Anime & Manga > Yuukoku no Moriarty/Moriarty the Patriot
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Autore: Discontinuous Qualia    06/06/2022    0 recensioni
[Sherliam | Soulmates!AU + Modern!AU]
In un mondo in cui avere un'anima gemella è qualcosa di comune, se si è tra i rari casi di coloro che possono sentire la musica solo dopo aver incontrato la propria metà, la vita non è facile. E se si è anche musicisti è un inferno.
Sherlock Holmes è un violinista giramondo che non ha mai reso la sua condizione un segreto. William James Moriarty è un geniale pianista che si è assicurato che solo le persone a lui più vicine sapessero della sua mancanza.
"Pensi che sia stato davvero qualcosa di predeterminato? Tipo una sequenza di geni incisa nel nostro DNA che prende le decisioni senza alcun riguardo per la persona che diventiamo con il trascorrere della vita?"
"Sai Sherlock," disse John spegnendo la sigaretta ancora buona contro il fondo del posacenere. "Siamo egoisti e pessimi giudici di noi stessi, perciò nel momento in cui troviamo qualcuno che ci vede per quello che siamo vogliamo istintivamente tenercelo stretto, conoscerlo e farci conoscere a nostra volta."
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Albert James Moriarty, John Watson, Louis James Moriarty, Sherlock Holmes, William James Moriarty
Note: AU, Soulmate!AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Confesso che mi ci è voluto veramente un sacco per fare una traduzione decente di questo capitolo. Non ci si rende conto di quanto 4000 parole possano essere lunghe fino a quando non le si deve rielaborare in un'altra lingua, per non parlare di quanto inglese e italiano siano strutturalmente diversi. In alcuni punti volevo mettermi le mani nei capelli, perché i miei periodi troppo lunghi suonavano malissimo in italiano, così come altre piccole cose. Spero di essere riuscita a proporre un adattamento pseudo-accettabile o che comunque non suoni troppo legnoso (è dura trovarsi faccia a faccia con i propri problemi stilistici...)
 


2.Don't look back in anger, I heard you say.


“Ah, Signor Holmes, tempismo perfetto.”

William era il genere di uomo che sembrava saltato fuori da un catalogo di moda: vestito impeccabilmente dall’orologio d’argento al polso fino alle lucide scarpe, nessun capello fuori posto e l’impronta evanescente di un sorriso amichevole sul viso. La cosa, in tutta franchezza, non era assolutamente una sorpresa per lui, considerato come i Moriarty fossero proprietari una molto reale e molto costosa magione vittoriana nella campagna del nord est inglese.

Il pianoforte a coda fu un elemento di sorpresa. Una di quelle piacevoli, contrariamente alle sue aspettative. William sicuramente aveva un’immagine che si addice al figlio di mezzo di una ricca famiglia inglese, ma guardarlo sedersi davanti ad uno degli strumenti più belli che avesse mai visto, andò a punzecchiare un pensiero nascente. Tra tutte le cose costose ma mozzafiato che potevano esistere al mondo, nulla gli sarebbe calzato a pennello come quel piano.

Agitò una mano. “Ehilà Liam! Niente male ‘sto posto.”

Anche uno strumento da 30 sterline sarebbe sembrato magnifico in quel tempio di vetro e fiori cremisi che era la serra di Villa Moriarty.

La bocca di William si arricciò con fare vagamente divertito, gli occhi illuminati dall’intelligenza di qualcuno che sa esattamente ciò che sta facendo. “Sono lieto che sia di tuo gradimento. Sono particolarmente affezionato a queste rose e Jack si prende eccellente cura di loro.”

“Be’, vorrà dire che ti darò un ulteriore motivo per essere lieto,” disse con il dolce sapore della vittoria sulla lingua sventolando lo spartito come se fosse un trofeo. “Ho fatto i compiti, Signor Pianista.”

“Qui possiamo suonare indisturbati e senza recare disturbo agli altri, perciò sarà un piacere prestarle la mia attenzione.”

