Capitolo ottavo
Pagherei pure tutto l'oro del
mondo
Per tornare al giorno quando t'ho conosciuto
E mi sono fidata
Quando il tempo da tiranno si faceva buono
Lo ignoravo ma era quella la mia vera svolta
Così adesso prendo fiato fino a farne suono
Non m'importa tu sia l'unica che adesso ascolta
Possa ogni mio graffio
preservarti dal male
Tutto ciò che conosco darti da imparare…
(“Tutto l’oro del mondo” – Noemi)
La terribile notte di battaglie contro
Estranei e non- morti era finita e gli uomini avevano vinto… o meglio, era
stata una ragazza, Arya, a vincere praticamente da sola, eliminando il Re della
Notte e così distruggendo tutte le creature a lui legate, ma non staremo a
spaccare il capello in quattro!
E in effetti era andata bene in particolare a
quelli che si erano rifugiati nelle cripte per stare al sicuro, tra i quali c’era Tyrion. Infatti i non- morti
avevano appena iniziato a risvegliarsi e a cercare di uscire dai sepolcri (come
qualcuno aveva preannunciato pur avendo un solo neurone…), ma poi Arya aveva
trafitto il Re della Notte e i morti risvegliati erano andati in pezzi davanti
alla gente atterrita. Salvati in corner,
è proprio il caso di dirlo!
La mattina successiva c’era stata una
toccante cerimonia funebre per dire addio a coloro che avevano perso la vita
nella battaglia fatale, tra cui Jorah Mormont, morto per salvare la sua Regina,
la sua giovanissima nipote Lyanna, Ed Tollett dei Guardiani della Notte, Beric
Dondarrion (capostipite dei morti che resuscitano, ma stavolta a quanto pareva
aveva esaurito i bonus) e molti altri
soldati, guerrieri e semplici cittadini. Jon Snow fece un bel discorso
commovente per onorare i defunti, disse che non sarebbero mai stati
dimenticati, che avevano salvato l’umanità e bla bla bla e poi furono accese le
pire e venne dato fuoco a tutti quanti (hai visto mai qualcuno potesse decidere
di risvegliarsi?).
Messi da parte i morti, ci si occupò dei vivi
e quella sera ci fu un grande banchetto per festeggiare quella vittoria così
importante. Al tavolo d’onore della Sala dei Banchetti di Grande Inverno sedeva
la famiglia Stark (tranne Arya che non si sapeva dove si fosse cacciata),
Daenerys Targaryen e i suoi consiglieri e alleati Tyrion, Jon, Ser Davos e Lord
Varys (sorpresi? Lo sono stata anch’io, credevo fosse morto da un pezzo!). Agli
altri tavoli sedevano in ordine sparso tutti coloro che avevano partecipato
alla battaglia, alleati, soldati, Illuminati ecc… e al tavolo più vicino a
quello degli Stark si trovavano Theon, Ramsay, Jaime Lannister e Brienne.
Ad un certo punto il giovane Gendry (tanto
per dirne un altro che avevano raccattato chissà dove e che io credevo morto…)
si alzò dal tavolo e decise di andare a cercare Arya, forse sperando in un bis dell’incontro inaspettato ma molto
piacevole avuto con lei la sera prima… ma la voce di Daenerys lo fermò,
raffreddando almeno per il momento i suoi bollenti spiriti.
“Tu sei Gendry Baratheon, il figlio di Robert
il traditore, non è così?” gli chiese la Regina dei Draghi.
Gendry pensò che era piuttosto paradossale
essere sopravvissuto a Estranei e non- morti per poi finire giustiziato dalla
Targaryen, tuttavia rispose sinceramente.
“Sì, sono il suo figlio bastardo.”
Quella parola attirò l’attenzione di Ramsay
che, quella sera, era più strano del solito anche per i suoi standard, stava in
silenzio e non commentava spocchioso tutto ciò che gli avveniva attorno.
“Ma guarda, c’è anche un altro bastardo nel
gruppo. Cos’è, vogliamo fondare una Confraternita?”
commentò a bassa voce e senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Sei comunque l’unico Baratheon ancora in
vita e mi risulta che attualmente non ci sia nessun Lord a Capo Tempesta”
riprese Daenerys. “Dunque da questo momento io ti nomino Lord Gendry Baratheon,
nuovo Signore di Capo Tempesta.”
Gendry restò allibito.
“Ma io… io sono solo un bastardo…” obiettò.
“Non più, adesso sei un Lord e un Baratheon
perché lo stabilisco io” dichiarò la Regina.
Mentre tutti brindavano e inneggiavano al
nuovo Lord Gendry, il giovane ringraziò Daenerys come si conveniva e poi si
defilò elegantemente per andare a cercare Arya, sperando che il fatto di essere
un Lord lo rendesse più desiderabile ai suoi occhi! Insomma, quella sera Gendry
voleva darsi alla pazza gioia!
Ramsay, che continuava a sentirsi strano,
aveva seguito con attenzione particolare questa scena.
“Anche per me è stato così, sono stato
legittimato da Re Tommen” disse, senza aspettarsi una risposta. “Però ora Re
Tommen è morto e molto probabilmente i Lannister saranno sconfitti. Chissà se
dovrei farmi legittimare anche dalla Regina Targaryen, tanto per stare sul
sicuro?”
