Ciao a tutti, eccomi di
nuovo con
un’altra delle mie ^^
[La posto comunque, anche se ne ho già due da mandare
avanti, se no Samy sclera ahahah XD]
Questa ff che state per leggere
deriva dall’unione di due idee diverse. Non vi anticipo
nulla, dico solo grazie
a Samy, che mi ha aiutata e che soprattutto mi ha ispirata. Grazie, un
bacio.
Ringrazio già da subito le
persone che leggeranno e che mi lasceranno qualche recensione; ricordo
che io
risponderò sempre e volentieri per ogni dubbio e chiarimento.
I Tokio Hotel non sono di mia
proprietà (per mia
enorme sfortuna, se no non sarei qui, fidatevi XD) e
tutto quello che leggerete è frutto (o
colpa) della mia fervida
immaginazione (insieme a quella
di Samy questa volta); ogni
riferimento
alla vita reale è casuale.
Capitolo 1
Davvero
stressante, ma divertente. Erano questi i due aggettivi utilizzati dai
gemelli
Kaulitz per descrivere una tournee alla sua fine.
«Non
vedo l’ora di tornare a casa», sbadigliò
Tom, stiracchiandosi le braccia.
«Tom»,
lo rimproverò il gemello, guardandolo severamente.
«Che
c’è?»
«Ti
sei forse dimenticato di qualcosa?»
«Uhm…
no, perché?»
«Scemo»,
gli tirò un coppino sulla nuca, facendolo lamentare.
«Dobbiamo andare da mamma,
te lo sei dimenticato! Gliel’avevamo promesso che appena
avremmo finito tutto
saremmo passati da lei!»
«Hai
ragione, ma non mi meritavo una manata!», si
massaggiò dietro il collo.
«Non
ti lamentare come una femminuccia, non era nemmeno forte.»
«Questo
lo dici tu», bofonchiò.
Dopo
un paio di minuti la macchina scura li scaricò di fronte
alla casa della loro
infanzia, quella in cui erano nati e cresciuti, nella campagna e il
silenzio
più assoluto.
Videro
una ragazza uscire dalla porta d’ingresso, uno zainetto in
spalla, che si
affrettava a infilarsi degli occhiali da sole e a coprirsi i capelli
biondi
scuri con il cappuccio.
«E
tu chi sei?!», gridò subito Tom, scattato in
avanti. Bill rimase piuttosto…
incuriosito dal suo strano comportamento. Perché si era
mascherata come se si
dovesse nascondere?
«Nessuno!»,
portò le mani avanti, spaventata. «Adesso me ne
vado.»
Passò
in mezzo a loro, rimasti impalati dal suo comportamento, e si diresse
velocemente verso un motorino nero e bianco, sul quale salì
e scomparve alla
loro vista.
Tom
corse in casa, seguito da Bill, preoccupati per loro madre, e appena
varcata la
soglia notarono che c’era qualcosa di strano, tra cui un
insolito silenzio.
«Mamma?»,
chiamò Bill, avanzando a passi incerti.
Sentirono
dei passi al piano di sopra e poco dopo Simone scese le scale, il viso
se non
triste preoccupato e gli occhi arrossati, come se avesse pianto.
«Chi
era quella ragazza? Ti ha fatta male? Era una stalker? Cosa
voleva?»
Tom
sembrava impazzito, era partito con la raffica di domande e nessuno
più
l’avrebbe fermato: a volte era peggio di Bill.
«Calmati,
non è niente di quello che hai detto», lo
fermò la madre, con un gesto della
mano, per poi dirigersi in cucina.
«E…
e… e allora chi era?»
«Si
chiama Georgia.»
«Che
cosa voleva?»
«È
venuta a trovarmi», alzò le spalle.
«La
conoscevi, quindi?»
«L’ho
conosciuta oggi.»
«Io
non ci sto capendo niente!», Tom si prese la testa fra le
mani, rinunciando
all’impresa, e si tuffò sul divano, il telecomando
della tv in mano.
«Allora,
mi spieghi sta storia?», chiese dolcemente Bill, sedendosi
sul tavolo.
«È
una storia molto lunga, caro.»
«Credo
di avere tempo a sufficienza», sorrise.
«Senti…»,
mormorò appena, girandosi «… non ho
molta voglia di parlarne adesso, ok?»
