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Autore: InvisibleWoman    03/06/2022    2 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore] Anche questa storia è legata alle parti precedenti, forse avrei dovuto metterle tutte insieme, è che non credevo di continuare a sfornarne di nuove lol. Comunque è la parte conclusiva di questa (https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4007616&i=1). Manuel comincia ad avere sempre più chiaro ciò che prova per Simone, ma lui è ormai andato avanti con Mattia. I due non si parlano da settimane, finché...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Manuel era seduto sul muretto fuori dalla scuola. Tra le mani, coperte da dei guanti neri con le dita tagliate, il libro di inglese per ripassare. Lì accanto i suoi compagni di classe parlavano dell’ultimo compito in classe che dovevano svolgere quella mattina, ma la sua mente era da tutt’altra parte. 
Alzò distrattamente gli occhi al cielo quando sentì una goccia di pioggia posarsi sulla sua fronte, chiedendosi come sarebbe tornato a casa in moto con quel tempaccio. Odiava l’inverno, non sopportava il Natale e non tollerava il freddo che si insinuava nelle ossa, mettendolo di cattivo umore. Si strinse nel giubbotto, dopo aver chiuso il libro di inglese, pronto a rientrare dentro in vista della pioggia. 
Davanti a sé Simone ridacchiava con Mattia, mentre quest’ultimo giocherellava con le dita della sua mano sinistra, soffermandosi sulla cicatrice di quel polso che era stato operato tanti mesi prima. Portava un maglione nero a collo alto e un parka dello stesso colore. Al lobo sinistro sempre lo stesso orecchino con cui l’aveva sorpreso a inizio anno scolastico. 
Non gli parlava da qualche tempo, ormai. Dopo la sfuriata fatta alla cena che si era tenuta a casa sua, il loro rapporto si era freddato. Erano compagni di classe e si rivolgevano chiaramente la parola ma, con l’andare delle settimane, avevano smesso di frequentarsi anche al di fuori delle lezioni. In fondo era stato Manuel a chiedere a Simone di stargli alla larga, non poteva biasimarlo se lui, per una volta, gli aveva dato retta. Per settimane aveva cercato il modo di ricucire quello strappo, pensando a una battuta da dirgli per stemperare la tensione, o uno stratagemma inventato pur di rivolgergli la parola o passare del tempo con lui al di fuori della scuola. Ma poi non aveva mai trovato il coraggio. Non era mai riuscito a dirgli ‘mi dispiace’. Perché Manuel lo sapeva che era colpa sua. Era stato lui a respingere e allontanare Simone. Lo aveva aggredito senza motivo a quella festa, preso dalla gelosia e dalla rabbia per la promessa infranta di quella confessione fatta a Laura. Ma ne valeva la pena? Era così grave da non rivolgergli più la parola? Assolutamente no. Eppure l’orgoglio aveva avuto la meglio, e adesso era passato talmente tanto tempo, che ritrovare la strada del dialogo sembrava richiedergli uno sforzo insostenibile.
Sua madre si era accorta che qualcosa non andava, ma Manuel non aveva trovato il coraggio nemmeno con lei di dirle ciò che nella sua mente si era ormai delineato a tratti sempre più netti. Non sentiva il bisogno di dare un nome a quel sentimento, perché qualsiasi cosa fosse era forte e aveva ormai smesso di negarlo. Simone gli mancava. Gli mancavano le loro chiacchierate al chiaro di luna, gli mancavano le loro cazzate, gli mancava fumare insieme, gli mancava tutto. Gli mancava lui. Eppure non aveva avuto la forza di dirglielo o di fare un passo nei suoi confronti, convinto all’inizio che sarebbe stato Simone a seppellire l’ascia di guerra e prendere l’iniziativa, come aveva sempre fatto. Ma adesso c’era Mattia a riempire la sua vita e ora lui a Manuel neanche pensava più. Troppo orgoglioso per fare un passo verso di lui, Manuel aveva lasciato che il loro rapporto si deteriorasse, e adesso non sapeva più come ricostruire quel ponte per aiutarlo a riconnettersi a lui.

 

Alla fine non aveva avuto bisogno di mettersi seduto e preparare un discorso, anche perché non ci sarebbe mai riuscito. Il momento giusto per dire tutto a sua madre era semplicemente arrivato con naturalezza qualche giorno prima, liberandolo da quel peso che gli opprimeva il petto da mesi. Da quando quella calda estate aveva intrecciato la sua vita a quella di Simone, aprendogli gli occhi, e il cuore, molto prima di quanto fosse pronto ad ammettere a parole.
“Me lo dici che c’hai?” sua madre era entrata in camera sua in punta di piedi. Era un martedì pomeriggio di metà dicembre, le luci erano spente e l’avvolgibile abbassata a metà. Nonostante fosse il primo pomeriggio, Manuel stava lì sdraiato sul letto a pancia in su con il telefono tra le mani. 
“Che ce devo avè, mà? Fa freddo fori” rispose lui un po’ scocciato.
“Te ne stai qua al buio senza fare niente. Guarda che lo vedo da settimane che sei strano, eh” gli ricordò avvicinando una mano ai suoi ricci ribelli. Manuel scosse la testa lievemente scocciato da quel tocco e da quelle intrusioni. Non sapeva come parlarle, ma soprattutto cosa dirle.
“È per Simone, vero?” le domandò lei, spiazzandolo.
“Che c’entra Simone ora?” Manuel si irrigidì di colpo, sulla difensiva, inconsapevole di dove volesse andare a parare sua madre. 
“Me lo dice Dante che non vai più a casa sua e nemmeno io l’ho più visto venire qua. Avete litigato?”
“No” rispose lui di getto, rilassandosi dopo aver realizzato che sua madre era proprio fuori strada. Non sul litigio, certo, ma sul motivo dei suoi silenzi. 
“Dante dice di sì” rispose lei.
“Ma allora se sai già tutto che stai a fare qua a famme ‘ste domande?” ribatté scocciato Manuel.
