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Autore: Neamh Moonstar    09/03/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Aziraphale aveva passato molto tempo ad immaginare cosa sarebbe successo semmai avesse re-incontrato il demone che tanto aveva occupato i suoi pensieri negli ultimi giorni. Una parte di lui - quella ingenua - lo aveva riportato a quell'aureo sguardo terrorizzato e l'aveva quasi fatto intenerire. La parte ligia al dovere, invece, lo aveva più e più volte sgridato, salvo poi venire soppressa da quella ragionevole. Quest'ultima aveva recitato più volte che fare del male era sbagliato, sempre e comunque, giusto? A meno che tu non sia autorizzato a farlo, tipo Michael. Si chiese per un nanosecondo se la cosa avesse senso. Dio non aveva detto di amare i propri nemici e di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te? Magari valeva solo per gli umani. Ineffabilità, quell'arma a doppio taglio: scusa e spiegazione a tutti i suoi dubbi. O quasi.

Di tutte le possibilità che erano passate per la mente del guardiano, però, quella che stava affrontando non era passata neanche per l'anticamera del suo ipotetico cervello. 

Aveva capito molte cose dal suo secondo incontro col nemico: la prima era che la serpe in questione non assomigliava affatto alle grottesche e ben dettagliate descrizioni dei demoni che gli erano giunte. Davanti a lui si era delineata una figura alta, magra, un volto affilato contornato da onde cremisi e caratterizzato da due dorate iridi da rettile. Aveva provato a figurarsi tutte quelle caratteristiche in veste bianca, arrivando alla conclusione che quello che aveva davanti doveva essere stato davvero un angelo maestoso, una volta - tutte cose che al primo incontro gli erano passate davanti troppo velocemente per essere colte appieno, tra il dolore e la paura. Chissà perché una creatura così bella aveva deciso di passare all'altra fazione, si chiese. Perché sì, era bella, su quello non c'erano dubbi. Se fosse o meno una facciata, quello non avrebbe saputo confermarlo.

L'altra importante cosa che aveva compreso, era che il suo interlocutore era diverso non solo fisicamente ma anche mentalmente parlando. Prima di tutto: nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden due volte, da solo e disarmato. Seconda cosa: nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden due volte, da solo, disarmato e con nessunissima intenzione di uccidere o, in quel caso, vendicarsi. Tutti comportamenti che , sotto sotto, avevano fatto sentire l'angelo meno strano - anche se sentirsi vicini ad un demone con manie di diserzione non doveva né poteva essere una cosa positiva per uno come lui.

Durante la breve e battibeccante conversazione che avevano avuto, Aziraphale si era quasi divertito a rigirare le pressioni e gli insulti che gli erano stati rivolti. Parlare con i diretti avversari doveva essere più simile ad uno sputarsi veleno addosso, si disse - anzi: tecnicamente parlando, tra angeli e demoni non ci sarebbe dovuto essere dialogo, ma guerra. 

Nonostante avessero già rotto la dicotomia in più punti, però, ciò che accade lo colse totalmente impreparato. E quella che sarebbe dovuta essere una conversazione curiosa, interessante e - a detta del serpente - che lo vedeva come diretto interessato, di fatto finì senza mai essere iniziata. 


L'aria lo frustava incurante, rimbombandogli nelle orecchie. Dal polso, ben incastrato nella ferrea stretta dell'altro, partiva una bruciante e pulsante stilettata di dolore. Gli ci vollero due secondi per capire che era stato rapito e che a lungo andare il contatto li avrebbe distrutti entrambi. Era così occupato a cercare di liberarsi e di tenere una quota che gli permettesse di non schiantarsi al suolo, che a malapena si accorse del repentino cambio di ambientazione. Lo scuro e plumbeo cielo attorno a lui, però, dovette far spazio alla terribile sensazione della sua aurea che scricchiolava in coro con quella del demone, il quale ancora si ostinava a non mollare la presa.

