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Autore: Carmaux_95    01/03/2022    13 recensioni
Takeda non era mai stato un ragazzo particolarmente atletico. Affatto, a dire il vero. Non avrebbe mai potuto praticare il Quidditch in prima persona. Cionondimeno non poteva che osservare con gli occhi sgranati gli atleti che si fronteggiavano in aria. Spesso prendeva appunti per poi informarsi prendendo in prestito qualche vecchio volume dalle biblioteche: il più delle volte, infatti, non riusciva a capire o a riconoscere gli schemi di gioco.
Come quello appena messo in moto dal nuovo cacciatore di Grifondoro, capelli castani con un cortissimo taglio a spazzola, due piercing all’orecchio sinistro e un’altezza riconoscibile anche ripiegato com’era su quel manico di scopa...
[teen!UkaTake HogwartsAU]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ittetsu Takeda, Keishin Ukai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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PAPER PLANES
 
R-1

Takeda non era mai stato un ragazzo particolarmente atletico – affatto, a dire il vero, se si escludevano le corse con le braccia ingombre di libri e pergamene per raggiungere le aule quando era in ritardo – ma non disegnava partecipare agli eventi sportivi insieme ai suoi amici.
Quella era l’ultima partita dell’anno.
L’ultima partita del suo ultimo anno come studente di Hogwarts, che si sarebbe concluso nell’arco di un paio di giorni.
Quella era l’ultima volta che, sugli spalti del campo ovale, sventolava una bandierina gialla e nera facendo il tifo perché i giocatori Tassorosso riducessero il vantaggio della squadra rosso e oro. Quell’atmosfera gli sarebbe mancata, nonostante tutto.
Non avrebbe mai potuto praticare il Quidditch in prima persona, comunque. Innanzitutto, non era un asso con la scopa; in secondo luogo, la sua vista non era delle migliori: non aveva una buona mira quindi non se la sarebbe cavata né come cacciatore né tantomeno come battitore e per concludere non aveva abbastanza diottrie per anche solo pensare di adocchiare, in un campo lungo centosessantacinque metri e largo sessanta, un boccino stregato per essere il più sfuggente possibile. In soldoni, il Quidditch proprio non era il suo sport.
Cionondimeno non poteva che osservare con gli occhi sgranati gli atleti che si fronteggiavano in aria. Spesso prendeva appunti per poi informarsi prendendo in prestito qualche vecchio volume dalle biblioteche: il più delle volte, infatti, non riusciva a capire o a riconoscere gli schemi di gioco.
Come quello…
I cacciatori avevano il compito di lanciare la pluffa attraverso gli anelli avversari – questo era assodato – e spesso si passavano la suddetta palla fra loro, a seconda della strategia prescelta.
Tuttavia, non aveva mai visto nessuno passare come aveva appena fatto uno dei cacciatori di Grifondoro,
Adesso che ci faceva caso non aveva mai visto quel giocatore nello specifico – capelli castani con un cortissimo taglio a spazzola, due piercing all’orecchio sinistro e un’altezza riconoscibile anche ripiegato com’era su quel manico di scopa – doveva essere l’ultimo acquisto della squadra; forse era stato scelto proprio per via di quella sua tecnica così insolita.
Questi si era appena fermato poco sopra i bastioni del tifo Tassorosso quando lo fece di nuovo: si afferrò stretto al manico di scopa serrando le sole ginocchia e staccò entrambe le mani sollevandole fin sopra la testa. La pluffa gli cadde fra le mani ma, al posto di trattenerla, il cacciatore la toccò appena e con un gesto rapido la indirizzò verso un suo compagno di squadra che, già avvicinatosi agli anelli, fece facilmente centro.
In sette anni non gli era mai capitato di vedere un giocatore effettuare un passaggio simile – come se non avesse voluto prendere la palla ma solo… palleggiarla? – per cui tirò per la manica il ragazzo al suo fianco: «Non è fallo, quello?» Lui non era un esperto e la sua era una domanda lecita ma la risposta che ottenne non fu comunque quella che si sarebbe aspettata.
Se era per questo, non gli giunse nemmeno da chi si sarebbe aspettato.
Forse doveva aver urlato quella domanda ad una voce più alta del preventivato per sovrastare il rumore della folla perché fu il cacciatore indagato ad abbassare lo sguardo su di lui con la fronte corrucciata in una lapidaria e risentita risposta negativa. Temendo che la sua domanda fosse stata interpretata come un affronto, Takeda si sentì avvampare per l’imbarazzo. Incassò la testa nelle spalle e si sarebbe scusato se un rumore secco, seguito da un urlo di dolore non gli avesse troncato il fiato: un bolide sfrecciò e colpì il suo obiettivo come una palla di cannone, spezzando parte del manico di scopa – e non solo – del cacciatore, che aveva appena ripreso la posizione base del volo. Il braccio colpito irrimediabilmente rotto, il ragazzo si tenne stretto al manico restante con la mano buona ma questo non fu sufficiente ad impedirgli di scivolare di lato. Penzolando, riuscì appena in tempo ad agganciarsi con un piede alla coda della scopa prima di perdere la presa. Nel frattempo, uno dei battitori giunse in suo soccorso, aiutandolo a rimettersi in sella prima che precipitasse a terra da quell’altezza.
Takeda era rimasto immobile, la bocca ancora aperta e quell’alito di scuse cristallizzato fra le guance.
Da quel momento, la giornata gli parve interminabile.
Tornato in classe per le ultime lezioni, Takeda non prestò ascolto a nessuno dei professori e la sera, divorato dal senso di colpa, non riuscì a prendere sonno: quel rumore di legno e ossa fracassate gli rimbombava ancora nelle orecchie.
Alla fine, allungò una mano verso il proprio comodino e, recuperati silenziosamente la propria bacchetta e un pezzo di pergamena, si nascose sotto il lenzuolo.
 