«Ok,
ma non… piangere, mamma.»
«Scusa»,
si passò le mani sotto gli occhi e spazzò via le
lacrime, che ancora una volta
l’avevano sconfitta. «Vi dispiace se stasera vi
arrangiate da soli? Non sto
molto bene.»
«Va
bene, se hai bisogno di qualcosa però non esitare a
chiedere, eh», la
rassicurò, Simone sorrise appena, abbracciandolo.
«Siete
appena tornati, sono mesi che non vi vedo e mi faccio cogliere in
questo stato,
mi dispiace.»
«So
che non è colpa tua.»
«Non
vi preoccupate per me, sono solo un po’ stanca.»
Si
staccò e salì in camera da letto, poi Tom si
alzò dal divano e raggiunse il
gemello, ancora lì in cucina, lo sguardo perso sul pavimento.
«Scoperto
qualcosa di più?»
«L’unica
cosa che ho scoperto è che dobbiamo ordinare una
pizza.»
***
Si
svegliò di buon ora, si mise a preparare una torta per i
suoi figli che quella
sera erano a rimasti a dormire lì, nella loro vecchia
cameretta, e lasciò un
bigliettino con scritto che usciva per fare delle commissioni e che
sarebbe
tornata per pranzo, dopodiché uscì e si diresse
in un piccolo bar del centro.
Si
mise seduta ad un tavolino ad aspettarlo, era sempre in ritardo
quell’uomo! Lo
era sempre stato, a dire il vero, ma ci aveva fatto presto
l’abitudine. Erano
anni che non si vedevano però, e doverlo aspettare ancora,
quando era stato lui
a chiederle di vederlo, la innervosiva parecchio.
Finalmente
lo vide scendere in fretta dalla macchina e raggiungerla,
contemporaneamente un
cameriere chiese cosa volevano ordinare. Lei rispose un bicchier
d’acqua, aveva
già fatto colazione a casa e sinceramente non aveva voglia
di mangiare, e lui
prese un cappuccino, come ai vecchi tempi.
«È
molto che non ci si vede, Simone», disse. Dal tono di voce
sembrava ancora più
nervoso di lei.
«E
non mi sarebbe dispiaciuto rivederti in un contesto diverso.»
«Lo
so, la mia non è stata la scelta migliore,
ma…»
«Me
l’hai mandata a casa senza nemmeno avvertirmi!»
«Cosa
avrei potuto dirti? “Guarda, arriva mia figlia, che ho
conosciuto una settimana
fa, me la puoi tenere un attimo?”»
«Sicuramente
sarebbe stato meglio di quello che è successo. Sembrava
così spaesata, povero
tesoro! Non sapeva nemmeno chi ero!»
«Non
so se sia un bene per lei sapere chi sei, Simone.»
«Jörg,
per favore!»
«Senti,
Simone… Io ho bisogno di aiuto. Sai che lavoro faccio, esco
la mattina all’alba
e torno la sera, non posso badare a lei.»
«E
io, un’estranea per lei, invece posso?»
«Non
so a chi altro rivolgermi, Simone! Ha perso la madre due settimane fa,
è stata
spedita qui come un pacco postale, mi ha chiamato dalla stazione e io
sono
andato a prenderla, anche se non la conoscevo nemmeno. Non sapevo
nemmeno che
esistesse!»
«È
tua la colpa, lo sai. È anche per questo che ci siamo
separati, per le tue
storielle.»
«Storielle
o no, Simone, adesso le cose sono diventate più grandi di
me. È un’adolescente
e non so niente di lei. Non posso lasciarla tutto quel tempo da sola a
casa. Ti
prego, aiutami», sussurrò con sguardo
supplichevole. «Se non vuoi farlo per me,
e dubito che sia il contrario, fallo per lei. Non si merita tutto
questo.»
Simone
sospirò, si sistemò i capelli dietro le spalle e
annuì, unendo le mani in
grembo.
«Ti
aiuterò, Jörg, ma lo faccio solo per lei.
È una ragazza perbene, e sicuramente
non si merita tutto questo.»
«Oh
Simone, grazie», sorrise e si alzò. Voleva
abbracciarla, ma non gli sembrava il
caso, vista la situazione. Era passato davvero molto tempo.
