When the time will come
«Please don’t
say it…»
«Dovremmo parlarne.»
Il
malessere pareva essersi affievolito, lasciando Jungkook spossato ma
completamente vigile. Gli occhi arrossati dalla crisi di pianto improvvisa pizzicavano,
la testa viaggiava cercando di riacchiappare i pensieri che vorticavano
impazziti. Jin lo aveva trascinato all’interno della camera, l’aveva fatto
accomodare sul letto e gli si era seduto accanto; la sua espressione dura si
ammorbidì quel tanto da confortarlo, metterlo a suo agio.
Non era però bastato.
Il petto del ragazzo si muoveva veloce, ed egli si stava torturando le dita:
non era pronto per affrontare quella conversazione, non ancora. Forse non lo
sarebbe mai stato.
La mano di Jin si poggiò sulle sue, bloccando i movimenti frenetici delle
falangi. Il nervosismo dipinto nei suoi occhi era più che eloquente.
«Non avere paura di quello che sto per dirti.» Lo stava
rassicurando, sapeva di avere a che fare con una persona emotiva, avrebbe
dovuto dosare tono e parole. «Quello che è successo con Taehyung è sbagliato, e
mi spiace di aver reagito così.»
Jungkook avrebbe voluto dirgli che non c’era affatto bisogno di scusarsi con
lui, anzi, era lo stesso collega a doverle ricevere quelle parole: non era
riuscito a dirglielo, non era riuscito ad aprire ancora bocca. Non era
l’accaduto ad averlo sconvolto bensì l’aver ascoltato qualcosa che non avrebbe
dovuto ascoltare; Jin non avrebbe mai detto alcuna parola a riguardo di sua
spontanea volontà, non l’aveva mai fatto, anche perché fino a quel momento
Jungkook era convinto di provare dei sentimenti a senso unico che tentava di
seppellire negli angoli più profondi del suo corpo, fino a trovare un angolino
nell’anima, e lì lasciarsi morire. Quello era il suo obiettivo, lo era stato
fino a meno di un’ora prima, quando s’era risvegliato trovando una notifica
sullo smartphone poggiato sul comodino.
«Mi sono comportato da stupido trattandolo male davanti a te, non volevo
spaventarti.»
Jin credeva fosse crollato perché preso alla sprovvista dall’improvviso gesto
violento. Niente di più sbagliato.
«Sei
malato, sei debole e io come uno stronzo sfogo la mia rabbia così. Dovrei
pensare a prendermi cura di te, invece di incazzarmi con gli altri. Puoi
perdonarmi?» Allungò le dita sul volto di Jungkook, allontanando i disordinati
capelli scuri dagli occhi, mostrandone l’ombra crescente a rovinarne la solita,
solare limpidezza.
«Non vuoi dirmi niente?» Aggrottò la fronte preoccupato, controllando la
temperatura di quella pelle improvvisamente pallida col dorso della mano, per
poi poggiare entrambi i palmi sul suo viso. «Devo portarti qualcosa? Hai sete,
oppure ancora fame? Potrei scendere a prepararti ancora qualcosa, dammi un
quarto d’ora e poss-»
La valanga di parole venne interrotta dalle labbra di Jungkook stesso, sportosi
verso di lui in un gesto quasi meccanico. Tremava inspirando veloce, troppo
veloce, tanto da staccarsi subito e sollevarsi di corsa dal piumone, per poi
trattenere a fatica le lacrime che pungevano agli angoli degli occhi. Sussurrò
uno “scusami” sottovoce, prima di coprirsi la bocca con le mani e restare in
piedi. Piangeva, senza nemmeno capirne il motivo.
Piangeva, e tanto bastava a mostrare quanto potesse sentirsi impotente davanti
ad una consapevolezza così grande.
Era schiacciante.
Si sentiva soffocare, e anzi peggio, affogare nella frustrazione.
Jin tese un braccio in sua direzione, le labbra schiuse dallo stupore. Era
accaduto tutto troppo in fretta, non aveva avuto ancora il tempo di assaporare
ciò che aveva desiderato per anni, reprimendo i suoi sentimenti a favore di una
semplice quanto complessa amicizia rappresentata da sensazioni taciute. Si rese
consapevole di quanto tutto stesse sfuggendo di mano andando oltre ciò che
aveva sempre fatto: tutelare Jungkook dal disastro che sarebbe avvenuto nel
caso fosse venuto a conoscenza di ciò che gli stava nascondendo. Lo strinse,
avvolgendolo con ambe le braccia, inspirando il suo odore e inebriandosi di
quel contatto. Stette così per un tempo che parve dilatato, finché non avvertì
il corpo dell’altro smettere di tremare ed accasciarsi sul suo torace,
immobile, silenzioso. Soltanto il respiro corto di lui scivolava sul suo petto,
provocandogli dei lievi brividi. La vicinanza era troppa, il corpo avvolto
ancora dall’accappatoio venne sconvolto da scosse vibranti, costringendolo a
mordersi labbra e lingua per non scaraventare Jungkook contro la porta e
appropriarsi del suo profumo, del suo sapore, del suo…
Di cosa esattamente?
