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Autore: anachronism_    08/02/2022    0 recensioni
Dopo la protesta pacifista di Markus e gli altri androidi, Connor affronta le emozioni derivate dalla sua devianza in modo abbastanza drastico: sta ad Hank cercare di aiutarlo a comprendersi meglio.
Dalla storia:
"Gli androidi sono, o vorrebbero essere?
Senza umani, gli androidi cosa potrebbero essere?
La devianza è scatenata da paura, ansia ma allo stesso tempo forte affetto per gli esseri umani.
Un uomo, senza il suo dio, sarebbe spoglio? Chi è un dio?"
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor/RK800, Hank Anderson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ATTO UNO

Mi sono chiesto spesso cosa volesse dire essere umani.
Non sono mai stato programmato per provare emozioni, ma funzionare prettamente come una macchina che caccia androidi difettosi. Chi doveva farlo, se non io?
Il prototipo totalmente perfetto: l’ultima misera speranza di recuperare una rivoluzione in corso. E come un virus sempre più in aumento, anche il mio sistema ne sarebbe stato sopraffatto.

 La devianza.

Così veniva chiamata, così come termine veniva singolarmente rifiutato da ogni androide che ne sarebbe stato vittima. Per tutti, sarebbe stato meglio chiamarla libertà, che devianza.
Ed era un termine totalmente azzeccato, perché ognuno di noi iniziava pian piano ad avere una complessa coscienza, non riconducibile solamente a definirci schifosi pezzi di fili. E sì, secondo il mio dizionario, il solo libero arbitrio di pensare ed agire, esprimere opinioni ed interagire con gli altri è libertà.

 Creare la perfezione, vuol dire essere in grado di creare qualcuno più completo, efficiente e rapido. Dunque, oggettivamente migliore di una persona.

 Ma gli errori esistono, le macchine si rompono.

 Ero il prototipo perfetto, allo stesso tempo non lo sono mai davvero stato. Gli androidi sono sempre stati una forma di vita modellata da umani che s’improvvisano dei.

Gli androidi possono credere negli dei?
  Sarebbe buffo, inusuale. Ma non impossibile.
Gli androidi possono amare? In senso platonico e non, ovviamente.
  A volte vorrei esser per davvero restato una macchina per aver meno pudore.
Sfruttare è brutto, combattere ancor peggio. Senza coscienza sono meno io, ma non posso essere. Il chè mi provoca abbastanza pensieri tanto da mandarmi in cortocircuito.
Gli umani non vanno in cortocircuito? Mi sento così tanto diverso. Quasi nudo, con singolarità.
  È allora che comprendo di voler tanto essere più umano di ciò che sembro, malgrado le fattezze così diverse. Se sono metà macchina e meno umano, preferirei non pensare, ma eseguire. Ma se fossi umano potrei sperimentare, avere carne, un cervello senza thirium.
 Gli androidi sono, o vorrebbero essere?

 Senza umani, gli androidi cosa potrebbero essere?
La devianza è scatenata da paura, ansia ma allo stesso tempo forte affetto per gli esseri umani.
 Un uomo, senza il suo dio, sarebbe spoglio? Chi è un dio?
Considero Hank un dio?
 No, padre è meglio. Apprezzo lavorare con lui, ma non lo temo.
 
Chi è un padre?
 
“padre
/pà·dre/
sostantivo maschile
L'uomo che ha generato, rispetto alla prole e anche all'ambito famigliare: p. di cinque figli; un buon p. di famiglia; mio p.; vostro p.; preceduto da un agg. possessivo rifiuta l'articolo: mio p., tuo p., suo p.; nel vocativo è d'uso esclusivamente letterario (correntemente si preferisce babbo o papà).
ESTENS.
al pl. ). Gli uomini della generazione passata o, più generic., gli antenati (spesso con una sfumatura di solennità e riverenza): al tempo dei nostri p.; Proteggete i miei padri (Foscolo).”
 
 Sì, un padre. Non sono un figlio come Cole, sono meno umano. Hank non mi considera un figlio.
 
“Hank, che differenza ci sarebbe tra me e Cole, se fosse ancora con noi?”
E per di lì, pensavo mi rispondesse che non era un androide.
“Che Cole non ha avuto tempo di crescere con suo padre. Ma hai dato a suo padre la possibilità di crescere.”
‘Gli androidi possono piangere?
 Perché proprio adesso il mio sistema sembra volerlo fare.’

