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Autore: EleonoraParker    22/03/2022    1 recensioni
Era giunto alle soglie dei meandri delle nuvole ormai, mancava poco.
Stare tra la gente gli era sempre pesato, ma forse mai come ora.
Ora, tornare a casa era come tornare a respirare, ogni volta.
E c'era sempre silenzio, sulle soglie dei meandri delle nuvole, ma non era il silenzio ostile e vuoto che aveva permeato il freddo nei suoi giorni di reclusione, no, né quello rigido e solitario di quando era solo un bambino; era un silenzio dolce, quello. Era un silenzio che contrastava i sussurri e i bisbigli del mondo, le sue bugie, le sue accuse e le pompose frasi false. Era un silenzio che placava l'animo e i sensi.
E poi, non era sempre cosí silenzioso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lan Wangji/Lan Zhan, Wei Ying/Wei WuXian
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My lover's got humour
He's the giggle at a funeral
Knows everybody's disapproval
I should've worshipped him sooner
 
Il cielo era scuro e annuvolato. O forse no.
A lui lo sembrava.
Pesavano i passi, stanchi, troppo stanchi, quando avrebbero solo voluto volare verso la luminosa salvezza che attendeva, sulla cima del monte.
C'era sollievo, nella destinazione, certo che si, ed impazienza nel raggiungerla.
Ma c'era un profondo languore ad asfissiare, lungo la via. Pesantezza di palpebre, monotonia di inutili parole, disgusto e oppressione nel ricordo terribilmente fresco.
Lan Wangji si domandava quanto a lungo sarebbe andata avanti in quel modo.
Ma in realtà, conosceva già la risposta. La conosceva già da anni.
 
Non erano facili le conferenze dibattito, non lo erano mai. Soprattutto quelle alla Torre della Carpa Dorata. La gente era brava a dimenticare solo quello che faceva loro comodo, ad esempio, come avessero messo senza troppi pensieri al potere un criminale, troppo accecati dalle loro convinzioni per vedere chi fosse davvero, troppo impegnati a vedervi un prodigio, l'improvviso salvatore giunto dopo, solo dopo però, il terrore della tempesta che aveva sconvolto l'intero mondo della coltivazione, rubato anime e segnato la storia.
Ma non potevano dimenticare, no, gli errori. Le involontarie perdite, che avevano causato a chi accusavano di essere per esse responsabile molto più dolore di quanto ne avessero causato loro. 
Quello si ricordava sempre. E, nonostante passassero gli anni, si continuava a rivangare, sempre.
La differenza era che adesso non avevano più una persona sola da accusare. Adesso ne avevano due, e mille motivi in più.
Adesso non sentivano più di dovere rispetto a quell'Hanguang-Jun, alla giada di Gusu, non come in passato, perché era ormai diventato un essere libero, indipendente, pensante.
E, a quanto pareva, il rispetto lo meritava solo chi era parte del tutto, uniformato alla mente collettiva, schiavo delle regole e degli schemi.
Lo avevano rispettato, quando era solo cieco ed amorfo membro di un serie; non si sentivano più in dovere di farlo, ora che non era come loro, ora che era, finalmente, sé stesso e qualcuno.
Non più un Lan, il Lan, e non il nobile gongzi, ma il ribelle, l'inaffidabile, quello con strane associazioni con l'oscurità e con un piú che ambiguo rapporto con quel Wei Wuxian, anche se su questo solo i piú intrepidi si azzardavano a speculare: Lan Wangji.
La sua opinione era diventata scarsa, inutile, regolarmente contestabile. 
Non sarebbe mai cambiato. Nessuno avrebbe mai capito, non senza egoismo od ipocrisia.
Ma una comprensione egoista od ipocrita non sarebbe servita a nulla. Meglio niente, allora.
Meglio la solitudine.
Era una guerra che forse non sarebbe mai finita.
E non era importante, no, dopotutto non lo era davvero, ma pesava, sul portamento eretto e sulla mente lucida.
Dopo tutti quegli anni, pesava terribilmente.
 
E chissà come doveva essere stato per lui, allora.
Se lo era chiesto tante volte, ma non si era mai ritenuto davvero all'altezza di comprenderlo.
Non lui, che aveva sempre avuto tutto, e che aveva perso solo quello che aveva rifiutato.
Doveva essere stato quasi impossibile.
Freddo, come quella risata, squillante da dare i brividi.
Insostenibile, come lo sguardo tra la vita e la morte, tra il fuoco ed il vuoto.
Ricordava com'era stato, in quell'unico istante in cui gli era stato da lui concesso, guardare in quegli occhi, non trovarvi un appiglio, non vedervi di più.
Ma era stato lui stesso, all'epoca, ad essere ancora troppo cieco.
A non vedere altro oltre l'incombente oscurità, a reclamare il suo spazio, e le iridi arrossate.
Non vi aveva visto la disperazione dirompente, la richiesta d'aiuto che lui negava a sé stesso, perché non avrebbe mai chiesto aiuto, Wei Wuxian, nonostante tutto, era solo la sua anima barcollante nell'oscurità a chiederlo per lui.
E ci aveva provato, Lan Wangji, ad aiutarlo.
Aveva creduto di averci provato davvero.
Ma non era stato in grado di dargli l'aiuto di cui aveva bisogno, non era stato in grado di capire di che tipo di aiuto avesse bisogno.
Aveva provato a fare ciò che credeva lo avrebbe aiutato. Aveva avuto la stessa comprensione ipocrita ed egoista di tutti.
 
