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Autore: Iaiasdream    26/05/2022    0 recensioni
Vincenzo Gargano, ricco novantenne proprietario terriero, muore lasciando tutti i suoi averi al figlio Diomede e ai due nipoti Stefano e Carmine, a patto che a scadenza di un anno dalla sua morte, uno dei due prenda moglie.
Per non rischiare di perdere tutto, poiché Stefano dieci anni addietro tagliò i ponti con l'intera famiglia, Diomede cerca di affrettare i tempi accettando la proposta di sua cugina Rita Ferrara, facendo sposare Carmine con la procugina Marella.
Il giovane, però, è contrario, poiché innamorato di Arianna, figlia adottiva del cugino di suo padre, da tutti chiamata Aria.
Carmine sembra propenso a non voler piegarsi a quel obbligo e decide con la sua amata di scappare insieme, ma il destino sembra essergli avverso e proprio il giorno previsto per il matrimonio, degli imprevisti inaspettati cambieranno i loro progetti.
A complicare la situazione è anche il ritorno di Stefano, il quale porta con sé un segreto che riguarda Arianna e che insieme dovranno scoprire poiché prima di morire, Vincenzo era propenso a rivelare qualcosa di sconvolgente.
Tra misteri, intrighi e passioni, non mancherà il forte sentimento che travolgerà i due giovani.
Tutti i diritti sono riservati
Genere: Erotico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Capitolo 2

TESTAMENTO
 
Io sottoscritto, Vincenzo Gargano nato a Murgella il 22 maggio 1922, nel pieno delle mie facoltà mentali, istituisco eredi mio figlio Diomede Gargano e i miei due dilettissimi nipoti Stefano e Carmine Gargano. A loro andranno tutti i miei beni divisi in parti uguali solo se nell’arco di un anno a partire dalla mia morte uno dei due fratelli prenda moglie. In caso di rifiuto o a scadenza del tempo prestabilito, lascio ogni mio bene alle Suore Salesiane di Don Bosco.
Mia sorella Erminia Gargano in Ferrara e tutti i componenti della sua famiglia dopo la mia morte continueranno ad abitare nella tenuta e a svolgere il loro lavoro con stipendio senza lasciare alcun compenso a chi otterrà la proprietà.
 
