Anime & Manga > Yuukoku no Moriarty/Moriarty the Patriot
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Autore: Ode To Joy    30/04/2022    1 recensioni
[Sherlock x William]
“In quella lettera ti ho scritto che se ci fosse stata concessa una seconda vita, ti avrei preso senz’altro per mano. Siamo morti tutti e due sul London Bridge, questa è la nostra seconda vita.”
Sherlock capì quella richiesta tra le righe. Allungò il braccio e prese la mano di Liam, la stessa che aveva stretto quando si era lanciato nel vuoto.
Ci misero un po’ a intrecciare le dita dell’uno a quelle dell’altro, come se entrambi temessero di fare un passo di troppo e venir rifiutati.

Da soli a New York, Sherlock e Liam imparano a vivere insieme, già predestinati l’uno all’altro da una forza più grande di loro.
Blank Cavas I
(Soulmate-AU)

[SPOILER dal vol. 14 in avanti]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Sherlock Holmes, William James Moriarty
Note: AU, Missing Moments, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Blank Canvas '
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The Soulmates Problem 

 

Di tutte quelle che ho incontrato, tu sei l'unica
Che senza fare nulla mi ha rubato l'anima
Se vuoi tenerla bene, ma un giorno riportala
Ti prego non farle del male, custodiscila

(“Il bacio di Klimt” - Emanuele Aloia)

 

La convivenza, scoprirono, fu qualcosa di estremamente semplice a cui abituarsi.

Sherlock, per una questione di praticità, aveva fatto la maggior parte delle scelte - e Billy non aveva mancato di sottolineare quanto fosse stato terribile riuscire ad accontentarlo - Liam era intervenuto dove le cose erano rimaste volutamente incomplete, per permettere di dare all’appartamente quel qualcosa che lo facesse sentire a casa. I libri erano bastati.

L’idea di vivere insieme era stata di Sherlock e Liam non aveva avuto nulla da ridire.

Erano soli in un nuovo mondo - letteralmente - e, nel bene e nel male, condividevano lo stesso, ingombrante passato. Tanto ingombrante che Sherlock aveva trovato i libri di Conan Doyle anche nella piccola libreria in fondo alla strada. 

Quel giorno, il Detective era tornato a casa con il colletto del cappotto esageratamente tirato su, il cappello abbassato sugli occhi e la testa incassata in mezzo alle spalle.

Quando Liam lo aveva visto, prima aveva trattenuto una risata, poi aveva chiesto che cosa fosse successo.

“John mi sta seguendo.” Era stata la risposta sbrigativa di Sherlock.

Liam era tornato alle sue letture senza chiedere altro.




 

In breve, s’infilarono l’uno nella quotidianità dell’altro come se fosse la cosa più naturale del mondo. E forse lo era.

Anime Gemelle, così gli antichi tomi di medicina e filosofia chiamavano quelli come loro. Era una condizione rara, tanto che per la loro epoca era quasi materiale da leggenda. I sintomi non erano identici per tutti, ma ogni caso studiato aveva un dettaglio in comune: un generico disturbo nel percepire i colori. 

Non era irragionevole pensare che a molte Anime Gemelle venisse diagnosticato un qualche tipo di daltonismo e nulla più. 

Con tutte le persone che c’erano al mondo e per quanto vasto esso fosse, quante probabilità c’erano di trovare l’altra metà della propria anima senza sforzo?

Sherlock se l'era ritrovata davanti per gioco, di fronte a una scalinata che non avrebbe attirato l’attenzione di nessuno, eccetto una mente brillante come quella di Liam.

Per capire da cosa erano affetti e cosa rappresentavano l’uno per l’altro non era bastato guardarsi negli occhi, come raccontavano le antiche storie.

No, avevano dovuto fare un teatrale volo da un ponte in costruzione e porre fine alla loro vita… Solo per cominciarne una nuova.



