Doverosa
premessa da per chi si appresta a leggere questa storia
Non
ci credo neppure io perché dopo ben sei anni, e dico SEI, mi ritrovo qui in
questo fandom con una storia. Non avrei MAI pensato di scrivere ancora qualcosa
su SNK. Ho drasticamente chiuso con manga e anime non appena ci fu
la dipartita di Erwin.
Poi per colpa di FoolThatIam e Lady Five e delle loro rispettive fanfics, mi
sono riaffacciata a questo mondo, che comunque ho davvero tanto amato.
Ovviamente io sono ferma a 6 anni fa. Non so bene che cosa sia capitato per
filo e per segno né nel manga, né nell’anime. Ho solo saputo che il mio amato
Levi è ancora vivo. Poi ho avuto un’illuminazione, mentre ero a fare speed
walking al parco, e mi è nata l’idea di questa fic. Subito ho chiesto
sommariamente delle info a FoolThatIam, che è rimasta sul vago nel caso avessi
voluto rimettermi in pari con l’opera originale, ma mi ha mandato una scan (che
vi mostrerò a piè di pagina). Ecco da quella scan si attaccato un altro vagone
al treno già in corsa ed è nata questa oneshot. Perché tutto ‘sto pippone?
Semplice, perché potrebbe non quadrarvi qualche particolare, (anzi non vi quadrerà)
ma di questo ne parleremo dopo.
Questa
storia contiene velati SPOILERS su la fine de L’attacco dei Giganti lettore avvisato, lettore salvato.
Grazie della pazienza e buona (spero) lettura!
La vostra ex Divergente Trasversale, oggi Kamony ;)
l’unico…
Anni prima nel Ghetto
«Non ho mai capito che ci trovasse una ragazza
come Altea in quel nano irascibile e irritante come una verruca sul deretano» stava
biascicando a un suo pari, un avventore di un postribolo da due soldi. In
quella sudicia topaia oltre che a comprare il corpo di qualche sciagurata, si
poteva bere dell’idromele decente e abbastanza alcolico da potersi dimenticare
di quel tanfo nauseabondo, che offendeva costantemente le narici di chi avesse
avuto la disgrazia di viverci.
«Ah
non lo so davvero, amico»- gli rispose il compagno di sbronza -«A
quell’epoca Levi non era ancora diventato l’umano
più forte. Era solo un teppista dalla testa troppo calda e la lama troppo
svelta». «Già! Quel gran figlio di una gran
puttana era il padrone di quaggiù. Lui, quella svitata e il suo amico facevano
il brutto e il cattivo tempo solo perché avevano i movimenti tridimensionali,
me li ricordo scorrazzare come pazzi».
«E
ti ricordi, sì, che Levi con una sola rasoiata recise di netto carotide a uno
che l’apostrofò proprio come figlio di puttana, vero?».
L’altro deglutì, si carezzò la gola e deglutì «Beh
lui era davvero figlio di una puttana. Questa è un’altra ottima ragione per non
capire come una ragazza di buona famiglia, bella come un ciliegio in fiore, corresse
qui in basso a sbavargli dietro. Era innamorata davvero di quel coso corto e
brutto, se lo sarebbe anche sposato, se, per fortuna, suo padre non l’avesse
salvata in tempo».
«Non
capisco però perché ripensi a questa vecchia storia. Sono passati anni, erano
due ragazzini. Levi comunque poi si è fatto una posizione rispettabile
nell’esercito. Sono tempi andati ormai».
«Beh,
anche io ero innamorato di Altea, tutti lo eravamo, lei era il nostro sole,
quando arrivava questo posto sembrava meno schifoso, quasi accettabile. Spero
che quel nano di merda schiatti, che qualche gigante se lo mastichi a dovere!» concluse
prima di sputare in terra.
L’altro scosse la testa come se non capisse il perché di tutto quell’odio. Del
resto, Levi non era che nella sua vita si fosse fatto ben volere da molta
gente.