Non sapendo bene che altro fare, dopo aver urlato un po' di stentati e doloranti: "Lasciami!" e "Rallenta!" Aziraphale capì che nessuno sforzo sarebbe stato abbastanza da fermare quella giostra impazzita. Già volava poco di suo; farlo a quella velocità, mentre il suo polso e il palmo dell'altro iniziavano a fumare come carne al fuoco, era anche peggio. Sentì le sue ali indebolirsi progressivamente, intanto che anche la loro traiettoria si faceva sempre meno regolare, rendendoli simili a piume in balìa del vento. Il mondo attorno a sé divenne una macchia confusa e sfocata, aveva quasi paura di scoprire le condizioni del suo braccio o quelle della sua forma divina - probabilmente smangiucchiata in più punti, a giudicare dalle frustate infuocate che parevano giungere da ogni parte.

Percepì solo la vertigine, poi la stretta che spariva e infine il suolo. Non fu una caduta così rovinosa, ma il terreno ruvido lo sentì tutto mentre vi rotolava brevemente sopra. 

Strinse gli occhi e si raggomitolò d'istinto, creandosi un bozzolo con le ali. Si circondò il braccio ferito, tremando alla sensazione di bruciore che ormai sembrava una belva affamata alla ricerca dei pezzi più buoni della sua lucente ed angelica costituzione. Faceva male e l'aria era così calda e pesante: odorava di zolfo, sembrava contribuire ad alimentare il dolore come fosse una fonte eterea di energia oscura. Avrebbe voluto fare qualcosa, fuggire magari, ma era bloccato: un riccio tremante, impaurito e lacrimante. Una creatura di Dio che si riduce in quel modo... Patetico. Gabriel lo avrebbe distrutto a parole se lo avesse visto, sicuramente.

    Dietro di lui arrivarono tantissime, sussurrate e sibilate imprecazioni di dolore. Si aprì una porta, passetti affrettati portarono un terzo individuo sulla scena. Una voce femminile, umana e adirata tenne a stento un'esclamazione: «Si può sapere che ti passa per la testa?!»

    «Beh, ero in svantaggio» ghignò il demone tra un gemito e l'altro. «Così ho ribaltato la situazione.»

    «Hai una concezione davvero originale di "dialogo", Crowley» ringhiò l'umana. «Prega di non aver svegliato i vicini. E non fare quella faccia, si fa per dire.»

Aziraphale schiuse lentamente un occhio, confuso. L'agitazione e l'adrenalina degli ultimi secondi si placarono lievemente intanto che la donna - giovane, presumibilmente - si avvicinava a lui.

    «Sei una serpe maledetta» lamentò quest'ultima. «Guarda come l'hai ridotto.»

    «Certo che lo sono» rispose il demone - Crowley, a quanto pareva, sicuramente con una smorfia. «E poi, hai visto la mia mano?»

    «Non ti sarebbe successo niente se non avessi fatto la più grande cazzata della tua esistenza.»

L'angelo si strinse un altro po' nelle spalle intanto che osservava la sua ala venire sollevata da due mani delicate, ben curate e timorose. Un paio di occhi scuri, circondati da capelli altrettanto scuri, fece capolino in mezzo alle sue piume ora bianco sporco.

    Venne colpito dallo sguardo più preoccupato e premuroso che gli fosse mai stato rivolto. «Cielo, guardati: povera creatura.»

    «Povera creatura,» mimò Crowley, ora evidentemente infastidito dalla situazione. «Se ci tieni tanto, portalo dentro.»

Uno strisciare di ali sul terreno, una porta che cigolava, qualche colpo seguito da altrettanti lamenti. 

    L'umana sospirò e si mise subito all'opera. «Scusa» sussurrò.

In un attimo Aziraphale si ritrovò con il braccio buono attorno alle spalle dell'altra. Avrebbe voluto commentare ma il bruciore lo colpì peggio di una palla di cannone in pieno stomaco. I pochi metri che li separavano dall'ingresso di quella che era una casetta adorabile, davvero, furono percorsi quasi interamente dalla poveretta che era stata costretta a scarrozzarlo. Stare in piedi era fuori questione, parlare men che meno e tenere gli occhi aperti quasi infattibile. Non gli era mai successo prima: gli angeli non dormono, non ne hanno bisogno; se lo fanno significa che qualcosa non va e Aziraphale aveva decisamente più cose che non andavano in quel momento. Non registrò nulla di quello che accadde se non qualche voce lontana, si assopì senza neanche rendersene conto.

