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Autore: Kim WinterNight    01/05/2022    1 recensioni
Storia incentrata su Mike Patton.
DAL TESTO:
C’è qualcosa che mi distrae.
Una voce tra le voci, uno speaker alla radio, un mormorio in mezzo a una folla impossibile.
È sempre così alla stazione della metro, ma stavolta un fattore diverso mi attrae. Non me lo so spiegare, ma succede.
Quella voce parla di sette casi. Sette casi di qualcosa, in Cina. Mi concentro, ma è difficile sentire in mezzo a questo caos.
La gente mi viene addosso, mi parla in faccia, ride e corre di qua e di là. [...]
Da quanto tempo sono chiuso qui dentro?
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Mike Patton
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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6
 
 
 
 
 
 
I look, I sign
I need someone
Inside to help me out
With what I'm trying
I'm crying, I'm prying
In a pile of shit
I'm dying
I'm dying
I'm dying!
 
 
Irrequieto, giro per la casa e non la sopporto.
Mi fa schifo.
Voglio uscire.
Da solo non ce la farò mai.
Non sono pronto, sto morendo dentro e non so come aiutarmi.
Ho respinto tutti, ma in questo momento non voglio nient’altro che una mano.
Qualcuno che mi tenda le sue dita gentili e mi offra un sorriso rassicurante.
Mi fermo di fronte al tavolo della cucina e spazzo via i bigliettini che da settimane – mesi? – accompagnano il cibo che uno sconosciuto si preoccupa di farmi recapitare.
Sfioro il cellulare con dita tremanti e lo fisso: mi basterebbe sbloccarlo e chiamare qualcuno.
Chiunque.
Mi basterebbe sentire una voce che non sia la mia.
Mi basterebbe sentire una voce, perché non ricordo più quale suono abbia la mia.
La gola mi brucia, ma c’è qualcosa che arde ancora più forte, ed è il bisogno spasmodico che sto provando.
Mi siedo su una sedia e continuo a scrutare lo schermo nero, gli occhi che mi si appannano e i palmi delle mani che prendono a sudare copiosamente.
Devo solo sbloccarlo.
Solo. Sbloccarlo.
Afferro l’apparecchio tra le mani e compio quel gesto doloroso e difficile; uno strano calore si irradia nel mio petto, come se improvvisamente mi sentissi quasi soddisfatto di me stesso.
Ho soltanto sbloccato un cellulare.
Nella vita ho fatto miliardi di cose e non ne sono mai andato particolarmente fiero, e oggi invece mi compiaccio di qualcosa che tutti fanno ogni giorno decine e decine di volte.
Sospiro e scuoto appena il capo, avvertendo un senso di vertigine e che mi destabilizza per alcuni istanti.
Fisso lo schermo, le icone, lo sfondo anonimo.
Apro la rubrica e le dita mi tremano più forte.
Non mi domando a chi potrei telefonare, lascio che sia l’istinto a guidarmi – anche perché non so neanche cosa dirò né se riuscirò a parlare.
Provo a schiarirmi la gola, ma fa male.
Potrei bere dell’acqua per idratarla, andrebbe meglio, ma adesso non ho le forze di alzarmi.
Ho paura che se lasciassi andare il cellulare, non troverei mai più il coraggio di sbloccarlo per chiedere aiuto.
Temo che questo sia il mio ultimo treno e sono terrorizzato.
Scorro con ben poco interesse la lista dei contatti, finché i miei polpastrelli sudati non ne selezionano uno.
Non ho neanche letto di chi si tratta.
Chiudo gli occhi e, con il cuore in gola, porto il cellulare all’orecchio.
Squilla.
Comincio a contare: uno, due, tre.
Ben presto perdo la cognizione del tempo.
Squilla a vuoto.
Poi un click mi fa sobbalzare.
«Dunnatov vi invita a lasciare un messaggio, purché sia intelligente. Altrimenti riattaccate.»
Scosto l’apparecchio e lo appoggio nuovamente sul tavolo, gli occhi sgranati e il respiro corto.
Fisso lo schermo e mi accorgo che effettivamente ho telefonato a Trevor.
E lui non ha risposto.
Un moto di disperazione mi coglie e le mani tremano ancora più forte, mentre il cuore sprofonda nel petto e la gola brucia più di prima.
Ho soltanto bisogno di qualcuno.
Ma evidentemente è troppo tardi.
 
 
I need somebody! (somebody!)
Somebody! (somebody!)
Someone!
I need somebody! (somebody!)
Somebody! (somebody!)
Someone!
Someone!
 