In Fede, Vincenzo Gargano
 
Murgella, 29 novembre 2011
 
***
 
La morte di Vincenzo Gargano aveva lasciato un vuoto incolmabile, almeno per chi veramente gli aveva voluto bene.
Tre mesi erano passati da quel triste giorno e l’estate entrò in scena alleata di Diomede che col caldo e la parte di eredità che, nonostante il testamento, quello che l’uomo aveva fatto spacciare per vero, riportasse la volontà di suo padre e cioè quella che per diventare proprietario a tutti gli effetti, suo figlio avrebbe dovuto sposarsi, si prodigò per realizzare quei progetti che per anni aveva tenuti ben nascosti al resto della famiglia. Suo padre non c’era più e oltre a lui e al notaio nessun altro era a conoscenza di ciò che era avvenuto quel giorno nel suo studio, così aveva deciso di portare a termine ciò che si era predisposto per rendere più vasta la proprietà.
Ma se il nuovo signore di Murgella era convinto della sua fortuna, oscurando la memoria di suo padre, qualcun altro reggeva vivido l’ultimo sprazzo di ricordo, rimirando il giorno della morte del vecchio.
E quel qualcuno era appunto Arianna. Era stata l’ultima a vederlo e sentirlo, e il pensiero che il “nonno” avesse tentato di rivelarle qualcosa non l’abbandonò nemmeno per un istante.
Eppure i suoi dubbi sarebbero dovuti passare in secondo piano, poiché l’odio che alcuni componenti della famiglia serbavano per lei era aumentato a vista d’occhio e se non fosse esistito quell’uomo che per lei era davvero come un padre, di sicuro la ragazza non sarebbe stata tanto forte da lottare e rialzarsi ogni qualvolta tentavano di schiacciarla.
Oltre che per amor di Alberto e per rispetto alla memoria di Vincenzo, Aria sentiva che qualcos’altro la legava a quelle terre, qualcosa di forte di indissolubile.
E poi c’era lui… l’amore.
Quella calda mattina di giugno, preparò Tempesta, un lipizzano bianco, e si diede al galoppo attraversando i vasti campi punteggiati da balle di fieno, scavalcò muretti a secco, zigzagò tra nodosi alberi di ulivo, salì per una collina e quando fu all’apice si fermò ammirando il panorama.
Sorrise eccitata, tirò verso destra le briglie e, colpendo energicamente i fianchi della sua più fedele amica, s’immerse in quel paradiso terrestre. Dopo qualche metro, rallentò l’andatura del cavallo per poi fermarlo e scendere dal suo dorso. Lo lasciò lì a briglie sciolte, mentre lei si inoltrava in un sentiero di pruni, che portavano in un piccolo chiostro naturale dove una cascatella le faceva da protagonista.
Senza esitare oltre, Aria si sbottonò la camicia a quadri e si sfilò le scarpe e le bermuda. Rimasta con indosso solo l’intimo, si tuffò nel lago le cui increspature scintillavano ai raggi del sole come piccoli diamanti.
L’acqua ghiacciata trafisse le sue membra, ma era un piacevole contrasto al caldo che soffocava l’aria. Quando riemerse gettò un gridolino, si passò le mani sul viso per liberarsi dell’acqua in eccesso e si tirò i capelli all’indietro.
«Sapevo di trovati qui», venne attratta da una voce. Si volse di scatto sorpresa, per poi tramutare la sua espressione in un sorriso di felicità.
Sulla roccia, accanto ai suoi indumenti, dritto in piedi con le braccia incrociate al petto un uomo giovane, dal volto gentile, gli occhi sereni, i capelli castani che svolazzavano al lieve vento, la guardava contento di averla sorpresa.
«Carmine» sibilò Arianna, smuovendo l’acqua per spingersi in avanti, come a volerlo raggiungere.
«Esci, o entro?» chiese il giovane sciogliendo la sua posizione e portando le mani al bordo della t-shirt.
«L’acqua è bellissima.» esclamò lei piroettando e spingendosi in su con le braccia per rimanere a galla.
Carmine non disse altro, si denudò mostrando il suo corpo perfetto e scolpito dal suo pesante lavoro e si tuffò.
Riemerse pochi istanti dopo sovrastando la figura della ragazza che, sentendosi afferrare per i fianchi, gettò all’aria un gridolino e iniziò a ridere divertita.
«È ghiacciata.» mormorò il giovane.
«Allora hai fatto bene a tuffarti. Ti posso riscaldare io» disse Aria avvolgendogli le braccia al collo. Si guardarono per qualche istante, come a voler aspettare uno la reazione dell’altro e Carmine, le mangiò le labbra con gli occhi, mentre lei chiudeva i suoi intenta a concederglielo. Ma il giovane non la sfiorò, mosse le gambe nell’acqua in tal modo da posizionarsi dietro di lei e la invitò a seguirlo.
Oltre il velo irrefrenabile della cascata, c’era una piccola e umida grotta, Carmine la portò lì, in quello che da tre anni era diventato il loro nascondiglio segreto, e da due il loro antro d’amore.
La stese sulla fredda pietra e le percorse con la mano la gamba per poi salire sulla coscia, il fianco e afferrarle il tondo seno coperto dalla lingerie. Aria non distolse gli occhi dai suoi nemmeno quando lo vide sovrastarla, divaricarle le gambe e poggiarle il membro sulla sua nudità.
Gli afferrò il viso con entrambe le mani e finalmente poté unire le labbra alle sue.