“Non so già tutto, voglio sapere cos’è successo e perché non ve parlate più” disse dandogli dei colpetti per spingerlo a spostarsi e sdraiarsi accanto a lui sul letto, dandogli l’idea che quel discorso non sarebbe terminato tanto velocemente quanto avrebbe desiderato. 
“Ma che ne so perché, mà. Succede, le persone si allontanano e ti lasciano, non è la prima volta, non me pare il caso de farne un dramma, no?”
“È vero che succede, ma se tieni a qualcuno cerchi di rimediare, no?” chiese Anita. Sapeva che il rapporto tra i due significava molto per suo figlio, il fatto che lo sminuisse in quel modo le confermava ancora una volta che c’era qualcosa che non andava, qualcosa che Manuel non le stava dicendo.
“E chi ti dice che non l’ho fatto?”
“L’hai fatto?”
“No” ammise infine. “È che… da quando sta con quel Mattia m’ha pisciato completamente” aggiunse, nonostante non fosse esattamente la verità. 
“Simone ti vuole bene, non mi sembra il tipo da…”
“Ma che ne sai tu di Simone. Non lo conosci” tagliò corto Manuel con tono risentito.
“Oh, Manuel, calma, stiamo solo parlando” rispose Anita, spiazzata. “Ma non è che sei geloso di ‘sto Mattia?” chiese scherzando.
Manuel però rimase in silenzio a fissare il soffitto sopra di sé, un braccio dietro la testa, l’aria pensosa e il respiro pesante. Anita si voltò a guardarlo e aggrottò le sopracciglia. Si sarebbe aspettata di vederlo ribattere con qualche battuta ironica delle sue, invece suo figlio era diventato stranamente silenzioso. Era a conoscenza della cotta che Simone aveva per Manuel, era stato Dante a confessarglielo, ma non aveva mai creduto che suo figlio potesse ricambiarlo. Le era sempre sembrato sicuro delle sue relazioni, persino con Alice che era molto più grande di lui. 
“Ma che te piace Simone?” gli domandò diretta, a tratti quasi divertita da quell’ipotesi che non trovava per nulla credibile. 
“No” rispose infine lui in modo poco convinto, pensando che l’assenza di una risposta avesse deluso la madre. Si vergognava come un ladro a tirare fuori quella miriade di pensieri che scalpitavano dentro la sua testa, martellando ogni singolo giorno le pareti della sua calotta cranica per trovare un modo di venire allo scoperto. Ma Manuel aveva paura. Una volta ammesso ad alta voce ciò che provava, non sarebbe più stato in grado di rimangiarselo, non avrebbe più potuto far finta di niente. Non avrebbe più potuto dire ‘no, me so sbajato, non so’ mica frocio’. Eppure non ce la faceva più a trattenerli. Lo torturavano da mesi, e nelle ultime settimane si erano fatti più incessanti. Era arrivato a un bivio, e inconsciamente sapeva già quale sarebbe stata la strada che avrebbe deciso di percorrere. 
“Forse” ammise con un filo di voce torturandosi il labbro superiore temendo la reazione della madre. Non le aveva dato alcuna avvisaglia. Aveva sempre avuto ragazze e nemmeno il minimo dubbio che potessero piacergli quelli come Simone. Eppure… in che altro modo poteva spiegarsi quel sudore alle mani quando lo vedeva? Quel tumulto perenne ogni volta che lo trovava in compagnia di Mattia? Quella voglia incontrollabile di stargli accanto, toccarlo, baciarlo? 

Il cuore gli martellava dentro al petto e, colto dal panico, avrebbe voluto avere una bacchetta magica per tornare indietro e cancellare quegli ultimi istanti dai ricordi suoi e di sua madre. O, in alternativa, aprire un varco dentro il quale sparire per non fare più ritorno. 
Anita continuò a fissarlo, incredula e senza parole. L’aveva colta alla sprovvista. “Sai, anche io all’università ho avuto un momento con una mia amica e…” iniziò a dire poi, confusa e agitata come lui, per cercare di capire quale fosse l’entità dei sentimenti di suo figlio. 
“È diverso” tagliò corto Manuel. “Con Simone è diverso.” Non era un’avventura universitaria, non era in quella fase in cui sentiva di voler sperimentare. Quello che sentiva per lui non era passeggero.  “Ma’, ci siamo baciati” ammise con vergogna. Quanto si sentiva ridicolo a fare quei discorsi con sua madre? Non aveva nessun problema contro i gay, supportava ogni loro diritto, il punto è che non era uno di loro. Non gli erano mai piaciuti i ragazzi, perché Simone avrebbe dovuto rappresentare un’eccezione? Perché da quando era entrato a far parte della sua vita tutto era diventato confuso e ogni sua certezza era stata disintegrata? Forse sua madre aveva ragione, forse era solo confuso, forse voleva davvero solo
provare qualcosa di diverso. D’altronde come fai a sapere che una cosa non ti piace se non la provi? Sua madre glielo ripeteva sempre da bambino davanti a qualche pietanza sconosciuta. Peccato che i sentimenti non fossero così banali come il gusto di un ingrediente nuovo: non si riduceva tutto a un sì o un no. O, almeno, non nella sua testa. Eppure era stato semplice con le altre. Non era stato lì a domandarsi se Chicca gli piacesse, gli piaceva e basta. Lo sapeva. Allora perché non riusciva a fare lo stesso con Simone? Perché la sua mente gli remava contro?
“Ma non è possibile, cioè, me so sempre piaciute ‘e ragazze. C’ho avuto Chicca, c’ho avuto Alice, non ce sto a capì niente.”
Anita sorrise e il suo volto si addolcì davanti alla confusione di suo figlio. Non poteva permettere che il suo stupore lo facesse sentire a disagio. “E che problema c’è? Possono pure piacerti tutti e due” disse con una semplicità che Manuel trovò disarmante.
