Hyvää
syntymäpäivää, Isaac
Mi
gratto la cicatrice mentre salgo le scale che
portano alla Seconda Casa, in una mano ho il messaggio che mi ha fatto
avere il
Toro. Continuo a rileggerlo da una decina di minuti, ma ancora non
capisco per
quale assurdo motivo mi abbia chiesto di andare fin lì. Non
siamo in confidenza
e, fino a oggi, non ricordo neanche di avergli mai rivolto la parola.
Anzi, a
dirla tutta neanche oggi gli ho parlato. Quel messaggio, in fondo,
è stato
scritto.
Varco
l'ingresso della Seconda Casa e un coro di voci
di cui non afferro le parole mi accoglie. Le luci si accendono e, per
un lungo
secondo, rimango abbagliato. Quando riapro gli occhi, li vedo: i Gold e
i
Bronze del Santuario, radunati di fronte a un lungo tavolo imbandito;
c'è anche
Kanon. Un festone con su scritto "Auguri, Isaac" è stato
appeso tra
le colonne. Scruto i volti e mi rendo conto che c'è persino
quel bambino, con
una faccia che non so se definire terrorizzata o arrabbiata. Ma non
c'è Camus e
dovevo immaginarmelo.
La
cicatrice prude più del solito e nemmeno
grattarmela mi porta sollievo.
Non
ha alcun senso festeggiare il compleanno con loro
dopo quello che è successo.
Non
ha alcun senso rimanere lì.
Mi
volto e faccio per tirare dritto verso l'uscita, ma
una mano mi afferra per il cappuccio della felpa e mi solleva in aria.
Aldebaran, ovviamente, stupido io a credere di potermela svignare.
Stupido
io a salire fin lassù.
Protesto
molto fiaccamente - tanto so già che sarebbe
del tutto inutile - e lascio che mi riporti in sala. Le mie speranze di
trascorrere quel maledetto giorno in completa solitudine si infrangono
contro
la volontà di quel gigante.
Mi
sento un pesce fuor d'acqua e la cicatrice continua
a pizzicarmi sotto la pelle. Vorrei solo svignarmela, ma sento lo
sguardo di
Aldebaran sulla nuca.
Li
guardo divertirsi, seduto in un angolo della stanza
in una solitudine a cui mi sono condannato da solo. Quando Kanon prova
ad
avvicinarsi, lo mando via. Non voglio parlare con nessuno, men che meno
con lui.
Non faccio neanche avvicinare Hyoga, sento di non meritare nemmeno di
stare
sotto il suo stesso tetto, figuriamoci parlarci.
Non
dopo quello che è successo.
Non
dopo quello che gli ho fatto.
Ancora
mi chiedo perché il Toro abbia organizzato
tutto questo e perché gli altri abbiano deciso di accettare.
In fondo, io non
sono uno di loro. Ma forse nessuno di loro vorrebbe davvero essere qui.
Proprio
come Camus.
La
sua assenza è un chiodo conficcato nel petto. Una
parte di me sperava di vederlo, sperava di essere riuscito a
guadagnarsi il suo
perdono, ma so che era solo una speranza sciocca. Non mi ha perdonato e
non lo
farà mai. E io non voglio nemmeno essere perdonato.
Voglio
tenermi stretto questo dolore e cullarlo nella
mia solitudine.
È
più giusto così.
Dopo
un tempo che non riesco a stabilire, decido di
sfidare di nuovo la volontà del Toro. Approfitto di un
momento in cui è
distratto dall'Ariete e dalla Vergine e sgattaiolo fuori dalla Seconda
Casa. Se
qualcuno mi ha visto, non lo dà a vedere.
Sono
ormai a metà scalinata, quando una mano - la sua
mano - mi riagguanta.
«Non
è educato svignarsela per il proprio compleanno.»
Ma
dea, possibile che stia passando la serata a
fissare me invece di divertirsi?
«Non
ho alcun motivo per rimanere.»
«Perché
non c'è Camus, vero?»
Perché
ci siete tutti voi.