 

“Oggi sono stato testimone di una scena particolarmente macabra,” raccontò Sherlock, una sera, mentre lavava i piatti della cena. Nel frattempo, Liam sedeva sul divano con un libro in mano. Era passato più di un mese dal suo risveglio ed era ormai tornato pienamente padrone delle sue facoltà, ma Sherlock non si era ancora convinto che non fosse fatto di vetro e che poteva contribuire a sua volta alla gestione del loro piccolo appartamento.

“Non ricordo che tu mi abbia parlato di un nuovo caso,” disse Liam, fissando la schiena del suo coinquilino.

“Non l’ho fatto, infatti,” confermò Sherlock. “Una carrozza ha investito qualcuno a un paio d’isolati da qui. Io sedevo con Billy a caffè a bordo della strada. Parlavamo di lavoro, ma ho visto tutto.”

Liam non commentò l’avvenimento. Chiuse il libro tra le sue mani o lo appoggiò sul bracciolo del divano per porre all’altro tutta la sua attenzione.

“C’era tanto sangue…” Sherlock chiuse il rubinetto e si asciugò le mani. “Non sono ancora abituato al colore del sangue.” Era stato cieco al rosso fin da quando aveva memoria, poi Liam era entrato nella sua vita. 

L’evento non era avvenuto immediatamente. La prima volta che Sherlock aveva intravisto un bagliore rosso nelle iridi di Liam era stato sul treno che li stava portando a Londra, durante il loro secondo incontro.

”Catch me if you can, Mister Holmes.”

Ma era stato dopo, quando aveva sorpreso Liam durante una delle sue lezioni di matematica all’università di Durham, poco prima di sentire la sua voca chiamarlo per nome, che Sherlock aveva osato chiedere: “per caso i tuoi occhi sono rossi, Liam?”

Da quel giorno, il Detective aveva percepito quella sfumatura a intermittenza, fino a che non si era ritrovato sulla cima del London Bridge. 

D’allora, il colore vibrante delle iridi di Liam era la prima cosa che vedeva ogni mattina e l’ultima ogni sera.

“Mi dispiace…”

“Uhm?” Sherlock si voltò a guardare il biondo. “Per cosa ti dispiace, adesso?”

“È un colore terribile,” disse Liam. “Sta bene solo sulle rose. Su tutto il resto è semplicemente macabro.” Lui ne sapeva qualcosa. La sua condizione era stata opposta a quella di Sherlock: a Liam non era mai appartenuto nessun colore, all’infuori del rosso.

Sherlock aggrottò la fronte. “Non essere così severo col colore rosso,” disse, appoggiando la schiena al lavello. “Ho detto solo che non sono ancora abituato a vedere i laghi di sangue per quello che appaiono realmente. Non ti sto mica accusando di qualcosa.”

Liam rimase serio. Il suo occhio cieco era ancora coperto da bendaggi e Sherlock pensò che avrebbero dovuto trovare una soluzione più comoda, prima o poi. 

“Non ne abbiamo più parlato,” disse Liam.

“Di cosa?”

“Di quello che ci è successo, di quello che siamo,” rispose il giovane Moriarty. “Ci siamo confessati di poter vedere tutti i colori solo dopo la nostra caduta dal London Bridge. È successo quando mi sono svegliato dal coma, poi non abbiamo più toccato l’argomento.”

Sherlock sollevò le spalle. “Vuoi che mi finga sorpreso per amor di teatralità?”

Lo sguardo che Liam gli lanciò subito dopo lo pregava di essere serio.

Il Detective allargò le braccia. “Davvero, che altro c’è d’aggiungere a quello che ci siamo già detti?” Domandò. “Posso dirti che ho passato tutta la vita a credere di essere daltonico e, invece, sono l’Anima Gemella della mia nemesi per eccellenza. Onestamente? Se la nostra vita fosse un romanzo - e in un certo senso lo è - non saprei dire se è un colpo di scena elementare o geniale. Dovrei scriverlo a John. Ne tirerebbe fuori una nuova saga, capace di oscurare quella del Detective Sherlock Holmes e del Signore del Crimine, il Professor James Moriarty.”