Carmine entrò in lei, ancheggiando lentamente per elargirle piacere. Come solo lui sapeva fare e come solo lui la conosceva, perché la sua prima volta e il suo unico amore.
Ma quel giorno, Aria non parve appagarsi. Non riusciva a muoversi per contribuire anch’essa a quell’atto piacevole e Carmine se ne accorse e si fermò chiedendole cosa avesse.
«È per il matrimonio» rispose la ragazza, e la voce le uscì strozzata.
Il giovane serrò le labbra e strinse gli occhi dispiaciuto. Uscì da lei e si stese di faccia all’aria al suo fianco. Fissò le piccole stalattiti appese al soffitto della grotta e si passò una mano sulla fronte sospirando amareggiato, consapevole che la ragazza lo stava guardando.
Ci fu un breve ma intenso silenzio, poi Arianna si mise a sedere dandogli le spalle e allungando i piedi verso la cascata attingendo la punta delle dita, formando un arco allo scorrere dell’acqua.
«Io non amo Marella.», Carmine spezzò il silenzio, e la sua voce vibrò nella grotta.
«Ma la sposerai.» ribatté Aria con voce atona.
«Non l’ho deciso io.»
«Ma sei stato d’accordo fin dall’inizio.»
Carmine si alzò di scatto e l’afferrò per le spalle volgendola verso di sé. In quel movimento, la gamba della ragazza scivolò intera contro la cascata alterando il suo corso e provocando degli schizzi. Sentì come se migliaia di aghi la stessero punzecchiando ma quel dolore era nulla in confronto a ciò che sentiva nel cuore, soprattutto quando Carmine la guardò con sguardo supplichevole.
«Quando mio padre e tua zia Rita proposero questa unione e il nonno diede loro il consenso, ricordi quella sera? Ti chiesi semmai avessi voluto scappare via con me. Tu però ti rifiutasti.»
«Marella non mi odia come mi odiano sua madre e sua sorella. – spiegò la ragazza ritirando la gamba per mettersi in ginocchio – lei ed io ci vogliamo bene ed io non le potrei mai fare una cosa del genere.»
«Ma io amo te.» esclamò Carmine stringendole le spalle.
«Carmine, non siamo più dei bambini. Sai che puoi opporti se solo lo volessi.»
«Mio padre non ti accetterà mai!»
Non erano una rivelazione quelle parole. Arianna lo sapeva benissimo ma ogni volta che le udiva, sentiva un pezzo della sua dignità frantumarsi.
Davvero la odiavano in quel modo solo perché non era una vera Ferrara?
Quando Vicenzo era ancora in vita, aveva da tempo espresso quello che poi in seguito avrebbe riportato nel testamento e cioè soltanto se uno dei suoi due nipoti avesse preso moglie avrebbe ceduto la sua proprietà e, poiché del primo genito non si avevano notizie ormai da dieci anni, Diomede in combutta con Rita, obbligò Carmine a unirsi in matrimonio con Marella.
Tutto quello era assurdo. L’uomo diceva che oltre a essere un favore che faceva ai suoi cugini per via della rinuncia che Ermina aveva fatta dopo la morte di suo fratello, i Gargano non potevano permettersi di perdere l’intera proprietà dopo tutti i sacrifici che avevano fatto per mandarla avanti. Ma c’era qualcos’altro e Carmine lo sapeva benissimo. La loro storia d’amore era segreta. Nessuno sapeva di loro due, tranne Diomede che aveva intuito qualcosa e perciò aveva minacciato suo figlio che se non avesse fatto ciò che gli ordinava, se la sarebbe presa con Arianna.
No, Carmine non poteva permetterglielo, ma allo stesso tempo non voleva lasciarla andare. Si trovava tra due fuochi e la fiamma dell’amore divampava ogni qualvolta si trovava con lei. Gli faceva perdere il senno, lo armava di coraggio e gli balenava nella mente l’idea di andare contro il padre e scappare via insieme.
«Ascoltami, amore mio – riprese stringendo la presa sulle sue spalle – Non c’è nulla tra me e Marella, a prescindere dalla decisione del matrimonio. E non ci sarà mai. Ma se dovessi sposarmi, tutto questo finirà.» la sua voce si fece sommessa, e gli occhi presero il posto delle parole, indicando la grotta, come se fosse il tesoro più grande che custodivano insieme.
Le labbra di Aria tremarono leggermente e dovette sbattere le palpebre più di una volta per cacciare le gocce d’acqua che le strisciavano sulla fronte per via dei capelli bagnati, oppure erano semplici, tristi lacrime?
Abbassò la testa sospirando.
«Io non voglio che finisca.» esclamò Carmine, «dimmi che non lo vuoi neanche tu!»
Aria alzò lo sguardo e lentamente scosse il capo. «Ti amo troppo per ammettere il contrario.»
Il giovane sorrise e la baciò abbracciandola, poi le sue labbra affondarono sull’incavo del collo e il calore che le diede la fece fremere.
«Andiamo via insieme.» soffiò sulla sua pelle.
A quel punto Aria annuì.
Perché non dovevano essere felici? Carmine aveva ragione, tra lui e Marella non c’era nulla. Al contrario, loro due erano legati dal magico filo dell’amore, perché allora non provare ad essere felici alla luce del sole invece che in una piccola grotta nascosta da una cascata? Cos’aveva da perdere? Tranne che con il suo patrigno e due suoi cugini gemelli, non aveva altri legami. Loro avrebbero compreso le sue scelte.
Cullata dal calore del suo amato, Aria si lasciò andare, si concedette e prese da lui il piacere di sentirlo dentro di sé.
 