***
Marley, Liberio. Oggi
Levi era sulla sua sedia a rotelle, seduto al parco in
attesa che Gabi e Falco terminassero le loro commissioni. Stava leggendo il
giornale. La giornata era bella, una di quelle tipiche di metà primavera. La
natura era in subbuglio. Prati verdissimi, fiori colorati un po’ ovunque. Cielo
terso e un piacevole alito di vento che mitigava i raggi del sole. Si sentiva
stranamente rilassato, anche se, a dire il vero, quel vento gli dava un po’ sui
nervi, ciò nondimeno anche la gamba gli faceva meno male del solito.
Stava per girare pagina al quotidiano quando distrattamente alzò gli occhi, e fu
allora che la vide.
Non era un tipo da facili emozioni. Levi era freddo come le sue lame. La sua
vita era stata un escalation di violenza, sangue morte e perdite. Non c’era più
posto per le cose buone. I ricordi erano pericolosi, simili a stiletti d’acciaio
che sapevano esattamente dove conficcarsi per fare più male. Se vi avesse
ceduto, avrebbe rischiato di perdere il senno.
Non poté però fare a meno di soffermarsi un attimo ad indugiare su quella
figura familiare.
Dannato vento di merda! Pensò, prima
di far finta di aver visto solo un’ombra del passato e di aggiustare i fogli
fruscianti del suo quotidiano. Si rimise a leggere come se non avesse visto
nessuno.
Il suo cuore però batteva un po’ più forte di prima e questo lo fece davvero
incazzare. Non era pronto. Non quel giorno, non in quelle condizioni.
Tuttavia il destino ti chiede mai il permesso, quando, beffardo, decide di
venirti a bussare alla porta?
Uno sbuffo di vento gli scombinò nuovamente le pagine del giornale.
Fu più forte di lui. Alzò di nuovo lo sguardo sperando che fosse sparita,
spazzata via proprio da quel colpo d’aria malefico.
Invece stava camminando nella sua direzione. La sua gonna era leggermente gonfiata
dalla brezza, e sul viso le si era acceso l’abbozzo di un sorriso. Prima che
potesse fare alcunché, l’aveva già raggiunto.
«Levi
ma sei tu?» gli
chiese, felicemente sorpresa.
«Suppongo
di sì» rispose piuttosto brusco. Non era
preparato a quell’incontro, e, come suo solito, preferiva apparire detestabile
piuttosto che fragile.
«Non
mi riconosci?».
Come avrebbe potuto non riconoscerla? Era impossibile. Nonostante gli anni
avessero lasciato qualche lieve traccia del loro passaggio sul suo viso, Altea
era ancora una donna bellissima, come lo era la ragazza che aveva conosciuto
una vita fa, nel ghetto.
«Perché,
ci conosciamo?» rispose volutamente infastidito più
di quanto lo fosse realmente. L’aveva assalito un panico stupido, tutto questo
era nuovo per lui, e non sapeva come gestire la situazione. Era un uomo
sentimentalmente sterile. Incapace di gestire qualsiasi tipo d’emozione.
Altea non si fece intimidire, e si sedette accanto a lui. La sua sedia a
rotelle era vicino ad una panchina. Lo guardò dritto negli occhi. Non era più
un ragazzo arrabbiato pieno di rancore verso il mondo, ma un uomo forgiato da
esperienze che pensò dovessero essere state davvero terribili, molto stanco e
anche molto provato. Solo gli occhi erano rimasti gli stessi, due schegge di
ghiaccio che brillavano come diamanti grezzi. Levi aveva uno sguardo che era
quasi impossibile da sostenere perché era davvero affilato, tagliava e scavava
dentro, ma dietro quel grigio nebbioso, c’era un mondo, per lo più fatto di
dolore, ma anche di tante altre cose. Lei lo aveva capito da subito, fin da
quando erano solo due ragazzi.