Liam lo fissò senza nessuna espressione particolare. “Non vuoi parlarne,” concluse.

Sherlock era a tanto così da strapparsi i capelli. “Non so di che cosa vuoi parlare, Liam,” ammise, esasperato. “Non mi piace quando non riesco a intuire dove vuoi andare a parare. Evitami una crisi di nervi. Comincia il discorso e io vedrò di seguirti.”

“Siamo Anime Gemelle, Sherlock,” sottolineò Liam, come se all’altro non fosse abbastanza chiaro.

Il Detective pensò con attenzione alle prossime parole da dire. Era chiaro che l’altro si aspettava qualcosa da lui, ma più pensava a quello che poteva passare per la testa del suo coinquilino, più rimpiangeva i giorni in cui comunicavano tramite enigmi da risolvere. La testa di Sherlock era vuota e non lo sopportava. Quando Liam si era svegliato, aveva saputo come approcciarlo, quali parole usare e tutto era andato a meraviglia. Ora si sentiva con le spalle al muro.

Sherlock decise di fare una cosa che non era sua abitudine: si comportò da codardo e spostò il peso della questione su Liam. “È un problema per te essere la mia Anima Gemella?”

Ma William James Moriarty era già un passo avanti a lui e lo aspettava nel buio, pronto a puntargli una lama alla gola. “No, non lo è,” rispose, secco.

Sherlock aprì la bocca, poi la richiuse. “Ho la netta sensazione che stiamo dicendo la stessa cosa dall’inizio di questa conversazione, ma non la stiamo dicendo davvero.”

“In effetti…” Liam concordò, poi lo guardò dritto negli occhi. “Vieni qui.”

“Intendi lì, sul divano?”

Liam gli lanciò un’occhiata eloquente. Sherlock alzò le mani in segno di resa e andò ad accomodarsi accanto al suo coinquilino. Nei giorni precedenti, si erano seduti insieme altre volte, con il tavolo da pranzo a dividerli. Da quel giorno sulla panchina sul tetto, non erano mai stati tanto vicini. 

Liam piegò le gambe in modo d’appoggiare i piedi sul divano e stringere le ginocchia al petto. Sherlock notò che gli abiti da notte e la vestaglia gli stavano un po’ larghi. Colpa sua, era certo che la taglia fosse quella che il giovane Moriarty aveva indossato a Londra, ma non aveva considerato che settimane d’immobilità avevano compromesso il tono muscolare, incidendo sul peso del corpo e tutte le sue misure.

“Che effetto fa?” Domandò il Detective. “Vedere tutti i colori del mondo, intendo.”

Liam accennò un sorriso. “Te l’ho già detto, no?” Rispose. “Questo mondo è davvero bellissimo.” Sherlock aveva già visto la sua commozione il giorno in cui si erano ritrovati sul tetto, era inutile ripetersi.

“Quando hai capito di non poter vedere nessun colore, all’infuori del rosso, e hai capito che non era una cosa normale, che risposta ti sei dato?” Fu la seconda domanda di Sherlock. Se dovevano parlare, tanto valeva partire dai dettagli che gli mancavano della storia dell’altro.

Liam scrollò le spalle. “Mio fratello Louis è nato con una malattia cardiaca,” raccontò. “Molti bambini dell’East End di Londra nascono malati solo perché le loro madri a stento riescono a provvedere a loro stesse. Vengono al mondo in condizioni disperate, senza nessun aiuto medico. Mi sono detto che dovevo aver subito un danno alla nascita o qualcosa del genere.”

“Con tutti i libri che hai letto in vita tua, non ti è mai venuta in mente la questione delle Anime Gemelle?”

“Sono un matematico, Sherlock. Se il corpo ha un problema, credo che vi siano delle cause organiche e non delle ragioni pseudo- metafisiche, che la logica non riesce a spiegare,” rispose Liam. “Devi aver fatto un ragionamento simile anche tu.”

