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Autore: ValeDowney    30/05/2022    5 recensioni
Stephanie Strange , brillante laureanda in Medicina alla New York University, comincia a sentire strette le maglie del camice bianco da neurochirurgo che il padre vorrebbe farle indossare. E se il padre è il famoso Doctor Stephen Strange, allora la faccenda si complica
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor Stephen Strange, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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UNA VITA IN GABBIA
 


Capitolo II: Una breve deviazione


 
Stephanie era rinchiusa in camera sua, seduta sul letto a studiare l’ennesimo libro di medicina. Di tanto in tanto si perdeva a osservare fuori dalla finestra le persone che passavano in strada. Si soffermava a guardare i bambini con i loro genitori andare al parco lì vicino.
Sorrise nel ripensare a lei bambina in compagnia del padre, mentre erano al parco. Di come lui la spingesse sull’altalena o scendesse con lei dallo scivolo. Ma poi qualche bambino si avvicinava a lei e il padre diventava aggressivo. Richiamava gli altri genitori, ribattendo di tenere a freno i propri figli. Gli voleva molto bene ma, a volte, risultava fin troppo protettivo. Era come se si sentisse soffocata dall’affetto paterno.
Non si accorse dell’entrata di Strange, il quale portava un vassoio con sopra varie pietanze. Quindi le chiese: “Che stai facendo davanti alla finestra?”. Stephanie si voltò: “Niente. Stavo solo guardando fuori”.
“Vieni, ti ci vuole una piccola pausa. Ti ho portato la merenda” disse e depositò il vassoio sopra il letto. Stephanie si sedette e osservò ciò che le aveva portato. Poi guardò il padre: “Veramente mi hai portato succo di frutta e della frutta secca? Non ti basta farmi mangiare i cereali integrali a colazione?”.
“Tutto ciò ti aiuta a studiare meglio. Sono ottimi cibi che contengono acidi grassi e fibre, che ti permettono di caricare le energie e sfruttarle poi al meglio” spiegò Strange.
“Le sfrutterei meglio se mi lasciassi fare ciò che voglio. Per esempio, domani sera ci sarebbe una festa e…” iniziò col dire Stephanie, ma il padre la interruppe: “Assolutamente no! La festa è solo una distrazione e tu devi studiare a fondo per il prossimo esame”
“Ma non mi lasci mai uscire! È solo una festa!” ribatté.
“Appunto. È solo una festa” sottolineò Strange. Poi aggiunse: “Berrai e, sicuramente, ti ubriacherai. Non saresti la figlia che ho tirato su per tutti questi anni. Hai un esame fra qualche settimana. Non puoi permetterti di sbagliare. Inoltre, se ricordo bene, andrai anche in ospedale per assistere”
Stephanie roteò gli occhi, dicendo: “Sai che roba”.
“Stephanie!” La ragazza sobbalzò per il tono usato dal padre: “Ricordati ciò che ero e chi ero. Ero il migliore neurochirurgo in circolazione e, se non fosse stato per quell’incidente, lo sarei ancora”.
“Invece non lo sei più. Dimmi, chi preferisci essere? Un neurochirurgo che brama solo la notorietà o lo Stregone Supremo che salva il mondo?” domandò Stephanie.
Strange si diresse verso la porta. Si fermò: “Primo: decido io chi essere. Secondo: mangia e poi riprendi a studiare. E stai certa che non andrai a quella festa. Il tuo sling ring ce l’ho io, quindi non ti azzardare nemmeno ad aprire un portale per andare là. Terzo… terzo, non sono più lo Stregone Supremo”. E, uscendo, sbatté forte la porta.
“Quest’ultima cosa deve rodergli molto” disse Stephanie. Prese una manciata di frutta secca. La guardò sospirando, per poi rimetterla nella ciotola. Si rialzò, riguardando fuori dalla finestra. Suo padre era diventato troppo protettivo e doveva smetterla di decidere della sua vita. Doveva fare qualcosa, e quel qualcosa era andare alla festa.
La cena fu silenziosa. Né padre né figlia si scambiarono una parola e, appena finito di mangiare, Stephanie si rinchiuse in camera.
