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Autore: laurelleghuleh    05/02/2022    3 recensioni
​​"​​A Kei di Keiji piacciono le mani, perché sa che lui se le odia."
Una AkaTsukki? Una BokuAkaKuroTsuki? Una BokuAka mista ad una KuroTsuki? Chi può dirlo. A voi la più assoluta e libera interpretazione.
[possibili spoiler post-time skip]
Genere: Hurt/Comfort, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto, Tetsurou Kuroo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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A Kei di Keiji piacciono le mani, perché sa che lui se le odia. 

Per San Valentino una ragazza gli ha fatto recapitare tramite Yamaguchi un cioccolatino a tema e dentro un biglietto rosso recitava qualcosa tipo che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Secondo Kei era una cazzata grossa come una casa, una fesseria bella e buona, ma se proprio uno specchio dell’anima c’è allora quello di Keiji Akaashi sono le mani. Il suo volto resta impassibile e disteso, i suoi occhi calmi, come l’azzurro del mare piatto dopo la tempesta, il peggio sembra passato ma poi lui le mani se le nasconde dietro la schiena, le contorce e ne tira la pelle fino al sangue, fino alle ossa. 

A Kei invece di sé stesso piace il modo con cui è riuscito a convincere tutti del suo apparente menefreghismo. Nulla lo tange. In fondo come potrebbe mai raggiungerlo, alto com’è. Una cazzata grossa come una casa, una fesseria bella e buona anche questa. Il centrale del Karasuno è un attento lettore fuori e dentro il campo. Sa perfettamente dove andrà a segno la palla quando vola oltre la rete e sa perfettamente dove si ficcheranno le parole degli altri quando lo ammoniscono per quella sua artificiosa apatia. Potrebbe controbattere e rispondere a tono, pararle entrambe, ma sarebbe uno sforzo inutile. 

Autosabotaggi a parte, l’acume gli resta e ad uno come Kei, a cui poco o nulla sfugge, un dettaglio come quel cruore scuro a contrasto con la pelle diafana ed immacolata di Keiji non può che saltare all’occhio. Per questo - e un’altra valanga di buoni motivi - a quel San Valentino, il biglietto, con cioccolato e scatola annessi, era finito in mille pezzi, disintegrato e dimenticato tra il pattume. 

Il rosso è un colore che Kei non riesce più a sopportare. Lo detesta. E’ l’allarme, il grido d’aiuto che Keiji silenziosamente emette quando è allo stremo delle sue forze. Picchietta timidamente con le nocche insanguinate contro quello specchio che si impone tra sè e il resto del mondo, è insonorizzato e dall’altra parte nessuno lo sente. Ma Kei lo vede. Adesso non riesce più a fare a meno di vederlo e la cosa lo destabilizza. Lo destabilizza e tange profondamente, in un punto nascosto sotto quel cumulo di cinismo che si porta sempre appresso. 

Al training camp dell’ultimo anno quella cosa di torturarsi di nascosto fino al midollo gliel’aveva vista fare quattro volte. Se le ricorda a memoria, ricorda ognuna di quelle che tipo di solco ha scavato, e fino a dove sulla sua pelle si sono spinte. E per ognuna ricorda anche di essersi puntualmente ripromesso di fare qualcosa alla successiva. Alla prima sarebbe stato imbarazzante. Alla seconda troppo invadente. Alla terza quel Kuroo Tetsuro del Nekoma, che non lo lasciava mai in pace, lo aveva distratto di nuovo. Alla quarta Bokuto Kotaro, il capitano di Keiji, lo aveva stritolato in un abbraccio improvviso e trascinato via negli spogliatoi con sè. 

La prossima, la prossima, si era ripetuto Kei. Sì, la prossima cosa? Cosa faccio la prossima volta? Ma arrivato l'asso del Fukurodani, Akaashi non si era più toccato e il ritiro estivo era finito.