Nella sua mente esausta fece breccia l'idea che Crowley e l'umana dai capelli scuri litigavano davvero tanto. Le loro discussioni furono abbastanza animate da destare un po' il suo stato di incoscienza.


Riaprì gli occhi non molto tempo dopo, in realtà. Sotto le sue ali c'era una superficie morbida e accogliente, una manna dopo gli ultimi eventi. Sul suo braccio stava passando a tratti una carezza rigenerante, capace di ricucire - seppur non in maniera perfetta - la sua aurea distrutta.

    «Giuro che sse mi tocchi con quella roba...»

    «Senti, hai deciso tu di metterti qui, perciò zitto e dormi. E poi è tutta colpa tua: dovevi convincerlo, non trascinarlo all'Inferno.»

    Un sibilo stufo fendette l'aria in risposta: «Ssi fa prima così. Tanto sarebbe dovuto venire, no?»

Uno sbuffo, poi il silenzio. Aziraphale mise lentamente a fuoco la giovane di poco prima: era china su di lui e gli stava pulendo le ustioni con uno straccio zuppo di... Era acqua santa quella? Sì, si disse, decisamente. Sulle sue spalle, a mo' di sciarpa, se ne stava il serpente rossastro che l'angelo ormai conosceva bene: aveva i segni di una strana sostanza vischiosa sulle squame e gli occhi dorati socchiusi, come quelli dei gatti che fanno finta di riposare ma che sono in realtà viglissimi e pronti a scattare.

    «Ehi, ciao» sussurrò lei con un sorriso, accorgendosi dello sguardo confuso che le aleggiava addosso. «Stai meglio?»

Aziraphale annuì, ancora incapace di mettere due parole l'una dietro l'altra. Quei movimenti e la sensazione di benessere gli ricordarono tanto Raphael e il suo modo di fare, solo più dolce magari, come fosse smussato agli angoli. Chissà cos'avrebbe pensato l'arcangelo Guaritore vedendolo in quello stato dopo essere stato letteralmente trascinato verso... Già, verso dove?

Si guardò attorno e capì di essere all'interno di una stanzetta, poggiato ad una poltrona nella quale le sue ali stavano a stento. Era un luogo piacevolmente caldo, pieno di oggetti e libri. Quelli sugli scaffali davanti ai suoi occhi erano decisamente libri: quelle cose non c'erano in Paradiso, nessuno ne aveva bisogno. Certo, questi in particolare sembravano veramente vecchi, rovinati, a tratti scrostati, ma Aziraphale aveva sempre provato un certo tipo di attrazione verso quelle piccole scatole di conoscenza mortale. Non lo aveva mai detto a nessuno, ma gli sarebbe sempre piaciuto aprirne uno e scoprire cosa vi fosse impresso all'interno: quegli strumenti erano da sempre il maggiore veicolo di informazione e formazione per gli umani; oggetti inanimati capaci di animare gli animi. Se non era un miracolo quello.

C'era qualcosa che non quadrava, però. Guardando fuori dalla finestra si accorse di quanto scuro fosse il cielo. Concentrandosi, sentì nuovamente quel senso di fastidio e oppressione, quasi come se l'aria attorno a sé avesse un peso. Le parole che aveva percepito gli rimbombarono nella mente: "Dovevi convincerlo, non trascinarlo all'Inferno."

Aggrottò la fronte e osservò la sua soccoritrice, stavolta con attenzione, mettendo all'opera anche le fibre più esauste di sé stesso. Non sembrava una cattiva persona, anzi: sembrava incredibilmente affascinata da lui - tipico, in realtà, se si considera che il senso di stupore e devozione era ciò che gli umani erano normalmente portati a provare davanti agli angeli. Ma in lei c'era la stessa metafisica macchia scura che caratterizzava l'ambiente attorno a loro, un alone di male misto peccato che gravava come una bolla o una cupola sulle loro teste: la stessa sostanza della quale erano fatti i demoni.

Era stato portato nel regno opposto, completamente disarmato - non che essere armati avesse fatto differenza nel suo caso, si disse poi - alla mercé di una serpe fuori di testa e un'umana al servizio del male. Avrebbe dovuto avere come minimo un attacco di panico, o in alternativa una di quelle emozioni abbastanza forti da tirare fuori la macchina da guerra che era in lui - sempre che ci fosse davvero. Eppure...