Lasciò cadere lo spartito nelle mani di William e si inginocchiò davanti alla custodia in pelle nera sul pavimento. La vista del lucido legno gli riempì il petto di calore e la sensazione di poterlo stringere tra le mani era il filo rosso che lo legava a ciò che per lui era invisibile e inudibile.

“Quello è… uno Stradivarius,” William disse a bassa voce, come se lo stumento fosse una vecchia ma famosa conoscenza che non pensava di poter reincontrare o che potessero condividere.

Tra le sue dita l’archetto accarezzò le corde con un sibilo sottile, una vibrazione fatta di familiarità che correva attraverso il suo corpo per tradursi in un silenzio innaturale. Da bambino trascorreva il limbo tra sonno e veglia ad immaginare ancora e ancora che suono potesse avere, come sarebbe stato riempire il vuoto che si lasciava dietro.

Era qualcosa di paragonabile al frinire delle cicale tra gli alberi o il leggero fischiare del vento tra le foglie? O forse era qualcosa di completamente diverso, più simile al profondo tremolio che correva nelle sue vene mentre le corde tagliavano i polpastrelli negli accordi di un climax che aveva composto per impressionare?

William lo osservò con occhi cremisi ombrati dalle ciglia dorate, le labbra socchiuse. Una linea delicata gli aggrottò appena la fronte, passeggera alla stregua di una tempesta estiva, per sparire mentre l’eco della canzone formicolava via dalla sua pelle.

“È stato… davvero notevole, Signor Holmes.” Il fantasma di un sorriso rimase sul volto di William nel tessere le sue lodi. “Temo però che una performance così intensa e complessa sarebbe più adatta per un violino solista che per un duetto.”

Distruggere una persona a suon di complimenti era come uccidere qualcuno con il sorriso sulle labbra e il Signor Pianista sembrava avere un certo talento per la cosa, quasi a voler essere all’altezza di quel gioco di nomignoli che si era instaurato tra loro. Le sue dita perlustrarono la tasca posteriore dei suoi jeans per chiudersi attorno al corpo sottile di una delle sue Marlboro Rosse, delizioso veleno per le sue labbra.

“E quindi quale sarebbe la tua idea di duetto, Liam?”

“La mia idea, dice…” Occhi scarlatti baluginavano come la fiamma del suo accendino e si posarono su di lui. “Sa per caso cosa sia una ‘prova elaborativa’, Signor Holmes?”

“Eh?” Una boccata di fumo disegnò linee sinuose nell’aria. “Non è tipo un concetto di psicologia o qualcosa del genere?”

“Lo è, in effetti.” William annuì, il sorriso sulle sue labbra immutato. “Per spiegarlo in termini semplici possiamo dire che eventi associati ad emozioni molto forti hanno maggiore probabilità di diventare un ricordo a lungo termine. Questo sta a significare che il nostro ruolo non è di protagonisti della storia, ma quello della colonna sonora. Il nostro compito è essere la miccia che alimenta queste emozioni ma non la loro causa, perciò dobbiamo suonare come se fossimo un unico strumento.”

Un unico strumento, eh? Quindi come un’orchestra…

I concerti sinfonici erano una noia. Probabilmente persone che, al contrario di lui, non dovevano avere a che fare con un udito selettivo indotto da un fenomeno paranormale apprezzavano l’esperienza che era assistere ad un impressionante numero di strumenti incastrarsi tra di loro in maniera apparentemente naturale. Per lui, però, non erano che un mucchio di rumori sconnessi tra loro che cozzavano con un coro di respiri. Seguivano le mani del direttore senza eccezioni, senza alcuno spazio per essere più rumorosi, forti, unici. Alla fine dei conti anche lui doveva portarsi il pane in tavola, partendo prorprio da bocconi amari di questo genere.

Finché potrà, farà le cose a modo suo. “Ehi, Liam.”

“Signor Holmes?”

“Fammi sentire un po’ come suoni, okay?”

William sbatté le palpebre con la bocca socchiusa e una palese perplessità nello sguardo che gli fece scappare una risata. Geniali o meno, le persone reagivano tutte allo stesso modo. Era facile vivere senza doversi sforzare di pensare in modo anticonvenzionale, dopotutto.