Strange entrò in camera della figlia. La vide distesa sul letto e con la schiena che dava alla porta. Si avvicinò a lei. La chiamò un paio di volte, ma non ricevette riscontro. Quindi disse: “Non devi avercela con me. Lo sai che lo faccio per il tuo bene. E poi è solo una festa. Perché ci tieni così tanto ad andarci?” Ma, nuovamente, non ricevette risposta. Stephen sospirò, mentre le accarezzava i capelli: “Non voglio che litighiamo, cucciola. Pondera bene la tua decisione”. E, dopo averla baciata su una guancia, uscì.
Stephanie si voltò, per poi guardare la foto sul comodino, che ritraeva lei con suo padre. Quindi disse: “Mi dispiace, papà, ma vorrei essere padrona della mia vita”.
Il giorno seguente, Stephanie uscì di buon’ora dal Sanctum Sanctorum. Lasciò un biglietto al padre, con scritto che si sarebbe recata a un bar lì vicino per fare colazione e passare successivamente in biblioteca per depositare dei libri che aveva preso precedentemente, visto che quel giorno avrebbe passato la lezione dell’università a far pratica in ospedale.
In realtà, Stephanie non fece niente di tutto ciò. Si diresse, invece, verso la farmacia. Aspettò il suo turno e, una volta al bancone, la farmacista le chiese cosa desiderasse. La ragazza ci pensò un po'. Era ancora restia, ma se quella sera doveva andare alla festa, allora avrebbe dovuto agire. Quindi rispose: “Mi serve un forte calmante. Sa, sono notti che non riesco proprio a chiudere occhio e, con gli esami che devo sostenere all’università, vorrei cercare di riposare”.
La farmacista si diresse verso uno scaffale, per poi ritornare da Stephanie con una scatolina: “Mi raccomando, non versare tutto il contenuto della bustina nell’acqua: ne basta poco, perché è molto potente” le spiegò.
“Non si preoccupi. Ci andrò cauta” disse Stephanie. Pagò e uscì dalla farmacia. Si fermò al di fuori e osservava la scatolina quando davanti a lei comparve Christine: “Ciao, tesoro. Che ci fai da queste parti?” le domandò.
Velocemente, la ragazza nascose la scatolina in tasca, per poi rispondere: “Niente di che. Mi stavo dirigendo in università”.
Christine alzò un sopracciglio. Poi chiese: “E come mai sei andata in farmacia? Sicura di stare bene?”.
“Sì, sì, mamma sto bene, non ti preoccupare” le rispose, sperando di tagliare corto quella conversazione.
“Non è da te essere così mattiniera. È accaduto qualcosa con tuo padre?” domandò. Stephanie distolse lo sguardo. Poi rispose: “È che da un po' di tempo è diventato molto protettivo. Non che non lo sia mai stato, ma mai così asfissiante come ora. Vuole che diventi a tutti i costi una neurochirurga come era lui. Solo che io…”.
“Tu non vuoi. Stephanie, non puoi continuare a vivere nelle incertezze. Devi dirgli ciò che desideri” disse Christine.
“Come se fosse semplice. Appena cerco di spiegargli le mie motivazioni, lui si arrabbia e dice che ormai ha deciso così per me. Le arti mistiche a lui. La medicina a me. Stasera ci sarebbe una festa e indovina un po'? Lui mi ha proibito di andarci, dicendo che è solamente una distrazione per i miei studi. Pensa che sia ancora una bambina. Non ho nemmeno potuto decidere in che università andare. Mi volevano ad Harvard. Ma no, lui ha deciso che la New York University andava bene, perché è vicina al Sanctum Sanctorum, dove può tenermi d’occhio. Non so se posso continuare ad andare avanti così” spiegò Stephanie.
Christine mise una mano sulla guancia della figlia, per poi dirle: “Tesoro, ancora non te ne rendi conto, ma tu e tuo padre siete molto simili. Entrambi ambite sempre a fare di più. Ad avere il meglio per voi stessi e criticate chi vi fa delle osservazioni. Prova a parlargli. Confidati con lui e sono sicura che capirà”.
“Sarà tutto fiato sprecato, credimi” disse Stephanie.
“Tu provaci lo stesso. Dopotutto è pur sempre tuo padre: che male potrebbe mai farti?” disse Christine e Stephanie sospirò.