«Levi
non cambierai mai vero?» gli disse teneramente «Stai
parlando con me, puoi anche sotterrare l’ascia di guerra».
Lui la fissò con quel suo tipico sguardo che era un misto tra l’adirato e il
terribilmente seccato, poi annuì. «Okay, ti ho riconosciuta, ma non ti è
passato per la testa che non avessi voglia di fare conversazione?» le
rispose, volutamente irritato. Sperava che si alzasse e se andasse. Averla
vicina in quel modo lo agitava, e questo non gli piaceva.
Ciò nondimeno lei lo conosceva bene, con lei quelle tattiche non avevano mai
funzionato. Già anni fa Altea aveva preso a picconate quel muro che lui aveva
costruito con tanta solerzia, e aveva visto chi era veramente Levi Ackerman.
«Spero
che non sia per via di questa» disse poggiando una mano sulla sedia
a rotelle.
«Il
fatto che ci sieda sopra non significa sia storpio»
le rispose asciutto.
«Sono
felice che tu sia vivo» le disse sincera, e con intima
naturalezza gli posò una mano sul braccio. Levi s’irrigidì di colpo, ma
nonostante tutto, non fece una grinza, non poteva trattarla male, non Altea.
«Per
quanto non sappia onestamente se sia una fortuna, sì, sono vivo» si
risolse a dirle abbozzando un sorriso amaro, scostando il braccio di modo che
lei togliesse la mano, quel contatto era troppo e non poteva sostenerlo.
Lasciava dietro di sé una scia di morti spaventosa. Tutto il suo mondo se n’era
andato in quella guerra assurda, che gli aveva strappato via tutti quelli a cui
era stato legato.
La guardò di nuovo e fu come se la vedesse per la prima volta. Dio, se era
bella! Un brivido gli corse giù per la schiena. Non ricordava neanche più che
volesse dire provare simili sensazioni. Gli venne il mal di stomaco. Certe
emozioni erano semplicemente troppo per lui. Gli erano arrivate addosso di
colpo come un’onda che si infrange potente su uno scoglio, travolgendolo. I
sentimenti non li poteva tenere a bada con le sue lame…
«So
che ti sei sposata» si ritrovò suo malgrado a
confessarle.
«Sì.
Ho anche due splendidi figli» gli rispose un po’ imbarazzata. Altea
abbassò lo sguardo, sembrava quasi temesse che la sua felicità potesse in
qualche modo ferirlo.
Lui non disse niente. Quelle cose: famiglia, figli, vita normale, erano lontane
da lui come il sole dalla luna. Non era nato per quello, ma per diventare ciò
che era: un assassino. Il più bravo di tutti.
«A
proposito di questo, io devo dirti una cosa…»
cominciò guardinga la donna.
«Non
è necessario» tagliò corto lui. Non voleva ascoltarla,
magari guardarla in silenzio sì, ma non voleva sapere niente di lei e della sua
vita. Ogni parola rischiava di diventare un taglio su cui si spargeva sale.
«Mi
dispiace essere sparita in quel modo. Non avrei mai voluto ferirti».
Lui non rispose.
«Credi
che non l’abbia mai capito?».
Lui continuò a tacere.
«Lo
so che mi hai lasciata libera. Libera da te».
Sì, era così. Cosa poteva offrire lui ad una creatura così pura e così bella?
Era stato così turbato da quell’amore così sincero e puro che non l’aveva mai
neanche sfiorata con un dito. Non che non lo avesse desiderato. Altea aveva
fatto sbocciare in lui cose che credeva non avrebbe mai neanche saputo di
volere, ma aveva avuto come paura di sporcarla. Tra di loro c’era stato
solo qualche bacio. La prima volta era stata lei a prendere l’iniziativa,
lasciandolo pietrificato. Non lo aveva mai dimenticato quel bacio lieve,
delicato come un battito d’ali, ma intenso come un pugno alla bocca dello
stomaco, che lo aveva ridotto come uno straccio. Perché nessuno al mondo,
tranne sua madre, aveva mai avuto un gesto d’amore così delicato per lui.