Sherlock scrollò le spalle. “Da bambino mi sono accorto che tutti potevano vedere questo colore rosso, tranne io. Mycroft me lo descriveva e io non aveva idea di cosa stesse parlando. Non percepivo nemmeno le sfumature che ci andavano vicine, niente. I medici la definirono una forma di daltonismo e quella è stata la fine della storia, fino a te.”

“Quando hai cominciato a notarlo?” Domandò Liam. “Non è stata una cosa improvvisa per me, ma graduale.”

“Anche per me,” confermò Sherlock. “Ricordi il caso che abbiamo risolto sul treno, quando John è stato coinvolto? Ti provocai, dicendo che mi sarebbe piaciuto scoprire che c’eri tu dietro al Signore del Crimine.”

Liam accennò un sorriso al ricordo. “Ho giocato con te. Ti ho sfidato a prendermi.”

“Ecco!” Esclamò Sherlock. “Quella è stata la prima volta che ho creduto di vedere una sfumatura rossastra nei tuoi occhi. È stata una cosa veloce, non gli ho dato importanza.”

“È successo anche a me,” ammise Liam. “Il primo colore che ho visto in vita mia, dopo il rosso, è stato il blu.”

Sherlock si fece serio. “I miei occhi?” Domandò, indicando il proprio viso. “Stai parlando del colore dei miei occhi?”

Liam appoggiò la tempia allo schienale del divano. “Ne ho avuto la conferma a Durham. Mentre parlavano e correggevo i test dei miei studenti, ti ho guardato e ho visto chiaramente che i tuoi occhi sono blu. Deve essere successa la stessa cosa anche a te, perché mi hai chiesto se i miei sono rossi.”

“Sì, mi è successo.” Sherlock annuì. “E mi è successo di nuovo la notte in cui ho ucciso Milvertone. Non subito,” aggiunse, “non è accaduto appena ti ho visto, ma dopo.”

Liam sapeva esattamente a che momento si riferiva. “Prendimi, se ce la fai, Sherlock,” recitò a memoria. “Da quel momento in poi, i colori sono comparsi uno dietro l’altro. Dopo il Londo Bridge, quando mi sono risvegliato, c’erano tutti.”

Sherlock annuì un paio di volte. “Dopo il London Bridge, eravamo solo noi,” disse. “Niente maschere. Niente inganni, ogni mistero risolto. Solo noi.”

“Quando mi guardi, è questo che credi?” Domandò Liam. “Pensi di sapere tutto di me?”

Sherlock scosse la testa. “Penso di sapere abbastanza.”

“Abbastanza per cosa?”

“Per stare con te.” Sherlock lo capì in quel momento: Liam voleva che uscisse allo scoperto per primo. Poco male, non aveva alcuna intenzioni di nascondersi. “Forse non l’ho detto chiaramente su quel tetto, ma era quello che intendevo: voglio stare con te.”

Si guardarono negli occhi. Il rosso nel blu.

Sherlock fu il primo a cedere. “Ho bisogno di una sigaretta.”

Liam non lo lasciò andare lontano: lo afferrò per il braccio, lo stesso che lo aveva salvato da una morte certa, solitaria. “La sento ancora, lo sai?” Mormorò Liam. “La stretta delle tue dita sul mio polso, come se fosse impressa a fuoco sulla mia pelle. Mi sono risvegliato con la sensazione della tua mano che mi stringeva, come se tu fossi lì.”

Sherlock gli rivolse uno di quei sorrisi da canaglia, ma caldo come il sole d’estate. “Alla fine, ti ho preso.”

“Ti sei accorto che, afferrandomi, ti sei rotto un braccio?”

“No, troppa adrenalina. La tua lama l’ho sentita, invece, quella sì.”

Liam scosse appena la testa. “Non potevo trascinarti all’inferno con me.”

Sherlock si guardò intorno. “Beh… Questo inferno non è niente male.”

Liam alzò l’unico occhio visibile al cielo. “Sii serio.”

“Lo sono,” disse Sherlock. “Non dubitare neanche per un secondo che io non lo sia. Non hai idea della corsa disperata che ho fatto per arrivare in tempo!” Non appena si accorse di aver alzato la voce, abbassò lo sguardo e si sedette di nuovo sul divano. “Scusa…”

“Non farlo mai più,” disse Liam, secco.