Nello stesso momento, Stephen entrava nella camera della figlia, affiancato dalla sua cappa di levitazione. Vide il letto sfatto e alcuni indumenti a terra. Stephen scosse negativamente la testa: “Credo che non riuscirò mai a insegnare l’ordine a quella ragazzina, ma almeno è la più brava della classe. Di questo non posso lamentarmi”. Entrando, iniziò a raccogliere alcuni vestiti mentre la cappa volava accanto alla scrivania.
Stephen alzò lo sguardo, vedendo la cappa che gli ‘indicava’ i libri sulla scrivania. Depositò i vestiti sul letto e, avvicinandosi, disse: “Deve essersi dimenticata questi libri. C’è il biglietto della biblioteca e, visto che ora Stephanie sarà sicuramente impegnata in ospedale, potrei sempre riportarglieli io. Che cosa ne dici?” La cappa annuì, e Stephen, dopo aver preso in mano i libri, uscì dalla camera seguito ovviamente dalla fedele amica.
Poco dopo arrivò in biblioteca e, dopo essersi fermato di fronte al bancone, disse, sorridendo alla bibliotecaria: “Buongiorno, sono il Dottor Stephen Strange e questi sono i libri che mia figlia si è dimenticata di consegnare. Ma sicuramente l’avrà già vista stamattina presto”.
“Ah sì, Stephanie Strange. È una nostra assidua frequentatrice, ma questa mattina proprio non l’ho vista” disse la bibliotecaria.
“Non è possibile. Magari lei deve essere arrivata dopo che mia figlia era già passata” disse Strange.
“No, no. Sono stata io stamattina ad aprire la biblioteca e sua figlia proprio non l’ho vista” disse la bibliotecaria.
“Potrebbe, per favore, controllare se almeno ha depositato altri libri stamattina?” domandò, ormai già spazientito.
La bibliotecaria guardò sul computer, digitando qualcosa sulla tastiera. Poi guardò Strange e disse: “Mi dispiace, Doctor Strange, ma nel database non risulta nessun libro depositato da vostra figlia stamattina. Ma devono probabilmente essere questi, i libri che lei ha portato, ad essere depositati”.
Strange abbassò il capo, incominciando a respirare affannosamente. Strinse così forte le mani sul bancone che le nocche gli si sbiancarono.
“Doctor Strange, si sente bene?” chiese preoccupata la bibliotecaria, vedendolo in quello stato. Strange rialzò la testa e, facendo un sorriso forzato, rispose: “Tutto a posto. Solamente un piccolo calo di pressione”.
“Vuole che le porti un bicchiere d’acqua?” domandò.
“No, no. Sto bene. Grazie comunque… per tutto” rispose e, voltandosi, si incamminò. Una volta uscito, la cappa, che se ne era stata attorno al suo collo come una sciarpa, si librò accanto a lui. La guardò. Era furioso: “Stephanie mi ha mentito! Ma quando la prendo, giuro che non la passa liscia! Sono suo padre e non può comportarsi così con me!”.
La cappa abbassò la parte superiore, come se fosse triste: “Non fare così. Non ha scusanti e non cercare di difenderla come cerchi di fare sempre. Ora dobbiamo solo capire dove possa essersi cacciata quella monella!” La cappa alzò lo ‘sguardo’. Strange la seguì, per vedere Christine camminare al di là della strada. Dopo essersi rimesso l’amica intorno al collo, corse verso la donna, chiamandola. Christine si fermò per vedere Strange fermarsi accanto a lei.
“Stephen, che piacevole sorpresa. Non pensavo di trovarti qua. Anche tu sei un tipo da passeggiate mattiniere, vedo” gli disse.
“Christine, è una questione urgente. Per caso, di recente, hai visto nostra figlia?” domandò.
“Perché me lo chiedi?” gli chiese.
“Ti prego, Christine. Non ho tempo da perdere” ribatté.
“Poco fa, davanti alla farmacia. Sembrava molto turbata e, allo stesso momento, anche triste. C’è qualcosa che non va tra voi due?” rispose.
“Vorrei tanto saperlo anche io” disse Strange.
“Sarò sincera con te: mi ha confidato che non fai altro che decidere per lei e che vorrebbe, almeno per una volta, essere padrona della propria vita. Stasera c’è una festa: perché non la fai andare? È una bella occasione per farsi degli amici” disse Christine.