Non aveva mai capito perché Altea avesse visto in lui cose buone. Lui aveva paura
di se stesso, di quello che avrebbe potuto fare e farle.
Era cresciuto nel male e nutrito dall’odio, la sua unica vera amica era la violenza, l’unica che lo aveva reso
rispettabile e gli aveva permesso di restare vivo. Avrebbe reso la sua vita un
inferno, e lei era un angelo. Certo che l’aveva fatta scappare via, era un assassino
non era degno di lei. Dopo tutto, anche Levi aveva un codice morale a cui si
atteneva.
Altea si alzò di scatto e si lisciò la gonna.
«Devo
andare. Si è fatto tardi, mio marito mi aspetta».
Levi non mosse un solo muscolo del viso «Sì, capisco. Stammi bene» riuscì
a dire infine, lapidario.
«Sono
stata davvero felice di averti rivisto...” sorrise in modo amaro Altea e poi
istintivamente gli carezzò la guancia dove faceva bella mostra di sé una lunga
e profonda cicatrice «… non ti ho mai dimenticato, in fondo sei
stato il mio primo amore» concluse con delicatezza.
Come pronunziò quelle parole, che sembrava le avessero scottato la lingua, si
girò e si allontanò in fretta da lui. Era stato davvero troppo doloroso ritrovarlo,
e in quello stato poi. Forse non avrebbe dovuto salutarlo, ma aveva sempre
pensato a lui, a come sarebbe potuto essere stato tra loro se avesse capito
prima il suo gesto, se avesse capito prima che non l’aveva mai abbandonata, ma solo
lasciata libera. Che il suo era stato un gesto d’amore e non di codardia.
Forse, semplicemente, non era scritto nei loro destini…
Levi che non si mosse, la guardò finché non sparì dietro la curva del viale del
parco, come nuovamente inghiottita dallo scrigno dei ricordi.
Un altro refolo dispettoso gli scompigliò i capelli che subito si riavviò con
una mano. E sebbene non lo volesse affatto, la sua mente tradì ciò che riposava
silenziosamente nel suo cuore
E tu per me sei stata l’unico… pensò
prima di risistemare per l’ennesima volta quel dannato giornale, e rimettersi a
leggere.
Disclaimer
Questa
storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Levi e tutti i personaggi di SNK (purtroppo)
non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
Invece qualsiasi altra cosa inventata dalla sottoscritta, sono della medesima.
cioè me :)
Considerazioni dell’autrice
Bene ora che
avete letto vi sarete accorti che Levi non è guercio, né si fa cenno alle due
dita che gli mancano, e ancora oggi non so perché sia su quella dannata sedia a
rotelle!
Beh la verità è che io non sapevo che fosse ridotto così. Dalla scan in mio
possesso non lo si capisce, l’ho scoperto dopo. Sono rimasta malissimo (per
Levi ovviamente anche se sono felice che almeno lui sia vivo), sinceramente di riscriverla per questi particolari non mi
andava. E poi detto tra noi a me vedere Levi ridotto così fa male al cuore
(Isayama ti odio). Quindi prendete questa fic, come un atto d’amore
per il nostro amato: Levi-mai’nagioia-Ackerman, a cui ho voluto regalare qualcosa di bello.
In questo mio mondo lui non è guercio, né storpio, già il fatto che sia in
sedia a rotelle e sfregiato, oltre che solo come un cane, mi pare una cosa sufficientemente dolorosa. In fondo le fanfic a cosa
servono se non a riscriverci finali, o situazioni come li avremmo voluti noi?
Penso di avervi tediato fin troppo con le mie ciance, fatemi sapere se avete
apprezzato, mi farebbe piacere avere i vostri feedback, ovviamente se vi va.
Grazie comunque e a chiunque sia passato di qua! :)
Ecco la famigerata scan!
This scan was found
on google and is © their respective owners