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Autore: Neamh Moonstar    04/04/2022    2 recensioni
Fanfiction crossover tra Good Omens e Our Flag Means Death. Ci sono spoiler su quest'ultima, perciò non leggete se ancora non l'avete vista fino alla fine.
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C'era fermento in mare, ultimamente. La pirateria era diventata una gigantesca macchia nera che ricopriva l'acqua come un'ombra, allungandosi sempre più. Saccheggi e omicidi erano diventati così frequenti da costringere il Paradiso a chiedere al suo unico angelo in terra di dare un'occhiata, e Aziraphale lo aveva fatto - avrebbe preferito essere altrove, ma l'aveva fatto - e aveva scoperto qualcosa che gli aveva fatto salire l'ansia fin sopra i riccioli.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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La luce rossastra del tramonto invadeva la cabina più disastrata che Aziraphale avesse mai visto. Ciò che lo aveva colpito di più - e alquanto negativamente - erano i libri sparsi sul pavimento ligneo, divelti, in parte strappati, buttati giù dai loro scaffali come nulla fosse. In realtà, tutto in quell'ambiente che una volta doveva essere stato ordinato, pulito ed elegante, aveva subito una sorte simile: la polvere aleggiava tranquilla solo per andare a poggiarsi su tavoli, sedie e persino un divanetto scaraventati a terra, alcuni persino rotti, buttati giù da una furia che ancora permaneva nell'aria assieme al lieve odore di alcool, tè e salsedine.

L'unica sedia intatta era quella alla quale era stato legato ormai più di dieci minuti prima: aveva iniziato a contarli quando si era reso conto che fare resistenza era assolutamente inutile. Sentiva i polsi dolere e riempirsi sempre più di graffi e segni a causa di quelle terribili corde ruvide e grezze; anche se era nulla in confronto al taglio sulla sua tempia sinistra, il quale non aveva mai smesso di sanguinare e gocciolare sulla sua giacca altrimenti candida e perfetta. Era bastata la minima lamentela perché il colpo gli arrivasse così violento e repentino da avergli causato un tuttora presente mal di testa. Pirati, maledetti bruti.

Alla fine erano rimasti lui e il silenzio rotto dallo sciabordio dell'acqua, dagli scricchiolii della nave sulla quale era stato spinto a forza e dai passi lenti e pesanti dell'uomo che non aveva mai smesso di passeggiargli davanti. 

Andava avanti e indietro, avanti e indietro, la lama mezza insanguinata in mano e lo sguardo scuro di chi aveva passato una nottata a dir poco spiacevole. Solo guardandolo, Aziraphale poteva sentire chiaramente le vibrazioni di un animo inquieto, deluso, arrabbiato e tradito. E dire che aveva girato in lungo in largo per trovarlo, solo che non si sarebbe mai aspettato un risvolto del genere. Anzi, a dirla tutta, si sarebbe aspettato qualcun altro.


C'era fermento in mare, ultimamente. La pirateria era diventata una gigantesca macchia nera che ricopriva l'acqua come un'ombra, allungandosi sempre più. Saccheggi e omicidi erano diventati così frequenti da costringere il Paradiso a chiedere al suo unico angelo in terra di dare un'occhiata, e Aziraphale lo aveva fatto - avrebbe preferito essere altrove, ma l'aveva fatto - e aveva scoperto qualcosa che gli aveva fatto salire l'ansia fin sopra i riccioli. Si era sbattuto una mano in faccia non appena aveva sentito dell'oscura fama di un altrettanto oscuro individuo che terrorizzava le acque. Giravano terribili racconti: si diceva che non avesse un volto, che fosse una specie di fantasma dagli occhi lucenti e dalla lunga barba nera - dalla quale prendeva il nome. Dicevano che le sue azioni fossero tra le più crude che pirata avesse mai compiuto e che fosse sanguinario come un mostro marino. Aveva sentito descrizioni così esagerate, così scenografiche e così stereotipiche che la sua mente era volata subito verso l'unico punto fisso della sua esistenza.

Non sarebbe stata la prima volta: nel corso della storia, Crowley si era divertito spesso a far gravare su di sé una fama abbastanza plumbea da far piacere all'Inferno e, perché no, da farlo divertire almeno un po' intanto che cercava un modo per svolgere i suoi compiti nella maniera meno gravosa possibile. Non aveva mai fatto male a nessuno, Aziraphale lo sapeva, e sapeva anche che incolparlo dei mali del mondo era più prassi che volontà effettiva. Non lo avrebbe mai ammesso, ovviamente.