Aveva creduto alle parole di suo fratello, quando aveva detto che il suo cuore era cambiato; e aveva sofferto, per quelle parole, solo perché significavano che ogni speranza, ogni illusione mai nata stava morendo davanti ai suoi stessi occhi, forse era già morta.
Aveva creduto fosse troppo tardi quando era ancora solo l'inizio, aveva creduto di aver perso il ragazzo di cui si era puerilmente innamorato quando la sua vera natura stava appena iniziando a rivelarglisi.
Perché non era quella di ragazzo rumoroso e ribelle, brillante ma spensierato, la sua vera natura, no, ma quella di anima abbandonata, sola a struggersi nell'oscurità, a non cedervi mai, nonostante tutto, nonostante quanto fosse difficile ed inutile, ad ergersi come ultimo baluardo di salvezza per i senza futuro, resistente come un obelisco contro le intemperie, fragile come creta ai colpi del dolore, contro tutto e tutti, nuotando senza sosta tra le onde della loro disapprovazione.
La conosceva, Wei Wuxian, la disapprovazione del mondo. E dubitava che, persino allora, non la ricordasse piú.
Non ricordasse più com'era, sentirne il peso sulla pelle, la presenza negli sguardi sfuggenti e superficiali, troppo spaventati per fermarsi ad osservare.
Era fatta di quello, la sua vera natura, di tutto quello.
Lo sapeva, adesso. Ed a quella doveva ispirarsi, per continuare a lottare.
Alla grandezza a cui lui si era erto doveva continuare a guardare, per non soccombere.
E non c'era niente di cui più si pentisse del non averlo capito prima.
 
If the heavens ever did speak
He's the last true mouthpiece
Every Sunday's getting more bleak
A fresh poison each week.
We were born sick, you heard them say it.
 
 
Era giunto alle soglie dei meandri delle nuvole ormai, mancava poco.
Stare tra la gente gli era sempre pesato, ma forse mai come ora.
Ora, tornare a casa era come tornare a respirare, ogni volta.
Forse salvarsi, nell'unico luogo che pure un tempo gli era stato ostile, ma che adesso, per fortuna o forse solo concessione, non lo era più.
E c'era sempre silenzio, sulle soglie dei meandri delle nuvole, ma non era il silenzio ostile e vuoto che aveva permeato il freddo nei suoi giorni di reclusione, no, né quello rigido e solitario di quando era solo un bambino; era un silenzio dolce, quello. Era un silenzio che contrastava i sussurri e i bisbigli del mondo, le sue bugie, le sue accuse e le pompose frasi false. Era un silenzio che placava l'animo e i sensi.
E poi, non era sempre cosí silenzioso.
 
Aveva percorso svariati metri ormai, da che aveva superato la soglia, e già poteva scorgere i primi tetti. E con essi, poteva iniziare a sentire i primi brusii.
Forse una parte di lui non vi si era ancora del tutto abituata, dopotutto quando era un ragazzo non si sentivano mai brusii neppure stando all'interno dei meandri delle nuvole, figurarsi ad una tale distanza.
Ma tante cose erano cambiate, da che era solo un ragazzo. Forse tutto. Qualcosa in meglio, qualcosa in peggio.
Qualcosa aveva iniziato a fare male, qualcosa aveva guarito le ferite.
Era difficile dire se ognuno di quei cambiamenti fosse stato voluto. Certamente era stato dovuto.
Ma poi, d'un tratto, a seguito dell'ennesimo, leggiadro passo, Lan Wangji poté udire un suono.
Un suono leggero come la brezza di primavera in cui si librava, brillante come le foglie che faceva tintinnare, squillante come il cinguettio degli uccelli sugli alberi, eppure molto, molto più luminoso di tutto quello.
Radicato nel suo cuore, come i tronchi tra cui riverberava lo erano nella terra.
Straordinariamente vicino, seppur ancora lontano.
E fu chiaro che ognuno di quei cambiamenti era stato forse dovuto, forse non voluto, ma di certo necessario. Necessario per arrivare a quello.
E accelerò, il passo, per star dietro al cuore che cercava rifugio e sollievo.
Ed il cielo non parve più cosí scuro.
 
Da qualche parte, lungo la via, le grigie nubi dovevano aver lasciato spazio al sole.
Ed eccolo lí, il sole. Ecco i suoi raggi, ordinatamente raccolti, ostinatamente puntati su un unico oggetto, soggetto, che con il sole se ne contendeva l'origine.
Ecco, lo vide, superato l'ennesimo tronco.
Rischiarò la mente dai soffocanti, velenosi fumi della malinconia e della rabbia.
E seppe che sarebbe stato disposto a respirare fino all'ultima particella di quei fumi, a berne fino all'ultima goccia di condensato veleno, pur di averlo.
Ed era quello che faceva, si accorse di non aver fatto altro che quello per anni.
Solo per avere quel mistero, che un tempo aveva consumato la sua essenza ed i suoi pensieri sempre di più, giorno dopo giorno, quasi a prendere, per lui, le parti che giocava l'oscurità per quello stesso. Lasciandolo arido, poi, più arido dopo ogni sguardo, dopo ogni parola ed ogni incontro. Dopo ogni abbandono.
Ma ne valeva la pena, si, ne era sempre valsa la pena, perché se mai era esistito qualcosa di buono e di giusto al mondo, di puro ed incorruttibile, quello era lui.
Lui che rideva, illuminato dal sole e accarezzato dal vento, circondato dai discepoli più giovani che ridevano con lui, ad insegnar loro chissà che, ma di certo a renderli allegri, più di quanto chiunque nel clan Lan fosse stato in grado di fare.
Anche loro lo ammiravano, profondamente, sebbene, se fosse stato loro chiesto, non l'avrebbero mai ammesso.
Non stava bene ammirare chi, solo nella sua persona, infrangeva ogni regola del loro clan.
Non stava bene, ma dopotutto non c'era niente di male. Soprattutto da quando avevano saputo che aveva cresciuto, in parte, Sizhui.
Soprattutto da quando vedevano come fosse in grado di rendere felice il loro Hanguang-Jun, sempre cosi serio, come sapesse farlo sorridere, come fosse l'unico a farlo, nessuno di loro ci era mai riuscito, nonostante tutto l'affetto che, seppur non mostrava, sapevano provasse per tutti loro.
 