***
 
La sera seguente ci sarebbe stata la cerimonia del matrimonio tra Carmine Gargano e Marella Franchi.
Diomede e Rita avevano pensato a tutto e anche in fretta.
Carmine, d’accordo con Arianna, aveva premeditato di non presentarsi e che prima della cerimonia, si sarebbero incontrati nelle scuderie, per poi andarsene.
All’inizio Arianna esitò, ancora un po’ dispiaciuta per il torto che avrebbe fatto a sua cugina, ma le ragioni del suo amato la fecero riflettere e così accettò senza obbiettare.
Dopo aver fatto l’amore, ripresero il loro cammino. Anche Carmine era giunto al lago col suo cavallo e si distanziarono solo quando raggiunsero la vetta della collina. Si scambiarono un’ultima occhiata carica di amore e fu il giovane ad allontanarsi per primo. Quando arrivò al recinto, scese da cavallo e portate avanti le redini lo accompagnò nelle scuderie. Vi trovò i gemelli, figli di Cristoforo Ferrara, terzo figlio di Ermina, che governavano le giumente. Lasciò il suo cavallo nel box e li raggiunse.
I gemelli, Enea e Paride, due quindicenni biondi e solari, fermarono il loro lavoro non appena lo videro e all’unisono esclamarono che avevano una bellissima notizia da dargli.
«Di che si tratta?» chiese Carmine indifferente, convinto che si trattasse di uno dei loro soliti scherzi usciti a meraviglia verso Mina, loro cugina, nonché terza figlia di Rita.
Nonostante la loro adolescenza erano rimasti due bambini, ma questo piaceva all’intera famiglia Ferrara, poiché riuscivano a distinguersi da tutti i loro coetanei che tentavano di intraprendere cattive strade e abitudini.
«Abbiamo sentito tuo padre che ne parlava con nostro zio Alberto.» disse Paride.
«Stefano ritornerà a Murgella!» concluse Enea tutto sorridente.
Carmine si sentì mancare un battito e la sua espressione attonita presto si trasformò in incredula felicità.
Erano anni che non vedeva suo fratello maggiore. Aveva perso il conto, dal giorno in cui si erano detti arrivederci.
Stefano Gargano era il primo genito di Diomede. A dispetto di quello che suo padre voleva per lui, il giovane si era impuntato dall’inizio della sua adolescenza di non voler avere niente a che fare con gli affari di famiglia. Era uscito tanto diverso dalle abitudini e dalle abilità dei Gargano che per un certo periodo la buon’anima di Vincenzo si era messo in testa che non fosse figlio di suo padre.
Il fotografo. Che cavolo di mestiere era: il fotografo?
Per quanto riguardava sua madre, Camilla Olivieri figlia del vecchio maresciallo di Murgella, era solo buona a cucinare e ricamare, oltre ad aver messo al mondo due figli maschi, così da aver garantito ai Gargano una discendenza.
Ma ‘sto figlio fotografo, da dov’era uscito?
Quand’era piccolo, se ne andava sulla collina e disegnava paesaggi, e non che non fosse bravo, anzi, la professoressa Bevilacqua una nanetta con la gobba, alla scuola media, lo aveva sempre elogiato, e soprannominato il Bel Caravaggio, perché sì, come Carmine, anche Stefano era bello e la sua bellezza fece presto cancellare i dubbi di suo nonno, perché somigliava tutto a lui quand’era giovane.
Con il passare degli anni, il ragazzo aveva fatta convinta l’intera famiglia che su di lui non avrebbero comandato e un pomeriggio piovoso di novembre all’età di vent’anni, proprio il giorno appresso a quello di tutti i defunti, senza dire nulla, Stefano aveva fatto i bagagli ed era andato via, l’unica cosa buona che aveva fatta per non tenere in pensiero sua madre e suo nonno, fu mandare una lettera a quest’ultimo dove spiegava le vere ragioni di quell’allontanamento. E Vincenzo, senza rivelare nulla a nessuno, s’era ben guardato dal far leggere quelle parole portandosi nella tomba quel segreto.
Ma il comportamento che ebbe dopo quell’evento non passò di certo inosservato agli occhi di suo figlio, poiché aveva percepita la freddezza che suo padre portò d’allora nei suoi confronti.
Tutto questo era estraneo al resto della famiglia che sapeva che Stefano si trovava a Firenze per studiare arte e fotografia, e in un certo qual modo era vero.