Alla fine si era messo in mare alla ricerca di un corsaro dalla chioma rossastra o di qualcuno che lavorasse sotto la sua influenza, comando o esempio. Inseguire il suo ipotetico nemico giurato faceva parte del suo lavoro e parte dei patti, perciò seguì quell'ormai familiare aura oscura attraverso onde che sotto la sua influenza rimasero relativamente tranquille. Ma come spesso era accaduto nella sua esistenza, non fu Aziraphale a raggiungere il suo obbiettivo ma l'obbiettivo a trovare Aziraphale. Anche se "trovare" in questo caso è traducibile con "attaccare" e "rapire".


La nave dove si era imbarcato era stata raggiunta quella stessa tranquilla sera da un veliero capitanato dallo stesso uomo che ancora gli ronzava attorno come una mosca impazzita. Della famosa barba del famoso Blackbeard non era rimasta che una macchia nerastra che rendeva il suo sguardo rabbuiato ancor più, beh, buio. Linee grigiastre gli erano colate dagli occhi ancora gonfi per i postumi di quello che l'angelo riconobbe come uno dei peggiori pianti che avesse mai fiutato. Ma il peggio era che quell'umano dall'animo sbriciolato non era né impersonato né accompagnato dal demone che, ora come ora, Aziraphale avrebbe tanto voluto veder comparire dal nulla per portarlo via. Un'altra cosa che non avrebbe mai ammesso, ovviamente.

E invece no: era ancora solo, bloccato in quel cimitero di pagine stampate, il suo intero essere perforato da quegli occhietti scuri che prima lo fissavano schifati, poi incuriositi, poi con una punta di speranza che solo un essere angelico attento come lui avrebbe potuto scovare in mezzo a quel marasma disordinato di trucco nero e lunghe ciocche scombinate.

    Fu solo quando il pirata smise di girovagare che si azzardò a riprendere parola: «Posso gentilmente sapere se abbiate intenzione di uccidermi o meno? Inizio a non sentire più i polsi,» lamentò, ormai stanco di quella situazione scomoda e monotona.

Effettivamente, poco prima, sul ponte, uno degli uomini di Blackbeard - un tizio dal fare duro e l'andatura zoppicante - aveva proposto di darlo in pasto ai pesci. Aziraphale ci aveva quasi sperato: una volta solo, sarebbe bastato schioccare le dita e tirarsi fuori dai guai senza destare troppi sospetti. Il capitano aveva però avuto l'idea di buttarlo in cabina. Sotto lo sguardo vigile del corsaro sarebbe stato impossibile fuggire, anzi, sarebbe stato possibilissimo ma avrebbe portato ad una ramanzina infinita da parte del Paradiso - che era quasi peggio di qualsiasi tortura.

    Il silenzio piombò pesante su di loro per un paio di secondi. Poi Blackbeard, stoico e impassibile, parlò: «Sai, penso proprio che oggi sia il tuo giorno sfortunato,» disse, la lama ancora puntata verso il suo prigioniero, il quale trattenne un sospiro a stento (un sarcastico: "davvero?" dovette combattere per non rotolare fuori dalla sua bocca). «Ce l'ho a morte con un tizio che ti assomiglia da morire ed è decisamente un brutto periodo.»

Aziraphale trattenne un gemito. Ottimo, pensò, ci mancava solo il risentimento.

    «Sai, a volte mi chiedo,» continuò l'altro, la punta della lama ora ben poggiata al petto dell'angelo, «perchè voi damerini ben vestiti siate così-» si fermò, ponderando le parole nella sua bocca asciutta. «Egoisti» sputò infine, la voce roca e rotta.

E i luoghi comuni. Quella montagna di negatività si stava facendo ogni secondo più alta e Aziraphale non sapeva bene come rispondere: da un lato gli sarebbe piaciuto ribattere, ma non gli parve il caso. Si limitò a fissare il capitano di quell'inferno galleggiante il più stoicamente possibile, quasi senza sbattere le palpebre. Quella storia poteva finire solo con una morte stupida e fastidiosa che l'avrebbe portato a firmare documenti per un secolo almeno, prima che gli concedessero un corpo nuovo. Una cosa era certa: era l'ultima volta che viaggiava per mare. Semmai un giorno le acque fossero diventate più sicure ci avrebbe fatto volentieri un pensiero, ma prima di allora...