E vi era qualcosa di speciale, nel modo in cui, seppur diverso e spesso quasi estraneo a tutti loro, Wei Wuxian sembrava aver trovato esattamente il suo posto nei meandri delle nuvole.
O forse era solo Lan Wangji a vederla in questo modo, perché non poteva immaginare per lui posto più perfetto di quello che gli permetteva di completarlo.
Era egoistico, forse, malato perfino, ma vero.
Non poteva farci niente.
Niente aveva mai chiesto, nella vita, ma di lui non poteva fare a meno.
Lui era quello a cui tornava, il rifugio e la via di fuga, l'unica possibilità di salvezza da un mondo fin troppo tetro e corrotto.
Se anche ve ne erano altre, lui non riusciva a vederle.
Ed infatti, poté percepire il peso che aveva accompagnato i suoi passi fin lí diminuire drasticamente.
L'amarezza restava, ma non pesava più. Tutto era sopportabile, se tornava a lui.
E a tutto quello che lui gli faceva provare, che spillava dalla sua anima giorno dopo giorno.
Ciò che il mondo non poteva capire, neanche lontanamente immaginare, nella forza dirompente con cui faceva tremare il cuore, nella determinazione con cui aveva piegato la sua volontà e messo in ginocchio la sua anima, nella spietatezza con cui aveva dilaniato costantemente le sue carni, per tredici lunghi anni di assenza.
Era solo malattia, per loro, inconcepibile follia, chissà, forse persino qualche oscuro maleficio, opera del patriarca di Yiling.
Come potevano, le loro povere, codarde esistenze, avvicinarsi all'idea di un qualcosa di cosí grande e meraviglioso, e proprio per questo tanto spaventoso?
Ci voleva coraggio, ci voleva determinazione.
Ci voleva quel pizzico di meraviglia che, purtroppo, alle loro vite non era stato concesso.
 
 
If I'm a pagan of the good times
My lover's the sunlight
To keep the Goddess on my side
He demands a sacrifice.
 
 
E avvicinandosi a tutta quella dirompente, contagiosa allegria, a quella luce abbagliante, fu certo, ancora una volta, che era quella la salvezza, quel luminoso cielo che ormai ricopriva la sua esistenza.
Si sentí persino in colpa, per lasciare che quest'ultima fosse oscurata, a volte come allora, dalla crudeltà del mondo, quando aveva il privilegio di possedere quel cielo, anche solo di condividerlo, si, anche quello era abbastanza.
Avrebbe dovuto essere più forte.
In nome di esso, avrebbe dovuto ignorare ogni nube passeggera, come aveva sempre fatto.
Ma dopotutto, ciò che aveva fatto da che aveva deciso di diventare parte di quel cielo, non era stato ignorarle, no, ma combatterle, tentare di dissiparle, e solo alla fine, incapace di sconfiggerle, lasciarle scorrere via, e restare a guarire le ustioni che queste avevano lasciato sulla pelle.
E seppe, dunque, che se anche non era mai stato in grado di ignorare del tutto quello nubi, troppo a lungo protetto dal suo essere intoccabile, adesso poteva contare su qualcuno che per lui guarisse quelle ustioni.
E non c'era nulla di cui avesse più bisogno, in quel momento come in ogni altro.
 
E avrebbe potuto anche chiedere aiuto, si, tante volte era stato tentato, dopo giornate terribili come quella, di chiedergli un consiglio, che non dubitava gli avrebbe rivelato esattamente la soluzione migliore su come fronteggiare quelle difficoltà, anche solo su come affrontarle nel suo intimo.
Era sempre stato certo che lui, con la sua allegria travolgente, di cui si circondava ogni giorno quasi con caparbia disperazione, a prescindere da ogni problema, tentando di recuperare forse un tempo ormai perduto, avrebbe saputo esorcizzare tutte quelle nubi, quell'oscurità e quell'amarezza che restava sulla punta della lingua quando finivano le parole, che non erano mai abbastanza e al tempo stesso sempre troppe ed inutili, soprattutto per lui.
Ne era certo, perché era in grado di rischiarare il suo cuore, quando si voltava ed entusiasta lo salutava, chiamando il suo nome con la stessa naturalezza con cui lo aveva sempre fatto,  fin dal primo giorno, ma con qualcosa in più nello sguardo, qualcosa di impagabile che non sapeva definire, e che nelle proprie iridi chiare si rifletteva in una scintilla, solo un attimo di infinito, e di incommensurabile gioia destinata a durare per sempre.
Ma nello stesso momento, capiva di non poterselo permettere.
Dopotutto c'era un motivo, se Wei Wuxian aveva scelto di rinunciare a quel mondo, se aveva scelto lui come unico compagno di coltivazione. Aveva deciso di vivere quella sua nuova vita "concentrandosi sulle cose importanti", cosí aveva detto, e il mondo della coltivazione -non la coltivazione in sé, quella avrebbe sempre conservato il suo fascino- non lo era. Perché non era più il suo, e perché gli aveva portato via troppo, aveva terminato con distante tristezza.
Non gli avrebbe mai negato un consiglio, se lui glielo avesse chiesto, né se ne sarebbe mai lamentato, ma era lo stesso Lan Wangji a non volerselo permettere.
Ne aveva avuto già abbastanza, Wei Wuxian, della crudeltà del mondo e della sua ipocrisia.
Anche quando aveva avuto una seconda occasione, per ricominciare, aveva dovuto affrontarle. E lo aveva fatto, nel migliore e più nobile dei modi.
Adesso non toccava più a lui. Non meritava di vederne più una sola briciola, cosí come il mondo non meritava più di avere una singola goccia del suo sangue, a nutrire il suo suolo arido, perché ognuna di quelle valeva più del mondo intero.
Non avrebbe lasciato che nulla di esterno, per quanto pesante, oscurasse piú quella luce.
Per quello, c'erano già i sogni e i ricordi, che nonostante il tempo non sarebbero mai passati.
E sapeva che era forte, piú forte di lui, più forte di chiunque conoscesse, che comunque niente lo avrebbe distrutto, che le uniche cose che potevano farlo lo avevano già fatto, cosí come sapeva che niente avrebbe mai potuto spegnere del tutto quella luce, neanche anni di sofferenza e una doppia morte ci erano, ma non aveva importanza.
Non aveva importanza, perché non voleva che sopravvivesse, lui voleva che stesse bene.
E se ne sarebbe assicurato, ad ogni costo.
Lo avrebbe protetto, ora che lui gliene dava la possibilità, da ogni crudeltà cercasse di farlo soccombere, e da tutto il dolore di cui sarebbe stata intrisa. Insieme a lui, Wei Wuxian non avrebbe più dovuto ricordare il sapore della sofferenza.
 