R1-1-Copia
 
Non era quello si sarebbe augurato dall’ultima partita di Quiddich dell’anno. O meglio, dall’ultima partita dell’anno ma dalla sua prima vera e propria partita come titolare.
Si sarebbe augurato di vincere, innanzitutto; ma, a fronte di una sconfitta, avrebbe quanto meno desiderato di non dover passare la notte in infermeria: invece quel bolide lo aveva centrato in pieno. Far rinsaldare le ossa era un’operazione abbastanza rapida, assumendo le giuste medicine – non era stato nemmeno preso in considerazione di ingessargli il braccio – ma questo non toglieva che l’infermiera avesse ritenuto necessario fargli trascorrere almeno una notte in osservazione precauzionale.
In ogni caso, non se la sentiva di lamentarsi: i lettini d’ospedale del mondo babbano erano decisamente più scomodi di quello nel quale si trovava in quel momento.
Sentì le palpebre estremamente pesanti e si domandò se oltre alla medicina per le ossa non gli avessero rifilato anche un calmante: dopotutto, l’eccitazione che non era riuscito a scaricare sul campo lo aveva irrimediabilmente pervaso quando era stato ricoverato – Come sta andando? Chi ha segnato? Siamo ancora in vantaggio? – pur con la consapevolezza che nessuno gli avrebbe potuto rispondere.
Abbandonò la testa sul cuscino con un sospiro. Stava per assopirsi quando sentì qualcosa sfiorargli il viso. Lo scacciò con un gesto della mano ma, appena qualche secondo dopo, quel leggero fastidio lo importunò nuovamente.
Schiuse un occhio.
Forse era l’effetto delle medicine ma quello che fluttuava a qualche centimetro dal suo volto e che con la punta gli aveva punzecchiato la guancia sembrava proprio un areoplanino di carta.
Qualcuno doveva averlo incantato per farlo arrivare fino a lui a quell’ora della notte senza violare il coprifuoco.
Emettendo un piccolo gemito, raddrizzò appena la schiena e accese la tenue luce sul comodino. Allungò il braccio sano per prenderlo in mano ma come le sue dita lo sfiorarono l’areoplanino si spiegò, aprendosi in un semplice foglio di pergamena.
Per un attimo Keishin sudò freddo, temendo che potesse trattarsi di un qualche tipo di strillettera. Poi dell’inchiostro iniziò a sporcare la superficie ruvida e ingiallita.
 
Salve Keishin Ukai.
Fino a qualche ora fa non sapevo il tuo nome e non conoscevo il tuo volto… e uno dei miei amici mi ha rimproverato raccontandomi che il nome “Ukai” è particolarmente rinomato nel mondo del Quiddich! Sono andato ad informarmi e ho scoperto che tuo nonno è stato un grande gioca-… temo di star divagando…
Io ho - avrei voluto parlarti di persona…
Ti ho cercato, oggi, dopo il tuo ritiro dal campo da Quiddich e anche dopo la fine della partita ma eri circondato dai tuoi compagni di squadra e ho pensato che fosse meglio non disturbarti. Sono tornato a cercarti in infermeria a fine giornata ma mi hanno detto che stavi già riposando per cui…
Insomma, alla fine ho pensato di optare per questa soluzione.
Sono un ragazzo persistente: è una delle mie poche qualità.