Sherlock spense la sigaretta in un vaso e fece un paio di passi avanti. La superficie del pianoforte era liscia e piacevolmente fresca a contatto con i palmi delle sue mano, tenuto immacolato così come tutte le cose care a qualcuno avrebbero dovuto esserlo. 

“Oh, capisco,” disse William con gli occhi chiusi e qualcosa di indefinibile nella voce. “Lei… sente la musica.”

La maggior parte delle persone era prevedibile, ma era quello a rendere le eccezioni così interessanti. Un sorriso si allargò sulle sue labbra. “Ciò che non hai può essere rimpiazzato con qualcosa di tuo che è ancora meglio.”

“... Ha ragione.” La schiena di William era diritta, l’alzarsi e abbassarsi delle sue spalle un movimento dal ritmo costante. Delle dita pallide e affusolate si aprirono sui tasti neri e bianchi. “È così che dovrebbe essere.”

Le battute iniziali furono delicate, al limite dell'esitante. Percepire le vibrazioni di un pianoforte era più complicato poiché non era un esperto dello strumento, ma il modo in cui William suonava era di una precisione che non aveva mai sentito. Ogni nota e accordo corrispondeva ad una diversa intensità della pressione che spingeva contro i suoi palmi a formare una melodia precisa, qualcosa che non poteva essere percepito dalla lettura di un semplice spartito. E quello stesso spartito era ben lontano dall'essere l'oggetto dell'attenzione di occhi cremisi, occhi che erano concentrati su qualcosa che andava oltre i movimenti delle dita sui tasti.

Solitamente il pianoforte era la parte ritmica di un duetto, limitandosi ad un giro di accordi che si ripeteva per l’intera durata della performance con al massimo qualche variazione qua e là. Il tatto, però, non mentiva. Nel modo di suonare di William James Moriarty nulla si conformava a ciò che era solito e, nonostante i suoi sforzi nel fare sfoggio della propria bravura, Sherlock si ritrovò ad essere un passo indietro rispetto a lui.

Gettò il capo all’indietro e rise di gusto. “Ah Liam, sei proprio un tipo interessante.”

“Ah sì?” Una risatina divertita. “Non dovrebbe sminuirsi, anche lei è un musicista di grande talento, signor Holmes.”

“Heh, arguto bastardo che non sei altro…” Quando era stata l’ultima volta in cui qualcuno gli aveva proposto una sfida abbastanza interessante da far fremere le sue dita? “Dammi solo un po’ di tempo, Liam, e ti farò vedere.”

William gli offrì un sorriso, un leggero arricciarsi delle labbra che raggiunse i suoi occhi creando delle pieghe ai loro angoli. “Attenderò con impazienza, allora.”

 

§



Una grassa risata riempì il silenzio della sua stanza e si perse nel vento piacevolmente fresco che entrava dalla finestra. Fuori il paesaggio era avvolto dall’oscurità, il cielo e la terra indistinguibili lì dove il bagliore delle luci esterne non arrivava.

Un viso ben noto ghignò dallo schermo del suo telefono, con un accenno di lacrime negli occhi e un bubble tea dal colore osceno in una mano. “No, fammi capire, hai passato l’ultima mezz’ora a cantare le lodi di questo pianista biondo e geniale e non hai nemmeno provato a farti avanti con lui?”

Il mozzicone di sigaretta tra le sue dita incontrò una morte violenta contro il fondo del posacenere. Doveva comprarne un altro pacco in città. “Era per darti del contesto, idiota. Non sono qui per posare le mie manacce su di lui.”

“Sei davvero uno sfigato, Ponytail-senpai.”

Il suo viso si contrasse in una smorfia al nomigliolo senza senso. “Tappati quella bocca, Billy.”

L’espressione gioviale di Billy si fece seria e una luce illuminò di interesse il suo sguardo. “Quindi? Che informazioni volevi? A me sembra che tu ne sappia già parecchio sul conto di William e della canzone che dovete suonare.”