E forse era questo il suo prezzo da pagare, per tutta quella grazia divina. Perché c'era sempre stato, un prezzo da pagare, un sacrificio che l'amarlo gli aveva richiesto, sin da prima che fosse pienamente cosciente di farlo. Era stato, un tempo, voltare le spalle a tutto ciò che conosceva, ignorare tutto ciò che gli veniva detto, per perseguire quello in cui aveva da poco iniziato a credere.
Anche se lo aveva fatto, non era di certo stato facile.
Ma era cosí inebriante, cosí irresistibile al suo giovane cuore appena svegliatosi, la sensazione di fare parte di qualcosa di segreto e proibito, di forse impossibile eppure giusto, da farlo sentire vivo, e fargli perseguire la vita come ogni essere umano é istintivamente portato a fare.
Poi, era stato la paura, la terribile paura di non essere all'altezza, di non essere abbastanza, di essere in procinto di perdere tutto, di rinunciare a tutto, per non ottenere niente.
Ma era stata quella stessa paura, ad accendere il suo sangue.
E dopo, c'era stato il dolore, l'indescrivibile dolore, per aver davvero perso tutto, alla fine, per essersi davvero dimostrato non all'altezza, per aver fallito ed essere stato brutalmente cacciato da quel mistero, nella cruda realtà delle macerie delle sue illusioni. Il dolore per averlo perso.
Quello, era stato il sacrificio peggiore che l'amarlo gli avesse richiesto: il piangerlo.
Così, aveva sacrificato la sua gioia, forse una volta per tutte, di certo la sua giovinezza.
Non si era mai pentito di ciò che aveva sacrificato, ma il senso della perdita aveva permeato il suo essere per anni, fino al fatidico, miracoloso giorno, in cui la sua luce era tornata da lui.
E per quello che aveva guadagnato, allora, e recuperato, aveva avuto la definitiva certezza che era valsa la pena di immolare ognuna di quelle cose, per avere un tale dono in cambio.
E ne era certo anche adesso.
Adesso, il sacrificio che gli era richiesto era la solitudine, quando non era più solo; era il silenzio, quando aveva appena iniziato a parlare; era il segreto da mantenere sul turbamento e sulle avversità mondane, ora che aveva imparato a confidarle a qualcuno.
Ma andava bene, lo avrebbe fatto volentieri, con orgoglio persino, se poteva permettergli di preservare quella luce abbagliante più del riflesso del sole sulla neve, quella risata avvolgente come un vento di petali in primavera, e quegli amabili sguardi velati di pace e di gioia, e spesso ancora del dolce, umido velo dell'incredulità, a riportare l'estate nel suo cuore.
 
 
Take me to church
I'll worship like a dog at the shrine of your lies
I'll tell you my sins so you can sharpen your knife
Offer me my deathless death
Good God, let me give you my life.
 
 
"Lan Zhan!"
Era sufficiente quello, a farlo sentire prescelto e benedetto.
Non serviva nient'altro.
Poteva dimenticare, adesso, nel tepore delle nuvole, tutto ciò che lo aveva spinto a fuggire dal resto del mondo.
Poteva ritrovare, nell'entusiasmo di quella voce, la spinta per combattere ancora, una pulsione che lo portava a tendere all'unico luogo in cui fosse mai stato se stesso, a lui, quasi impossibile resistere a quella voglia di accelerare il passo, di tenerlo stretto come fosse tutto quello che era rimasto -e forse lui era, tutto quello che era rimasto- e di dimenticare il resto del mondo, persino quella sua parte chiara, gentile e pura che, con reverenza, gli stava porgendo i suoi saluti.
Era speciale, quella parte del mondo, era ciò che ancora gli faceva credere che tutto il resto potesse essere migliore, era la loro, eppure sfumava, indistinta sullo sfondo, dinanzi a lui.
E indistinte voci cercavano di dirgli qualcosa, ma non poteva riconoscere la loro fonte, perché i suoi occhi erano fissi su ciò che non potevano più abbandonare.
Dopotutto, aveva rinunciato a distogliere lo sguardo tempo prima.
 