Sul pullman di ritorno verso Miyagi, per tutti quei 300 e passa km, il centrale del Karasuno si era rivisto la scena in testa altre mille volte. Alla prima si sarebbe avvicinato e gli avrebbe detto qualcosa, qualcosa di completamente casuale, giusto per riportarlo con i piedi per terra. Magari si sarebbe lamentato dell’invadenza del capitano del Nekoma e Keiji si sarebbe focalizzato ad ascoltarlo, lo avrebbe un po’ compatito e gli avrebbe detto che purtroppo Kuroo-san è fatto così. Alla seconda gli si sarebbe fatto di fianco di nuovo, ma questa volta sarebbe rimasto in assoluto silenzio, con le labbra premute in una dura linea sottile, come in un tacito ammonimento, Ti ho visto, ti prego fermati. Alla terza gli avrebbe semplicemente passato un fazzoletto o un asciugamano tiepido per tamponarsi. Alla quarta gli avrebbe afferrato le mani, gliele avrebbe nascoste tra le sue, gliele avrebbe rubate e gli avrebbe dato il tempo di placare quella marea di pensieri che lo stava travolgendo e che lui cercava disperatamente di graffiarsi via dalla pelle. Gli avrebbe detto che poteva dirli a lui invece di tenerseli dentro. 

Kei quell’estate a Saitama non fece nulla di tutto ciò, come avrebbe potuto? Lui lì non c’entrava niente, non era il suo posto quello al fianco di uno tutto d’un pezzo come il senpai Keiji Akaashi. Che spreco starci anche solo a ripensare. Visto? Uno sforzo inutile anche quello. 

 

***

 

Un anno dopo, al training camp successivo, Kuroo e Bokuto non ci sono. Il diploma se li è portati via, catapultandoli chi all’università chi in una squadra di professionisti, troppi km più in là che sembrano letteralmente un universo parallelo. Non ci sono e il vuoto che si sono lasciati alle spalle è assordante e impossibile da riempire. Nulla terrebbe il confronto.

A Kei e Keiji le orecchie pulsano e si tappano come in preda alle conseguenze di un’altitudine improvvisa. Nel bel mezzo nella pianura del Kanto, a poco più di venti metri dal mare, però, quella reazione non ha alcuna spiegazione logica. Dopo tutto, quando mai i sentimenti ne hanno avuta una.

Durante quel torrido luglio nella prefettura di Saitama, i due ragazzi si ritrovano con quegli stessi inspiegabili sintomi e ogni giorno i loro corpi in silenzio si attraggono, si cercano tra la folla, a mensa o dopo gli allenamenti, alla ricerca disperata l’uno dell’altro e di un antidoto miracoloso per quel fastidioso fischio che sentono. Non si dicono molto, in fondo non serve, sanno entrambi perché lo fanno. Quella sofferenza, se condivisa, sembra un po’ meno amara.

Il venerdì sera, ormai sul finire del training camp, le palestre si sono svuotate e in giro restano solo Kei e Keiji. Sotto la timida luce degli spogliatoi si sono trattenuti per scambiarsi quattro chiacchiere in santa pace, lontani dal caos dei loro coetanei che alle volte a loro due sembrano completi estranei. Non potrebbero mai capire. 

Parlano del più e del meno, un po’ di tutto, ma proprio tutto tranne che di quei due nomi impronunciabili. Rimangono ad entrambi sulla punta della lingua. Nessuno osa sputarli fuori, sarebbe una mossa meschina. Il primo che cede perde e ferisce l’altro.

Dopo cinque giorni di omertà però ad uno Tsukishima insofferente quelle lettere alla fine scappano di bocca e Akaashi non può far altro che confermare che sì, senza Kuroo e Bokuto quel training camp è proprio una noia mortale. Un po’ tutto senza di loro è decisamente meno elettrizzante o anche solo piacevole.