“Sì, come no.” Un sospiro frustrato gli scosse il petto al pensiero della sua cronologia internet. “Ho capito che non devo strafare, visto che è il matrimonio di John e non un concerto solista per violino, ma ogni volta che provo a suonare quella dannata canzone non sono per niente convinto di come suona.”

“Ohh, questo sì che è raro sentirtelo dire.” Billy fece un rumoroso sorso del suo té, risucchiando le verdi palline di tapioca nella cannuccia con le sopracciglia inarcate. “Anche se penso di capire cosa sta succedendo.”

Ovvio che fosse raro, era un genio. E i geni non finivano con il rimanere bloccati da problemi stupidi come l’incapacità di capire il giusto modo per suonare un pezzo che per una volta ha un qualche valore sentimentale. William era stato capace di ideare qualcosa che, nella sua semplicità, era riuscito a smuoverlo perciò lui non poteva essere da meno.

Non potrò considerarmi un suo pari se non riesco a portarmi sul suo stesso orizzonte.

Un sospiro ricco di enfasi abbandonò gli speaker del suo telefono. “Il tuo problema, Ponytail-senpai, è che non hai idea di quali emozioni dovresti prendere in considerazione mentre suoni.”  Sullo schermo Billy lo osservava con la fronte leggermente aggrottata e l’accenno di un sorriso empatico. “Sei felice per John perché vedi che è felice, ma non capisci la ragione dietro la sua felicità.”

“Eh? Una ragione?”

“Hai zero interesse nel trovare la tua anima gemella, hai speso tre anni della tua gioventù per perfezionare la tua immagine da ‘bad boy dal cuore d’oro’ viaggiando da solo per il mondo e i tuoi unici amici siamo io, John e la cara vecchia signorina Hudson.”

"Non siete i miei unici–" 

Gli occhi di Billy si illuminarono di malizia. “Vivi praticamente fuori dal mondo per la stragrande maggioranza del tempo quando si tratta di sentimenti, ma per molti trovare la propria anima gemella e trascorrere il resto della vita insieme è una questione decisamente importante, sai?”

Sherlock alzò gli occhi al cielo, tormentato dalla necessità di una nuova sigaretta tra le labbra. “Non capisco che senso abbia credere in quella robaccia sovrannaturale, specie se non fa altro che causarmi problemi.”

“Oh, già, tu non puoi sentire la musica per colpa di quello, vero?”

Anniì. “Il mio cervello e le mie orecchie funzionano a dovere, perciò non è che ci sia qualche altra spiegazione plausibile.”

Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità.

Il pensiero lasciò una nota di amarezza nella sua bocca. La sua condizione era parte di lui, al punto da essere ciò che lo aveva spinto a creare e affinare un nuovo talento da zero solo per poter essere libero di fare ciò che amava. Nonostante ciò, una contraddizione era pur sempre una contraddizione, e l’auto-accettazione non avrebbe cancellato il fatto che parte della persona che era diventato era nata da qualcosa in cui non credeva.

“Non dovresti scervellarti così tanto, Ponytail-senpai.” Billy puntò un dito verso l’angolo esterno del proprio occhio. “Ti verranno le rughe.”

Sherlock scoccò un’occhiataccia allo schermo. “Ho solo 27 anni, è troppo presto perché mi vengano le rughe.”

“Certo, certo. Certo che però questo William dev’essere proprio un tipo interessante se è riuscito a farti impuntare tanto su una canzone.”

L’intricata e colorata fantasia del tappeto ricambiò il suo sguardo. “... non sono tipo le 6 del mattino lì a Tokyo? Piantala di bere roba zuccherata ad orari assurdi e porta il tuo culo nel letto. Io andrò a prendermi qualcosa da bere in città.”

“Sissignore!” Un occhiolino. “Di’ a John che lo saluto!”

Lo schermò tornò a mostrare la finestra del contatto di Billy. Si alzò e infilò il telefono in una tasca dei jeans, raggiunse a grandi passi la giacca di pelle che aveva gettato su una sedia e se la mise sulle spalle. Un po’ d’aria fresca e una fumata avrebbero potuto essere d’aiuto. La sua mano aprì con violenza la porta della sua stanza.