Erano trascorsi, per la precisione, dieci anni. In questi, poche erano state le chiamate, i messaggi. Sul suo profilo Facebook pubblicava solo e soltanto i suoi scatti artistici, dei paesaggi, e dei paesi che aveva visitato, ma di come era diventato… nulla.
Tant’è che in casa Ferrara, girava voce fosse un clochard, e per vergogna non si parlava tanto di lui. Perché in un certo senso la domanda usciva spontanea: come campava questo benedetto ragazzo? Chi gli aveva dato i soldi per studiare?
Diomede di certo no. Sembrava lo avesse diseredato per il suo comportamento; sua madre non aveva voce in capitolo e poi, era evidente il suo stato d’animo da quando se n’era andato il figlio, sembrava diventata scimunita.
Suo fratello Carmine percepiva regolarmente uno stipendio che bastava per mantenersi il cavallo e la macchina e per togliersi qualche sfizio.
La chiave di tutto era Vincenzo. Fino all’ora della sua morte aveva provveduto al sostentamento di suo nipote. Naturalmente, non che Stefano non fosse in grado di darsi a campare, infatti nell’ultima chiamata fatta a suo nonno, prima della sua morte, lo aveva pregato di non versare più bonifici perché aveva da tempo trovato lavoro come fotografo in un giornale locale, che Vincenzo non ricordò mai il nome né tantomeno il paese. Il vecchio aveva fatto orecchie da mercante, e mensilmente versava soldi come se il venti di ogni mese doveva sdebitarsi di un prestito fatto in quel lontano novembre. E quando Dio se lo chiamò, forse se avesse saputo che nessuno si era degnato di avvisare quel suo nipote, si sarebbe presentato in sonno a tutti quelli della famiglia per tirare loro i piedi e fargli prendere un colpo.
Ma Carmine, a differenza di tutti, aveva disobbedito agli ordini di suo padre e aveva cercato di contattare suo fratello per dargli la triste notizia, ahimè senza successo.
Stefano sembrava morto: né una chiamata né un messaggio neppure sui social riuscì ad avere sue notizie.
Ora, si presentava come qualcosa di inaspettato.
Perché?
L’unica cosa da fare per darsi delle risposte era ritornare a casa e chiedere spiegazioni.
Vi trovò davanti al possente portone sua madre che, con la sua solita coroncina tra le mani guardava con occhi sbrilluccicanti il cancello, come qualcuno che aspetta l’arrivo della persona amata.
Era la prima volta dopo dieci anni che Carmine la vedeva in piedi al di fuori di quelle mura. Dopo la partenza di Stefano si era chiusa in sé stessa, parlava poco e se ne stava perennemente rintanata nella sua camera, o alcune volte la trovavano supina sul letto del figlio, tant’è che in quelle occasioni i parenti gridavano di spavento credendola morta. Per quanto riguardava suo marito, non si curava di lei, un po’ per il lavoro, un po’ per carattere e un po’ perché non l’amava, anzi, non l’aveva mai amata. Lo aveva rivelato lei stessa una sera di tanti anni fa ai due figli, in preda al suo solito pianto melanconico.
Era evidente che quell’improvviso cambiamento era dovuto alla notizia dell’arrivo di Stefano.
«Mamma, che ci fai qui?» chiese Carmine affiancandola e cingendole le spalle. La guardò attentamente, prima non se n’era mai accorto, ma in quel momento alla luce del sole si capacitò che sua madre era invecchiata, esageratamente. Aveva cinquant’anni, ma ne dimostrava molti di più. I suoi capelli castani, lisci, che una volta portava lunghi e vaporosi, erano striati di grigio e bianco alla cute e legati in una coda scialba, la pelle mostrava segni dell’età avanzata; rughe che solcavano la fronte e la coda degli occhi, occhiaie e zigomi ossuti. Com’era dimagrita! Si disse suo figlio stringendo la presa come se impaurito che da un momento all’altro potesse crollare, come se tenesse fra le mani qualcosa di fragile.
«Carméne’… fratte ste a venéjé!», parlava in dialetto, e il giovane ricordò dalle poche volte che l’aveva sentita parlare nel corso di quei dieci anni che lo faceva solo quando voleva far dispetto a suo marito il quale odiava sentir parlare una donna in quel modo.
Ma Diomede non c’era in quel momento!
«O’ mà! Ritorniamo dentro. Oggi fa troppo caldo. Lo aspettiamo dentro.»
E mentre l’accompagnava, quella ripeteva “ste a venéje, ste a venéjé!”, sta arrivando, sta arrivando!
 