“Che devo fa’?” chiese guardando la madre per la prima volta. Anita vide nella penombra quei due occhioni sperduti e le si strinse il cuore. Le sembrava di essere tornata a quando Manuel era solo un bambino. Era sempre difficile vedere un figlio soffrire, e lei non aveva mai avuto nessuno con cui condividere le pene e le ansie per un ginocchio sbucciato, una febbre che non passava o un bernoccolo in fronte che lo portava al pronto soccorso. 
“Manuel, hai diciassette anni…” sospirò.
“Quasi diciotto” la interruppe lui.
“Quasi diciotto, hai ragione. Il punto è che hai tutta la vita davanti per capire cosa vuoi veramente. Non devi deciderlo adesso. Ora l’unica cosa che conta è che fai quello che ti senti di fare, o lo rimpiangerai per sempre” disse passandogli nuovamente una mano tra i ricci. “Se Simone te piace davvero, se non lo vuoi perde, diglielo.”
“Ma ormai c’è Mattia.” La faceva semplice lei. Come poteva dire a Simone ciò che provava quando aveva fatto così tanta fatica con sua madre? Quando poi, in fondo, non lo sapeva così bene neanche lui? Sapendo, soprattutto, che dall’altro lato c’era anche un’altra persona. Non sarebbe riuscito ad accettare un rifiuto dopo avergli messo il proprio cuore tra le mani. Non poteva sopportarlo.
“E quindi? Magari se glielo dici questo Mattia non c’è più” disse sorridendo. “E se fosse troppo tardi fa niente, almeno c’hai provato, no?”
Manuel arricciò le labbra in un’espressione dubbiosa. 
“Certo che questa cosa non me l’aspettavo proprio” borbottò tra sé e sé Anita mentre si alzava dal letto di suo figlio e andava verso la cucina per preparare la cena. 
 

Durante la ricreazione, Simone osservò lo sguardo fisso nel vuoto di Manuel. Nell’ultimo periodo era cambiato, si era incupito, era diventato irritabile e sembrava che qualsiasi cosa gli dicesse potesse farlo scattare. Era vero, si erano lasciati male e da quando Manuel gli aveva detto di lasciarlo in pace, Simone aveva obbedito. Era stanco di farsi trattare come una pezza da piedi senza motivo e voleva che per una volta fosse Manuel a fare il primo passo nei suoi confronti. Solo che aspettando, i giorni erano passati e si erano tramutati in settimane e uno screzio che si sarebbe potuto risolvere con una banale chiacchierata, era diventato ormai uno scoglio insormontabile. Quanto erano strani i rapporti umani, pensò Simone. Bastava una piccola scintilla per mandare in fiamme tutto quanto. Un giorno con una persona si poteva condividere ogni singolo aspetto della propria vita, e il giorno dopo poteva non esserci più. Senza una giustificazione rilevante che ne motivasse il distacco.
Simone aveva cercato in qualche modo di mantenere un rapporto civile con lui, sebbene non fosse più quello di un tempo, ma ogni volta che provava a scherzare, riceveva sempre qualche rispostaccia. C’era tensione, e di questo si erano accorti tutti ma, dopo dei primi tentativi fallimentari, avevano preferito non intromettersi, e in fondo Simone li capiva pure. Dopotutto, quel rapporto non era un problema loro.
“Allora, avemo deciso dove farla sta festa?” chiese d’un tratto Chicca fiondandosi sul banco di Manuel, ridestando entrambi dai loro pensieri, inconsapevoli di essere l’uno il protagonista nella testa dell’altro. 
“Festa? Che festa?” domandò Simone confuso. Non era stato aggiornato o qualcuno si era dimenticato di invitarlo?
“La festa di Natale, visto che mo’ cominciano le feste e ci rivediamo tra due settimane, no?” rispose lei come se fosse la cosa più scontata del mondo.
“Giusto” mormorò tra sé e sé Simone con aria perplessa.
“Ma Manuel non v’ha detto niente?” aggiunse riferendosi a lui e a Mattia.
“Lo stavo per fare” si giustificò, ma Simone sapeva che non era vero. 
“Vabbè, in fondo ogni scusa è buona per fare festa” scherzò Simone, cercando di togliere Manuel dall’impiccio.
“Non me pare che te sei mai lamentato, no?” rispose stizzito Manuel.
“Non mi sto lamentando, infatti” spiegò.
“Ah ecco, me pareva” aggiunse con una smorfia. 
Chicca, percependo tensione nell’aria, sollevò le sopracciglia e decise che sarebbe stato meglio defilarsi, anziché finire in una discussione che non la riguardava. Ma Simone non aveva intenzione di litigare. Avrebbe tanto voluto chiedergli perché si comportava così, cos’era successo di così grave da distruggere in quel modo il loro rapporto. Manuel lo aveva ribadito a chiare lettere che non provava nulla per lui. Gli voleva bene, come Simone ne voleva a lui, erano amici, fine della discussione. Allora com’erano arrivati a quel punto e, soprattutto, perché? Perché lo aveva aggredito in quel modo alla festa, perché continuava a trattarlo con distacco, come se la sua presenza gli desse addirittura fastidio? Aveva detto qualcosa di sbagliato? Lo aveva ferito senza rendersene conto?

“Secondo me è innamorato di te” Mattia una sera aveva suggerito.
“Ma va” rispose Simone. “Abbiamo già parlato di questa cosa e m’ha già detto che gli piacciono le ragazze” lo informò. 
“Quindi a te piaceva” disse Mattia, trovando riscontro alle domande che si era posto vedendoli insieme. Aveva sempre percepito Manuel come una minaccia, e adesso sapeva con certezza il perché. 
“Sì, ma… è acqua passata” rispose lui con una strizzata di spalle. 
Mattia annuì con poca convinzione e l’argomento venne liquidato con la stessa velocità con cui era stato aperto.