Ma l'alone di quelle nubi che avevano appena smesso di oscurare i suoi occhi non dovevano averli lasciati del tutto, nonostante la nuova, vorticosa tempesta che vi imperversava.
Infatti non passò inosservato, non a lui, mai a lui, quel turbamento.
Il sorriso cedette un poco.
E se la voce, o l'abitudine, gli avessero permesso di urlare, Lan Wangji si sarebbe affrettato a negarlo, a dire che andava tutto bene e che non c'era bisogno di alcuna preoccupazione, non per quelle faccende, a suo confronto ignobili.
Ma non sapeva farlo, non poteva.
Rimase fermo, in silenzio, cercando calma a lucidità nel suo cuore, cercandole in quella figura.
E gli dedicò un sorriso diverso allora, Wei Wuxian.
Era un sorriso fin troppo consapevole, fin troppo vissuto, che non avrebbe mai voluto vedere sul suo volto.
Il sorriso di chi ha conosciuto ogni angolo e bestia dell'inferno, di chi ha sentito il dolore dei loro artigli sulla pelle, e sa riconoscere ormai, persino indirettamente, l'effetto delle loro torture.
Solo pochi istanti gli erano bastati per comprendere tutto, e comprendere lui.
E sebbene si fosse riproposto di non mostrare niente, di tenere tutto il male dentro, relegato nel profondo, lontano da lui, gli fu impossibile negare a sé stesso il sollievo che venne da quella semplice, muta eppure profonda comprensione, e gli fu impossibile resistere all'umana debolezza di cedervi. Di cedere al richiamo della sua salvezza, quando congedò i discepoli senza mai perdere il tono gaio e frizzante posseduto fino ad un momento prima, e si voltò di nuovo verso di lui, una volta che furono scomparsi dietro le porte delle loro camere, calando quella maschera di incontenibile gioia e tornando alla naturalezza di quel sorriso mostratogli poco prima.
Senza dire niente, senza chiedere niente, gli afferrò la mano, correndo poi via tirandolo dietro di sé.
E Lan Wangji non poté fare altro che assecondare quella foga cosí sua che prometteva salvezza. Non poté fare altro che seguirlo, ricercando l'ambita pace del santuario della sua sola presenza.
 
Superarono cosí, edifici ed alberi, artificio e natura, fino a giungere a quel posto ormai solo loro, immerso nella potenza di una cascata e nel suo fragore, ma annegato nella calma bellezza del verde tutto intorno.
Era tinto di calde sfumature ora, il cielo, nelle ore della lenta morte del sole, e cosí erano le foglie, orgogliose a riflettere ed assorbire quella luce per sopravvivere, e l'acqua, scorrendo poderosa sovra quella terra, tumultuosa di vita nel risveglio della primavera dopo che quello stesso sole aveva rotto le sue barriere di ghiaccio.
Tutto lí, doveva la sua vita a quel sole.
Ed in un istante di panica empatia, gli parve di realizzare che tutto, in lui, doveva la vita al suo sole.
Ed era forse folle, esagerato e confuso, ma attorno era vita, magnificenza e tumulto, e  l'unica, possibile pace, umile e riservata, simile ad un volteggiare dell'anima, ma senza morte, era in quell'offerta d'aiuto e d'asilo di cui non sarebbe mai riuscito a realizzare abbastanza la necessità per quel suo animo alle volte logorato.
Wei Wuxian, per una volta, rimase a fissarlo in silenzio. E non si aspettava niente, no, semplicemente gli lasciava il suo spazio.
Che avrebbe potuto, se avesse voluto dire qualcosa, ma sarebbe anche potuto restare in silenzio, poiché le risposte di certo l'altro non le avrebbe trovate nelle sue parole.
Gli bastavano i suoi occhi, per quello, al punto che Lan Wangji a volte arrivava a chiedersi se  fosse arrivato ad un livello di coltivazione tale da renderlo capace di leggere nel pensiero.
Perché non era sempre stato cosí, lui lo sapeva bene, più di tutti, eppure forse non lo era stato perché non voleva esserlo. Perché il mondo, e la vita di entrambi, erano ancora punti interrogativi troppo grandi per voler cercare le uniche risposte in uno sguardo. O per voler credere a ciò che quelle risposte suggerivano.
Ma la realtà era che non c'entrava niente la coltivazione, tutto dipendeva da lui, da loro, e da quel legame più puro, sorprendente ed elevato di qualsiasi percorso magico.
 