“Perché si distrarrebbe! Deve concentrarsi sugli studi se vuole passare il prossimo esame! Ora non venirmi a dire che ho fatto solo scelte sbagliate nella sua vita. Se è diventata quello che è, è solamente merito mio! È sempre stata la prima della classe; ha preso ottimi voti che le hanno permesso di ottenere quella borsa di studio che tanto ambiva. Non le permetterò di buttare al vento anni di sacrifici” replicò.
“Vorrai dire i tuoi sacrifici! Le tue scelte! Ma non le hai mai chiesto ciò che avrebbe veramente voluto fare? Stephen, devi renderti conto che, ormai, nostra figlia non è più una bambina e ha bisogno dei suoi spazi. Cosa che tu non le dai. Riflettici, ti prego” disse Christine.
“So solo che ora la devo ritrovare e mi sentirà per avermi disubbidito. Tu non ti intromettere” ribatté.
“Hai sempre voluto avere ragione tu. Forse è anche per questo motivo che il nostro rapporto non funzionava più. Almeno hai avuto un briciolo di cuore per non allontanarmi del tutto da lei, visto i tanti avvocati che hai pagato per avere la sua completa custodia. Ti auguro di ritrovarla e, se proprio vuoi saperlo, mi ha detto che si sarebbe diretta al parco” spiegò Christine.
Senza dire nulla, Stephen si tolse la cappa da attorno al collo e, dopo essersela messa dietro alla schiena, si cambiò d’abito – indossando quelli da stregone – e volò in aria. Christine lo guardò, sospirando.
Stephanie si trovava seduta sopra il ramo di un albero. Con la schiena contro il tronco, leggeva un libro di arti mistiche. Sfogliando un’altra pagina e osservando i vari incantesimi, disse: “Sarebbe bello avere qua con me il mio sling ring: potrei andare dove vorrei in un istante”.
“Peccato che non ce l’hai” disse, ad un tratto, una voce.
Stephanie abbassò il libro, per trovarsi suo padre che le volava di fronte. Dalla sua espressione capì che il padre non era dell’umore migliore. La ragazza non disse nulla. Ma il padre era furioso: “È così che ti rechi in biblioteca per poi correre in ospedale per la tua lezione di pratica?! Rispondimi, Stephanie!”.
“Ho deviato solo di un po'” fu la sua giustificazione.
“Dovrei sculacciarti per avermi mentito, ma così passerei per un padre cattivo e tu per una ragazzina che si comporta ancora come una bambina! Mi dici che cosa ti passa per la testa?! Non è così che ti ho insegnato a comportarti” replicò.
“Volevo solamente studiare, prima di far pratica” disse.
Stephen si avvicinò ancora di più e, dopo aver guardato la copertina, disse: “Arti mistiche. Credevo di essere stato chiaro quando ti dissi di lasciarle a me, mentre tu ti devi dedicare solamente alla chirurgia”.
“Forse non mi va più studiare chirurgia. O le lezioni sono troppo noiose. Oppure è la scuola che non mi va a genio, così come gli altri studenti che la frequentano. Ma dopotutto, non sono stata io a decidere che università frequentare. Potrei andare avanti ancora, lo sai?” spiegò Stephanie, chiudendo il libro.
“Ti prego, Stephanie. Non è il momento e non ho la voglia di litigare. Ora, per favore, potresti scendere da questo ramo prima che tu cada e ti spezzi l’osso del collo o, peggio, rimanga paralizzata?” disse Strange.
“Secondo te come ci sono salita qua? Vedi scale in giro? Come sono salita da sola, posso anche scendere” disse Stephanie e, con un po' di fatica, si alzò in piedi.
“Cucciola, non farmelo più ripetere. Scendi, prima che tu ti faccia del male” disse Strange.
“Va bene, va bene, quanta insistenza. Ora scendo” disse Stephanie, ma mise male un piede e cadde. Fortunatamente, il padre la prese in tempo tra le braccia, poi ritornarono tutti e due con i piedi per terra. Be’, solo Strange, visto che continuava a tenere la figlia in braccio.
“Visto, sto bene. Tu ti preoccupi troppo” disse Stephanie.
“Sono tuo padre: mi preoccupo il giusto o, forse, troppo poco” disse Strange.
“Per favore, ora potresti farmi scendere? Se passa qualcuno e ci vede così, penserà strano” disse Stephanie. Strange sorrise, per poi dire: “Non sono nato ieri. Ora ti porto dove saresti dovuta andare fin dal principio”. E, dopo averla fatta scendere, ma tenendola comunque bloccata con una mano, con l’altra creò un portale. Entrambi vi entrarono, trovandosi di fronte all’ospedale.