Seppure la sua spiegazione avesse senso, Simone non osava crederla possibile. Manuel non poteva provare qualcosa per lui. Gli piacevano le ragazze, questo era quello che gli aveva sempre ripetuto. La vicinanza che avevano avvertito durante l’estate, e soprattutto durante il periodo della sua convalescenza, era solo amicizia. Pena. Conforto. Niente di più. In fondo era anche comprensibile. Dell’affetto che Manuel provava nei suoi confronti, Simone non aveva quasi mai dubitato. Aveva rischiato di perderlo, c’era da aspettarsi che gli volesse restare accanto il più possibile, e durante quella strana estate erano stati l’uno la spalla dell’altro e Simone gliene era grato. Ma nonostante apprezzasse la presenza di Manuel, si era anche sentito in difetto. Come se l’unico motivo per il quale lui rimanesse lì a riempire le sue giornate, anziché divertirsi come aveva sempre fatto, fosse proprio quell’incidente e quel suo tentativo di annullarsi definitivamente. Ancora una volta, l’unica motivazione che era riuscito a leggerci era stata la pena. E dato che non voleva la compassione di nessuno, per lui era stato quasi un sollievo poter tornare alla vita di sempre. Poter essere indipendente, e andare a trovare la madre in Scozia. Il problema era che al suo ritorno tutto era cambiato, e non riusciva a spiegarsi il perché. 
“Non vieni fuori?” gli chiese Mattia, pronto per andare a mangiare qualcosa per la ricreazione.
Simone scosse la testa e gli fece cenno di andare avanti senza di lui. Manuel era intento a scrivere su un quaderno, probabilmente le persone che avevano dato conferma di partecipare a quella festa o chissà cos’altro. Si chiese se avrebbe scritto il suo e quello di Mattia. Però, quando si rese conto che lì dentro erano rimasti solo loro due, come se gli fosse impossibile restare solo in presenza di Simone per più di qualche istante, rapidamente si rimise in piedi. 
“Manuel?” Simone lo chiamò mentre raccoglieva il giubbotto dalla sedia.
“Che?” si voltò lui con fare scocciato. 
“Me lo dici perché?” gli chiese.
“Perché cosa?” rispose Manuel sollevando un sopracciglio.
“Perché m’hai chiesto di lasciarti in pace. Perché m’hai urlato contro. Perché sembra che te do addirittura fastidio” domandò candidamente. Ma Manuel, preso in contropiede, non rispose. Rimase lì a fissarlo con l’aria di chi non sapeva che scusa accampare, pur di non dire la verità. Non poteva dirgli ciò che aveva detto a sua madre. Non poteva ascoltare il suo consiglio. Non poteva proprio.
“Mi manchi” allora si lasciò scappare Simone. “Cioè, voglio di’, mi manca il mio migliore amico” si affrettò a specificare. 
Manuel lo fissò per qualche istante col giubbotto tra le mani, il cuore in gola, incapace di dirgli ciò che provava. “Non sembrava” rispose, invece. 
“Che vuol dire?” chiese Simone alzandosi a sua volta per avvicinarsi a lui.
“Niente, lascia stare” rispose Manuel scuotendo appena la testa e dileguandosi prima che Simone potesse indagare ulteriormente. 
La verità era che Manuel si odiava. Si odiava per non essere stato in grado di dirgli ciò che provava, si odiava per aver ripudiato per così tanto tempo quei sentimenti da aver perso la sua occasione, e si odiava perché una grossa parte di sé non riusciva ancora ad accettarli appieno. E quell’odio lo stava riempendo di una rabbia repressa tale da renderlo come una bomba a orologeria, pronta a esplodere al minimo tocco. Ma non sapeva come rimediare, non sapeva come trovare il coraggio di essere sincero, specialmente adesso che Simone sembrava così lontano, pure quando stava a pochi passi da lui.
 

Quel giorno, mentre girava in motorino per le vie di Roma, facendo il tragitto per tornare a casa, Manuel non poté fare a meno di pensare a quell’estate. A quando portava in giro Simone tra i vari appuntamenti, a come gli piacesse sentire le sue braccia che lo avvolgevano, come se fosse lui il suo unico appiglio in quel momento così difficile della sua vita. Cos’era successo nel frattempo? Come avevano potuto perdersi così? Perché adesso era diventato qualcun altro la sua spalla su cui piangere?
Dopo aver parcheggiato sotto casa, entrò subito nella sua stanza, senza neanche salutare la madre che, seduta sul divano, lavorava col computer sulle gambe.
“Che non se saluta ora?” disse lei scuotendo la testa. 
“Cià” rispose lui per farla contenta, prima di richiudersi la porta alle spalle. 
Le parole di Simone gli avevano dato uno spiraglio. Manuel aveva ricreato a lungo nella sua testa quello scenario, ripetendosi quel mi manchi, lo stesso che lui aveva rivolto a Dante quando Simone era scappato in Scozia dalla madre. Gli era mancato e lo rivoleva accanto a sé. Dio, sembrava una vita fa. Eppure quel sentimento non era cambiato. A Manuel Simone mancava adesso più di allora, nonostante lo avesse davanti ogni giorno. Era stato proprio Dante a dirgli che se gli mancava così tanto, allora avrebbe dovuto prendere l’iniziativa e dirglielo lui stesso. All’epoca, a modo suo, lo aveva fatto. Perché adesso continuava a tirarsi indietro? Forse non avrebbe trovato il coraggio di dirgli tutta la verità, ma, dopo il discorso con sua madre, Manuel aveva capito che non poteva lasciare che quel rapporto gli scivolasse dalle dita. Insieme o no, Simone era l’aria che aveva bisogno di respirare. Da quando gli aveva urlato contro, si sentiva come se stesse perennemente in apnea e nessuno riuscisse a rendersene conto. Si sentiva come un pesciolino dentro una palla di vetro, tutti i suoni ovattati, tutti troppo distanti. E nessuno che lo sentisse chiedere aiuto.