Ma
non glielo dico, non voglio ferirlo. Alla fine ha
avuto un pensiero gentile a organizzare quella festa, anche se non
aveva alcun
motivo per farlo.
«Non
puoi andartene prima della torta!» protesta una
vocetta acuta.
Dietro
di lui fa capolino quel bambino, Kiki. Non
sembra più così terrorizzato, adesso.
«Tu
dovresti tornare dentro» gli dice Aldebaran,
pacato.
«E
perché? Non posso stare qui con voi?»
«Dentro
ci sono i dolci.»
Kiki
mi scocca una strana occhiata, poi torna a
guardare il Toro.
«Se
lui se ne va posso mangiarla lo stesso?»
«Sì»
gli rispondo. «Tanto io non la voglio.»
Per
un lungo attimo c'è solo silenzio.
«Sai,
adesso non fai più tanta paura» dice Kiki.
«Sembri quasi simpatico, anche se non mi hai ancora chiesto
scusa.»
Ingoio
di nuovo il chiodo rovente che mi si è
conficcato in gola.
Chiedergli
scusa… Come se fosse facile, dopo averlo picchiato.
Non riesco a chiedere scusa neanche a Camus e a Hyoga, figuriamoci a un
bambino
che neanche conosco.
Non
riesco neanche a perdonare me stesso
per avermi permesso di perdermi.
Con
la coda dell'occhio osservo il bambino rientrare
dentro la Seconda Casa; il Toro, però, non si sposta da
dov'è.
«Perché
lui non è qui?» gli chiedo, il chiodo brucia
in fondo alla gola.
«Avresti
voluto che ci fosse, vero?»
«No,
io…»
Mi
gratto con forza la cicatrice, ma il prurito sembra
non volerne sapere di lasciarmi in pace. Il chiodo nel petto
è diventato ormai
un grumo denso e soffocante che non riesco a deglutire.
«Perché
hai fatto tutto questo?»
«Perché
nessuno merita di rimanere da solo il giorno
del suo compleanno. E poi dovevo un favore a un amico.»
Un
favore? Non capisco.
«Bè,
non avresti dovuto. A me stare da solo non pesa.»
«Non
mentire con me, ragazzino. Sono molto più sveglio
di quello che potresti pensare.» Sento il suo sguardo sulla
pelle, nonostante
mi sia imposto di non guardarlo. «Tu non vuoi restare solo,
anche se allontani
tutti quanti.»
Mi
porto una mano al petto, le lacrime si affollano
sulle ciglia dell'occhio buono.
«Io…
Io vorrei solo non essermi perso. In quel modo,
forse, lui continuerebbe a guardarmi.»
«E
io avrei voluto poterti guidare meglio.»
Spalanco
gli occhi e mi giro di scatto.
Camus
è lì, in piedi dietro di me, e mi sta
sorridendo.
«Grazie,
Aldebaran» dice, rivolgendosi al compagno.
Il
Toro scrolla le spalle.
«Figurati,
i debiti vanno saldati» e si allontana di
nuovo verso la Seconda Casa.
Torno
a guardare il maestro, senza neanche avere il
coraggio di muovere un muscolo. Ho il terrore di muovermi e rompere
qualsiasi
equilibrio si sia creato, di spingerlo a smettere di guardarmi per
sempre.
«Scusami
per il ritardo» mi dice lui. «E per
l'inganno. Ma sapevo che se fossi stato io a invitarti tu non saresti
venuto.»
Sbatto
le palpebre, confuso.
Lui
si inginocchia davanti a me e mi circonda le
spalle con le braccia.
«Hyvää
syntymäpäivää, Isaac.
Buon compleanno.»
Affondo
il volto nel suo petto e mi ci aggrappo come
anni prima, in mezzo alla neve della Finlandia. Il grumo nel petto si
scioglie in
calde lacrime che mi bagnano le guance. Un pianto silenzioso che
attenua il
dolore che provo da mesi.
L'unica
cosa che ho mai desiderato è di nuovo davanti
a me.