Sentì nel vento un profumo d'estate, nel suo stormire l'eco di una promessa, fatta in quello stesso luogo, durante quella che ormai sembrava essere una vita precedente.
Nella prima stella della sera, vide la fiamma che l'avrebbe portata nel cielo, dove sarebbe potuta diventare legge celeste. E lo era stata, e lo era ancora.
Come tutto ciò che é stato può tornare ad essere, sempre.
Sospirò, distogliendo lo sguardo da una sagoma nera che, libera nella sua luce, inseguiva il sole.
Guardò l'uomo al suo fianco, e la sua espressione preoccupata instillò in lui tremendo disagio.
Era forse giusto che lui, dall'alto della sua fortuna, trovasse un motivo per crollare, e non fosse nemmeno in grado di tenerlo nascosto all'altro, che non era mai potuto crollare perché non aveva mai goduto dell'altezza necessaria per farlo, ma solo sprofondare, sempre più giù nel terreno che avrebbe accolto il suo sacrificio?
No, non poteva esserlo.
Eppure fu proprio l'altro a schiudere le labbra, d'improvviso, a sussurrare, ferendo il suo cuore.
"Mi dispiace..."
Lan Wangji gli afferrò il braccio, sforzandosi di ignorare il desiderio, disperato quanto improvviso, di riavere le dita intrecciate alle sue, e la mano prigioniera della sua delicata stretta.
Ma non poteva permettergli, non poteva mai permettergli di pronunciare quelle parole.
Perché a quelle ne sarebbero seguite altre, lo sapeva, e nonostante il tempo e gli eventi, la paura di sentirle non era ancora stata sconfitta.
"Sai che non devi dirlo mai."
La voce ferma, a stroncare sul nascere ogni replica. Per tutti, ma non per lui, che capí che le parole che davvero non voleva sentire erano quelle che seguivano. Una sola parola in verità.
Sorrise, anche se non era il momento appropriato per farlo, proprio per questo, facendo traballare il suo cuore.
Ma Lan Wangji lo sapeva, e se lo aspettava: rinunciare alla possibilità di una provocazione era contro la natura di Wei Wuxian, e lui, con i suoi comportamenti, era solito dargli tutte le immaginabili possibilità.
"Pensavo fosse un'altra, la parola che non devo dire mai: gr..."
Si avvicinò a lui in meno di un battito di ciglia, e sigillò le sue labbra e le sue parole prima che potesse pronunciare anche solo un'altra lettera, con l'unico metodo che avesse imparato che fosse addirittura più efficiente dell'incantesimo del silenzio. Forse un po' più costoso però, perché ogni volta che lo praticava, gli rubava un pezzetto d'anima in più.
Le ombre si unirono sul terreno, parvero pervase di sollievo quasi quanto lo era lui, per aver evitato di sentire quella parola lasciare le sue labbra, e per poter sentire queste ultime, invece, unite alle proprie.
E non se ne separò neanche quando ebbe ormai scampato il pericolo di quel 'grazie': dopotutto, sarebbe stato un peccato rovinare quel disegno tanto perfetto di ombre, quell'unica sagoma che si stagliava sul cielo tra il blu e l'arancio, oscurità contro la luce del giorno, luce, contro l'oscurità del mondo.
Neanche l'ossigeno pareva essere più cosí essenziale, avrebbe potuto respirare da quelle labbra e sopravvivere per almeno un milione di anni.
Fu Wei Wuxian a separarsi da lui, e se non fosse stato per la risata leggera che gli lasciò udire subito dopo, Lan Wangji ne sarebbe rimasto molto contrariato.
"Cosa c'é, Hanguang-jun, hai tanta paura di perdermi?"
E c'era gentile scherno, nella sua voce, forse fin troppo per una frase del genere, rivolta, tra tutti, proprio a lui, ma anche riverberi di un innegabile dolcezza.
E non poté rispondere, lui, la gola bloccata da quel misto di incredulità e di amara disperazione di anni. Poté solo aumentare la stretta sui suoi fianchi, quasi fosse bastato anche solo pensare a quella parola per farlo dissolvere.
Wei Wuxian sorrise di più, il divertimento a prendere il posto di qualsiasi, passeggero, dispiacere ci fosse stato su quel viso.
Ma non a cancellare la dolcezza, no, nella gentile grazia dell'ultimo raggio di sole ceduta attraverso gli spiragli tra le dita che si avvicinarono al suo viso, poggiandovisi poi in una carezza, il sollievo del caldo cuore del pettirosso sulla neve.
Lan Wangji si permise di chiudere gli occhi per un istante, cedendo al potere di quella luce abbagliante.
"Te l'ho detto, ormai sei mio. Credi che ti lascerò andare tanto facilmente?" chiese, dolce, profondo, e al tempo stesso inevitabilmente provocatorio come solo lui sapeva essere.
Una forte presa si strinse sul suo polso.
Non voleva saperlo, Lan Wangji, quanto facilmente lui sarebbe stato disposto a lasciarlo andare. Non se lo era mai chiesto e non gli interessava, perché lui non lo era affatto.
Lui intendeva solo dedicargli ogni istante rimasto della sua esistenza, come fossero note della canzone più sincera che il mondo avesse mai udito. Come aveva fatto in passato, solo che forse, con il tempo, lui stesso era diventato note e melodia, a riempire i vuoti spazi e le righe della sua esistenza. E non sapeva dire se fosse stato lui a trasformarlo in tal modo o se fosse stato lo stesso Wei Wuxian ad impossessarsi di quel posto senza preavviso né permesso, cosí come si era introdotto nella sua realtà e nel suo cuore stravolgendoli completamente, ma anche questo non era importante.
Era cosí, e non poteva cambiare. Non più.
Ormai la sua vita dipendeva dalla volontà di quella divinità che aveva il privilegio di poter vedere, raggiungere e toccare, e la responsabilità di proteggere.
E se Lan Wangji aveva fatto un voto, prima ancora di inchinarsi ai cieli e alla terra, non lo avrebbe mai infranto. Come non aveva mai infranto tutte le loro promesse, anche quando era diventato quasi impossibile non farlo.
 
Il sorriso sul viso di Wei Wuxian si allargò di fronte ad una tale veemenza, e di certo avrebbe iniziato a sproloquiare tra la provocazione e lo scherno, come gli era solito fare, se non fosse stato per lo sguardo che vide negli occhi di Lan Wangji.
Disperato, supplicante.
Partì, allora, Wei Wuxian, senza lasciargli un momento di più per pensare a qualunque male del mondo lo stesse affliggendo, e a qualsiasi altra cosa che non fosse lui.
Si voltò, lasciò scivolare la propria mano nella sua presa, ora più morbida, da cui liberò il polso, solo per sentirla stringere forse ancora più di prima al rinnovato contatto.
Poi si allontanò, dapprima un passo alla volta, assicurandosi che le sue intenzioni fossero chiare, poi accelerando improvvisamente.
E lui non poté fare altro che lasciarsi condurre.
 
No Masters or Kings
When the Ritual begins
There is no sweeter innocence than our gentle sin.
In the madness and soil of that sad earthly scene
Only then I am human
Only then I am clean.
 