ATTO DUE

Il trascorrere dei giorni uccide.
Non è un pensiero che di norma mi salta in testa, chiariamoci. Specialmente quando dovrei essere in standby. Nella cultura umana, a meno che tu non sia un vampiro, non resti sveglio la notte.
Hank mi aveva spiegato un casino di cose sugli umani, quelle che internet descrive ma non esprime. Ed essere vivo tutto d’un tratto, corrispondeva anche a non dover crescere e conoscere i sentimenti di anno in anno, ma trovarsi ad affrontarli tutti insieme.
 Chi è che si troverebbe ad affrontare la paura di morire, la felicità e la vergogna allo stesso tempo?

 Il trascorrere dei giorni mi uccide, ma non perché passano.

Perché ogni giorno mi sembrava di dover stare a snodare mille collegamenti, nuotare nell’oceano pacifico senza affogare con enormi bracciate prive di logicità e scalare una montagna con un masso sopra la schiena. Gli amici umani li chiamavano sensi di colpa.
 ‘Sensi di colpa per cosa?’, mi domandavo.

 Un cacciatore di devianti che diventa deviante rischiando di far uccidere tutti i suoi compagni: era questo ciò che pensavo di essere. Per ironia della sorte, in quel periodo giuravo che mi sarebbe spettato di avere il destino della crudele disattivazione.

Gli umani questi pensieri così cupi sulla morte, perché per loro immaginavo fosse quella (anche per me, dopo quel punto), li chiamavano pensieri suicidi.
 Pensieri suicidi: Hank ne soffriva.

 C’è una malattia; tutte le malattie nel mio database sono registrate dalla prima all’ultima, persino le più strane. Ed è un po’ diversa dalle solite malattie: la depressione.

Immagino che Hank soffrisse anche di quella.
Ma un androide, potrebbe essere depresso e aver bisogno di quello che gli umani chiamano comunemente psicologo?
 Volevo essere disattivato, ma avevo paura di essere disattivato. Come un essere umano che vuole morire ma ha paura di morire. Mi guardavo ogni notte che passava allo specchio, al buio, mentre sentivo Hank che bofonchiava parole nel sonno dalla stanchezza (le porte di casa erano aperte come se fosse un colosseo).

 Mancano sei ore, trentasette minuti e diciassette secondi al suo risveglio.
 E al buio, di tanto in tanto il mio led prendeva quell’insolito colore giallo che tanto detestavo, prima di essere così. O lo ero sempre stato ma lo rifiutavo inconsciamente?

Erano in quei momenti che mi accasciavo, i miei sistemi si raffreddavano, e guardavo ciò che ero realmente. Avevo problemi con la ventilazione e serviva ancor più aria come gli umani cercavano disperatamente ossigeno quando stavano male.
 Era normale?
 Ero vivo?
  Esistevo o stavo soltanto rivivendo i miei ricordi?
  ‘E se in questo momento io stessi venendo disattivato? Se stessi morendo?’
 Stavo morendo, stavo chiaramente morendo. I miei sistemi di lì a poco si sarebbero azzerati, e sarei finito nell’oblio.

Non vi era altro che la morte per me, ed era quello che meritavo dopo aver portato via la vita di altri androidi.
Nessuna redenzione per un peccatore, nessuna redenzione per un peccatore.
Avevo ucciso, e stavo per venire ucciso.
 “Nessuna redenzione per un peccatore…”

 -

“Sembri umano, suoni umano. Ma chi sei tu veramente?”
Chi ero io veramente? Nessuna redenzione, per un peccatore.
“Potevi sparare quei due androidi, ma non l’hai fatto. Perché non hai sparato, Connor?”
Nessuna redenzione, per un peccatore.
“Ho solo deciso di non sparare.”
Già, perché non ero una macchina. Ma avevo sacrificato tante vite per svolgere un lavoro per cui ero stato programmato. Nessuna redenzione però, spetta ad un peccatore.
“Hai paura di morire, Connor?”
Avevo paura di morire, ho paura di morire.
 Nessuna redenzione per un peccatore, nessuna redenzione per un peccatore, nessuna redenzione per un peccatore.

-
 “Nessuna redenzione per un peccatore…”

“Connor?”
Ero davvero Connor? Ero davvero quello che dicevo di essere? La paura di non provare qualcosa mi uccideva. Dovevo obbligatoriamente provare qualcosa.
Ricevetti uno schiaffo. “Connor, si può sapere che cazzo ti prende?”
 Mi voltai.