Sapeva che a quell’ora Simone aveva l’allenamento di rugby. Solo lui, e quegli altri folli come lui, potevano continuare a giocare a metà dicembre. Doveva raggiungerlo, doveva dargli una spiegazione, fargli capire che anche a lui mancava, prima che fosse troppo tardi. 
Come galvanizzato da quell’idea, Manuel si affrettò in cucina per prepararsi un panino veloce, nonostante sua madre gli avesse detto che era avanzato del riso dal suo pranzo. Poi afferrò nuovamente il proprio casco e si incamminò verso l’uscita. 
“Dove stai andando?” gli chiese sua madre. “Che si esce così senza dire niente?”
“Quando mai t’ho informato su dove annavo o con chi?” rispose Manuel, ignorando le proteste della madre che poteva sentire nonostante avesse già sbattuto la porta di casa. 
Aveva agito d’istinto salendo sulla sua moto per raggiungere il campetto da rugby dove Simone si allenava, ma adesso che si trovava lì e si avvicinava sempre di più alla meta, iniziava a domandarsi se forse non avrebbe dovuto pensarci un po’ meglio, anziché agire come sempre senza ragionare. Non sapeva cosa gli avrebbe detto, o soprattutto come. Che senso aveva avuto andare lì senza un piano? Con sua madre aveva funzionato, ma con lei era diverso. Era sua madre. Lo conosceva e lo avrebbe amato in ogni caso. Ma Simone? Avrebbe capito?
Si incamminò a passo rapido verso le transenne e cercò di scorgerlo in mezzo a quei giocatori, ma erano talmente in tanti e così veloci, da rendergli impossibile l’identificazione. Solo a lui poteva piacere ‘sta roba, pensò Manuel mentre cercava di capire qualcosa di quello che stava avvenendo sul campo da gioco. Solo nel momento in cui si avvicinò alla transenna, però, notò Simone e allora il sangue gli si raggelò nelle vene. Tutta la sicurezza che lo aveva guidato fino a lì, adesso sembrava venire meno. Era tutto sbagliato, non poteva dirglielo così. Non poteva dirglielo affatto. Fece per tornare sui suoi passi, ma in quel momento Simone lo vide e sollevò una mano per salutarlo. Durò una frazione di secondo, perché poi un altro ragazzo gli saltò addosso per placcarlo, mandandolo al tappeto. 
“Simò” sussurrò Manuel tra sé e sé, riportandolo per qualche istante a mesi prima, quando lo aveva visto inerme sotto casa sua. Simone rimase fermo per terra per qualche momento, per riprendersi dalla botta, poi il ragazzo stesso che lo aveva buttato giù gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi e Simone premette l’altra sul fianco che gli doleva. Fece cenno all’allenatore di avere bisogno di una pausa e si avvicinò alla transenna, oltrepassandola per sedersi su una panchina.
“Oh, te se fatto male?” chiese Manuel preoccupato. 
“No, te l'avevo che ero abituato alle mischie” scherzò lui, sollevandosi la maglia che mostrava un’ampia zona arrossata, che presto avrebbe lasciato il posto a un grosso livido. Ci era ormai abituato ai lividi e alle botte, il rugby non era esattamente uno sport tranquillo. Ma non erano le ferite fisiche a fargli paura. Era tutto il resto.
“Nun me pare che non te sei fatto niente” rispose Manuel con un’alzata di sopracciglia. 
“Che ci fai qua?” tagliò corto Simone, cambiando discorso.
“Te devo parlà” disse mordicchiandosi il labbro inferiore. Simone annuì, fissandolo dritto negli occhi in attesa che Manuel prendesse nuovamente parola. 
“E parla” lo invitò poi, chinandosi per raccogliere una bottiglietta d’acqua. 
“Io… te volevo spiegà perché… insomma, quello che m’hai chiesto stamattina” iniziò.
“Perché hai fatto quella sceneggiata?”
“Eh, sceneggiata… non t’allargà, adesso” istintivamente si difese. “Comunque quello, sì” aggiunse abbassando lo sguardo sulle sue mani. 
“E allora?” incalzò Simone. 
“È che ho capito che…” provò a dire, ma non sapeva da dove cominciare. Come poteva dirgli di essere geloso di lui e di quel Mattia? E soprattutto perché lo fosse? Non era mai stato bravo ad esprimere a parole i propri sentimenti, avevano sempre dovuto cavarglieli fuori dalla bocca con la forza. Aveva i suoi modi per dimostrare il proprio affetto, ma le parole non erano esattamente il suo punto forte. Non così, se non altro. Ricordava la poesia che aveva scritto pensando ad Alice, ma l’aveva fatta leggere a scuola, non alla diretta interessata. E poi cosa avrebbe dovuto fare, scrivere una poesia pure a Simone? O una letterina in cui gli chiedeva se volesse stare con lui o no, mettendo una crocetta come alle elementari? Gli sembrò tutto così difficile, e così ridicolo, che non sapeva proprio da dove partire. 
“Laura m’aveva detto che le avevi raccontato tutto” gli confessò infine, decidendo di prendere il discorso alla larga. 
“Tutto che?”
“Tutto, Simò, e dai” aggiunse roteando gli occhi al cielo. “De noi due, dei baci che ce semo scambiati.”
“Guarda che Laura non l’ha detto a nessuno” cercò di rassicurarlo. Era così terribile l’idea che qualcuno sapesse che Manuel Ferro tanto sciupafemmine poi in fondo non era? Così insopportabile che sapessero che, tra tutti quanti, avesse baciato proprio lui? Si era spesso sentito sbagliato con Manuel, come se ciò che facevano, quello che lui era, fosse una vergogna. Non lo era. Mattia glielo aveva insegnato.
“Lo so, ma… avevi promesso che non lo dicevi a nessuno, e quando invece Laura m’ha detto che sapeva tutto, non c’ho visto più. Poi tu stavi abbarbicato come na cozza a quello là e…” abbassò di nuovo lo sguardo. 