Sherlock lo fissò, accigliato. “Ho perso la calma solo un istante!”

Non era a quello che Liam si riferiva. “Non ti buttare mai più nel baratro insieme a me,” chiarì, gelido.

“E allora non buttarti nel baratro!” Sbottò Sherlock e non si disturbò a chiedere scusa una seconda volta.

Entrambi voltarono lo sguardo in direzioni diverse, per non doversi guardare negli occhi. Fuori dalle finestre aperte, un cane abbaiò per strada. Sherlock si ricordò della sigaretta che doveva ancora accendersi, ma non aveva alcuna intenzione di alzarsi da quel divano e darsi alla fuga.

Fu Liam a spezzare il silenzio. “Anche io voglio stare con te,” ammise. “In quella lettera ti ho scritto che se ci fosse stata concessa una seconda vita, ti avrei preso senz’altro per mano. Siamo morti tutti e due sul London Bridge, questa è la nostra seconda vita.”

Sherlock capì quella richiesta tra le righe. Allungò il braccio e prese la mano di Liam, la stessa che aveva stretto quando si era lanciato nel vuoto. Ci misero un po’ a intrecciare le dita dell’uno a quelle dell’altro, come se entrambi temessero di fare un passo di troppo e venir rifiutati. Restarono così per un po’, godendo di quel semplice contatto fisico in silenzio. Toccò di nuovo a Liam a spezzarlo: “hai le mani calde.”

“Tu neanche un po’,” ribatté Sherlock, cercando di alleggerire l’atmosfera. “Posso farti una domanda?”

Tornarono a guardarsi negli occhi. 

“Se non riesci a trovare la risposta da solo e devi chiedere direttamente a me, deve essere qualcosa di grosso,” scherzò il Detective.

“Diciamo che è personale,” disse il giovane Moriarty. "Perché proprio Liam?” Domandò. “Non ci hai riflettuto. Ti è venuto spontaneo, quel giorno del caso sul treno.”

Sherlock piegò il gomito sullo schienale del divano e appoggiò il viso al pugno chiuso. “In quanti ti ci chiamano?” Domandò. “Non rispondere: nessuno. Forse a casa ti chiamano Will, ma sono certo che nessuno ti ha mai chiamato Liam.”

“A Londra non è così comune trasformare i William in Liam. Al massimo diventano Billy.”

“Non nei salotti dell’alta società. E comunque non hai la faccia da Billy. Billy The Kid ha la faccia da Billy.”

“Confermo, nessuno mi ha mai chiamato Billy.”

“E così fu Liam!” Esclamò Sherlock, passando il polpastrello del pollice sul dorso della mano stretta nella sua. “Dovevo chiamarti come non ti aveva mai chiamato nessuno, capisci? Che m’interessavi non è mai stato un mistero e nemmeno che volevo attirare la tua attenzione.”

Liam arricciò le labbra in un sorrisetto che poteva solo definirsi criminale. “Parliamo di Sherly.”

Il modo in cui il Detective si mise sulla difensiva fece ridere il biondo. 

“Giuro che c’è una ragione logica!”

“Sono tutto orecchie, Sherly.”

“Puoi chiamarmi così, non mi offendo. Praticamente è stato il mio nome fino alle elementari… Anzi, no, fino a che non me ne sono andato di casa per il college,” raccontò Sherlock. “Quando ero piccolo, avevo difficoltà a pronunciare il mio stesso nome e quello di mio fratello.”

“Mycroft e Sherlock, non si può dire che siano comuni,” commentò Liam.

“Non credo nemmeno siano dei nomi!” Esclamò Sherlock, un po’ sprezzante. “Sai quando dicono che i genitori impazziscono d’amore, non appena vedono i propri figli? Ecco, i miei ci hanno visto, ci hanno tenuto in braccio e sono impazziti e basta!”

“Quanti anni corrono tra te e Mycroft?”