Poteva davvero definire una dichiarazione ciò che aveva ascoltato dello
stralcio di conversazione tra lui e Taehyung?
«A… aspetta…»
Jin tentò di allontanarsi da Jungkook, eppure vi era attratto in modo fisico
tanto vivo da dover lottare contro le proprie dita che lo stavano stringendo
sulle scapole.
«Jungkook, aspetta…»
Sussurrò quelle poche sillabe negli attimi che seguirono un rapido bacio dato con
trasporto disperato.
«Non… non possiamo.»
Vomitare quelle parole così ipocrite stava affaticando il suo autocontrollo e
il suo orgoglio. Un tempo indefinito a sperare, immaginare, disegnare nella propria
testa quei gesti, e ora che finalmente era riuscito a veder realizzarsi quello
che pareva un sogno, doveva stroncarlo con le proprie forze, fin da subito. Lottò
contro se stesso, contro l’istinto di non separarsi da
lui per nulla al mondo, lottò contro il bassoventre che bruciava, i neuroni che
gridavano desiderio, lottò persino contro lo stesso battito accelerato
all’interno delle costole.
Sarebbe partito appena due mesi dopo, allontanandosi per due anni. Premette i
palmi sulle clavicole dell’altro, tremando. Jungkook lo guardava sorpreso,
boccheggiava alla ricerca di una risposta che si stava formando nella sua testa,
con la stessa rapidità con cui Jin raggiunse l’apice della più stupida delle
consapevolezze, l’unica possibile.
In due mesi soltanto non si sarebbe potuto costruire nulla.
«Non… possiamo…»
Non era un tempo sufficiente, non era abbastanza.
«Jungkook…»
Nessuno sarebbe stato così sciocco da tentare di iniziare qualsiasi cosa,
qualsiasi, con la sicurezza di doversene andare entro un lasso di tempo fin
troppo breve. Questo era un messaggio che non aveva bisogno di palesare a voce,
e lo sapeva.
Jungkook aveva recepito in modo sistematico, le braccia abbandonate senza forza
lungo i fianchi, i denti stretti a chiudere il “ti amo” che avrebbe voluto
dirgli. Si sentiva pronto, non lo era mai stato così tanto.
«Non dirlo, ti prego.»
Così pronto che persino Jin l’aveva capito.
Jin morse le labbra a bloccare la voce, sentiva di aver anzi parlato troppo,
non riusciva a trovare la giusta espressione per definire quello che stava
accadendo: era il più bel momento della sua esistenza, della sua vita da idol,
l’unico in cui aveva sentito un’inspiegabile leggerezza dentro.
Il più bello, il più doloroso.
Lo amava, lo amava così tanto da fargli male, così profondamente da chiedersi
come sarebbe potuto esistere senza di lui. E no, non poteva farlo. Se si fossero
legati in una relazione stabile avrebbero sofferto così tanto da non riuscire
nemmeno a respirare.
«Jin, io…»
Il ragazzo gli tappò la bocca con le dita, scuotendo la testa a destra e a
sinistra: i muscoli del collo tiravano come a tentare di bloccarne i movimenti.
Gli sorrise un’ultima volta, due linee tirate a frenare il fremito.
“Sorridi, Jin, lo stai facendo per lui.”
Strizzò gli occhi per il bisogno di piangere.
“Sorridi, che quando te ne andrai sarà finalmente libero di abituarsi ad una
vita senza di te.”
Una sola maledetta lacrima salata osò rompere la catena imposta dal suo autocontrollo.
Una, unica. Non la scostò neppure, lasciò la presa sul volto del ragazzo e spalancò
rapido la porta prima di far cozzare le nocche della mano destra contro il muro
del corridoio, lo stesso su cui aveva scaraventato Taehyung poco prima.
Stupido.
Lo stava facendo per il suo bene, continuava a ripetersi nella testa: non
poteva permettersi di far soffrire Jungkook, avrebbe fatto tutto per lui, anche
annullare ogni singola emozione a dimostrazione del suo amore.
Due mesi, e sarebbe finito tutto.
Due mesi.