Quando sentì l'arma spingere e perforare appena le ben filate stoffe, si chiese come l'avrebbe presa Crowley. Per un attimo, solo uno, pregò non mandassero al suo posto un angelo effettivamente disposto a ridurre il suo demone in poltiglia. Non se lo sarebbe mai perdonato, per quanto odiasse ammetterlo.

    «Dammi un solo motivo per il quale non dovrei trucidare tutti quelli come te,» riprese Blackbeard. La nube nerastra del suo animo si era fatta densa come fanghiglia, allungandosi attorno alla sua aura come i tentacoli del Kraken.

E Aziraphale, da bravo mediatore qual'era - o cercava di essere - avrebbe tanto voluto proporre un dialogo, due respiri profondi e un ragionamento. A fermare le sue parole sul nascere fu una stilettata di dolore proveniente dalla sua tempia, la quale riprese a piangere sangue a non finire. Ecco perché trattava sempre bene il suo corpo, accidenti: ferirlo comportava tanti di quei fastidi assolutamente evitabili con un minimo sindacale di diplomazia. Strinse gli occhi pensando che i pirati, come i demoni, non sapevano nemmeno cosa fosse la diplomazia. Ecco perché l'Inferno amava tanto quei farabutti.

Sentì la punta della lama graffiargli il petto, tremante e instabile. Quando riaprì gli occhi, notò che il polso, anzi, l'intero braccio fittemente tatuato del corsaro si era messo a oscillare. I suoi occhi scuri si erano fatti più lucidi, il respiro affannoso e il suo animo passò dall'essere intriso di odio all'essere intriso di tutti i possibili toni della tristezza e della disperazione.

    Lentamente, i tentacoli del Kraken tornarono ad affondare negli abissi di quell'aura incerta e Blackbeard fece cadere l'arma sul pavimento, iniziando a singhiozzare. «Non posso...» balbettò.

    Aziraphale osservò inebetito quella figura dapprima sicura accartocciarsi su sé stessa, le spalle ricurve, un braccio sugli occhi e i capelli che gli scivolavano quasi stufi sulle spalle. Senza staccargli gli occhi di dosso, ordinò alle corde di lasciargli i polsi, capendo al volo che l'altro non se ne sarebbe mai accorto, occupato com'era a disperarsi. Si massaggiò la pelle, sentendo il suo essere angelico creparsi di fronte a quella scena straziante. «State bene?» Chiese, aggrottando le sopracciglia.

    Blackbeard non cambiò nemmeno un millimetro della sua postura, semplicemente ringhiò: «Ti pare che stia bene?!»

    L'angelo si strinse un po' nelle spalle: «Giusto, scusa,» disse, adottando un tono più confidenziale. In risposta gli arrivò un pianto ancor più forte del precedente. 

    Approfittò della situazione per alzarsi, attraversare la cabina e rialzare il divanetto. Lo riaggiustò con un silenziosissimo schiocco di dita e si riavvicinò all'altro, sfiorandogli la spalla con i polpastrelli: «Ti va di parlarne?» Chiese con un tono addolcito e armonizzato dalla parte più angelica della sua costituzione. Non c'era umano che potesse resistere a quel trucchetto, nemmeno il pirata più spaventoso di quella parte di oceano.

E infatti Blackbeard annuì, aprendo agli occhi di Aziraphale ciò che nascondeva delle sue emozioni.

Mentre lo accompagnava a sedersi, l'angelo si mordicchiò un labbro. Mali d'amore: i peggiori in assoluto. Gli umani erano capaci di mettere il mondo a ferro e fuoco a causa di un cuore spezzato. Il peggio, però, era che Aziraphale non era esattamente la creatura di Dio più indicata per alleviare quel tipo di dolore: aveva sempre trovato l'amore tra esseri umani un rebus impossibile da risolvere e a malapena riusciva a sbrogliare l'anatomia dei suoi stessi rapporti. Nonostante ciò, fece accomodare il pirata accanto a sé, aspettando che quell'ondata di sfogo passasse. La sostanza nera sul volto di Blackbeard si era spalmata ovunque e sembrava quasi che il corsaro avesse fatto un frontale con un sacco di polvere da sparo. Portare quell'uomo sulla retta via - o su una via un po' più retta di quella corrente - non sarebbe stato semplice.