“Cinque. Abbastanza perché lui si ricordi di me nei miei anni peggiori. Torniamo alla questione dei nomi: Micky e Sherly.”

Liam sbatté le palpebre un paio di volte. “Micky e Sherly?”

“Fu la soluzione a cui arrivò mia madre per ovviare ai miei problemi di pronuncia. Quella fu l’occasione in cui i miei genitori impazzirono per la terza volta: Micky e Sherly presero il posto dei nostri veri nomi dentro casa. Mycroft mi odia d’allora, ne sono certo.”

“Non è vero,” obiettò Liam. “Ho il ragionevole dubbio, non la certezza, che metterebbe sul piatto della bilancia l’Inghilterra stessa per te.”

Sherlock lo fissò, perplesso. “Tu che ne sai?”

Il sorriso di Liam si fece enigmatico. “Lo so.”

Il Detective impiegò pochi istanti a mettere insieme un’ipotesi, fece due più due, aprì la bocca e poi la richiuse. “Non lo voglio sapere,” concluse.

“Non è vero,” disse Liam una seconda volta. “Solo che non ne hai voglia di parlarne ora.”

“Quanta differenza di età avete tu e Louis?” Domandò Sherlock, solo per cambiare discorso.

“Siamo nati a più o meno diciotto mesi di distanza,” rispose Liam e non si disturbò a nascondere la malinconia che provava nel parlare del fratello minore. “Io non ho memoria di un mondo prima di Louis e lui non ne ha mai conosciuto uno senza di me.”

Sherlock comprese che si era affacciato su un territorio oscuro.

“Ti ha tradito, lo sai?” Non avevano ancora avuto occasione di parlarne. “Louis e un altro dei tuoi, quello dei travestimenti, mi hanno cercato per chiedermi di salvarti. Tuo fratello era disposto ad accettare qualsiasi castigo, purché io ti riportassi da lui.” Sherlock abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate. “Col senno di poi, non è stato il mio miglior lavoro.”

Lo sguardo di Liam di fece distante. “Non mi sorprende che lo abbia fatto,” ammise. “Prima che me ne andassi, Louis mi ha pregato di portarlo con me.” Forzò un sorriso che racchiudeva tutta l’amarezza del mondo. “Come se potessi accettare di essere la causa della morte di mio fratello…”

Sherlock rinnovò la stretta sulla sua mano. “Staranno bene.” Non poteva averne la certezza, ma aveva più di una buona ragione per crederlo. “Hai coinvolto Mycroft, no? Troverà una soluzione, lo conosco. Inoltre, è più bravo di me. Staranno bene.”

Liam non rispose. Forse non gli credeva ma non voleva dargli dell’illuso, oppure era talmente poco abituato a sperare che non riusciva a dargli ragione ad alta voce.

“Tu ne hai parlato a nessuno?” Domandò Sherlock. “Della nostra condizione, intendo.”

Liam scosse la testa. “Io ero certo di morire,” rispose. “Anche se avevo capito che cosa eri per me, che senso aveva rivelarlo ad altri? Se dovevo dire qualcosa, dovevo dirla a te e l’ho fatto in quella lettera. Non serviva che qualcun altro sapesse.” Una pausa. “Tu lo hai fatto?” Domandò. “Hai detto a qualcuno che sono la tua Anima Gemella?”

“Ho detto a John che vedevo il colore dei tuoi occhi,” rispose Sherlock. “Penso che abbia capito il resto da solo. Quando gli ho detto di venire con me nel nascondiglio in cui avevi raccolto tutte le prove dei tuoi crimini, mi ha risposto che sarei dovuto andare da solo. Tu volevi me, solo me.”

“Sembra un uomo perspicace,” disse Liam.

“È un uomo gentile,” replicò Sherlock. “I sentimenti non lo spaventano, non lo inibiscono come capita a me e te.”

“Tu tieni a lui.”

Sherlock non lo negò. “È l’unico amico che io abbia mai avuto. È la sola persona con cui ho avuto un rapporto duraturo, escluso mio fratello.”