Se lo dicono, se lo scrollano di dosso, poi riprendono a vestirsi e cambiano discorso come se nulla fosse. E’ tardi ed è meglio tornare nei dormitori prima che qualcuno venga a cercarli.

Kei ormai è pronto e sta solo aspettando che Keiji finisca di prepararsi, ma quest’ultimo si è appena perso a fissare lo schermo del cellulare. Ha gli occhi incastrati tra le righe di qualche conversazione e una mano saldamente aggrappata all’armadietto aperto.

“Bokuto?” gli chiede Tsukki riportandolo con i piedi per terra. Akaashi alza la testa un po’ stordito e gli fa un mezzo mugugno interrogativo, “Mh?”

“Dico, è Bokuto-san al telefono?”

“Oh, ehm, no. No, non è Bo. Penso che Hinata mi abbia messo in qualche chat di gruppo per la gita di domani… Sto avendo difficoltà a decifrare il tutto, che vuol dire questo?” gli risponde mostrandogli lo schermo.

“Ah, no, non chiedere a me. E comunque te lo avevo detto di non lasciargli il numero…” lo ammonisce Kei.

Keiji corruga la bocca in un sorriso di circostanza e getta di nuovo lo sguardo verso il telefono. Poi stritola l’apparecchio tra le dita e un secondo dopo lo spegne. Un po’ sovrappensiero bisbiglia: “Io e Bokuto non ci sentiamo più tanto spesso… Con gli allenamenti in pro e tutto… Lui è molto impegnato.”

Tsukishima non ricorda cosa stava facendo prima di metabolizzare quella frase ma comunque smette di farlo e focalizza tutta la sua attenzione nel leggere Akaashi. In silenzio lo studia e attende che gli dica altro, che si lasci andare. Lo conosce il giusto da sapere che non va forzato, se vuole aprirsi lo farà.

Ma la reazione che ha il nuovo capitano del Fukurodani parla da sola. E’ di un’eloquenza istantanea, che esplode in un attimo quando il ragazzo chiude di botto l’anta in ferro e fa risuonare la parete degli armadietti in uno stridente tintinnio metallico. Graffia le orecchie di tutta l’angoscia che Keiji si porta dentro. Kei rimane immobile, sopraffatto, quasi terrorizzato da quel gesto così impulsivo. Troppo impulsivo per uno come Akaashi.

“Allora tu ci vai domani?” cambia discorso il capitano del Fukurodani. 

“Secondo te perchè ho ancora i capelli bagnati? Sto cercando di prendermi una polmonite e morire di una morte meno atroce che passare l’ultimo sabato a Saitama al parco giochi con quei pazzi…”

“Tsukishima-kun, non è un parco giochi.”

“Vabbè quello che è, insomma. Spero di trovare una buona scusa per non andarci entro le prossime… Quanto mi resta? Più o meno 8-9 ore, credo.”

Il volto di Keiji finalmente si distende in un sorriso più molle e sincero di quello precedente. Kei non lo vedeva così da un bel po’, da un po’ troppo. 

“Ti piace proprio fare il difficile, eh, Tsukki?”

“E a te piace proprio fare l’evasivo, eh, Akaashi-san?”

Il capitano alza le sopracciglia in segno di sconfitta e non replica.

“Era il mio modo per dirti che se vuoi parlarne io ci sono. Non brillo come  consigliere, ma dicono che ho buone doti da ascoltatore. E per dicono intendo… Yamaguchi dice.”

Keiji gli si fa accanto e piano gli dà una pacca sulla spalla. E’ leggera, un tocco quasi impercettibile e caldo, non una di quelle manate invadenti e pesanti che un Kotaro o un Tetsuro gli avrebbe piazzato tra le scapole, magari senza preavviso. Per fortuna che Akaashi è così diverso da loro, è così… Akaashi.

“Ti ringrazio Tsukki, ma per stasera può bastare. Sono stanco…”

“Che ne dici di domani? Mi aiuteresti a fuggire da quella maledetta gita?”