    Ci volle un po' prima che ci fosse abbastanza silenzio da chiedergli: «Chi ti ha ridotto così?» 

Nel porre la domanda, Aziraphale inclinò la testa per incontrare, per quanto possibile, quegli occhi gonfi e rossi.

Una goccia di sangue gli cadde sui pantaloni.


~°•°~


    «Tu hai fatto cosa?!» Crowley aveva spalancato la bocca così tanto da temere di slogarsela e perderla. 

Davanti a lui, rischiarato dalla luce della lampada, Aziraphale si stava lentamente prendendo cura della sua tempia. Vederlo con i vestiti rovinati e scolati di sangue gli aveva fatto venire un'ipotetica fitta al cuore, ma aveva combattuto contro l'urgenza che per poco non gli aveva fatto afferrare quei riccioli per controllare lui stesso lo stato in cui versava il suo angelo. Meglio così: sarebbe stato imbarazzante.

    «Te l'ho detto,» iniziò a spiegare quest'ultimo con calma, «Abbiamo parlato. Quel poveretto era così disperato che quando gli ho offerto una tazza di tè non si è nemmeno chiesto da dove l'avessi tirata fuori.»

    «Quel tizio è peggio di un demone,» rispose Crowley, ponderando le parole che cercavano di andare oltre la nebbia della sua incredulità, «e tu gli hai dato una spalla su cui piangere? Quello taglia le dita alle persone e gliele fa mangiare, non so se te ne rendi conto.»

    L'angelo fece spallucce: «Anche il peggiore degli individui può avere delle giornate storte,» disse. Poi guardò il demone di sottecchi: «Anche tu.»

    «Che- che c'entro io adesso?» Ribatté Crowley, frustrato. 

    «L'ultima volta che ci siamo visti non hai fatto altro che piagnucolare su-»

    «Sì, sì va bene. Non c'è bisogno del riassunto.»

Nella mente del rosso riaffiorarono i discorsi mezzi sbronzi che quasi avevano portato Aziraphale a tappargli la bocca. Lamentarsi a voce alta di quanto all'Inferno fossero una rottura di palle non era una buona idea in generale, figurarsi in una situazione come quella in cui vivevano lui e l'angelo.

    Tra le ciocche ondulate che gli erano ricadute sugli occhi, vide un leggero sorriso farsi strada sulle morbide gote della sua simpatica seppur fastidiosa controparte e si disse che sì, era comunque felice di rivederlo. «Scommetto che non ti aspettavi il mio arrivo, eh?» Chiese con un ghigno beffardo.

L'altro sorrise di nuovo. Non disse una parola. Crowley sbuffò: se l'aspettava; effetto sorpresa rovinato.

    Decise di cambiare discorso: «Quindi? Che vi siete detti?» Chiese, poggiando un gomito sul tavolo in mezzo a loro.

La stanza della locanda dove si erano infilati era incredibilmente silenziosa per essere in un luogo normalmente frequentato dalla feccia dell'umanità. Il demone aveva dovuto fare in modo che lo fosse almeno per quella notte - non tanto per l'angelo quanto per sé stesso e la sua voglia di una sana dormita, sia chiaro.

    Aziraphale passò distrattamente un pollice su ciò che rimaneva di un graffio sul suo polso destro. «Ultimamente è triste e arrabbiato perché l'uomo di cui si è innamorato l'ha piantato in asso» spiegò.

    Crowley fece una smorfia di mimato dolore: «Ora capisco perché giravano voci sul fatto che avesse iniziato a comportarsi in modo strano. Gli umani danno di matto per queste cose.»

    Aziraphale annuì: «Già. A quanto pare dovevano fuggire insieme verso non so dove: non è sceso nei dettagli ma penso abbiano avuto problemi con la legge.»

    «L'altro ha cambiato idea all'ultimo?»

    «Non si è fatto vedere.»

    Stavolta Crowley fece anche un finto verso di dolore, di quelli che si tirano fuori quando vieni colpito in pieno stomaco. «Ora la sua bandiera ha decisamente senso.»