"Sherlock?" 

Sulla soglia, con un pugno sollevato, John lo fissò perplesso.

Sherlock gli offrì un cenno del capo. “Ehi, sto andando a prendere le sigarette e qualcosa da bere in città. Ti serve qualcosa da lì?”

John sbatté le palpebre. “Vai a bere a quest’ora?” La sua fronte si aggrottò. “Qualcosa non va? Fino a poco fa stavi parlando in maniera così animata.”

“Oh, ero in chiamata con Billy. Ti dice ciao, o qualcosa del genere.”

I solchi sulla fronte di John si fecero più profondi.

‘Sei felice per John perché vedi che è felice, ma non capisci la ragione dietro la sua felicità.’

L’ennesimo sospiro della serata gli scosse il petto. “Vuoi unirti a me? Offro io.”

 
§


La superficie immacolata del bancone di legno conferiva alla birra che troneggiava su di esso una sfumatura più calda e scura. Le bollicine raggiungevano la superficie con la stessa lentezza con cui i suoi pensieri andavano alla deriva. Alla radio Noel Gallagher cantava del cuore dell’estate e del non guardare al passato con risentimento, la sua voce coperta di tanto in tanto dal chiacchiericcio dei pochi clienti presenti assieme a loro.

“Sherlock, siamo qui da 2o minuti e sei già metà della seconda birra.” I cubetti di ghiaccio nel whisky di John si mossero con un tintinnio stranamente piacevole. “Mi vuoi spiegare perché continui a non volermi dire cosa c’è che non va?”

Sherlock espirò dalle narici e la sua mano si allungò verso una cartina come se fosse tornato ad essere lo studente squattrinato che era appena ventenne. “John.” L’odore del tabacco scadente lo manteneva ancorato al presente. “Perché vuoi sposare Mary?”

Era più un’accusa che una domanda vera e propria, ma esplorare territori nuovi non gli era facile quando si trattava di avere a che fare con le persone. La gente era troppo fragile e rimaneva ferita con niente e di certo John non meritava di soffire per via della sua mancanza di tatto.

Un risata carica di sollievo riempì lo spazio accanto a lui. “Quindi era questo il problema, mi hai davvero fatto preoccupare per un momento.” John abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere con occhi carichi di affetto e un sorriso gentile. “Sai, di solito la gente mi rende abbastanza difficile rispondere a questa domanda, visto che si aspettano di sentire che lo voglio fare perché siamo anime gemelle. Perciò sentirmelo chiedere da te è confortante, in qualche modo.”

Sherlock esalò una boccata di fumo con un’occhiataccia. “Cosa stai cercando di insinuare?”

John rise nella sua maniera spensierata e familiare e si scompigliò i capelli. “Solo Mary ne è al corrente ma… a dire la verità non siamo sicuri di essere davvero anime gemelle.” Un sorriso imbarazzato. “Sai che non ho mai prestato grande attenzione al mio marchio, perciò ci siamo entrambi resi conto che i nostri timer si erano azzerati quando eravamo già insieme da tempo.”

La sigaretta gli sfuggì dalle labbra e le sue mani scattarono per salvare il tabacco appena rollato da una morte prematura. Il contatto della sua pelle contro la fiamma gli strappò un sibilo di dolore.

Questa cosa non ha senso.

"Allora perché–" 

La figura di John tremò in una malcelata risatina. “Allora perché sposarla se non ho alcun genere di obbligo, giusto?”

“Sì, sì, piantala di anticiparmi,” borbottò nella sua birra. “È dannatamente inquietante.”

“Ti conosco come le mie tasche, Sherlock Holmes,” disse John colpendolo affettuosamente con la propria spalla. “Per questo posso dire che, paragonato a persone come te, non sono niente speciale. Il mio aspetto e la mia intelligenza sono nella media e non ho particolari talenti di cui fare vanto.” Una mano si allungò verso il suo tabacco. “Penso che questa sensazione abbia raggiunto il suo picco quando sono diventato uno specializzando. Avevo avuto la mia buona dose di immagini cruente ma quel giorno mi era capitato di dover dare una mano in un’amputazione particolarmente sanguinolenta e… sono svenuto come un novellino.”