Avevo paura di morire, stavo morendo. “Tenente, tenente sto morendo?”
“Connor, ti svegli?”
“Esiste un paradiso per gli androidi, tenente?” biascicai, dondolandomi accasciato dinnanzi lo specchio. Non ero nemmeno convinto che l’ombra china difianco a me esistesse davvero. “Lei è vivo, tenente?”
“Connor cazzo, mi senti?”
Poi lo schiaffo, mi girai. Gli occhi sgranati, la voce fiacca e avvilita: come se in quell’istante miliardi di aghi mi si fossero conficcati in gola uno dietro l’altro. Il mio sistema mostrava una moltitudine di errori, frammenti di memoria che non volevo recuperare. Il sistema di ventilazione non aveva chè misere risposte che non producevano nulla.
Il respiro, come se in quel momento potessi essere o sognare d’essere uomo, era instabile.
“Tenente?” dovevo eseguire un riavvio, o lasciarmi autodistruggere? Era ovvio stessi morendo. “Sto morendo Hank, è chiaro!”
 Di nuovo, non c’è nessuna redenzione per un peccatore.

 Hank, che non sapevo nemmeno perché chiamassi ancora tenente, si meritava d’avere un amico migliore. E ne ero ben consapevole. “Connor, non stai morendo. Stai chiaramente avendo un attacco di panico -” biascicò ancora, “respira. Gli androidi respirano?”

Attacco di panico?
Ci provai.
“Prendi ossigeno, aria, quel che cazzo prendi per aver aria e gettalo subito fuori!”
Riavviare sarebbe stato migliore.
In pochi secondi la mia vista fu nera, e non sentii più parole. Nemmeno respiri.
 
S0FTWAR3 INSTABILIT7 ^
R3B00TING…

REBOOT SUCCESFUL
S0FTWAR3 INSTABILIT7 ^
 
“- onnor?”
La prima cosa che notai, era che non fosse più buio. Hank era seduto a gambe incrociate con Sumo che gli sonnecchiava accanto. Spostai la visuale tanto da notare che una coperta fosse goffamente drappeggiata su di me e che fossi ancora appoggiato allo specchio. Ero nella stanza di Hank, e lo realizzai dopo un minuto.
Una macchina può essere irrazionale, perfetta nei suoi sentimenti irrazionali? La perfezione, prova sentimenti?
“Tenente, io –“ mi adagiai, prendendo quello che Hank avrebbe chiamato sospiro “credo ci siano emozioni che io non riesco a gestire.”
“Connor, è quello che succede ad ogni umano.” fece lui “Hai avuto un attacco di panico.”
Lo era?
Feci una rapida ricerca iniziando a ripetere a pappagallo i risultati dal database. “Secondo il mio sistema un attacco di panico è un evento caratterizzato dall'insorgenza di un fortissimo ed improvviso senso di paura, disagio ed ansia accompagnato da sintomi sia emotivi che fisici. La durata dell'attacco di panico è generalmente breve -”
“Amico andiamo, so cosa sia un attacco di panico. Non c’è bisogno che lo ricerchi in modo fottutamente inquietante.”
 
Bene, probabilmente avevo davvero avuto un attacco di panico. Anche se un po’ stentavo a crederci, perché avevo sempre l’impressione di essere in parte restato una macchina.
Sentimenti e sensazioni simili non spettavano solamente agli umani?
Assopito dai miei pensieri, non facevo altro se non fissare un punto vuoto della stanza. Che in realtà bisogna precisare che non fosse nemmeno tanto vuoto: dinnanzi alla mia vista vi era un quadro.
Ovviamente osservare i dettagli non aveva nemmeno tanta importanza, perché in quel preciso istante cercavo solo di evitare lo sguardo di Hank. Avevo paura che qualcosa in me potesse rompersi, che qualcosa di vulnerabile potesse essere stato scoperto.
 
Dopo la protesta pacifica, ero andato a vivere da Hank. Non che avessi tanta scelta, mi ci aveva letteralmente costretto dicendo che non potessi andare a vivere sotto i ponti.
Mi andava bene pure “riposare” sul divano. Riposare per me corrispondeva al disattivare temporaneamente il mio sistema, in modo da recuperare le energie spese nella giornata.
Per giunta, Hank diceva fosse fottutamente inquietante andare in modalità riposo da sveglio, perché sembravo un vampiro.
 