    Non senza una punta di ripensamento, Aziraphale abbassò la guardia e osservò il suo polso tornare alla normalità. Ustioni, lividi e graffi - fisici e non - si fecero mano mano meno visibili. «Grazie» disse semplicemente, accennando un sorriso.

    La giovane ricambiò: «Figurati e scusa per la situazione» disse tirando un'occhiataccia a Crowley, il quale mimò un sorrisetto furbo sul muso squamato. «Posso assicurarti che c'è una spiegazione logica a tutto questo.»

    Non c'era odio né inganno in quelle parole e il guardiano non se ne stupì. Rivolse a sua volta un marmoreo sguardo di rimprovero al suo rapitore, sperando capisse che sarebbero tornati sulla questione, e tornò a rivolgersi all'umana con un sorriso: «Perciò a cosa devo la premura?»

In realtà avrebbe voluto chiedere mille altre cose, tipo: "Come ti chiami?", sarebbe stato più educato; ma lì era chiaro quale fosse il punto focale della situazione. Fortunatamente, Aziraphale era abbastanza bravo a mettere apposto i pensieri da rendersi conto che: uno, uomini e donne del Regno del Male non dovrebbero possedere dell'acqua santa né portare i demoni loro governatori in spalla come canarini. Due, nessun demone sarebbe così pazzo da entrare nell'Eden da solo, disarmato, con nessunissima intenzione di uccidere o vendicarsi per rapire un angelo - e rischiare la morte di conseguenza - senza una motivazione forte e precisa. Una volta chiariti quei due punti, il resto sarebbe venuto da sé.

E infatti così fu.

    «È una storia un po' complicata» iniziò lei. «Mi chiamo Anathema, la serpe senza rotelle qui è Crowley. Avrebbe dovuto parlarti, ma immagino dovrò farlo io.»

Aziraphale annuì e la seguì con lo sguardo mentre andava a frugare in un cassetto del comodino accanto al letto. Tornò da lui con un plico di quelle che parevano lettere: anche gli angeli le usavano ogni tanto, soprattutto per inviare comunicazioni dalla fortezza a chi lavorava in mezzo agli umani. 

    «La mia famiglia ha sempre fatto questo lavoro» riprese Anathema indicando gli alambicchi sparsi in giro. «Sai, mi piace chiamarla farmacologia anche se non lo è - non esattamente». Sulla sua spalla, Crowley alzò gli occhi al cielo prima di tornare al suo finto stato sonnacchioso. «Ma abbiamo sempre avuto altre "passioni" chiamiamole così. Una di queste,» e qui abbassò la voce, «sono le profezie.»

L'angelo sbarrò appena gli occhi. Aveva sentito voci sulla questione: alcuni pensavano che Dio avesse donato ad alcuni umani la possibilità di dare un'occhiata ai Suoi piani in quel modo, attraverso visioni più o meno precise di ciò che sarebbe stato del mondo. Nessuno sapeva a che pro o in che modo tali prescelti venissero, appunto, scelti - fatto stava che ciò che gli era stato riferito era assolutamente credibile.

    «Ne ho qualcuna tratta da qualche libro,» riprese la giovane. «Altre sono state scritte da alcune mie antenate tempo fa su fogli volanti che abbiamo dovuto rilegare. In ogni caso, so le più importanti a memoria.»

    I pezzi di quell'inusuale puzzle iniziarono ad incastrarsi nella mente di Aziraphale, nella quale echeggiarno anche le parole del demone nell'Eden. Cercò di capire dove tutto quel casino andasse a parare e azzardò: «E in una di queste centro io in qualche modo?»

    Pronunciare quel pensiero lo fece risuonare ancora più assurdo. Raggiunse l'apice quando Anathema annuì: «Sei sveglio.»

    «Ssì, facile così» si intromise Crowley alzando la testa. «Questo gliel'ho già detto.»

    Aziraphale fece il possibile per indurire la sua espressione abbastanza da chiarire che non accettava quel tono - difficile quando sei fatto apposta per sembrare innocuo. «È anche l'unica cosa che mi hai detto,» precisò. «E dato che la tua amica sta facendo il lavoro al posto tuo, sarebbe bene se la lasciassi finire.»

Anathema parve felice di quella difesa, cosa che portò il demone in svantaggio.