 
[Somebody Someone, Korn]
 
 
 
 
§
 
 
 
 

'Cause life's been comin' in (So slow)
I'm startin' to fade (You know)
Need somethin' tangible (To hold)
Before I slip away
 
 
Sento bussare alla porta.
Riemergo dal torpore in cui ero avvolto e fisso l’uscio chiuso: ultimamente non ho più fatto entrare nessuno, mi sono semplicemente rifiutato e ho finto di non esistere – in effetti non ho dovuto impegnarmi poi tanto per lasciarmi scomparire.
Ho la tentazione di stare immobile e aspettare che chiunque sia se ne vada.
Il fattorino che mi consegna il cibo è già passato, non c’è motivo perché qualcun altro sia qui.
Poi sento bussare nuovamente.
Qualcosa scatta in me: mi tiro lentamente in piedi e strascico i piedi fino all’ingresso; appoggio la mano sinistra sulla maniglia, la destra premuta sul petto per contenere il battito impazzito del cuore.
Sospiro e compio un gesto banale, ma che mi costa un’immensa fatica.
Faccio un passo indietro e sbircio oltre la soglia, sentendo gli occhi feriti dalla potente luce del sole.
Riconosco subito la figura di Trevor che si staglia contro quello che sembra un tramonto.
Indossa una t-shirt nera, un paio di jeans e i suoi capelli sono appena smossi dal vento.
Quel vento che non accarezza la mia pelle da troppo tempo.
«Alla fine sei venuto» rantolo, la gola che brucia esattamente come le lacrime che rotolano sulle mie guance.
Allungo la mano sinistra in un gesto automatico, come se improvvisamente non potessi più fare a meno di lui – come se lo attendessi da tutta la vita.
Il mio amico compie alcuni passi verso di me e oltrepassa la soglia, sfiorando le mie dita con le proprie.
È una sensazione talmente forte – tangibile – da scuotermi fin nel profondo.
Di botto ho voglia di lasciarmi frustare i capelli dal vento, di avvertire il calore del sole sulla pelle, di respirare aria pulita.
Di essere abbracciato.
Di toccare qualcuno.
Di scherzare.
Di ridere.
Di vivere.
Poi mi ricordo che non ne sono più in grado e mi sottraggo ai polpastrelli di Trevor, vestendomi nuovamente di ghiaccio.
Mi tiro indietro perché non so fare diversamente.
Eppure lui pare determinato e segue i miei movimenti finché le sue mani non sono sulle mie spalle – forti, calde, rassicuranti.
I suoi occhi sono lo specchio dei miei, com’è sempre stato. Mi ci sono sempre immerso senza paura, sapendo che lui poteva leggermi dentro e lasciandoglielo fare.
Mi conosce più di chiunque altro.
Trevor mi passa un braccio dietro la schiena e mi si accosta, stringendomi in un abbraccio talmente delicato da risultare quasi inconsistente.
Eppure talmente carico di emozioni da sopraffarmi.
Le lacrime fuoriescono senza controllo, mentre il mio capo si abbandona contro la sua spalla e le mie dita si aggrappano alla stoffa morbida della t-shirt che indossa.
Forse avevo bisogno di questo da sempre, ma ho preferito chiudermi in me stesso e autocommiserarmi.
Per giorni, settimane, mesi.
Ho perso il conto del tempo che ho trascorso senza vivere.
«Ti ho portato qualcosa» dice Trevor, scostandosi appena.
I suoi occhi caldi sono di nuovo nei miei.
Lo scruto mentre infila una mano in tasca e ne estrae un oggetto, sorridendo appena. «Puffy mi ha detto che ti servivano» prosegue, porgendomi una scatola di pastelli colorati.
Li osservo confuso, poi improvvisamente ricollego tutto: mi torna in mente il disegno che Violet ha fatto per me e mi sento un idiota perché non so neanche dove sia andato a finire.
Non ho mai pensato di colorarlo, detesto farlo.
Ma adesso Trevor mi sta invitando a prendere i pastelli e a usarli.
Leggo nelle sue iridi un significato più profondo, un senso nascosto in quel gesto semplice e apparentemente banale.
Vuole che io faccia qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Anche se si tratta di un’attività che non mi piace.
Accetto la scatola di pastelli e mi guardo attorno spaesato, rendendomi conto che tutto ciò che sto vivendo è lento, tremendamente sfocato ed evanescente.
E io non riesco più a sopportarlo.
«Cerchi qualcosa?»
«Un mandala da colorare» replico – più parlo, più la mia gola brucia.
Mi fa sentire vivo.
Trevor mi sorride ancora e annuisce, cominciando a gironzolare per casa per darmi una mano.
 