***
 
Arianna non aveva fatta la stessa strada di Carmine. Non voleva che qualcuno li vedesse insieme, anche perché a quell’ora il ragazzo doveva trovarsi a dirigere l’imballaggio del fieno, e l’oretta in cui si era allontanato per trascorrerla insieme con lei, sicuramente avrebbe destato sospetti, così decise di fermarsi nei pressi della cascata. Ricordandosi che non lontano da lì c’era un seminativo dove crescevano spontanei i tulipani, scese dal dorso della sua Tempesta e andò a raccoglierne qualcuno.
A Vincenzo piacevano i tulipani. Li avrebbe posati sulla sua lapide. Ci andava ogni mattina e oltre ai fiori di campo lasciava una preghiera.
Gli mancava, “nonno” Vincenzo. Era stato male per mesi a causa del suo cuore, ma vederselo morire davanti l’aveva talmente impressionata che non era passata notte in cui si svegliava di soprassalto, in preda ai tremiti e ai sudori.
Non che l’impressione fosse l’averlo visto contorcersi prima di spirare, tutt’altro; era stato quel suo modo di volerle parlare, era come se avesse lottato contro la morte per dirle qualcosa d’importante. “Perdonami” aveva soffiato tra un ansimo e l’altro, ma di cosa doveva perdonarlo? Forse per il ridicolo testamento che aveva lasciato, perché aveva intuito della storia d’amore tra lei e Carmine e quindi le chiedeva perdono per la sciocchezza che aveva fatto permettendo a Diomede di decidere del futuro di suo figlio?
Mentre staccava l’ultimo stelo, Tempesta, da lontano, attirò la sua attenzione, distraendola da un ricordo che le passò fugace nella mente e che dimenticò all’istante, poiché, sollevando il capo si accorse che accanto alla giumenta, c’era un uomo che la manteneva dalle briglie.
Senza riflettere, e convinta che lo sconosciuto la stesse portando via, Aria lasciò cadere il mazzo dei tulipani e si mise a correre verso di loro gridando allo sconosciuto di lasciare andare l’animale.
Più si avvicinava, più riusciva a vederlo meglio: si trattava di un giovane, sulla trentina che aveva capelli di un biondo scuro tirati indietro e legati in un mezzo codino, mentre il resto dei capelli lunghi, gli scivolavano sul collo poggiandosi sulle larghe e palestrate spalle. Aveva occhi penetranti, sorridenti, quasi beffardi, mentre il resto del viso era abbracciato da una ben curata barba che copriva delle labbra carnose.
Sembrava non essersi accorto di lei, perché continuava a guardare Tempesta con occhi sognanti e un sorriso serafico.
«Non hai sentito quello che ti ho detto?» esclamò ancora una volta la ragazza affannata per la corsa. Solo allora il giovane si volse a guardarla, e socchiuse le palpebre a causa dei forti raggi del sole. «Lasciala andare, altrimenti…» continuò Aria guardando per terra. Afferrò un sasso bello grosso e minacciò di volerglielo lanciare contro.
«Oh, oh! Calmati tempesta!» esclamò beffardo lo sconosciuto accennando due passi indietro, sollevando le mani in segno di resa ma senza lasciare le briglie.
A quel movimento, la vera Tempesta sollevò di scatto la testa strattonandolo.
«Non fare così! – lo rimproverò la ragazza avvicinandosi con cautela – la stai innervosendo.»
Ed infatti la giumenta iniziò a nitrire e a sbruffare fiato dalle narici dilatate. Cercava di indietreggiare, ma indecisa, ora guardava il giovane ora la sua padrona che tentava di quietarla e, fidandosi come sempre di lei, si lasciò avvicinare e accarezzare il dorso del muso.
«Buona, buona amica mia» le sussurrò mentre, lanciata un’occhiata fulminea allo sconosciuto, si faceva dare le redini.
«Non volevo rubarla, se è questo che hai creduto» si giustificò lui incrociando le braccia al petto gonfiandone così i muscoli.
Aria non rispose, ma gli indirizzò un’altra occhiataccia e solo allora si accorse che i suoi occhi erano azzurri come il cielo che imperava sopra alle loro teste.
«Sono un fotografo – riprese sciogliendo la sua posizione e prendendo la reflex che teneva appesa al collo. – ho visto la giumenta e non ho resistito a volerle fare degli scatti.»
«Se sei in cerca di modelle, hai sbagliato zona!» rispose acida Arianna, salendo sul dorso della cavalla.
«Ti sbagli. Io non…» lo sconosciuto provò a giustificarsi, ma la ragazza non gli diede il tempo di farlo, tirò a destra le redini e spronò la giumenta al galoppo.
Il fotografo rimase a bocca aperta, ma la scena che gli si stagliò davanti non lo lasciò offeso: quella giovane tempesta che si allontanava sul lipizzano bianco, con i capelli ondeggianti al vento, in quel paesaggio dalle sfumature estive lo ispirò. Prese la sua reflex e accostatala all’occhio destro scattò qualche foto. Alla fine guardò il risultato, sembrava una ninfa uscita da un bosco incantato a cavallo di un unicorno.
Sorrise soddisfatto.
 
