascondere la propria espressione.

Peccato che il sorso che gli si riversò in gola fu rapido e scarno, tanto che, quando riappoggiò il grosso bicchiere sul bancone, era passato troppo poco tempo perché fosse riuscito a ricomporsi, così deviò lo sguardo corrucciato nella direzione opposta.

– …come se portare una donna a combattere un drago fosse una buona idea – borbottò, imbarazzato.

– Sarebbe l’idea più sensata – ribatté inaspettatamente lei.

Tornando rapido a guardarla, Thorin le vide in volto un sorrisetto orgoglioso ed irriverente, mentre sollevava il mento e drizzava le spalle.

– Solo una donna sarebbe abbastanza forte da affrontare un drago, lo sanno tutti.

Il locandiere rise di nuovo e gli assestò una pacca sulla spalla.

– Be’, eccoti servito! Abbiamo trovato il quindicesimo membro della tua Compagnia, a quanto pare… – affermò soddisfatto come un pascià sulla sua torre di cuscini di seta – Katla, della Compagnia di Thorin Scudodiquercia.

Ethan incassò in silenzio, non riuscendo a reagire. Non sapeva nemmeno dare un nome al suo stato d’animo, sapeva solo che era una miscela di imbarazzo, agitazione, contrarietà, lusinga e qualcos’altro… qualcosa di inafferrabile eppure innegabile. Per questo, ignorando la sensazione di caldo al volto, si limitò a scoccare un’occhiataccia al suo vecchio amico, che ancora se la stava ridendo sotto i baffi mentre fingeva di essere concentrato nella lucidatura dei suoi bicchieri.

Dopodiché rivolse un’occhiata in tralice alla ragazza in questione e colse perfettamente il rossore che le imporporava le gote e le faceva rilucere di riflessi gli occhi chiari, apparentemente più liquidi del solito. Occhi che scomparvero l’istante seguente, giacché quella si profuse in un profondo e artefatto inchino da palcoscenico, degno del set di un film.

Un inchino rivolto proprio a lui.

– Katla, figlia di Hekla – si presentò, sorprendentemente – Al vostro servizio, Re sotto la Montagna!

E mentre tornava dritta a guardarlo, Ethan avvertì una sensazione talmente intensa di deja-vù da lasciarlo stordito per una manciata di secondi. Tempo sufficiente perché Kat, dopo una rapida piroetta su sé stessa, si defilasse nelle cucine senza più incrociare il suo sguardo attonito.

Ethan stava ancora guardando la porta ondeggiare sui cardini quando Bilbo tornò a parlare.

– Non c’è di ché.

La risposta ad un ringraziamento mai formulato lo aiutò a tornare presente a sé stesso ed alla realtà che lo circondava, abbastanza da tornare a guardare il locandiere con sguardo torvo. Quindi, scegliendo di ignorare i sottintesi di quanto appena accaduto, fece scivolare il proprio boccale vuoto sul bancone.

– Zitto e versami un’altra birra. 

   
 
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