Next Contestant
I judge by what she's
wearing
Just how many heads I'm tearing
Succede sempre così. Ogni maledetta volta che crede di avere
ragione lei, comincia il mio supplizio. Blair Waldorf
non si limita ad essere gelosa e a mettere quell’adorabile broncio che sa
mi fa impazzire – oh no.
Sarebbe troppo facile, troppo scontato per una che si diverte ad orchestrare
piani sempre più complessi. No, lei semplicemente smette di rivolgermi
la parola. E contrattacca.
Così, non posso fare a meno di domandarmi dove diavolo sia finita la mia
donna e che cosa stia tramando, mentre mi guardo attorno con studiata non
curanza. La selva di smoking e vestiti eleganti, i camerieri frenetici, i
bicchieri di champagne e le tovaglie bianche. Le feste qui all’Upper East
Side hanno decisamente perso smalto da quando avevamo solo diciassette anni e
come unico obiettivo sballarci il più possibile, sperando di non
ricordare nulla la mattina dopo.
Sospiro appena, scocciato, finendo ciò che resta del flùte
e scaricandolo al volo sul primo vassoio che mi passa davanti. Sono già
al terzo e di Lei neanche l’ombra. Questa
volta ci va pesante.
- Ancora niente ?
Nathaniel ha sempre avuto il dono assai raro di
comparire sempre nei momenti meno opportuni. Nessuno, a memoria d’uomo,
ha la capacità di azzeccare la tempistica in modo così preciso.
Fenomenale, a pensarci bene.
Scuoto la testa, senza aggiungere altro. Nate sospira pesantemente, tendendomi
l’ennesimo bicchiere di champagne, che mi limito ad afferrare con aria
cupa.
- Non capisco perché dobbiate sempre fare i vostri giochetti
perversi…
- Ti direi di assistere ai nostri giochetti perversi, Nathaniel,
ma credo che dopo avresti seri problemi. – faccio notare in tono leggero,
scoccandogli un’occhiata in tralice. – No, questi non sono giochetti…
Questa è guerra.
Nate sembra realmente non capire tutta la serietà della cosa. E forse
è davvero così, forse nemmeno io comprendo fino in fondo
perché, dopo anni che abbiamo gettato le armi, continuiamo imperterriti
a farci del male. Due adolescenti troppo
cresciuti e troppo innamorati.
Scorgo appena un lampo dorato e una risata cristallina, quando Serena Van Der Woodsen si palesa in tutto il
suo splendore in fondo alla sala, al braccio del bellimbusto di turno. Una
visione di veli e paiettes, la mia sorellastra sa
sempre come ammutolire una stanza.
Il mio biondo amico s’irrigidisce appena, mentre si porta il bicchiere
alle labbra con non curanza. Ed io, come sempre, faccio finta di niente. E poi saremmo noi quelli complicati.
Attendo la sua apparizione da un
momento all’altro, visto e considerato che solitamente, quando succedono
questi episodi di mutismo, lei esce di casa sbattendo la porta e si barrica da
Serena. Chi l’ha detto che non esistono più le guerre di trincea
non ha conosciuto noi due.
Una discreta gomitata di Nate richiama la mia attenzione verso la porta da cui
avevo momentaneamente distolto lo sguardo, da cui sta per l’appunto
entrando colei che aspettavo. Lei dall’abito blu, lei dalla vita sottile
e il portamento altezzoso, lei dai pochi e sciolti riccioli bruni che carezzano
le spalle. Lei al braccio di uno dei soci inglesi in città con il
Consiglio d’Amministrazione per affari. Cazzo. Blair Cornelia Waldorf, che tu possa bruciare
tra le fiamme dell’inferno.
- Ma… Quello non è…
- Kevin Barker del Consiglio d’Amministrazione inglese, già.
– interrompo Nathaniel, prima di svuotare in un
sorso il bicchiere di champagne e allungarglielo. – Reggi qui, di grazia.
Ho una questione da sbrigare…
Nate mi guarda andare via, perplesso e leggermente preoccupato. Non posso
dargli torto.
Mi faccio strada tra gli invitati, salutando distrattamente gente appena
intravista alle riunioni d’ufficio e alle partite di polo degli Archibald. Perché diavolo sono venuto a questa festa
non m’è dato sapere.
- … E stavo appunto dicendo a Kevin quanto fosse assolutamente geniale la
sua idea.
Riconosco quel tono civettuolo, leggermente malizioso, che Blair utilizza con
gli altri uomini giusto per farmi saltare i nervi. Altra cosa che sa benissimo.
Il crocchio di signorotti in giacca e cravatta annuisce alle parole della mia
donna, che appena vede palesarmi lì in mezzo e salutare educatamente i
presenti, si stringe al braccio di Kevin con aria di sfida, scoccandomi uno
sguardo sprezzante. Io, in tutta risposta, le concedo un freddo sorriso
mellifluo, anche se l’unica cosa che vorrei fare è staccare la
testa a quel dannato inglese.
- Charles, che sorpresa!
Sposto lo sguardo su colui che ho appena mentalmente decapitato, chinando
appena il capo in segno di saluto.
- Barker.
- La signorina Waldorf mi ha detto che non saresti
venuto questa sera, ma noto con piacere che si sbagliava. – continua lui,
in tono cordiale. – Perché non ci fai compagnia? Posso offrirti
qualcosa da bere?