***
 
I primi a veder arrivare Stefano oltre il cancello furono i gemelli.
Non che il suo arrivo fosse stato discreto, al contrario, il rombo del suo motociclo Yamaha nero e rosso, spaventò la natura e uno stormo di uccelli che si librarono in volo scuotendo le foglie dei pini che recintavano il casolare dei Gargano. Ma Paride ed Enea avevano la mania di prendersi il merito nell’avvisare tutti di tutto.
Camilla, sua madre, era stata fatta sedere al tavolino in ferro battuto dopo che si era rifiutata categoricamente di rincasare, costringendo l’altro suo figlio a stare con lei, preoccupato per quel comportamento che la donna non aveva mai avuto prima d’ora.
Seduta sulla sedia affianco, c’era anche Erminia che sorseggiava il suo caffè in silenzio, mentre Rita, Marella e Mina erano sedute sulle poltroncine di vimini sotto il porticato.
Il resto della famiglia era al lavoro nei campi, e Diomede rinchiuso nel suo studio non aveva accennato a voler scendere per accogliere anche lui suo figlio.
Erano trascorsi dieci anni, forse si sarebbe dovuto comportare meglio, non che Carmine si aspettasse uno sprazzo di felicità da parte di suo padre, sapeva che non ne era il tipo, ma almeno l’interesse. E forse il fratello sapeva che il comportamento di Stefano non era giustificabile.
Poi, rivedendo sua madre, ricordò che era stata anche colpa sua se la donna si era ridotta in quello stato e forse non c’era davvero nulla per cui essere felici del suo arrivo.
Ma fissando il volto di Camilla, Carmine si accorse che era più luminoso e sognante, quasi ringiovanito, così dissipò all’istante quei pensieri.
Distolse lo sguardo dalla donna quando sentì Enea che, a gran voce, faceva apprezzamenti sulla moto. Vide suo fratello scendere dal mezzo, sfilarsi il casco e scompigliare i lunghi capelli biondi legati da un mezzo codino.
Era davvero cambiato. Anche se si somigliavano, con la barba Stefano sembrava un’altra persona. Ed era davvero affascinante.
In lontananza sentì Mina dire qualcosa e sua madre che sorrideva con la sua solita risata maliziosa.
Dopo essersi liberato dei due cugini, la prima persona che Stefano puntò, fu proprio sua madre, la quale si alzò barcollando dalla sedia e gli corse incontro aprendo le braccia. Il giovane l’accolse sul suo petto avvolgendola con le sue braccia possenti. Essendo molto più alto di lei dovette chinare il capo di un bel po’ per poter affondare le labbra nell’incavo del suo collo. Carmine stette ad osservarli e sentì la madre piangere come una bambina, anche a lui venne da piangere, ma si trattenne ingoiando a fatica quel groppo che gli si era formato in gola.
«Sono qui, mamma» mormorava il giovane.
«Cattivo, cattivo Stefanuccio» diceva sua madre tra un singhiozzo e l’altro, poi lo allontanava per prendergli il viso tra le mani, che con le dita tentava di scostargli la barba per vederlo meglio, ma senza successo; allora prendeva a baciarlo sulle guance e ad abbracciarlo ancora.
«Così lo consumerai!» intervenne Erminia sbattendo il bastone sulle basole per attirare l’attenzione su di sé.
«Zia Erminia»
«Zia… – sbraitò la vecchia storcendo le labbra – ti sei ricordato di noi, finalmente! Dovrei cacciarti a pedate, se non fosse che ho paura di vedermi comparire tuo nonno nel sonno!»
Le labbra di Stefano si allargarono in una fresca risata, poi scostando dolcemente sua madre si precipitò verso Ermina, la prese in braccio, ignorando la sua protesta, fece qualche piroetta per poi stamparle un bacio sulla fronte e rimetterla giù.
La donna sentenziò ricomponendosi la crocchia che si era allentata nel movimento, poi finalmente toccò a Carmine. I due fratelli si guardarono per qualche istante, poi si strinsero la mano abbracciandosi. Non si dissero nulla e i saluti proseguirono col resto della famiglia. Rita si atteggiò a donna di classe, Marella con la sua solita goffaggine e timidezza, mentre Mina volle mostrare quel lato di sé che non era ancora fiorito poiché aveva sedici anni e chiamarla donna forse era un po’ troppo, fatto sta che aveva fatto intendere ai presenti che un certo interesse per quel giovane uomo dall’aspetto selvaggio e allo stesso tempo attraente lo aveva di sicuro.
Si parlò del più e del meno, ma l’attenzione del giovane calò subito sulla morte del nonno. A quel punto tutti si zittirono. «Comprendo che forse qualcuno non desiderava la mia presenza. Dato che non sono stato avvisato.»
«Ho cercato di contattarti» rivelò suo fratello. «Ma il tuo numero era irraggiungibile.»
«Ho cambiato numero da un anno, avevo avvisato il nonno di questo.»
«Lui non ci ha detto niente» intervenne Erminia.
Nessun altro proferì parola, e Stefano non accennò nulla su suo padre, non chiese dove fosse e chissà se ci avesse pensato.
Dopo un po’ annunciò di sentirsi stanco per il viaggio, sua madre, insieme con Carmine, volle accompagnarlo nella sua camera e il giovane promise che a cena avrebbe raccontato loro le sue avventure.
Accomodatosi nella sua stanza e dopo aver congedato Camilla che sembrava non volersi più staccare da lui, con la paura che ancora una volta potesse scomparire senza dare spiegazioni, andò in bagno a farsi una doccia. Non era cambiato nulla in quella casa a parte i volti dei suoi parenti.
Quando rientrò nella stanza da letto aprì il borsone ed estrasse la sua reflex. L’accese, mettendosi a guardare le ultime foto che aveva scattato, quelle che ritraevano la ragazza sulla giumenta bianca.
Sorrise al ricordo del loro incontro e si domandò se veramente avesse avuto l’intenzione di colpirlo con quel sasso, poi venne interrotto dall’entrata di suo fratello.
«Hai bisogno di qualcosa?» chiese quest’ultimo socchiudendo la porta e, appoggiandosi di spalle al muro, incrociò le braccia al petto.
«No, grazie. Ho già tutto.»
«Allora, se sei d’accordo, passiamo alle domande.»
Stefano sorrise scuotendo il capo e prendendo degli indumenti da indossare.
«In dieci anni ci siamo sentiti sì e no otto volte.»
«Nove.»
«Hai visto come si è ridotta la mamma?»
Stefano non rispose, gli volse le spalle infilandosi la maglia.
«Non l’hai mai chiamata, non le hai mai dato tue notizie. Parlavi solo col nonno e solo da lui riceveva delle risposte.» seguì un attimo di pausa «Dieci anni, Stefano. Perché?»
«Cambiamo discorso»
«No. Ho aspetto troppo tempo, non mi rispondesti allora…»
«E non sperare che lo faccia adesso.» lo ammonì il maggiore girandosi verso di lui, accigliato.
«E allora perché sei tornato e come hai fatto a sapere della morte del nonno?»
«Ho ancora qualcosa da fare qui, che lasciai in sospeso. Per quanto riguarda il nonno, lo scoprii sul necrologio del nostro paese. Ascolta, Carmine, so che pensi che il mio comportamento sia sbagliato e che io stesso sia egoista e insensibile, mi dispiace per come si sono messe le cose con mamma, ma tutto ciò che ho fatto non riguarda né lei né te.»
«È per papà, vero?»
I due si fissarono negli occhi per qualche istante, ma non proferirono più parola. A quel punto, Carmine, conscio di aver centrato in pieno, decise di non fare altre domane e di cambiare discorso. «Anche se siamo stati lontani per tanto tempo, ti conosco e… hai ragione tu. Tranquillo, sono paziente e so aspettare. Quando vorrai parlarmene, allora io sarò qui ad ascoltarti.»
Stefano gli indirizzò un sorriso di gratitudine, poi Carmine allontanandosi dal muro e mettendosi a sedere sul letto sospirò dicendo: «Anche se non penso di restare a lungo. – si fermò e dato lo sguardo interrogativo che suo fratello gli volse, aggiunse - Sai, durante tutto questo tempo, ti ho invidiato. Ho invidiato il tuo coraggio, hai saputo tener testa alle decisioni di questa famiglia, io invece mi sono fatto sottomettere.»
«Parli del matrimonio con Marella?»
«Come fai…»
«Me ne parlò il nonno prima della sua morte. Una delle tante stronzate di nostro padre.»
«Il nonno gli ha dato man forte. Ma questa non gliela lascerò fare.» lo interruppe convinto Carmine, mentre fissava il vuoto con occhi fiammeggianti. «Ho deciso di andarmene da Murgella.»
 