Keiji contiene a malapena l’entusiasmo per quella proposta così genuina che da uno come Kei non si sarebbe mai aspettato. Non se lo fa ripetere due volte. 

“Vorrei portarti in un posto, Tsukki. A Nagatoro c’è un museo di storia naturale che penso possa-”

“Mi piacerebbe molto.” Kei lo taglia, non lo lascia nemmeno finire. Gli andrebbe bene un po’ ovunque.

 

***
 

Akaashi ha un savoir-fair, un’eleganza d’altri tempi ed irresistibile a cui uno di buon cuore come Ennoshita non può di certo sfuggire. Non oppone alcuna resistenza alla sua richiesta di rubargli Tsukishima per il weekend e dà il suo benestare con un sorriso smagliante. Qualche ora più tardi, mentre le loro rispettive squadre sono su un pullman diretti da tutt’altra parte, Kei e Keiji arrivano finalmente a Nagatoro.

Tra una teca e l’altra, il capitano del Fukurodani riprende la conversazione della sera precedente quasi dal nulla, come se fosse accaduta un secondo prima. Non se n’era dimenticato, tutt’altro. Era rimasto in tensione per ore, in attesa di poter finalmente vomitare fuori, e al sicuro sotto l’attenzione di Kei, quella bile acida che lo stava divorando vivo, corrodendo dall’interno mentre se ne stava zitto tutto il tempo.

E’ nervoso mentre parla, sembra meno composto e intero del solito, conscio del fatto che quella sua frustrazione è solo un vuoto a perdere. Non può farci nulla e che Bokuto prima o poi se ne sarebbe andato lo ha sempre saputo, sin dal principio. Ha semplicemente ignorato quel loro destino già scritto fino a fatto compiuto.

Le promesse che si fanno il giorno del diploma durano il tempo dell’entusiasmo della festa che poi scema quando la vita vera arriva carica dei suoi impegni e dei suoi imprevisti. La colpa è solo sua se ha creduto che potesse andare diversamente.  

Ko è molto impegnato, questo è vero, ma per Keiji sa ritaglirsi sempre un po’ di tempo. Ogni tanto lo chiama alle ore più disparate, gli manda audio chilometrici e sconclusionati oppure onomatopee a casaccio per riassumergli come stanno andando gli allenamenti. Akaashi si è sempre detto che gli possono bastare, ma poi magari è sovrappensiero, la cosa lo prende alla sprovvista e realizza che balla enorme sia. Non gli basta affatto.

Eppure Bokuto non gli deve nulla, per lui è solo un suo amico del liceo dopo tutto, anzi quelle se mai sono concessioni più che sostanziose. Non gli deve nulla, non gli deve nulla si ripete Keiji e si sente un vile a provare tutto quell’astio. 

Kotaro è esattamente dove dovrebbe essere, dove lui stesso lo avrebbe sempre voluto vedere, allora perché non riesce ad essere felice per lui come dovrebbe? Perchè prova tutta questa serie di sentimenti che non gli sono mai appartenuti? Tipo l’invidia. Ecco, l’invidia è la peggiore, perché gli fa odiare tutto, anche le cose più impensabili.

Bo gli scrive che è ad Hirakata, ad Osaka, ad allenarsi con i Panthers*, gli scrive quanto sono forti e gli scrive che se la sta facendo sotto, ma che forse è un buon segno. E Akaashi in un secondo calcola tutti e 500 i km che li separano e li detesta tutti. Invidia le strade di quella città che lo vedono camminare contento, con il suo solito sorriso a 32 denti. Invidia il vento che gli può passare indisturbato e docile tra i capelli come lui avrebbe voluto fare con le sue dita. E pure il cielo, che lo osserva placido dall’alto. Invidia il pavimento di quella palestra che si inzupperà presto del suo sudore e lo farà suo, i compagni di squadra e gli avversari che potranno vederlo saltare a rete anche solo una volta, mentre lui se le sognerà soltanto quelle schiacciate assurde.