Sherlock porse il suo Zippo con mano tremante. Non era una persona sufficientemente decente per provare più di tanto a trattenersi ma John lo guardò con delle guance gonfie che erano tutte un programma e le loro risate riempirono il piccolo pub tra le occhiate perplesse dei presenti.

“Pessimo, vero?” John disse con una risata nasale che fece sbucare lacrime dai suoi occhi. “Quando sono rinvenuto ero straiato sul divano della zona ricreativa e…”

“... e Mary era lì.”

“Era una delle infermiere che stavano assistendo in sala operatoria e io ero assolutamente mortificato, perciò sono finito con il dire che probabilmente non ero troppo tagliato per fare il medico.”

Se John H. Watson, la persona più sincera e paziente che aveva incontrato tra le migliaia di assurde personalità che avevano incrociato il suo cammino in 27 anni di vita, non era portato per essere un medico, allora nessun altro lo sarebbe stato. Anche se un paio di birre non erano abbastanza per far sì che dicesse qualcosa di così oltraggiosamente smielato ad alta voce.

L’estremità della deforme sigaretta di John si illuminò di un arancio fosforescente ma il fumo fuoriuscì dalla sua bocca con un colpo di tosse, dandogli più l’aria di un teenager troppo cresciuto che quella di un uomo prossimo a sposarsi.

“Quindi? Che cosa disse?” lo spronò, troppo stanco e nostalgico per renderlo partecipe dell'analogia. 

John abbassò lo sguardo. "Mi disse che non era possibile che non fossi portato per fare il medico, perché tra le tante persone che ha visto al lavoro ai suoi occhi io ero eccezionalmente gentile."

La radio cantava. Il silenzio lasciato dall'uscita dei pochi clienti presenti nel pub si riempì di parole prive di musica. 

'And I'm a different million people from one day to the next I can't change my mold…' 

Sherlock ingurgitò il resto della birra. “Pensi che sia stato davvero qualcosa di predeterminato? Tipo una sequenza di geni incisa nel nostro DNA che prende le decisioni senza alcun riguardo per la persona che diventiamo con il trascorrere della vita?"

"Sai," disse John spegnendo la sigaretta ancora buona contro il fondo del posacenere. "Siamo egoisti e pessimi giudici di noi stessi, perciò nel momento in cui troviamo qualcuno che ci vede per quello che siamo vogliamo istintivamente tenercelo stretto, conoscerlo e farci conoscere a nostra volta."

“Quindi al diavolo le anime gemelle e i loro segni, eh?” 

“Beh, quando eravamo più piccoli sei stato tu a dire che soltanto noi possiamo decidere chi vogliamo essere e che aspetto debba avere la nostra felicità.”

Chiuse gli occhi con un gran sorriso. “Dannatamente vero.” 

 

§

 

La notte aveva l'odore della carta e della grafite, del fumo di tabacco scadente e di detersivo dal profumo insolito. Sapeva di sigarette e alcol a stomaco vuoto. Scattò a sedere e qualcosa cadde dalla sua faccia con uno sventolio e un leggero tap.  Al buio i contorni delle cose apparivano sfocati, linee che incontravano accarezzate dalla debole luce della luna che entrava dalla finestra accanto al letto. A luci spente la campagna era una tela nera punteggiata di tempera bianca, uno sparito in negativo di una musica sconosciuta. 

Le sue mani tastarono le lenzuola alla ricerca del cellulare, la superficie ancora tiepida e spiegazzata lì dove si era poggiato il suo corpo. La luce dello schermo lo accecò. In ordinati pixel bianchi su una foto piuttosto lusinghiera del suo Stradivarius, l'orologio segnava le 2 del mattino. 

Si alzò con uno scoppiettio di ossa e la camicia appiccicaticcia per il sudore. Qualcosa di duro scricchiolò sotto il suo piede nudo, strappandogli una serie di imprecazioni a bassa voce. La torcia del cellulare illuminò una matita spezzata in due e i fogli di uno sparito sparsi ai piedi del suo letto. 