«Ci
sentiamo», lo salutò lei, andando verso la propria
macchina. Non aveva nemmeno
toccato il suo bicchier d’acqua.
***
Arrivò
a casa e trovò solo silenzio, la torta intatta sul tavolo.
Sorrise scuotendo la
testa: Bill e Tom stavano ancora dormendo. Si era dimenticata dei loro
orari da
rock star. Prese il foglietto e lo gettò nella spazzatura,
non ce n’era più
bisogno.
Il giorno prima
era rimasta scioccata vedendo quella ragazza bussare alla sua porta,
gli
occhiali scuri sul viso e i capelli raccolti dentro il cappuccio.
«Simone?»,
le aveva chiesto balbettando.
«Sì,
sono io.»
«Ehm…
mi manda Jörg.»
Era
rimasta sbigottita, ma una telefonata mentre la ragazza, Georgia, era
andata in
bagno, aveva chiarito tutto. L’aveva accolta in casa
comunque, non le sembrava
carino buttarla fuori e lasciarla da sola.
«Sei
qui da molto?», le chiese offrendole un bicchiere
d’acqua.
«Sono
arrivata una settimana fa.»
«Ora
puoi anche toglierti gli occhiali e il cappuccio, eh»,
sorrise, ma appena lo
fece ne rimase ancora più sconvolta: aveva i capelli biondo
scuro e gli occhi
nocciola, i tratti del viso dolci. Sembrava la copia femminile di Bill
e Tom da
piccoli, e una madre se ne accorgeva subito! Praticamente non aveva
preso nulla
dalla sua povera madre.
«Da…
da dove?», chiese, girandosi per non vederla un secondo di
più.
Era
una vecchia ferita quella che aveva per Jörg, ma a volte le
faceva ancora male
nonostante fosse felicissima con il suo nuovo marito, Gordon. Si erano
sposati
da poco. Quello che la faceva più soffrire era che lei non
aveva mai saputo
nulla della sua famiglia, e che non aveva avuto un padre per tutti i
suoi
quindici anni.
«Inghilterra.»
«Oh,
è bella l’Inghilterra.»
«Mmh,
sì…», disse a sguardo basso.
Era
rimasta lì un po’, principalmente in silenzio
perché Simone non aveva ancora
metabolizzato che in qualche modo fossero legate e non era molto in
vena di
parlare, e poi se n’era andata, scontrandosi con Bill e Tom.
Finì
di preparare la colazione ai gemelli e poi li chiamò. Loro
scesero di sotto
frastornati, chiedendo perché li aveva svegliati, e lei rise
rivedendo i suoi
due bambini in quei ventenni già ricchi e famosi. Poi le
venne in mente
Georgia, e il sorriso le scomparve dal viso.
«Qualcosa
non va?», chiese Bill.
«No,
niente. Forza, la colazione è pronta.»
«Stai
meglio da ieri?»
«Sì,
grazie.»
«Sei
uscita?», chiese Tom con la sua tazza di caffè fra
le mani, guardandola.
Si
era dimenticata di cambiarsi, accidenti.
«Sì.»
«Dove
sei andata?»
«Sono
andata a fare delle commissioni, tanto voi dormivate. Ma gli affari
vostri
comunque mai, eh? Sembra un interrogatorio!», sorrise.
«È
che sei strana», disse Bill scannerizzandola per trovare un
qualsiasi indizio
che gli facesse capire di più.
«Io
non sono affatto strana. Voi avete qualcosa da fare, oggi?»
«Non
so, forse ci vediamo con Andreas, è tanto che non lo
vediamo.»
«Bene.»
«Non
ci vuoi fra le scatole?», sogghignò Tom.
«Ma
certo che vi voglio fra le scatole, Tomi!», gli
pizzicò le guance come faceva
quando erano bambini e gli baciò la testa. Doveva ancora
abituarsi alla sua
nuova pettinatura, che aveva sostituito i suoi rasta biondi.
«E
dai mamma, non siamo più bambini!», si
divincolò, anche se con il sorriso sulle
labbra per le attenzioni.
«C’è
un età per avere le coccole?»
Si
misero tutti a ridere e Simone sospirò, perché
lei aveva sempre fatto il suo
lavoro con i suoi figli ed era riuscita a renderli felice, anche
attraverso
tutte le difficoltà. Quanto aveva avuto Georgia, invece?