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Autore: pampa98    17/05/2022    2 recensioni
[Storia Partecipante alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna]
{Guy&Robin, Missing moment/What-if? episodio 3x10}
«Non puoi andare nella foresta, Guy!»
Guy lo ignorò e continuò ad avanzare a passo spedito tra gli alberi.
«Guy, fermati! Mi dispiace, va bene?»
«Ti dispiace per cosa? Per aver insultato mio padre?»
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Guy di Gisborne, Robin Hood
Note: Kidfic, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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È la casa di un lebbroso.
Lebbroso.
Lebbroso.

Sir Roger Gisborne era un cavaliere, il signore di Locksley, un marito fedele e un padre affettuoso. E adesso tutti lo avrebbero ricordato solamente come “il lebbroso”.
Guy diede un calcio a un ramo caduto al limitare della foresta, facendolo volare vari metri più avanti. Tra quegli alberi, nei meandri di Sherwood, suo padre si stava apprestando a raggiungere la sua nuova casa.
Forse non lo aveva ancora fatto. Forse Guy avrebbe potuto correre sul terreno ricoperto di foglie e raggiungerlo. Dirgli che per lui non era morto, che a sua madre serviva un marito, che lui e Isabella avevano bisogno di un padre. Che potevano trovare una casa ovunque, fintanto che fossero stati insieme.
«Non puoi andare nella foresta, Guy!»
Guy lo ignorò e continuò ad avanzare a passo spedito tra gli alberi.
«Guy, fermati! Mi dispiace, va bene?»
«Ti dispiace per cosa? Per aver insultato mio padre?»
«Ho solo… Sì, per quello. Non avrei dovuto farlo, ti chiedo scusa!»
Guy saltò oltre un tronco caduto che sbarrava la strada, accelerando il passo.
«Guy, davvero, non dovresti…»
Udì un tonfo, seguito da un lamento. Guy si voltò appena, notando Robin steso a faccia in giù davanti al tronco, il suo mantello impigliato in uno dei rami.
«Tornatene a casa, sei troppo imbranato per stare in una foresta» disse, riprendendo a muoversi. Dopo alcuni metri, non udendo nessun rumore, si voltò di nuovo e vide che Robin non si era mosso di un millimetro.
Magari è morto, pensò. Finalmente non lo avrò più tra i piedi.
Pensò che fosse giusto, che Robin Locksley fosse morto indirettamente per causa sua, dal momento che pochi giorni prima Guy aveva rischiato di venire impiccato per colpa di quel moccioso troppo sicuro di sè da non riuscire a riconoscere le proprie mancanze.

Diede di nuovo le spalle al tronco, ma pochi istanti dopo fece dietrofront, non senza trattenere qualche colorita imprecazione.
«Ehi, moccioso!» Liberò il mantello e girò Robin a pancia in su. Aveva un taglio sul lato destro della fronte e i pantaloni erano strappati sul ginocchio sinistro. Guy lo scosse per le spalle, cercando di svegliarlo. «Svegliati, Robin. Nemmeno tu puoi morire in un modo così stupido, forza!»
Lentamente, il bambino iniziò a sollevare le palpebre e Guy si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo: non avrebbe avuto voglia di spiegare a sua madre e a quell’altro individuo che Robin era morto mentre lui cercava di raggiungere suo padre.
«Guy?»
«Se vedi che non sei in grado di fare una cosa, non farla! Quanto tempo ti ci vorrà ancora per imparare una lezione tanto banale?»
Robin strizzò gli occhi e si portò una mano alla ferita sanguinante. Guy gliela allontanò bruscamente.
«Non toccarla, hai le mani sporche di terra». Prese un fazzoletto dalla tasca della sua giacca e lo usò per pulire il sangue sul volto del ragazzo.
«Ce la fai ad alzarti?»
Robin annuì e, con l’aiuto di Guy, si alzò in piedi.
«Sto bene» disse, staccandosi da lui – solo per rendersi conto che la testa gli girava e sarebbe caduto di nuovo se Guy non lo avesse prontamente afferrato.
«Perché sei così imbecille, Locksley? Ti ho appena detto…»
«Sì, sì, ho capito! Ma tu ci riesci! Riesci a saltare i tronchi, sai tirare con l’arco… Perché io non dovrei riuscirci?»
Perché io sono migliore di te, fu la prima risposta che gli balenò in mente ma decise di conservarla per un momento in cui Robin fosse stato più in forze.
«Perché sono più grande di te. Mi alleno con l’arco da prima che tu riuscissi a tenerne uno in mano e questo» guardò il tronco e si strinse nelle spalle. «Questo mi è venuto bene solo perché le mie gambe sono più lunghe delle tue.»
Robin sbuffò, ma non disse niente.
«Forza, torniamo a casa» gli disse, facendo un passo indietro per vedere se riusciva a stare dritto sulle sue gambe. Ci riuscì. «Ce la fai a camminare?»
Robin mosse un paio di passi, ma non riusciva a piegare e distendere bene la gamba sinistra.
«Insomma» disse. «Ma fino a casa ci arrivo tranquillamente.»
Guy scosse la testa. Si chinò davanti a lui e allungò le braccia indietro.
«Forza, ti porto io.»
«Ho detto che ce la faccio da solo.»
«Nel tempo di arrivare a casa, ti si sarà rotto completamente il ginocchio. Non lamentarti e accetta il mio aiuto o giuro che ti mollo qui da solo. E sta venendo buio, nel caso tu non l’abbia notato.»
Per alcuni istanti ci fu silenzio, poi Guy avvertì il peso di Robin sulle spalle.
«Però mi metti giù prima che qualcuno ci veda» disse.
«Ovviamente.»
Si alzò in piedi e si assicurò che Robin fosse ben saldo sulla sua schiena. Guy pensò di fargli notare che pesava quanto una piuma, ma lasciò perdere. Lanciò un’ultima occhiata alla foresta davanti a sè: suo padre era giunto a destinazione? Stava bene? Avrebbe continuato a pensare alla sua famiglia – ad amarli?
«Anch’io ho perso un genitore» disse Robin, riscuotendolo dai suoi pensieri.
«Non è la stessa cosa» rispose bruscamente, incamminandosi verso il villaggio.
«Forse no, però…»
«Non ne voglio parlare, Robin.»