Ah, già. Mi sono addormentato dopo aver finito di lavorare su di questo. 

La custodia del violino riposava aperta ma indisturbata sul tapped. Una corrente elettrica percorse le sue dita al baluginio delle corde accarezzate dalla debole luce. 

Il sonno era per i deboli. 

§


Essendo stato prima uno studente squattrinato e poi un musicista giramondo, il concetto di opulenza in un qualunque posto che non fosse un teatro era assolutamente privo di senso ai suoi occhi. Non era sufficientemente ipocrita da dire che i soldi non facessero la felicità, considerato quanto diverso era passare la notte in sistemazioni più confortevoli di un motel con materassi di pietra, ma la gente che aveva troppo tra le mani finiva soltanto con lo spendere per soddisfare i desideri più futili e assurdi. Anche se forse alcuni erano più legittimi di altri. 

Sotto un cielo notturno insolitamente terso la serra era un dipinto in chiaroscuro dai dettagli straordinari. Il pianoforte, con la sua forma affusolata e la superficie di inchiostro liquido alla luce della luna, era il cuore di quel capolavoro. Sorrise. 

Nel suo saltare da un ruolo all'altro aveva posato lo sguardo su numerosi tesori musicali e  questi gli avevano offerto un preciso spaccato del tipo di persona che li possedeva. Sentiva spesso dire in giro che gli strumenti riflettevano almeno in parte i loro musicisti. Questo genere di dicerie incontrava il suo scetticismo, vista la mancanza di basi concrete a supportarle, eppure negarle davanti ad un oggetto così magnifico sarebbe equivalso ad ammettere di essere cieco. 

Uno strumento così ben mantenuto poteva essere legato soltanto a qualcuno con un particolare tipo di sensibilità, e William James Moriarty, che pareva essere fatto di bianche porcellane e ori, gli si addiceva senza alcun dubbio. Ciò che però lo aveva realmente scosso era la meravigliosa chiarezza con cui la sua musica vibrava  e che veniva soltanto accentuata dalla fragilità che si insinuava discreta nelle pause tra le note.  Non gli serviva scavare troppo a fondo nella storia della musica per sapere che ciò che realmente muoveva l'animo umano non era la perfezione teorica, ma quei refusi che si lasciavano dietro tracce delle mani che avevano dato loro la luce. Un uomo sordo il cui unico rifugio dai pregiudizi del mondo al di fuori della sua casa era la musica, un uomo che  aveva scritto di donne tragiche nella loro bellezza solo per morire lasciando la sua opera magna incompleta. 

I tasti erano lisci e privi di imperfezioni sotto le sue dita, appena freddi nel ricordargli il piccolo crimine di cui si stava rendendo autore solo per amore della bellezza. 

Una luce ben più forte di quella della luna si rifletté sul corpo dello strumento alla stregua di una neonata stella. Dietro la sua fonte, una sagoma slanciata si ergeva a nuova aggiunta del dipinto. 

“Il sonno non la assiste, Signor Holmes?” 
 



Note

Qualche piccola curiosità:

- Le due canzoni citate sono "Don't look back in anger" degli Oasis e "Bittersweet Symphony" dei The Verve. Non scherzavo quando ho detto che sono andata quasi full british per la colonna sonora di questa storia (la si può definire così, immagino?)

- I due musicisti che Sherlock menziona mentalmente sono Ludwig Van Beethoven (che è stato sordo per gran parte della sua vita) e Giacomo Puccini (compositore di molte e bellissime opere liriche con donne come protagoniste)

- Non capisco quasi niente di sigarette. La mia conoscenza viene per osmosi dal guardare miei conoscenti e ho scelto le Marlboro Rosse per Sherlock semplicemente perché ho sentito dire che sono piuttosto intense (qualunque cosa voglia dire). Tra l'altro nel canon John si lamenta con Sherlock perché il tabacco che quest'ultimo fuma è indecentemente forte, quindi...

 
   
 
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