“E cosa, Manuel?” chiese confuso Simone. Non poteva continuare a tenerlo legato a lui, senza però volerlo davvero fino in fondo. Non era giusto. Non era un giocattolo, non era qualcuno con cui divertirsi di tanto in tanto. Era un essere umano con dei sentimenti, che voleva essere amato, esattamente come lo voleva lui. 
“E… ho capito che…” disse, cercando di trovare dentro di sé la forza per spiegare a Simone perché. Perché era così geloso di Mattia, perché aveva preferito allontanarsi da lui, piuttosto che ammettere ciò che provava, perché quei sentimenti facevano paura, lo terrorizzavano, lo pietrificavano. Ma si era reso conto che stargli lontano era ancora peggio. Perché niente aveva un senso se non poteva condividerlo con lui. 
Non dovette ragionarci ancora a lungo, però, perché all’improvviso sentì sbucare alle sue spalle Mattia, che si avvicinò trafelato a Simone per assicurarsi che non si fosse fatto male. 
Si chinò su di lui e gli stampò un bacio sulle labbra. Lì, davanti a tutti, davanti a lui. Come se non ci fosse niente da nascondere, perché effettivamente non c’era. Fu in quel momento che Manuel capì che forse per lui niente aveva un senso senza Simone, ma che magari la vita di Simone aveva senso senza la sua. Quella naturalezza non gli apparteneva. Se gli avesse detto ciò che provava, cosa sarebbe successo? Un conto era trovare il coraggio di ammettere i propri sentimenti al diretto interessato, un altro sarebbe stato farlo col mondo intero. Sentire le chiacchiere tra i corridoi di scuola, Chicca che avrebbe messo in discussione tutto quello che c’era stato tra di loro. Matteo che avrebbe fatto le sue solite battute di dubbio gusto. Magari tutti davanti a lui si sarebbero mostrati comprensivi, alcuni addirittura felici per lui e Simone. Ma quando Manuel non era presente cosa avrebbero detto? Non poteva sopportare l’idea di finire sulla bocca di tutti. Di non essere più ritenuto quello di un tempo solo perché aveva scoperto che gli piacevano anche quelli come Simone. E se non poteva accettarlo, non poteva imporlo a Simone. Non era giusto, aveva avuto ragione alla festa. 
“Scusate, vi ho interrotto?” disse Mattia con aria fintamente angelica. Sapeva bene che stava interrompendo, ma non si era posto il problema prima, di certo non gli importava adesso, pensò Manuel. Ma in quel momento gli fu quasi grato, perché gli aveva impedito di fare la più grossa cazzata della sua vita. Manuel non sarebbe mai stato come lui, prima l’avrebbe accettato, meglio sarebbe stato per tutti quanti. 
“No, stavo per annà via” disse alzandosi. Poi rivolse un’ultima occhiata malinconica a Simone. “Mettice er ghiaccio” aggiunse con un cenno della testa, prima di congedarsi, lasciandolo nelle mani di Mattia. D’altronde non era più lui il suo porto sicuro, il suo appiglio in quel mare di incertezze. Non lo avrebbe più sentito stringere le sue braccia attorno ai suoi fianchi. Non era più in lui che cercava conforto e conferme. Adesso c’era qualcun altro che si sarebbe preso cura di lui. E Manuel non poteva più farci niente.
 

“Ma quanto sei bello” disse Anita sporgendo la testa dentro la camera di Manuel. Lui davanti allo specchio stava sistemando la maglia dentro i pantaloni alla bell’e meglio. Per una volta si era vestito quasi bene, abbandonando quelle canotte da basket e giubbotti cerati che sua madre reputava orrendi.
“A ma’, finiscila” rispose lui scuotendo la testa.
“No, sono seria” aggiunse solenne. “Sei tutto tua mamma” sorrise poi, contagiando anche Manuel. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva riso di gusto. 
Il sorriso gli morì sul volto quando guardò allo specchio quel volto perennemente accigliato. Una piccola, infinitesimale, parte di sé, si era impegnata nello scegliere il look per quella serata, come se le cose potessero cambiare con indosso una maglia decente e i capelli in ordine. Ma adesso che si guardava per intero si sentiva ridicolo. Non sarebbe cambiato assolutamente nulla, perché ciò che appariva esternamente non faceva alcuna differenza su ciò che invece era dentro. E Manuel non era il simpatico e rilassato musicista che aveva fatto innamorare Simone. Manuel era il tornado che lo scuoteva e lo scaraventava da un lato all’altro, senza dargli tregua. 
Ma non c’era più il rischio di trascinarlo a fondo con lui. Ormai in Manuel si era insinuata la certezza di averlo perso per sempre, dopo quella scena sul campetto da rugby. Forse il Simone di qualche tempo prima avrebbe accettato di stare con lui a qualsiasi prezzo, accontentandosi di averlo accanto a piccole dosi, piuttosto che niente. Ma adesso Mattia aveva terminato un processo che per Simone era già iniziato quando si era allontanato da lui per andare in Scozia dalla madre. Quando era tornato Manuel lo aveva già visto diverso, il suo look era cambiato, aveva una consapevolezza tutta nuova che, senza neanche rendersene conto, lo rendeva persino più attraente. Dopo Mattia, invece, ora che aveva capito la differenza tra ciò che avevano loro, qualsiasi cosa fosse stato, e un rapporto sano alla luce del sole, non avrebbe mai più accettato qualsiasi briciola lui avesse da offrirgli. Non poteva biasimarlo. Meritava più di quello che Manuel poteva dargli. 
Mentre si allontanava dallo specchio, fu quasi tentato di sfilarsi quella maglia e ci provò pure, ma sua madre, come se avesse avvertito l’odore del pericolo, passò di lì proprio in quel momento.
“Oh, non ce provà” lo minacciò con il cucchiaio di legno che stava usando per mescolare qualsiasi intruglio stesse cucinando. 
“Ma che te frega a te de che c’ho addosso io, scusa” protestò lui con una smorfia.