“E gli hai detto addio per me,” concluse Liam.

“Nah!” Sherlock fece un gesto con la mano libera, come a dirgli di lasciar perdere. “John sposerà una brava ragazza. Sono serio, il suo nome è Mary. Mi ricorderà con affetto e andrà avanti con la sua vita. Niente drammi. Almeno, nessuno che durerà per sempre.”

“Per sempre…” Ripeté Liam, sovrappensiero. “Pensi che il nostro esilio durerà tanto?”

“No,” rispose Sherlock, senza pensarci. Si guadagnò un’occhiata sorpresa da parte dell’altro. “Ce lo siamo già detti, no? Il futuro è una pagina bianca. Sta a noi dipingerla. Se penso a quanto eri fuori dalla mia portata tu e quanto sei vicino a me in questo momento, Londra non mi sembra così lontana. È solo a un oceano di distanza.”

Anche se la sua espressione non lo mostrava, Liam era semplicemente senza parole. “Ma come fai?”

“A fare cosa?”

“A essere come sei.”

“Dimmelo tu,” ribatté Sherlock. “Il famoso Detective Sherlock Holmes lo hai creato tu… E un po’ John con i suoi libri, ammettiamolo.”

“Non sto parlando del Detective,” chiarì Liam. “Sto parlando di te, della persona che sei, Sherlock.”

Il moro scosse la testa con uno sbuffo. “No, non idealizzarmi.”

“Sono un matematico, non è nella mia natura,” obiettò Liam. “Ti guardo e vedo l’uomo che si è buttato nel baratro per me. Non è una mia fantasia, è un fatto.”

“Beh… Abbiamo già chiarito la parte in cui vogliamo stare l’uno con l’altro, no?” Gli ricordò Sherlock. “Se poi una forza al di sopra di noi stessi ci ha destinati l’uno all’altro, tanto meglio.”

Lo sguardo di Liam si fece penetrante, come se stesse pianificando qualcosa. La cosa fu abbastanza prolungata da mettere Sherlock in soggezione. “Che cosa c’è?” Domandò, cauto.

“Riflettevo,” rispose Liam. “Forse dovresti smetterla di dormire sul divano.”

Sherlock aggrottò la fronte. “Abbiamo solo una camera ed è la tua. Dove vuoi che vada?” Domandò perplesso. “L’unica alternativa è il pianerottolo.”

“Ti sbagli,” ribatté Liam. “Il baldacchino nella mia stanza è abbastanza grande per tutti e due.” Ogni parola era stata scelta con il chiaro obiettivo di prendere il Detective contro piede e prenderlo un po’ in giro. Quando il viso di quest’ultimo divenne rosso, poi viola e, infine, tendente al blu, il giovane Moriarty dovette accettare di aver fatto un errore di calcolo.

Liam si voltò dalla parte opposta a Sherlock per non scoppiargli a ridere in faccia e, nello stesso momento, quest’ultimo lasciò andare la sua mano per accendersi la sigaretta che aveva continuato a rimandare. Borbottò per tutto il tempo che impiegò a cercare il pacchetto e l’accendino, poi batté in ritirata fuori, sul piccolo balcone dell’appartamento.

“Sherlock!” Chiamò Liam, tentando di darsi un contegno. “Sherlock, aspetta!”

Si alzò dal divano, seguendo l’altro mentre ancora rideva. Lo trovò con la schiena contro il muro, che fumava e fissava con astio la strada sottostante. Anche con la poca luce che c’era, Liam notò che aveva le guance rosse.

“Sherlock, sei un uomo adulto di ventiquattro anni,” gli ricordò, la sua voce ancora tradiva divertimento.

Il Detective sbuffò, buttando fuori una nuvola di fumo. “Sono un uomo vittoriano di ventiquattro anni.”

Liam inarcò l’unico sopracciglio visibile. “Sei serio?”

“Non ho mai dormito con nessuno in vita mia, va bene?” Sherlock aspirò rabbiosamente dalla sigaretta. “Nemmeno nella stessa stanza. Al college, ho girato l’intero dormitorio. Nessuno resisteva più di un mese con me: facevo impazzire tutti.”