 
Mentre accelerava il passo alle sue spalle per stargli dietro, con lo sguardo fisso, ipnotizzato dalle onde di quella marea corvina che gli era di fronte e da quell'unica linea rossa che, più leggera, seguiva il ritmo del vento, spezzando, come lava nella notte, quella distesa di oscurità, seppe che lui lo stava portando via, via da ogni male e da ogni timore, via dal rumore e dalla solitudine di un mondo affollato, via, dove solo lui avrebbe potuto trovarlo. E il cuore correva, più veloce di loro, e il sangue lo inseguiva,  bruciando la pelle dall'interno nella timorosa, meravigliosa emozione dell'attesa, dell'anticipazione, perché ogni volta era unica, ma anche della consapevolezza che ogni volta sarebbe stata magica.
Sapeva dove portarlo, Wei Wuxian, e Lan Wangji sapeva come seguirlo.
 
C'era qualcosa di triste eppure di estremamente familiare nel modo in cui la casa delle Genziane fosse lí, immobile ad attenderli nell'oscurità incombente del crepuscolo. Era sempre stata lí ad attenderlo, a custodire chi amava di più.
Ed era sempre stata sola, come lo era stato lui ogni volta che vi si recava, e come si era sentito, sempre di più, ogni volta che vi si allontanava.
Ma quello era un tempo, un altro tempo, quasi un'altra vita.
Ora, ogni volta che giungeva a farle visita, non era mai solo, eppure forse nulla avrebbe mai cancellato quella grigia foschia che, nella sua mente, ne ricopriva e sbiadiva i contorni.
Lo sguardo cadde sulle genziane, blu nell'oscurità, smosse dal vento, mentre il sole dava loro il suo ultimo saluto.
Col capo ciondolante, esse non potevano conoscere l'estrema crudeltà né l'estrema beltà del mondo. Solo quella terra, quel pezzo di prato, l'ombra di quell'abitazione.
Solo questo conoscevano, e di tanto vivevano.
E chissà, doveva essere desolante, oppure stranamente celestiale, un tale oblio di vento, ignorando ogni male tranne la mano crudele che strappa lo stelo, e lascia morire, orfani nel mondo.
 
Si accorse di essere ormai sulla soglia, ed in un attimo dentro, nella penombra tinta di blu.
Era freddo, raramente riscaldato, eppure caldo come una casa.
E se ci rifletteva, ora più che mai, era sempre stata quella la sua vera casa, quella che aveva conosciuto il suo più grande dolore e la sua più grande gioia.
Ma il silenzio placava il sangue, zittiva il cuore, allontanava la mente. Lentamente alla deriva, finché, senza una candela, non sarebbe rimasto altro che oscurità.
Era già perso, l'occhio, tra le allungate ombre e la condanna dell'animo. Fin troppo distante, per quanto impossibile potesse sembrare in una simile circostanza.
Ci volle quel contatto, per riportarlo alla realtà.
Quella fiamma, per riscaldare ancora il suo cuore, per richiamare la falena.
La presa sulle sue dita si strinse, affettuosamente insistente, tra l'invidia e la preoccupazione per la sua attenzione.
"Lan Zhan..."
Ritrovò, nel suo sguardo, la sincerità di un addio e l'inevitabilità di un ritorno.
"...per una volta, potresti dimenticare?" 
Non aveva mai dimenticato niente nella sua vita, Lan Wangji.
"Potresti farlo per me?"
Ma come poteva non farlo? Come poteva non esaudire il desiderio della divinità che chiedeva un sacrificio per poter salvare la sua stessa anima?
Distolse lo sguardo, chinò il capo, nell'assenso più silenzioso e chiaro, perfettamente udibile per la persona in piedi di fronte a lui.
Ed era ancora sbagliato, lo era ancora, perdersi nel suo sorriso, affidarsi alle sue cure come fosse l'altro quello che non aveva mai sofferto, quello che aveva ancora anima e cuore da donare, una riserva apparentemente inesauribile.
E di questa ingiustizia, e di tutto il male che l'aveva causata, la mente di Lan Wangji era rimasta prigioniera fino ad allora, e forse in parte lo sarebbe sempre rimasta.
Dopotutto, glielo aveva detto anche lui un giorno, e realizzò in quel momento quanto fosse vero: finché continuerà a tenersi tutto dentro, l'uomo non sarà mai davvero libero.
Era vero, ma vero era anche che l'uomo non é mai nato per essere libero.
Ormai lo aveva capito.
L'uomo é nato libero, ma é destinato a diventare schiavo. Ed é l'anima poi, a scegliere la propria schiavitù, ma senza di essa l'esistenza stessa sarebbe incompiuta, e non troverebbe uno scopo, ne mai la felicità.
La schiavitù dell'uomo é la sua fede.
E lui sapeva che, senza l'oggetto della propria, non sarebbe stato niente.
 