L’angoscia assale Keiji, parla ma tace questi dettagli ossessivi. Non ce n’è bisogno perchè in realtà Kei li conosce benissimo, sa già tutto quello che non gli dice. Lui l’invidia l’aveva già provata in vita sua, non gli era estranea, ma mai per motivi così futili e addirittura per cose immateriali. Non aveva senso, ma le cose stavano così e nemmeno lui poteva farci nulla.

Akaashi soffre la sua stessa reticenza e gratta contro il vetro dello specchio che lo divide da Tsukki. Mentre camminano al centro della sala, si nasconde di scatto le mani dietro la schiena e inizia a torturarsele, ma il ragazzo, ovviamente, lo vede. 

Dall’ultimo training camp Kei è cresciuto di diversi centimetri d’altezza e d’animo, sono stati 365 giorni pieni che lo hanno plasmato fino a renderlo quasi irriconoscibile. Ha ancora molta strada da fare, ma se una cosa quel Kuroo gliel’ha lasciata è di avergli insegnato a fare quel passo in più che gli è sempre mancato sotto rete, di agire dopo aver pensato, di vivere un po’ più intensamente. 

Tsukishima, per quanto ancora inesperto della pallavolo quanto della vita, nell’inettitudine più totale che un anno prima lo avrebbe irrimediabilmente schiacciato trova invece una certezza a cui aggrapparsi, cioè che non ha alcuna intenzione di passare le prossime ore sul pullman con il capo chino e gli occhi fissi a terra a rimuginare su questo momento.

Senza pensarci troppo, afferra d’istinto la mano di Akaashi e la nasconde nella sua, che è nettamente più grande. Gli massaggia piano le lunghe dita affusolate, gli distende la pelle e lo placa. 

Continuano a camminare senza dirsi nulla per un bel po’, a loro agio in quel silenzio pieno. Quando Keiji riprende il filo del discorso ha l’impressione di essere più leggero. D’improvviso tutta quella tempesta che lo stava assalendo si è quietata. Non si sente più nulla, nemmeno il pavimento sotto i piedi. E’ a 5 cm da terra.

“L’ultima volta, quando Bo era in ritiro a Kariya contro gli Stings, mi sono fissato così tanto sulla cosa che ho cucinato ravanello secco per una settimana intera. Il ravanello secco. E sai perchè? Perché a forza di googlare Kariya e Kariya di qua e Kariya di là, ho scoperto che era il piatto tipico della città. Secondo te sono pazzo?”

“Sì. Sì, sei completamente pazzo.” gli risponde Kei con disarmante onestà. Poi però finalmente lo guarda dritto negli occhi, intreccia meglio la mano con la sua e gli confessa che invece lui si è imparato a memoria gli orari di lezioni di Kuroo. Quelli di questo e del prossimo semestre. E pure quanto tempo ci impiega dal dormitorio all’università ogni mattina. E alla biblioteca. E alla palestra la sera tardi dopo lezione. E al caffè dove di solito fa colazione o si compra il pranzo quando si dimentica di cucinarsi qualcosa. Ha scoperto il nome di quel posto perché quel cretino di Tetsuro gli manda sempre una foto ogni volta che si prende lì una shortcake alle fragole. In cima al dessert campeggiava la scritta del locale incisa su un quadratino di fondente e lui non ci aveva messo molto a trovarne online le coordinate. 

“Quindi per fartela breve, Akaashi-san, sì, sei pazzo, ma io di certo non sono nessuno per giudicarti… Perché forse sono pazzo pure io. Almeno quanto te.”

 


 

*i Panasonic Panthers sono stati d’ispirazione a Furudate per i MSBY Black Jackel con cui Bokuto gioca nel time-skip

   
 
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