Liam si strinse nella vestaglia per coprirsi dall’aria fresca della notte. “Non hai mai dormito nemmeno con tuo fratello?”

“Ma per carità!”

“Nessun amante?” Domandò Liam, sinceramente sorpreso. “Ti ho conosciuto che eri circondato da donne.”

“Come siamo passati dai fratelli agli amanti?”

“Non lo so… Irene Adler?”

Sherlock storse la bocca in una smorfia scocciata. “Non farmi domande di cui conosci benissimo la risposta. Offendi l’intelligenza di entrambi.”

“Touché…” Liam fece un passo indietro. “Nessuno esperimento al college?”

Sherlock decise di contrattaccare. “E tu?” Domandò. “Nulla da dichirare?”

“Con un fratello maggiore e uno minore sempre appresso?” Liam rise. “Non m’interessavano quelle cose.”

“Già… Non fosse mai che corressi il rischio di sentirti vivo. Vero, Liam?” Sherlock si pentì di tanto sarcasmo un istante dopo. Cercò lo sguardo dell’altro e fu sorpreso di trovarlo ancora lì, vicino a lui. “Ho esagera-“

“No, hai ragione,” concordò Liam. “Albert non si faceva tanti problemi, anche se non l’ho mai visto realmente interessato a qualcuno. Louis è sempre stato come me. Io e lui siamo stati sempre insieme. In quanto primogenito, Albert aveva altri doveri a cui assolvere.”

Sherlock esalò un’altra nuvola di fumo. “Le donne non mi sono mai interessate.” Non aveva mai avuto problemi a confessarlo. “In generale, non mi sono mai piaciute le persone e io non sono mai piaciuto a loro. Poi è arrivato John… E ora sono qui, con te.”

Liam accennò un sorriso. “E con me dormiresti?”

Sherlock passò il peso del corpo da un piede all’altro. “Sì,” rispose, ma fu troppo timido per guardare Liam in faccia.

Non contento, il biondo incrociò le braccia contro il petto e andò più a fondo. “Perchè?”

“Maledizione, Liam!” Sherlock gettò la sigaretta a terra e la schiacciò col tacco della scarpa, frustrato. “Perché tu sei tu!”

“E io cosa sono per te?”

“La mia nemesi, la mia Anima Gemella… Cosa preferisci?”

“Non voglio una risposta preimpostata,” obiettò Liam. “Voglia la tua, Sherlock.”

Sherlock infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e lo fissò, indeciso su cosa dire.

“Può essere confortante,” disse Liam.

“Che cosa?”

“Dormire accanto a qualcuno che ci è caro,” rispose Liam. “Quando Louis stava male, prima di Albert e dell’operazione, m’infilavo nel suo letto e speravo che se lo avessi stretto abbastanza forte, la morte non lo avrebbe portato via. Lui si addormentava sereno, io non chiudevo occhio perché dovevo assicurarmi che continuasse a respirare.”

“È questo che vuoi da me?” Domandò Sherlock. “Il genere di conforto che tu davi a tuo fratello?”

Liam scrollò le spalle. “Voglio solo dormire accanto a te,” rispose. “Voglio sentire come ci si sente.”

Sherlock tornò a passare il peso da un piede all’altro, nervosamente. “E va bene,” concluse, staccandosi dal muro. Liam non si mosse, fino a che l’altro non lo prese di nuovo per mano e lo condusse all’interno dell’appartamento.

“Andiamo a dormire!” Disse Sherlock, imperativo. “Ma domani mattina non voglio sentire lamentele se mi muovo troppo o russo troppo forte!”

Liam non ebbe nulla da ridire. Lo seguì in camera da letto e basta.

Mi hai preso, pensò. Ma fino a che punto mi stringerai a te, Sherlock?

Decise che per quella notte se lo sarebbe tenuto per sé.

Si sarebbe accontentato di averlo accanto.

   
 
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