Aveva trovato per la prima volta la felicità, pur se in una forma dolorosa e contorta, quando si era sacrificato in nome di quella fede.
Era stato per la prima volta ricompensato anni dopo, ma era stato abbastanza. Era più che abbastanza, a volta sembrava persino troppo.
Per tutta la vita gli avevano insegnato ad investire di luce anche la più tremenda disgrazia. Non era mai stato facile, a volte impossibile.
Ma ne capiva il valore, ora, coglieva il valore di ogni sacrificio, nella vita che, un giorno, da quelli veniva restituita.
Vita che era tornata, ed era tornata a scorrere in lui. E confluiva nel suo petto, e rivelava la verità.
E la verità era che poteva esserci libertà, nella prigionia. C'era sicuramente, e ce ne era cosí tanta da sbiadire le sue pareti fin quasi a renderle invisibili, ad annullarle nel tempo di un respiro.
Trattenuto appena, nella sorpresa della riconquistata libertà, nel timore di non riuscire a raggiungerla; lasciato andare, poi, di fretta, nella paura di perderla ancora per aver troppo aspettato.
Come aveva imparato, in quegli ultimi anni, a lasciar andare la sua mente, ed il suo corpo, nella paura di non ottenere, ancora una volta, ció di cui per troppo tempo era stato privato.
E non aveva motivo, poi, per trattenersi ancora, perché sapeva, oltre tutte le voci e i sussurri di colpevolezza, di macchiata beltà e sconfinato disprezzo, sapeva che non avrebbe mai trovato innocenza più vera e dolce di quella gentile, struggente, violenta nella sua disperazione, melodia che i loro corpi in sintonia sapevano generare.
E sapeva, che non c'era modo migliore di preservarla, come fosse tutto ciò che era rimasto, l'ultima goccia d'acqua per un mondo assetato, l'ultima bolla d'aria sul fondo dell'oceano, l'ultima, sola ragione per continuare a vivere, che suonarla, ancora e ancora, ogni giorno, fino a scordarne il suono, fino ad abituarsi allo strazio delle corde, fino a pretenderne la nota finale, l'ultimo grido a strappare il cielo e far cadere le stelle.
Ed era quello che faceva, ed era il motivo per cui lo faceva.
E lo amava, oh, come lo amava.
Come non aveva amato mai nient'altro al mondo.
Come solo aveva giurato di fare, un incalcolabile ma bellissimo tempo prima, dietro carmini veli ondeggianti, prepotentemente sfolgoranti nella segretezza a cui erano relegati, ansiosi di brillare, non solo per loro. Brillare per tutto il mondo.
Ma era abbastanza per Lan Wangji, che avessero brillato per loro. Non aveva mai chiesto niente, e ora aveva tutto ciò che aveva sempre desiderato.
E ogni giorno ne desiderava di più, come ogni essere umano, ma non era altro che quello ciò che desiderava.
Era sempre lui. Sarebbe sempre stato lui.
Non poteva essere nessun altro.
Non poteva, per il modo in cui quei ciuffi neri disegnavano mappe e percorsi da seguire, un'infinita distesa sul bianco delle lenzuola. Un percorso in cui avrebbe voluto rifugiarsi e perdersi, che ammaliava con la sua oscurità e scaldava col suo tepore.
Non poteva, per il modo in cui quelle dita sfioravano le sue labbra, a tastarne la morbidezza o forse solo la tangibilità, la realtà della dolcezza che gli avevano appena donato, che mai, forse mai lui aveva davvero creduto di poter ottenere.
Per sigillarle nel loro flusso di devozione, sconfinata devozione timorosa e sussurrata, persino eccessiva, quasi inaudibile eppure presente e dolorosamente reale. Reale come non mai, quando riusciva a riportare ricordi quasi cancellati alla sua memoria. Ricordi lontani, dolorosi per entrambi ma forse per lui un po' di piú.
Ricordi di sangue, di dolore, buio e disperazione.
Ricordi di terra brulla ed inospitale, gelida, su cui un giovane cuore dolente, e occhi accecati dal dolore e dalle lacrime, avevano cercato di riportare la vita. Forse solo di trattenerla, di darle un senso per restare, quando un senso pareva non esserci più.
Ricordi di follia, per Wei Wuxian, di oscurità e dolore, più dolore di quanto ne avesse mai potuto provare o immaginare, di parole piene, frammentate e profonde, mascherate di odio, ripetute fino allo stremo, in un misto di egoismo e di altruismo, pronunciate forse solo per non voler sentire quelle, ancora più basse, che le avevano precedute, accompagnate e, nonostante i loro mortali colpi di pugnale, mai abbandonate.
Parole che avrebbero potuto cambiare tutto, donare un senso, dare un motivo per restare ed affrontare il dolore.
Parole ignorate per una stanchezza lacerante delle ossa e del cuore.
Parole d'amore; la loro memoria si rivelava in una stretta febbrile, grata e quasi impossibile, di un'unione che pretendeva di spingersi allo stato di fusione, di corpi a contatto e cuori all'unisono, nascosti nel buio ma scoperti e chiari, rivelati nella loro più profonda essenza, l'uno nell'altro.
Ecco cos'era l'esistenza, quel sentimento instabile sulle soglie del tutto che aveva imparato a lasciarsi alle spalle il nulla.
Ed ecco cos'era, l'amore, un imprevedibile turbamento straniero giunto con un uragano e rimasto con la pioggia, a nutrire radici ben piantate nel terreno. Quel terreno arso dalle fiamme, e rimasto arido per anni, troppi da contare.
Quel terreno che aveva bisogno della sua acqua, la notte, nella carezza pallida come un raggio di luna, e del suo sole, di giorno, radioso come un sorriso, a riportare la vita nello sconfinato abisso.
Ed era troppo, forse, da chiedere o pretendere, mentalmente e fisicamente, persino da immaginare. Ma era troppa la paura, un terremoto che giungeva in brividi fin sulla pelle da un remoto ipocentro, un nucleo ardente di energia e sentimento, doloroso nell'intensità del suo calore eppure necessario, vitale.
Quel fuoco che era anima, era cuore, l'origine della sua umanità e l'apoteosi della sua purezza.
Quel fuoco che aveva smesso di essere dentro di lui, per trasferirsi ormai a ciò che le sue mani cercavano, e le sue labbra adoravano, ed i suoi occhi fissavano, sempre, sempre, anche quando non potevano vederlo, anche nel buio e quando non c'era, anche nell'asprezza di un giorno crudele e nell'umidità di una logorante pioggia.
Sempre, finché ancora ci sarebbe stata vita.
Sempre, e fino ad allora, ci sarebbe stato amore.


//citazioni da 'Take me to church' di Hozier, canzone che ha ispirato questa storia. 
 
   
 
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