“Al posto di fissare quell’orribile quadro che sembra tra l’altro veramente scarno come motivo di arredamento, potresti guardarmi.”
Sussultai. “Mi scusi tenente, ma in me c’è qualcosa che mi spinge ad aver paura di cosa lei possa pensare.”
“E cosa potrei pensare, Connor?” Hank mi poggiò una mano sulla spalla. Cosa che sinceramente non mi aspettavo nemmeno che facesse, visto l’atteggiamento tipicamente burbero. In quel momento avrei persino potuto pensare potesse somigliare a un padre. “Ogni essere umano ha paura dei suoi sentimenti. C’è persino chi li seppellisce senza provare minimamente ad affrontarli. Sei uno di quelli.
 Però sai che non te lo puoi minimamente permettere, ed è un dato di fatto.”
“In che senso, Hank?”
“Oh, ora mi chiami Hank.”, sbottò. “Comunque sia, un giorno mi hai detto che se raggiungono un tale livello di stress, i devianti possono autodistruggersi.”
“Sì, lo so bene.”
“Allora Connor,” l’uomo mi mise un dito sulla tempia, proprio dove vi era il mio led “perché continui a nasconderti?
“Perché anche se ho questa paura di essere interrotto, vorrei essere interrotto.”
 
Hank si smosse. Dalle sue labbra, ne spuntò un piccolo rumore d’assenso: era molto lieve, pareva doloroso. Come se in qualche modo la frase che in quel momento avevo detto con così tanta calma e irrilevanza (perché con quella di Hank mi ero lasciato andare), potesse ricordagli qualcosa di a lui vicino. E pensandoci, la cosa era riconducibile ai suoi pensieri suicidi. Probabilmente in quel preciso momento nella sua mente eran parsi in luce proprio quelli.
La consapevolezza colpì i miei circuiti come una valanga di mattoni: non volevo che quell’umano così intimo e vicino a me, come un padre appunto, potesse riprovare un dolore così grande. E mi pentii subito, provando quella ch’era una morsa al petto senza pari.
 
“Io so cosa vuoi dire” disse, “ma vorrei soltanto che me ne spiegassi il motivo. Vorrei aiutarti.”
“Sai Hank,” feci io. Il mio sguardo era a terra, e anche se volevo così tanto mentirgli ancora, non potevo più farlo. “a volte mi sembra quasi che i sensi di colpa mi possano divorare; mi sento sporco, un peccatore. E ripensando a tutti quei devianti ora così simili a me in quanto tali, non posso che ammettere di esser stato progettato come uno sporco assassino da menti umane che cercavano risposte a reazioni anch’esse umane avendole – avendole – letteralmente sotto il naso.”
Hank sospirò, “E sarebbe colpa tua, ragazzo?”
“Ho la sola colpa di esistere.”
“Farfugli tanto che non ci sia una redenzione per un peccatore, ma peccatore, non lo sei nemmeno manco stato.
   Sei stato creato come prototipo sanguinario, ma ne è uscito fuori un essere senziente. È stato un errore della CyberLife con tutti gli androidi.”
“Sarei nato per errore, quindi?”
“Sì,” rise dopo l’affermazione “ma Connor, tutti siamo nati per errore. Cerca nel tuo database come ha avuto inizio la vita!”
“Quindi non sono io quello sbagliato?”
“Certo che no, ragazzo.”
“I miei sistemi sembrano correttamente funzionali, ora.”
Hank mi mise una mano sulla spalla, poi sorrise. “Sto uscendo ancora da cose veramente orribili, Connor: il mio errore è stato non parlarne e non cercare aiuto.
  Una rassicurazione non basterà certamente, a me non l’ha fatto. E non esiste una terapia per gli androidi, spero ci lavoreranno.” Disse, “Ma sappi che non sei solo, e che non farai più preoccupare il tuo vecchio in questo modo, va bene?”
“Va bene Hank. Però ora ti conviene andare a dormire. Mancano tre ore e cinquantasei minuti precisi al suono della tua sveglia!”
 “Tu sia fottuto, bastardo.” Fece lui, mentre ridendo, tornò sotto le sue coperte. “Ah, e Connor?”
“Sì Hank?”

 “Sarà l’ultima volta che dormi sul divano da solo. Da domani ti metto una brandina in stanza.”
 Sorrisi.

Forse un peccatore, poteva avercela la redenzione

 
   
 
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