    «Non siamo amici» sibilò quest'ultimo sottovoce. Poi guardò la giovane: «Va' al punto.»

    Alzando gli occhi al cielo, la ragazza lo assecondò senza pensarci su due volte e passò ad Aziraphale un foglio sbiadito. «Questa è la profezia di cui ti volevo mettere al corrente,» disse. «Faccio sempre una copia di tutto. Chiamalo difetto di famiglia.»

L'angelo non dovette nemmeno destreggiarsi tra l'ordinato corsivo di quella lettera rivolta ad un certo "Mio caro" del cui nome non c'era traccia. Si fissò su quelle parole centrate e tra virgolette:

Quando il mondo si ridurrà ad una grigia battaglia, l'Amore nel male si annerirà e la Luce alata prenderà in mano la sua fiamma. Con la bestia dell'Eden al suo fianco, l'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno si spegnerà e rivoli dorati affonderanno l'Intoccabile Dicotomia.

    Non fece in tempo ad arrivare al punto che Crowley decise di uscire dal suo forzato e al contempo innaturale silenzio. Scivolò debolmente giù dalle spalle di Anathema e riprese la sua forma solita: si vedeva che aveva appena trascinato un angelo in lungo e in largo; le rosse ciocche cremisi gli ricadevano copiose sul volto stanco e scarno. «In sintesi: il mondo sta per finire e a quanto pare io e te possiamo evitare la cosa.»

    Aziraphale aggrottò le sopracciglia e Anathema si passò una mano sulla faccia, intervenendo: «Ti spiego,» disse, iniziando ad indicare un punto del testo. Ciò portò il rosso ad alzare gli occhi al cielo e a buttarsi non proprio cerimoniosamente sul letto, le ali corvine schiacciate dietro la schiena. 

    «Vedi, ogni angelo ha il suo epiteto, così come ogni demone. Sai, cose come: Messaggero, Guerriero, Guaritore; i ruoli classici. Tu, però-» e qui la giovane si mise a scandagliare Aziraphale con un'attenzione particolare, «-tu sei sempre associato alla luce, sempre, anche in angelologia.»

L'angelo non seppe bene come replicare. Ovviamente era consapevole del fatto che la sua vera forma, essenza che dir si voglia, fosse peculiarmente splendente. La cosa non era mai stata vista con attenzione o stupore prima di allora, in fondo: quanto stupore puoi provocare se sopra di te esistono gerarchie intere di creature mille volte più alate, colorate e incredibili di te?

    Scosse la testa: «Sono sicuro che c'è un errore» disse, non senza un tremito di insicurezza nella voce. «Suona tutto troppo epico per me.»

    «Hai una spada di fuoco, però. No?» Chiese Anathema, gli occhi socchiusi e attenti mentre fissavano il suo interlocutore.

    «Beh, sì ma-»

    «Senti, angelo» interruppe Crowley sbuffando e senza neanche alzare il capo per guardarlo. «Non esistono molte altre "Luci" armate di "fiamme", fattene una ragione.»

    «Così come non esistono altre "bestie" abbastanza pazze da entrare nell'Eden» completò la giovane, indicando il suo improbabile socio. «È famoso al quartier generale per questo. Nessun demone ha più osato mettere piede nel giardino dopo la Caduta.»

    Crowley si buttò un braccio sugli occhi dopo averli sbarrati: «Odio quando ne parli.»

Aziraphale si ritrovò suo malgrado a prendere quella reazione in maniera fin troppo incuriosita. Aveva sempre pensato che i demoni andassero fieri della Caduta: rappresentava l'inizio della loro indipendenza, l'inizio del loro regno. Crowley invece ne sembrava quasi... Non avrebbe saputo dire se schifato o spaventato. Forse entrambe.

    Rilesse le parole che aveva davanti senza sapere bene cosa farsene. «Va bene, mettiamo caso che sia vero,» azzardò. «Ci sono molte cose che non capisco. Immagino che solo il sovrano di questo posto sappia cos'è l'Arma, e già immaginavo che ci sarebbe stata una guerra,» asserì, iniziando a ragionare. Nella sua mente si allinearono compatte tante piccole idee e teorie, alcune delle quali non trovarono compimento. Quando chiese ad Anathema cosa si intendesse con "grigia", in che senso "Amore" e cosa fossero i "rivoli dorati", tutto ciò che ottenne fu una scrollata di testa.