Per una volta, Robin lo assecondò. Strinse le braccia intorno al suo collo e si abbandonò contro di lui. Camminarono in silenzio fino al limitare della foresta e mentre attraversavano il villaggio, ignorando gli sguardi curiosi dei passanti.
«Domani ci alleniamo con l’arco insieme?» chiese a un tratto Robin.
«No. Hai sbattuto la testa, devi stare a riposo.»
Si fermò davanti alla casa di Robin e si chinò per far scendere il ragazzo. Quando lo guardò in volto, notò che aveva un’aria mesta.
Guy strinse e aprì i pugni più volte, prima di decidersi a bussare alla porta. Non fece in tempo a farlo che udì delle voci familiari alle sue spalle.
«Guy! Robin! Dove siete stati finora, eravamo… Robin, che ti è successo?»
Malcolm Locksley corse verso suo figlio e gli prese il volto tra le mani, controllandogli attentamente la ferita.
«Guy?» Sua madre lo prese per mano, osservandolo con sguardo indagatore. «Dove siete stati?»
«Madre, io…»
«Ho sfidato Guy a una corsa, nella foresta» esclamò Robin, attirando tutti gli sguardi su di sè. «Lui non era d’accordo, ma io non l’ho ascoltato. Sono inciampato su un tronco caduto e Guy mi ha soccorso. E mi ha già rimproverato per il mio comportamento.»
Locksley sospirò. Passò una mano tra i capelli del figlio in un gesto affettuoso, ma le sue parole furono dure. «Non credere che questo ti salverà dai rimproveri di tuo padre, Robin. Quante volte ti ho detto che devi ascoltare Guy, che è molto più grande e maturo di te? Sei fortunato che sia sempre pronto a darti una mano quando ti cacci nei guai. Grazie, Guy» aggiunse poi, rivolto a lui. Guy strinse i pugni, desiderando di piantarglieli su quella faccia da uomo d’onore che indossava sempre in pubblico.
«C’è qualcosa che possiamo fare per voi?» si informò gentilmente Ghislaine. Malcolm scosse la testa.
«No, Ghislaine. Siete sempre molto premurosa verso tutti, ma ora più che mai dovete pensare solo a voi e ai vostri figli. Tornate a casa; e ricordate che sono a vostra disposizione, di qualunque cosa abbiate bisogno.»
Tipo il vostro membro? Guy non ebbe modo di esprimere il suo disgusto, nemmeno in modo più implicito, perché si trovò davanti al volto la mano aperta di Robin.
«Grazie per oggi» disse.
Guy gli strinse la mano. Era la prima volta che si scambiavano un gesto amichevole.
«Grazie anche a te» rispose, senza specificare esattamente per cosa. «Rimettiti presto, così possiamo allenarci insieme.»
Il ragazzo gli rivolse un sorriso raggiante e annuì con vigore, gesto che gli fece subito mutare l’espressione in una smorfia di dolore. Guy sorrise: Robin era proprio incorreggibile.





 
   
 
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