 
Come finì di leggere, il testo si dissolse senza lasciar traccia se non un’espressione leggermente confusa sul viso dell’atleta. A giudicare dalle frasi troncate e lasciate in sospeso, era molto probabile che l’autore di quel messaggio avesse fatto un incantesimo alla pergamena per poi dettare a voce il testo, al posto di scriverlo.
Non che fosse un problema per Keishin, il quale era ben consapevole che personalmente non sarebbe neanche riuscito ad incantare il foglio affinché levitasse in autonomia. Era un’abilità che gli sarebbe piaciuto possedere da bambino: gli areoplanini creati con i fogli dei compiti e lanciati durante le lezioni – da studente modello quale era – sembravano infatti avere una predilezione e un talento naturale per gli atterraggi di fortuna fra i capelli della sua maestra babbana delle elementari.
Qualche secondo dopo nuove righe trasudarono dalla pagina:
 
Ecco, io volevo solo…
Però… forse è meglio se ricomincio.
Mi chiamo Ittetsu Takeda, settimo anno, Tassorosso.
Non ci siamo mai incontrati ma temo tu abbia presente chi io sia: oggi, durante la partita, credo che tu mi abbia sentito commentare una tua azione…
Non volevo insultarti, dico davvero: non volevo insinuare malignità né mettere in dubbio la tua sportività! Ricordo di aver letto che nei registri del Dipartimento per i Giochi e gli Sport Magici sono elencati quasi settecento falli del Quidditch (e che durante la finale della prima Coppa del Mondo del 1473 si sono verificati tutti!) e il tuo gioco è stato così insolito da farmi pensare che potesse trovarsi in quell’elenco.
Ma la verità è che, più di qualunque altra cosa, volevo chiederti scusa per averti distratto: ti chiedo scusa se, per colpa mia, adesso ti trovi in infermeria…

 
Keishin si pentì immediatamente dell’occhiataccia che gli aveva riservato: dubitava che sarebbe riuscito a schivare quel bolide, anche fosse stato concentrato sulla partita; sì, forse avrebbe fatto in tempo a muovere appena il manico di scopa ma si sarebbe rotto, comunque, almeno una mano. Certo, sempre meglio che tutto il braccio ma mai aveva pensato di scaricare la colpa su quel ragazzino. Lo aveva visto per meno di una frazione di secondo e un attimo dopo se ne era già dimenticato. O quasi.
Un momento, si trovò a pensare appena un attimo prima che le parole scomparissero definitivamente, “settimo anno”? Quel piccolo quattrocchi è più grande di me?
Si morse il labbro inferiore e, improvvisamente, fu lui a sentirsi in colpa nei suoi confronti.
 
Io non sono un grande esperto in materia e la tua tecnica mi ha… sorpreso… ma anche esaltato! In qualche modo, ho capito che era successo qualcosa di incredibile!
La gente di solito mi dice che esagero o che mi faccio coinvolgere stupidamente e forse hanno ragione … ma non questa volta. Quello che ho visto oggi mi ha lasciato addosso questa convinzione: sono sicuro che d'ora in avanti diventerai molto, molto più forte!
L’incredibile, a volte, aspetta solo di essere scoperto.

 
Le parole brillarono un istante sulla pagina prima di sbiadire, lasciando Keishin immerso nel silenzio, pervaso dal desiderio che altro inchiostro tornasse a decorare quella pagina.
Ma la pergamena rimase intonsa e, silenziosamente, tornò a ripiegarsi.
Keishin si mosse senza pensare: ignorò una fitta di dolore e stese il braccio infortunato per afferrare quell’areoplanino prima che se ne andasse così come era arrivato.
Strinse fra le dita quel piccolo tesoro. Anche se non si trattava di una strillettera – e ringraziò che non si fosse strappata da sola sotto i suoi occhi – gli era quasi parso di udire la voce leggermente tremolante e imbarazzata di quel ragazzino.
Non si meritava quella apprensione.
Avrebbe voluto essere in grado di far ripartire l’incantesimo da capo, rileggere quelle belle parole due, tre, quattro volte… o per tutta la notte.
Non gli importò di quel fastidioso pulsare all’altezza del gomito, non gli importò della fitta che si irradiò fino alla spalla quando spense la luce e tornò a sdraiarsi facendo sprofondare la testa nel cuscino.
A volte era proprio vero che non tutti i mali venivano per nuocere…
 
R-1
 
Fine parte uno
 



 
Angolino autrice:
Eccomi di ritorno nel fandom di Haikyuu ma con il twist dell’ambientazione ad Hogwarts! ^^
Come avrete visto, questa è solo la prima parte di quella che (sperando di non cambiare per l’ennesima volta idea) sarà una bishottina senza troppe pretese.
Ci ho pensato un po’ su e alla fine ho pensato di smistare il nostro sensei Takeda in Tassorosso e il caro allenatore Ukai in Grifondoro… io non sono una grande esperta del mondo di Harry Potter e spero di non aver scelto male le casate di questi due personaggi: ai lettori l’ardua sentenza ‘^^
Leila, pubblico pensando a te (se vuoi, consideralo come un secondo regalo di San Valentino :-P) ♥ e una piccola dedica va anche a Violet, alla quale spero di strappare un sorriso in una giornata un po’ pesante…
Un ringraziamento, infine, va a Spirit734 per i suoi consulti privati XD
Spero che questo breve primo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chiunque sia arrivato fin qui!
Vi mando un abbraccio!
Al prossimo capitolo! ^^
Carmaux
  
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