“Ma te possono vedè conciato come si deve per una volta? Fai a tutti ‘sto regalo de Natale, oh” disse poi, facendogli l’occhiolino prima di allontanarsi a seguire la scia di bruciato che si era lasciata dietro. 
“E divertiti alla festa” gli disse Anita prima che uscisse di casa. Era preoccupata per lui, per quello che gli aveva raccontato e per la piega che aveva preso il suo rapporto con Simone. Rivoleva il suo Manuel, non sopportava più di vederlo così spento. 

Manuel alla fine l’aveva presa persino fin troppo alla lettera, assecondando quella che in quel momento era la sua massima idea di divertimento. Stava seduto lì al bancone del bar mentre gli altri ballavano e cantavano sorridenti. Una bottiglia di birra tra le dita e lo sguardo di chi avrebbe voluto spaccarla in testa a qualcuno. Forse soprattutto a se stesso. 
“Te voi move?” Chicca lo aveva raggiunto, prendendogli una mano per trascinarlo sulla pista da ballo. “L’hai voluta fa tu ‘sta festa e poi stai qua seduto come un disperato?”
“Ma io me sto a divertì.” 
“Se vede” protestò lei con una smorfia.
“A modo mio” aggiunse allora Manuel con una strizzata di spalle. 
“Vabbè, fai come te pare” disse Chicca, lasciandolo da solo coi suoi pensieri. In fondo quel detto non diceva che non si può aiutare chi non vuole essere aiutato? Ecco, Chicca ci aveva provato tante volte, ma non era mai riuscita a cavare un ragno dal buco. A un certo punto aveva semplicemente deciso di mollare la presa. In fondo Manuel, per fortuna, non era più un problema suo, pensò mentre si abbarbicava a Matteo, con cui non aveva avuto una relazione prima, né l’aveva adesso. Però si divertivano e questo era ciò di cui aveva bisogno al momento. 
Lo sguardo di Manuel si trascinò stanco da lei a Simone, che rideva fino alle lacrime per qualcosa che Mattia gli aveva appena sussurrato all’orecchio. Osservò il suo sorriso, i suoi occhi lucidi, un po’ per le risate e un po’ per l’alcol che gli aveva annacquato lo sguardo, e per un attimo si sentì felice anche lui. Solo un breve, piccolissimo istante. Poi la consapevolezza di non essere più in grado di farlo ridere allo stesso modo prese possesso di lui e Manuel tornò ad annegare i suoi dispiaceri in quella bottiglia ambrata. Si lasciò trascinare da quelle bollicine magiche che gli pizzicavano la gola e rendevano ogni suo pensiero meno intrusivo, meno incessante e lo facevano sentire più libero. E da una erano rapidamente diventate due, poi tre. Poi una ragazza che non conosceva aveva iniziato a parlargli e, senza neanche rendersene conto, avevano finito per ficcarsi le lingue in gola senza tante cerimonie. 
Dopo un po’, confuso e annebbiato, si rimise in piedi, lasciando sul bancone la bottiglia vuota, e quella ragazza che in fondo manco gli piaceva più di tanto e si andò a rifugiare in bagno. Un po’ perché doveva andarci, un po’ perché si vergognava di se stesso. Un tempo avrebbe stretto le spalle e liquidato quella serata come normale divertimento tra ragazzi, so’ cose che capitano, non semo mica preti. Ma adesso stentava a riconoscersi. L’idea di baciare chiunque altro non fosse Simone, gli faceva venire il voltastomaco. O forse era colpa di tutto quell’alcol che si era scolato. 
Quando sarebbe arrivato il punto in cui avrebbe dimenticato tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi e quello che aveva fatto quella sera con quella ragazza? Non era ancora abbastanza ubriaco, purtroppo, pensò mentre osservava allo specchio quel volto sfatto e quei ricci spettinati. Come se all’improvviso lo turbasse l’idea di avere le impronte di quella ragazza sul suo corpo, si sciacquò il viso con l’acqua gelida del rubinetto e si passò una mano tra i capelli per ricomporsi. Ma che stai a fa’, pensò. Non era lei che voleva. Ma ciò che voleva non poteva averlo.
Sbuffò e poggiò stancamente le mani sul lavello, lasciando che la testa gli cadesse davanti, e con lei le gocce di acqua che, con un effetto ipnotico, guardandole sembrarono distrarlo dai suoi turbamenti. Poi d’un tratto sentì la porta che si apriva. Ma non era abbastanza interessato a capire di chi si trattasse. In fondo era un bagno e qualcun altro avrebbe pur voluto usarlo a parte lui, che se non fosse stato tanto ubriaco forse non ci avrebbe nemmeno messo piede, tanto era sporco.
“Stai bene?” la voce di Simone gli arrivò alle orecchie e lo portò a sollevare la testa di scatto.
“‘Na favola” rispose lui con una smorfia, allungando due dita in segno di vittoria, mentre si passò l’altra sul viso per asciugarlo.
“Manuel, non starai a esagerà?” gli chiese allora Simone, memore dei suoi eccessi che l’avevano portato a schiantarsi contro dei bidoni proprio sotto casa sua. Non voleva di certo che Manuel facesse la stessa fine, specialmente dato che era venuto da solo a quella festa e sapeva che non avrebbe volentieri accettato un suo passaggio.
“Ma che voi? Non sei mi madre.” gli sputò velenoso lui, portando l’altro a drizzarsi per la sorpresa. 
“Scusa se mi preoccupo per te” ribatté irato. Nonostante tutto gli voleva bene e aveva pensato che quella sorta di chiarimento a bordo campo avesse messo fine alla loro inutile faida, ma a quanto pare si sbagliava. Con Manuel si sbagliava sempre.
“Ah ora te preoccupi per me?” disse Manuel con ironia, iniziando a ridergli in faccia come se lo reputasse effettivamente divertente.