- A dire il vero, Charles se ne stava andando… Vero?
Blair interviene come se nulla fosse, regalandomi uno sguardo al vetriolo che
raramente avevo visto rivolto verso il sottoscritto. Doveva essere davvero, davvero arrabbiata.
- Al contrario. – comincio, il sorriso più innocente che possa
sfoderare dal mio repertorio – Accetto molto volentieri. Però
Kevin, se non ti dispiace… Potrei parlare un momento, in privato, con la
mia…
Un tacco dodici Manolo mi si pianta senza tanti complimenti nella punta della
scarpa destra, mozzandomi il fiato e rischiando di farmi pronunciare
l’imprecazione più grossa a memoria d’uomo.
- Kevin, vuoi scusarmi? Il signor Bass sembra aver bisogno di me. –
interviene poi la mia assassina, afferrandomi rudemente per il braccio e
cominciando a trascinarmi via, sotto gli sguardi decisamente dubbiosi dei
presenti.
- C… Certo, nessun problema. – balbetta l’inglese, lo sento a
malapena dato che Blair mi ha già allontanato parecchio dal gruppetto e,
da ciò che sembra, siamo diretti in terrazza. Scorgo con la coda
dell’occhio Nathaniel che mi fissa, indeciso se
intervenire o meno. Se non fossi ancora mezzo tramortito dal dolore, penso che
avrei volentieri chiesto una mano.
*
Here comes the next contestant
Appena mi lascia il braccio e chiude con stizza le porta a vetri della
terrazza, so per certo che è qua che cominciano i guai.
- Ma dico, sei forse impazzita?!
- Cosa ti salta in mente di dire a Kevin che sono la tua fidanzata?!
- Mi hai quasi staccato un dito, con quelle maledette scarpe!
- E se avessi voluto fargli credere di essere libera, eh?! Ci hai pensato a
questo?!
- Non chiedermi mai più di comprartene un paio, razza di assassina!
- Ma no, ovviamente, tu puoi sbatterti le inglesi come nulla fosse e io devo
stare a guardare!
- Io… Cosa?
M’interrompo, esasperato. Abbiamo entrambi il fiato grosso. Lei mi fissa,
gli occhi lucidi e le gote rosse, l’elaborata acconciatura di fili
d’argento si sta sciogliendo, mentre altri riccioli scappano irrequieti
dalle forcine. Scorgo quella nota di profondo orgoglio nel broncio sulle labbra
rosse – baciami maledizione
– e me ne innamoro ogni volta di più.
Mi porto una mano a scompigliare il ciuffo, che finisce per ricadermi sulla
fronte incurante della brillantina. Questa donna mi farà diventare
matto.
- Blair… Te l’ho già detto, non ho fatto niente. Ha fatto
tutto lei, te lo giuro. – spiego pazientemente, avvicinandomi d’un
passo e facendo per prenderle la mano, che lei ritrae seccata.
- Certo, perché c’è finita da sola seduta sulla tua
scrivania.
- In effetti sì.
- E le tue mani erano casualmente appoggiate sulle sue cosce, vero?
- No, non casualmente. – alzo un dito per frenare l’ondata di
improperi che so per certo sarebbe pronta ad urlarmi. – Erano lì
perché tentavo di spostarla gentilmente dai documenti su cui si era
seduta e che stava stropicciando.
Blair mi guarda, boccheggiando, stranamente a corto di parole. Poi incrocia le
braccia sul seno, dandomi le spalle e fissando New York, luminosa sotto di noi.
La città che non dorme mai.
Sospiro, colmando la distanza tra di noi e cingendola da dietro, poggiandole un
bacio leggero sulla nuca lasciata scoperta. Lei si rilassa lentamente,
lasciandosi andare al mio tocco e respirando profondamente.
Vorrei dirle tante cose, in verità. Che non dovrebbe essere così
gelosa perché non ce n’è motivo, perché per la prima
volta nella mia vita amo una donna con tutto me stesso. Che quell’Aisha non mi piaceva neanche, anche se ha passato tutta la
riunione a scoccarmi occhiate languide sopra i grafici del rendimento. Che in
realtà sospetto che tra Aisha e quel damerino
che si è portata Blair questa sera ci sia qualcosa, chiamatelo istinto.
Che la amo anche quando mi fa ingelosire e se ne va di casa come fosse la
capricciosa ed emotiva diciassettenne di quasi dieci anni fa.
Davvero, vorrei dirle questo e tanto altro. Ma l’unica cosa che riesco a
pronunciare, quasi sussurrata al suo orecchio, sono due semplice parole.
- Sposami, Blair.
Lei sta zitta, paralizzata. I fili d’argento che intrappolano i suoi
riccioli bruni brillano di poco, nelle luci dei grattacieli che carezzano
quella terrazza. Tace ancora quando si volta verso di me, così che le
mie braccia scivolino sulla seta dell’abito blu e le cingano la vita. Mi
guarda intensamente, e a me sembra quasi di poterci affogare, in quegli occhi
bui. Silenzio. E poi, comincia a piangere.
Quando la stringo a me, scossa dai singhiozzi mentre annuisce ripetutamente,
capisco che Chuck Bass è davvero diventato un
romantico. Se solo potesse vedermi mio padre, penso che si farebbe una bella
risata.
Fine.