    L'angelo inclinò la testa: «Non l'ho notata.»

Crowley alzò le sopracciglia in un tacito: "Beh, ci credo: eri troppo occupato a vedertela con quella ciurma di pazzi". Non ci fu bisogno di dirlo.

    Il biondo annuì di nuovo, sospirando. Poi riprese: «Ha detto che gli somigliavo. Alla sua cotta, dico.»

    Quell'affermazione portò Crowley a raddrizzarsi sulla sedia. La domanda venne fuori da sola: «In che senso?»

Dovette tenere i sibili a freno. Fortunatamente, Aziraphale parve non accorgersene.

    Anzi, l'angelo si mise a giocherellare con un bottone: «Sì, ha farfugliato qualcosa sui capelli biondi, i bei vestiti e i libri.»

Crowley sbarrò gli occhi. Un altro pensiero si fece strada nella sua mente, riportandolo indietro a qualche settimana prima.


C'era fermento in mare, ultimamente. La pirateria era diventata una gigantesca macchia nera che ricopriva l'acqua come un'ombra, allungandosi sempre più. Ma in mezzo ai barbari assetati di sangue si facevano strada storie di un individuo singolare, dal fare gentile, composto, ordinato e ingenuo; un uomo abbastanza pazzo da portare i suoi libri preferiti in mare, in una stanza dedicata nella sua stessa nave. E non appena queste voci erano giunte alle orecchie di Crowley, il demone era scattato come una molla, raccattando una nave e un pugno di uomini in tempo record. Subito dopo si era sbattuto una mano in faccia: aveva sentito descrizioni così esagerate, così scenografiche e così stereotipiche che la sua mente era volata subito verso l'unico punto fisso della sua esistenza. Cosa Aziraphale avesse in mente, non ne aveva idea. Ma se solo si fosse fermato un attimo a ragionare - cosa che non faceva mai, o meglio, non lo faceva mai se c'era l'angelo di mezzo - avrebbe capito che non era un comportamento da lui buttarsi a testa bassa nel bel mezzo delle malefatte. 

E invece no: le descrizioni erano così calzanti da avergli fatto salire l'ansia fin sopra i capelli rossastri. E neanche quando il nome di questo pirata mancato era balzato tra le bocche avide di pettegolezzo, il suo animo oscuro si era calmato: alla fine si era messo in mare alla ricerca di un corsaro dalla chioma chiara o di qualcuno che lavorasse sotto la sua influenza, comando o esempio.


    «Crowley? Cosa c'è?»

Il tono stranito - e leggermente preoccupato, forse? - di Aziraphale lo riportò alla realtà.

    Sbatté una mano sul tavolo: «Bonnet?!»

    L'altro sbatté gli occhi: «Di nome Stede?»

    Crowley annuì lentamente, ancora stralunato: «Se la faceva con Bonnet?»

    Aziraphale scosse la testa, alzando gli occhi al cielo: «Che termini» commentò. «Comunque, a quanto pare sì.»

    Tra loro cadde il silenzio. L'angelo si lasciò scivolare un po' sulla sedia, pensieroso. Crowley, dal canto suo, rimase per un po' a scuotere la testa, sguardo aureo perso nel vuoto. Dopo un po' sbuffò: «Beh, non ridere, ma quando ho sentito parlare di questo tizio ho seriamente pensato che parlassero di te.»

Si sarebbe aspettato perlomeno un tono offeso che implicava che un angelo del Paradiso non si abbassava a tanto, ma nulla del genere arrivò.

    Anzi, Aziraphale sorrise, sì, ma amaramente. «Questo perché non sai cos'ho sentito io su Blackbeard. Immagina la mia sorpresa quando mi è piombato davanti.»

Si guardarono per una manciata di secondi, seri.

Poi scoppiarono a ridere.

Tanto bastò a far evaporare le emozioni della serata.

    «Siamo due imbecilli» commentò Crowley.

    L'altro si portò le mani in grembo, ancora sorridendo: «Temo di sì.»


    Ci volle un po' perché riuscissero a tornare - più o meno - seri. Crowley si stirò, incrociò le braccia sul tavolo e ci poggiò sopra la testa, guardando Aziraphale: «E quindi? Com'è andata a finire?» sghignazzò, «Gli hai dato consigli sull'amore?» 