“Che vuoi dire?” gli chiese, mentre l’altro scuotendo la testa iniziava a fare qualche passo per allontanarsi e uscire. Simone gli poggiò una mano sulla spalla per fermarlo. “No, dimmi cosa vuoi dire, scusa.” Era stanco delle allusioni di Manuel, di essere trattato come quello che lo aveva tradito e messo da parte, quando invece non aveva fatto nulla per meritarsi quel trattamento. 
“So’ settimane che a stento ce diciamo quattro parole. Da quando c’hai quel cojone m’hai pisciato perché non te servivo più e mo te preoccupi per me? Lascia stare” gli ringhiò rabbioso, allontanandosi dalla sua presa come se gli facesse schifo persino il suo di tocco.
“Sei ingiusto. Non ti ho pisciato né per Mattia, né per nessun altro. Sono solo stufo di farmi prendere in giro perché non sai cosa vuoi. Non m’hai manco chiesto scusa dopo come mi hai trattato l’ultima volta” disse con quegli occhi da cerbiatto che riuscivano sempre a farlo sentire in colpa, ma che in quel momento lo irritarono più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non toccava a lui fare il cane bastonato. Lui adesso aveva tutto, riusciva a essere se stesso liberamente e aveva una persona al suo fianco. Era Manuel a non avere niente. Non gli era rimasto neppure più lui.
“Ah come t’ho trattato io?” rispose sardonico.
“E come hai trattato Mattia” puntualizzò, il che fece scattare Manuel.
“Guardalo come se lo difende pure. Non te lo tocca nessuno il ragazzo tuo, tranquillo.”
“Ma perché devi fare così? Perché non puoi essere contento per me?” gli chiese deluso.
Già, perché? Simone era felice, aveva accanto una persona che gli voleva bene. Perché non poteva essere felice per lui? In quel momento Manuel restò di sasso, pietrificato da quella miriade di spiegazioni e giustificazioni che premevano di venire allo scoperto, ma che lui non riusciva a liberare. Quanto sarebbe stato bello dirgli tutta la verità? Togliersi quel peso dal petto e andare avanti, nel bene o nel male? E forse era l’alcol ad annebbiargli la mente, o abbassare ogni sua difesa, ma Manuel sentì di non essere più in grado di trattenersi.
“Ancora non l’hai capito?” lo affrontò diretto, lasciando un Simone spiazzato.
“Che devo capire, scusa?”
“Sei un cojone pure tu, ve siete trovati” disse oltrepassandolo, dandogli una spallata mentre lo superava. 
“No, tu adesso mi dici cosa significa. Sono stanco di dover capire, di dover immaginare cosa ti passa per la testa e cosa vuoi realmente. Cos’è che vuoi? Cosa vuoi da me, Manuel?” Non poteva più permettergli di torturarlo in quel modo, che lo tenesse legato a lui, che lo facesse sentire in colpa, senza nessun reale motivo. Quella situazione di bilico perenne lo faceva sentire come un funambolo in piedi senza imbracature sull’orlo di un precipizio. Doveva costantemente prestare attenzione a ogni suo passo, per evitare di cadere e sfracellarsi al suolo. Era estenuante.
Ma anche Manuel era arrivato al punto di non ritorno. La sua mente era un insieme aggrovigliato di incertezze e dubbi, ma c’era un’unica cosa che si era ormai delineata chiaramente, su cui non avrebbe più cambiato idea: lui. Voleva Simone. Voleva tutto di lui.
“Te” disse in un sussurro, fissando lui e le sue labbra alle quali avrebbe voluto aggrapparsi disperatamente, e si sentì minuscolo davanti a lui.
Simone lo fissò impietrito, come se Manuel all’improvviso avesse iniziato a parlare polacco o qualche altra lingua sconosciuta che lui non riusciva a decifrare. “Me?” balbettò anche lui con un filo di voce. 
“Ma vaffanculo, Simò” disse voltandosi per andarsene, vergognandosi terribilmente di quella confessione da non essere capace di ripeterla un’altra volta. Quel momento di coraggio era passato e non sarebbe ritornato e avrebbe passato la notte e i giorni seguenti a maledirsi per quell’istante in cui si era concesso di essere totalmente se stesso, senza paure.
Ma Simone lo bloccò di nuovo. Per una volta non aveva bisogno delle certezze di Manuel, non aveva bisogno che gli dicesse chiaro e tondo cos’era che voleva, perché lo percepiva nei suoi occhi confusi e smarriti. Lo percepiva dal modo in cui lo guardava. Per la prima volta, dopo quel bacio mancato al museo, era Simone a prendere l’iniziativa. Manuel, per quanto lo desiderasse, non ne avrebbe mai avuto il coraggio. Si sentiva vulnerabile dopo quella confessione. Simone gli mise una mano dietro la nuca, e per quanto si sentisse sicuro abbastanza da fare il primo passo, aveva ancora bisogno di leggere del consenso negli occhi di Manuel. Aveva bisogno che non lo respingesse, come aveva fatto tempo prima. Non poteva rimanere deluso un’altra volta. Ma Manuel non si allontanò, non lo respinse. Si avvicinò a sua volta per cercare le sue labbra e Simone gliele lasciò trovare, attirandolo a sé con un senso di gioia e di sollievo che fece sentire libero anche lui, che non si era ancora accorto di non esserlo, perché l’unica cosa che stava aspettando ce l’aveva proprio davanti agli occhi.
I suoi baci sapevano di alcol e di fumo, ma anche di attesa e fame. Quella insaziabile, che lo aveva portato ad attenderlo per mesi e mesi, e adesso non gli permetteva più di smettere di assaporare quel momento. Le sue mani si lanciarono fameliche sulla sua schiena, nel tentativo di afferrarlo e stringerlo per impedirgli di andarsene via, di ripensarci ancora una  volta. Ma quando riaprì gli occhi Manuel era ancora lì e lo guardava come non aveva mai fatto prima. Senza vergogna, senza timore, senza ripensamenti. Era lì, ed era tutto quello che Simone aveva sempre desiderato. 

  
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