***
 
Non si era sbagliata. Aveva sentito bene: Carmine voleva andarsene da Murgella; l’aveva sentito con le sue orecchie. Il giovane non aveva intenzione di sposare sua sorella.
Malgrado si fosse accostata alla porta della camera di Stefano per spiarlo, perché aveva notato l’abbondanza che nascondeva sotto quella maglietta a mezze maniche e si era detta; “di sicuro dovrà cambiarsi” e quale momento migliore se non quello?
Ma mai avrebbe immaginato di ascoltare un ragionamento del genere! E menomale che aveva avuto quell’idea, altrimenti quel farabutto di Carmine se ne sarebbe andato lasciando, magari, sua sorella sull’altare.
Doveva fare qualcosa. Doveva raccontare a sua madre dell’accaduto, perché sapeva che se l’avesse detto a Marella, quella sbadata si sarebbe di sicuro lasciata alla disperazione piangendosi addosso come una lagna mortale.
Quando uscì dalla casa dei Gargano, non prestò attenzione ai gemelli che squadravano attentamente il motociclo e scommettevano sul possibile limite massimo di velocità. Al contrario, Paride si accorse di lei, e le fece una delle sue solite battute che la portavano sempre a inveire contro di loro e a maledirli, ma quella volta Mina non lo ascoltò, e con passo spedito fece il giro del casolare per raggiungere l’altra entrata, quella che conduceva a casa Ferrara.
Aveva il fiatone quando arrivò davanti alla camera di sua madre, e la trovò vuota. Allora si diede alla sua ricerca chiamandola a gran voce. Da una stanza, uscì Marella che reggeva in mano una spazzola e aveva i capelli neri sciolti.
«Perché gridi, Mina?» le chiese afferrandola da un braccio per fermarla.
«Hai visto mamma? Devo parlarle urgentemente.»
«Dovrebbe essere in cucina con zia Chelina e nonna Erminia. Stanno organizzando la cena per domani.»
«Non ci sarà nessuna cena, domani!» l’ammonì Mina scansandosi dalla presa e lasciando Marella interdetta, come se si fosse fermata a guardare un dipinto del quale non comprendeva il contenuto. Sua sorella alzò gli occhi al cielo poi le schioccò le dita davanti ai suoi per riportarla al presente e le disse di seguirla se voleva sapere la verità.
Quando entrarono in cucina e videro le donne alle prese con la merce che zio Cristoforo, il padre dei gemelli, aveva portato, i bollenti spiriti di Mina si spensero, decisa a non voler fare scenate.
Con una calma mal celata, disse a sua madre che doveva parlarle con urgenza, dietro di lei Marella se ne stava zitta e ancora spaesata.
Rita rispose che non era il momento, ma quando vide l’occhiata che le indirizzò Mina, comprese che era qualcosa di davvero importante e lasciando la lista in mano a sua madre si allontanò con le figlie.
Entrarono nel soggiorno e, dopo aver chiuso a chiave, Mina raccontò quello che aveva sentito dire a Carmine.
Rita, invece di chiedersi che cosa ci facesse sua figlia in casa Gargano e per di più accostata alla camera di un uomo, strabuzzò gli occhi e si sentì il sangue fiottarle nel cervello. Le uscì difficile chiedere a sua figlia se avesse sentito male. La consapevolezza che i suoi piani costruiti con estrema attenzione avessero delle fragili fondamenta e potessero crollare da un momento all’altro la gettarono nel panico più totale nonché in una rabbia irrefrenabile.
Si mise a camminare avanti e indietro, mormorando qualcosa di incomprensibile e passandosi ogni tanto una mano sulla fronte come a volersi detergere il sudore.
Marella a quel punto, non comprendendo quale fosse il problema, prese parola permettendosi di esternare i suoi innocenti pensieri: se Carmine non voleva sposarla, lei non se la sarebbe di certo presa. «Alla fine non ci amiamo, e poi non sembriamo neppure fidanzati…» aggiunse giocherellando con la spazzola che si era inconsapevolmente portata appresso.
A quelle parole, sua madre si fermò, si voltò a guardarla, poi guardò Mina che non aveva espressione sul volto, allora ritornò a guardare la più grande e scattata in avanti, senza darle nemmeno il tempo di reagire le strappò di mano la spazzola e la usò per colpirla in viso.
La testa di Marella si piegò a un lato, mentre le gambe slittarono facendola rovinare sul pavimento. Nell’aria echeggiò solo l’urlo sorpreso di Mina che si portò una mano sulla bocca e guardò attonita sua sorella.
Il colpo era stato forte, l’aveva colpita dalla parte dov’erano le setole di plastica, tant’è che la guancia si gonfiò e delle linee parallele, rosse si delinearono repentinamente sull’epidermide.
«Che cosa cazzo hai detto a quell’imbecille?» chiese sua madre con voce tremante di rabbia.
«Niente» balbettò sua figlia voltandosi per guardarla. Aveva gli occhi colmi di lacrime e gli angoli delle labbra carnose che tremolavano.
Mina lesse un indescrivibile paura nei suoi occhi. Non aveva mai assistito a una scena simile. Certo in tutti i suoi sedici anni di vita aveva capito che sua madre provava un certo disprezzo per Marella, anche se non ne aveva mai compreso il motivo. Tant’è che era giunta alla conclusione che era a causa del carattere troppo stupido della sorella.
«E allora perché non si vuole sposare?!». Mina sussultò ritornando al presente, vedendo sua madre mentre raccoglieva da terra Marella e la strattonava bruscamente.
«Io…io non lo so, te lo giuro.» piangeva disperata la figlia.
Rita l’allontanò da sé e riprese a camminare avanti e indietro nervosa. Poi ancora una volta si fermò, si volse verso l’altra figlia e le ordinò di uscire e di non dire niente a nessuno.
Mina annuì con la testa affondata nelle spalle, poi uscì, ma non si allontanò. Rimase a spiare l’interno attenta a non farsi scoprire. Vide sua madre avvicinarsi lentamente a Marella che continuava a piangere, sembrava un capretto minacciato dal lupo, e questa volta la donna l’afferrò dolcemente per le spalle, le sollevò il viso e le accarezzò la guancia.
«Non piangere, Marella. – le diceva con un tono di voce totalmente cambiato – la mamma ha sbagliato, ma tu non puoi dire che non ami Carmine. Lo ami, vero?»
«Ma io…»
«Sssh – fece ancora sua madre, questa volta abbracciandola e accarezzandole i lunghi capelli – se tu non lo sposi, rimani una minaccia per me. Capisci? Tu non vuoi vedere tua madre stare male a causa tua, vero?»
«No, mamma. Non voglio» rispose la sventurata tra un singhiozzo e l’altro.
«Allora farai come dico io, d’accordo?»
Mina non capì molto di quel ragionamento, ma si chiedeva come mai sua madre l’avesse fatta uscire per comportarsi poi in quella maniera. Che non volesse farla ingelosire, poiché quelle carezze le aveva serbate sempre per lei?
Rimase a fissarle per qualche istante prima di sentirsi chiamare a gran voce dalla donna. Aspettò per entrare, così da non farle capire che le stava spiando e quando riaprì la porta, vide sua sorella seduta sulla poltrona con le mani poggiate sul grembo e gli occhi persi nel vuoto, mentre Rita le stava difronte, in piedi con la sua solita aria da gran donna.
«Ho un piano e tutt’e due dovete seguirlo alla lettera. Quant’è vero che mi chiamo Rita Ferrara, Marella si sposerà – poi dando loro le spalle e avvicinatasi alla finestra, mormorò – deve sposarsi.»

 
   
 
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