'Cause life's been comin' in (So slow)
And I don't wanna wait (No more)
Need somethin' physical (To hold)
Before I slip away
 
 
Non riusciamo a trovare il disegno di Violet, mi sento sconfortato e ho come l’impressione di star scivolando via ancora una volta.
Poi la sento, calda e rassicurante, la mano di Trevor ancora una volta sulla mia spalla.
Incrocio i suoi occhi e li trovo familiari – quanto mi erano mancati.
«Lo troveremo. Non me ne andrò di qui finché quel fottuto foglio non salterà fuori» afferma.
E io gli credo.
Gli credo perché di lui mi sono sempre fidato e perché so che può aiutarmi a riprendere in mano la mia vita.
Ho bisogno di quei contatti che mi sta regalando per non lasciarmi nuovamente andare alla disperazione.
La mia intera vita è sempre stata travolgente, piena, vibrante. Tutto ha sempre corso in fretta, tutto mi ha sopraffatto e mi ha riempito fino a far esplodere la creatività che faticavo a contenere.
Per un attimo ci penso: chissà che impressione faccio a Trevor, lui che mi conosce più di chiunque altro, che mi ha visto crescere ed essere sempre attivo e immerso nella musica.
Mi pare che tutto vada al rallentatore e d’improvviso sono spaventato.
Quello che ho creato è sempre stato schizofrenico, esagitato, dinamico – veloce.
E adesso, cosa mi resta?
Mi resta guardare Trevor muoversi al rallentatore: si ferma nei pressi della credenza, abbassa lo sguardo, si china e raccoglie un oggetto.
Si raddrizza e si volta verso di me.
È tutto così lento…
Mi porge ciò che ha in mano. «L’ho trovato» dice.
Finalmente capisco: il disegno di Violet, ecco dov’era finito.
Questa casa è un casino e mi sta sempre più stretta.
Lo afferro e lo porto sul tavolo, accanto ai pastelli che vi ho abbandonato poco fa.
Lo scruto e lo trovo veramente bello, nonostante il soggetto mi somigli terribilmente e la cosa mi metta particolarmente a disagio.
Trevor mi raggiunge e mi posa una mano sul braccio, stringendolo appena. «Vado, d’accordo? Se hai bisogno, chiamami.»
Vorrei chiedergli dove deve andare, cos’ha da fare di tanto importante, perché mi sta già abbandonando.
Ma tutto quello che riesco a dire è: «Chi mi manda il pranzo tutti i giorni?»
Il mio amico mi scruta con espressione accigliata. «Perché dovrei saperlo?»
Pronuncia quelle parole in un modo che mi fa capire tutto: sta mentendo, lui sa la verità e probabilmente non vuole dirmela.
«Magari sei proprio tu a farlo» insinuo.
«Non sono io» afferma – stavolta gli credo, non ha esitato per un solo istante.
«Però sai chi è l’artefice» replico.
Trevor scuote il capo e mi lascia andare, affondando le mani in tasca mentre si avvia alla porta. «Non porti troppe domande» conclude, per poi rivolgermi un ultimo cenno con il capo e lasciare casa mia.
Sono di nuovo da solo e stavolta è davvero dura da accettare; ho provato nuovamente qualcosa di reale, mi sono reso conto di aver bisogno d’aiuto e di non poterne più di questa non vita.
Eppure sono di nuovo qui, con me stesso, al rallentatore.
Mi siedo al tavolo della cucina e mi prendo la testa tra le mani.
Poi i miei occhi si posano ancora sul disegno di Violet, quel mandala che è una vera e propria opera d’arte.
Puffy ha ragione: sua figlia farà strada.
Con gesti automatici apro la scatola dei pastelli e li faccio rotolare tutti sul tavolo.
Ne scelgo uno a caso e lo osservo, notando che ho inconsapevolmente optato per il giallo.
Brillante come quel sole che da tempo considero come un nemico.
Lo stringo tra le dita della mano sinistra e accosto la punta al foglio.
Il cuore sussulta appena.
Il mio sguardo viene catturato dalla frase con cui Violet ha impreziosito il disegno, anch’essa da colorare.
Tornerò più forte di prima.
Sono pronto a crederci davvero?
Non lo so, in questo momento non voglio pensarci e ho soltanto bisogno di scrollarmi di dosso ogni riflessione.
Con la mente un po’ più leggera e una flebile speranza nell’anima, mi chino leggermente in avanti e comincio a colorare.
 
 
I like to go fast
Not slow
Need to get high
Not low, low, low
 
 
[Life’s Coming In Slow, Nothing But Thieves]
 
 
 
 
§
 
 
 
 
Il fattorino arriva puntuale, come ogni giorno.
Consegna il pranzo al solito indirizzo.
In allegato un biglietto, scritto al computer e anonimo.

 
 
I think you create your own freedom.
[Mike Patton]
 
 
 
 
 
 
NOTE:
Dunnatov è il nick che Trevor utilizza sia su Twitter che su Instagram.
Questo non sarà l’ultimo capitolo della storia, ci sarà un epilogo ma arriverà soltanto quando saprò qualcosa di Mike, quando lui tornerà a splendere come io mi auguro con tutta l’anima.
E forse, chi lo sa?, scopriremo anche chi gli ha mandato del cibo durante questo periodo buio…
  
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