    «Io e i miei amici abbiamo fatto alcune ipotesi,» spiegò lei. «Le abbiamo raccolte e confrontate, ma non siamo sicuri di niente.»

    Aziraphale inclinò la testa: «Ci sono altri umani implicati in questa storia?» Chiese, preoccupato. Già l'idea che l'umanità che tanto avrebbe voluto preservare potesse venire spazzata via da un conflitto - da Il Conflitto, in realtà - l'aveva turbato. Adesso le cose andavano man mano peggiorando.

    Anathema, però, sorrise: «Più di quelli che immagini» affermò.

L'angelo sprofondò nella poltrona con la profezia che ancora gli ballava nella mente e davanti agli occhi, intrisa nell'aria di quel luogo che già da solo minava le sue normali capacità. E se Anathema e Crowley si stessero sbagliando? Dio avrebbe dovuto mettere il Paradiso al corrente di un'ipotetica fine del mondo, no? E se Satana con quella fantomatica arma avesse accelerato i tempi? 

E ancora, quelle parole erano tutto fuorché chiare. E se non avessero capito cosa dovevano fare? Lui odiava quella spada e l'idea di doverla usare era di per sé abbastanza da farlo retrocedere sulla questione.

Si voltò verso il demone e, nello stesso momento, questi alzò un po' la testa dal materasso per guardarlo a sua volta. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, incatenandosi all'idea che - se davvero le cose stavano in quel modo - sarebbero dovuti essere loro due a sciogliere non solo il conflitto ma anche ciò che gli impediva di toccarsi.

Quello sguardo aureo era così duro, così impenetrabile, così misterioso. Eppure Aziraphale poté leggerci un chiaro: "Credimi, angelo, nemmeno a me piace l'idea."

Si ritrovò a pensare al Paradiso. Qualsiasi angelo al suo posto avrebbe preso tutte le informazioni e le avrebbe consegnate a Michael, il quale sarebbe sicuramente andato in fretta e furia a radunare le truppe e iniziare il macello. 

E allora la sua parte ragionevole venne in soccorso, dicendo che aveva la possibilità - anche se non sapeva i dettagli - di mettere fine al conflitto tra Paradiso e Inferno. Era lì, nero su bianco.

    «Di preciso,» chiese allora ad Anathema, staccando il tacito contatto che aveva avuto con Crowley. «Quanto sono accurate queste profezie, di solito?»

    «Abbastanza da avermi detto come campare, come gestire i miei studi proibiti, alle volte persino come gestire Crowley e come creare la Zona Mediatrice-». Fece spallucce: «Direi molto, molto accurate.»

    Per l'ennesima volta quel giorno, Aziraphale si ritrovò stranito: «La Zona- che?»

    «Oh, qui arriva la parte divertente» disse Crowley con una risata sarcastica ma al contempo quasi invitante. Si mise dolorosamente a sedere, tornando a puntare lo sguardo non tanto verso quanto dentro quello dell'angelo. «Decidi tu: vuoi tornare a passeggiare sul muro aspettando l'apocalisse, o vuoi scoprire cosa c'è oltre questa storia?»

Aziraphale sentì Anathema sussurrare un duro: "Non mettere pressione", ma non intervenne in modo da mantenere il suo stesso sguardo serio e concentrato. 

C'era una parte di lui, quella ligia al dovere, che per quanto ci provasse perdeva sempre. Il perché era semplice: lui aveva la sua personale idea di "dovere". Aveva sempre provato amore per l'umanità e se c'era una cosa che gli angeli erano davvero bravi a fare, era proteggerla. Lui avrebbe sempre voluto farlo.

Aveva la sua occasione.

Aveva anche paura, però. E un alleato davvero fuori dagli schemi.

Ma forse andare fuori dagli schemi era proprio ciò di cui il mondo aveva bisogno?

    Senza essere del tutto convinto - ma tanto non lo era mai - scacciò via le occhiatacce degli Arcangeli dalla sua mente e con un sospiro disse: «Va bene. Qual'è il piano?»

E pregò Dio che ce ne fosse effettivamente uno.

   
 
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