“Non era poi così lontano. Se non avessi fatto tutte quelle deviazioni, saresti già dentro” disse Strange, guardando male la figlia, la quale roteò gli occhi.
Poco più in là videro un gruppetto di studenti. Stephanie riconobbe tra loro Irwin. Sperò che il padre non lo notasse. Cercò di svignarsela, ma Strange la trattenne per una mano, per poi portarla di fronte a sé: “Hai paura che scappi di nuovo?” gli domandò.
“Posso fidarmi questa volta o, appena me ne andrò, ti recherai da un’altra parte?” le chiese.
“Avevo intenzione di andare in gelateria, ma…” iniziò col dire Stephanie. Il padre la interruppe: “Smettila di scherzare e prendi seriamente, almeno per una volta, la situazione. Rimarrò qui finché non ti avrò visto entrare in ospedale e mi sarò accertato che il tuo professore sia sempre accanto a voi”.
Stephanie sospirò. Poi disse: “E va bene”. Stephen sorrise e, dopo averle lasciato la mano, la voltò, dandole una leggera spinta sulla schiena. La ragazza fece appena in tempo a fare qualche passo prima il padre la chiamasse. Si voltò, vedendolo con una mano tesa mentre le diceva: “Non penserai veramente che ti lasci andare in ospedale con quello. Avanti su, dammelo”.
Stephanie gli consegnò il libro di arti mistiche e Stephen disse: “Questo, per il momento, finisce sotto chiave insieme agli altri libri di arti mistiche che troverò in camera tua. E, ti prego, quando ritornerai a casa, mettila in ordine: c’è un macello là dentro. Lo so che avevi fretta di scappare da me, ma almeno potevi rifarti il letto”.
“Con uno schiocco di dita ti cambi i vestiti. Potevi fare la stessa cosa anche con il disordine in camera mia” disse Stephanie.
“E che lezione impareresti? Metterai tutto a posto quando ritornerai a casa. E so che lo farai, perché sarò lì a guardarti. E ora fila dentro, prima che ti ci porti io” disse Stephen. Stephanie sospirò e, rivoltandosi, si diresse verso il gruppo, sotto lo sguardo attento del padre.
Arrivò al gruppetto. Irwin la guardò: “Finalmente sei arrivata. Tutto a posto?” Stephanie volse lo sguardo verso il padre, che continuava a guardarla con sguardo fermo, soprattutto ora puntando gli occhi sul ragazzo accanto alla figlia.
“Sì, sì, non è suonata la sveglia e ho fatto tardi” gli rispose, guardandolo. Irwin non ribatté, ma guardò di sfuggita Stephen che non li perdeva mai di vista.
Il professore si incamminò, seguito dal gruppetto. Irwin li seguì ma, vedendo che la ragazza non si muoveva, la chiamò. Stephanie riguardò il padre, per poi rivoltare lo sguardo e incamminarsi, seguendo gli altri all’interno dell’ospedale.
Stephen sospirò: “È meglio che tenga d’occhio quel ragazzo. Non mi piace come punta lo sguardo su mia figlia”.
La cappa strofinò la parte superiore contro la sua guancia. Stephen aggiunse: “Smettila! Lo faccio solo per il suo bene. Non lo sai cosa passa al giorno d’oggi nella mente dei ragazzi. Hanno solamente gli ormoni a mille e non sono ancora pronto per diventare nonno”. E se ne volò via.
 







Note dell'autrice: Buona sera. Eccomi qua con un nuovo capitolo. Inanzitutto...GRAZIE. Grazie per le bellissime recensioni. Grazie per aver messo la storia nelle preferite e seguite. Grazie davvero. Vi sta piacendo? (direte: va bè siamo solo al secondo capitolo) Da come avrete capito Stephen è un padre molto, molto, molto...bè....molto protettivo...ed ha scoperto subito dove si è cacciata la figlia. Ma lei andrà a quella festa secondo voi? Disubbidirà al padre?
Volevo ringraziare come sempre la mia amica Lucia
Grazie ancora tantissimo a tutti voi
Ci sentiamo al prossimo capitolo
Passate una splendida nottata
Un grosso abbraccio
Valentina
 

 
  
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