    Aziraphale si strinse nelle spalle, mettendo su un'espressione indecifrabile che andava dal confuso all'imbarazzato: «Assolutamente no.»

    «E allora che gli hai detto?»

    Con grande sorpresa di Crowley, l'angelo sbiancò appena e scosse la testa: «Non te lo dico.»

    Il sorrisetto furbo del demone si fece ancora più ampio ed evidente: «Eddai, angelo. Che gli hai detto?»

    L'altro si alzò, incrociando le braccia: «Ti ho detto che non te lo dico.»

    «Eh no, non scappi,» rimbeccò Crowley, seguendolo a ruota e avvolgendogli le spalle con un braccio perché non se ne andasse.

    Le lamentele furono immediate: «Crowley, finiscila.» 

    «E tu dimmi che gli hai detto.»

    «Ti stai comportando come un bambino.»

    «Ah, io

    «Sì, tu.»

Ci vollero dieci minuti buoni ma, come spesso accade, il bene vinse sul male. 

Il battibecco fece fuggire qualche altra risata.

Alcuni si chiesero cosa stesse succedendo in quella stanza.


~°•°~


    «Si chiama Stede,» sussurrò Blackbeard mentre sorseggiava il tè. Molto probabilmente non aveva nemmeno registrato quel movimento, né il fatto che avesse una tazzina in mano. Il suo sguardo lucido era lontano, perso da qualche parte tra le assi del pavimento. «Era la mia ancora, sai? Quella persona per la quale faresti i salti mortali. Saremmo dovuti fuggire assieme, ma non l'ho più rivisto.»

Aziraphale annuì, lasciando che continuasse.

    «Ho visto come guardavi i libri a terra, sai? Sembrava avessi visto un cadavere.»

    L'angelo sospirò: «Beh, sì, ammetto che ha fatto un certo effetto». A volte detestava essere come... Beh, come un libro aperto.

    «Lui avrebbe fatto lo stesso. E poi quella ferita,» continuò il pirata, accennando con una mano alla tempia di Aziraphale, «non sembra darti il fastidio che dovrebbe: è stato un bel colpo. Esattamente come i colpi a cui lui è sopravvissuto - quel fuori di testa». L'ultimo commento arrivò accompagnato da un sorriso amaro.

Una leggera pacca rassicurante sulla schiena, lo sciabordio.

    «E i capelli biondi. File e file di bei vestiti...»

Aziraphale rimase per un po' a contemplare quel pover uomo mentre annegava nel suo dolore. Avrebbe voluto fare un discorso incoraggiante ma - di nuovo - non era sicuro di esserne capace. Si limitò a raggiungere quell'anima triste con tutta la comprensione di cui era disposto.

E funzionò, almeno per un po'.

    Poi Blackbeard chiese: «E tu?»

    «Io?»

    «Chi è la tua ancora?»

    «Oh beh... Non ne ho una.»

    Quella risposta, da sola, riuscì a far smuovere lo sguardo del corsaro, portandolo ad osservare il suo interlocutore meglio di quanto avesse fatto nei primi dieci minuti. «Stai mentendo.»

    Aziraphale prese a torturarsi le dita: «È complicato». Quella non era una bugia, si disse. Avrebbe voluto che lo fosse.

    «Attento a chi ti affezioni, damerino. Sicuro che sia la persona giusta?»

Stavolta fu lo sguardo dell'angelo a perdersi nel vuoto.

Non aveva bisogno di pensarci, aveva solo bisogno di realizzare quanto vero fosse ciò che stava per dire.

    Annuì: «Ne sono sicuro». Non lo avrebbe mai ammesso al diretto interessato, ovviamente.

    Blackbeard tornò a sorseggiare. Una lacrima gli rigò la guancia: «Buon per te. Tienitelo stretto o stretta che sia.»

    «Non è così semplice, sai-»

    «Non importa,» lo interruppe il pirata. «Tu fallo e basta.»

Qualche attimo dopo, la nave venne avvicinata da un altro veliero. Ad Aziraphale bastò concentrarsi un po' per sentire nell'aria le vibrazioni della sua aura preferita.

Quella per la quale avrebbe fatto i salti mortali.

La sua ancora.

   
 
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