Ovviamente, con il tatto e la delicatezza che
lo contraddistinguevano, Ramsay aveva accennato alla probabilissima sconfitta
dei Lannister proprio in faccia a Jaime… per sua fortuna l’uomo, con gli anni e
le dolorose esperienze vissute, aveva sviluppato abbastanza pazienza e
tolleranza da fingere di non averlo neanche sentito.
Theon, invece, avrebbe voluto rispondere a
quel dubbio amletico di Ramsay, ma proprio in quel momento Sansa si alzò in
piedi: anche lei aveva un annuncio molto importante da fare, non voleva certo
essere da meno di Daenerys, in fondo quella era casa sua!
“Theon Greyjoy, ti prego di venire qui
davanti a tutti i nostri alleati e ospiti” disse, così Theon si alzò e andò a
mettersi davanti al tavolo, più o meno come aveva fatto Gendry poco prima.
“Theon, durante la battaglia contro gli
Estranei hai messo a repentaglio la tua vita ed eri pronto a morire pur di
proteggere Bran dal Re della Notte” disse la ragazza. “Il tuo coraggio e la tua
abnegazione hanno cancellato ogni minima traccia del male che avevi fatto anni
fa alla mia famiglia. Da oggi in poi io dichiaro che tu sei uno Stark proprio
come noi. Ovviamente sei anche un Greyjoy e, quando vorrai, potrai tornare a
Pyke a governare al fianco di tua sorella, ma in quanto Stark avrai il diritto
di vivere a Grande Inverno e di godere di tutti i privilegi della famiglia tutte
le volte che lo desidererai.”
Sansa girò attorno al tavolo e si avvicinò a
Theon per appuntargli sul mantello una spilla con il simbolo della Casa Stark,
poi lo abbracciò tra gli applausi di tutti (tranne uno). Theon aveva le lacrime
agli occhi e quasi tremava per l’emozione; al contrario, al suo tavolo Ramsay
diventava sempre più cupo e imbronciato e aveva respinto il piatto perché il
cibo iniziava a dargli la nausea. Ogni parola che Sansa pronunciava gli si
piantava nello stomaco e Ramsay si sentiva sempre più abbacchiato e
malinconico.
“Adesso che sei uno Stark, se ti fa piacere
puoi sederti al nostro tavolo, accanto a Bran e Rickon” disse poi Sansa a Theon
con un sorriso.
Theon era talmente felice ed emozionato da
non trovare le parole, per un attimo dimenticò Ramsay e la sua gelosia e,
commosso, andò a sedersi accanto a Rickon. La cosa che lo faceva sentire più
completo e soddisfatto era il pensiero che quel momento rappresentava la chiusura
di una spirale dolorosa iniziata più di cinque anni prima. Allora aveva cercato
di conquistare Grande Inverno per dimostrare di essere degno degli Stark, ma
aveva collezionato solo una lunga serie di disastri e figure di merda, da quell’inetto
che era, e aveva fatto scappare Bran e Rickon mettendo in pericolo la loro
vita. Adesso, invece, aveva compiuto un gesto di grande valore e generosità
proteggendo Bran ed era stato proprio questo gesto a fargli guadagnare il
diritto di fregiarsi davvero del nome e dello stemma degli Stark; poteva sedere
accanto a Bran e Rickon al tavolo d’onore come se fosse stato uno dei loro
fratelli. Il cerchio si era chiuso. Dopo aver vissuto una vita inutile da
cretino viziato ora si era finalmente conquistato stima, rispetto e una nuova
famiglia che lo amava.
Sì, però Theon non poteva smentirsi più di
tanto e, perduto nell’incanto di sentirsi uno Stark, sembrava aver dimenticato
Ramsay, tutto ciò che gli aveva promesso e come avrebbe potuto sentirsi lui
davanti a quella scena. Insomma, un po’ cretino lo era ancora…
Il giovane Bolton era completamente avvilito.
Provava sentimenti confusi che riusciva a definire solo come rabbia, ma non si
limitavano a quella, era solo che lui non sapeva gestire altri tipi di
emozioni: pensò di mettersi a tagliare furiosamente le dita di tutti gli Stark
e poi farle mangiare a Theon, o magari viceversa… ma anche quei pensieri non lo
confortavano affatto, non lo entusiasmavano più come facevano una volta. Sentiva
un dolore sordo che non si sarebbe lenito tagliando dita, mani, piedi o
qualsiasi altro arto a chicchessia, così si alzò silenziosamente dal tavolo
senza degnare di uno sguardo gli invitanti coltelli che vi erano posati sopra e
uscì dalla stanza. Gli occhi gli bruciavano e non capiva perché, visto che il
fumo degli incendi era ormai spento… e aveva un macigno che gli premeva nel
petto e lo soffocava. Sentiva il bisogno di andare fuori, respirare l’aria
gelida del Nord. Lasciato il salone camminò per i corridoi fino a scendere nel
cortile, avviandosi verso il portone che in quel momento era aperto. Certo, i
nemici erano stati distrutti e Cersei Lannister non avrebbe certo sferrato un
attacco quella notte, là fuori c’erano solo le pire dei caduti.
Tanto lo sapevo, l’ho sempre saputo: a Theon non importa
niente di me. È rimasto al mio fianco solo perché era costretto, perché
altrimenti gli avrei tagliato altre dita, e poi perché non aveva nessun altro
al mondo che lo cagasse… Adesso però è diventato un eroe, è uno STARK, che
diamine, e tutto il salone lo inneggia, Sansa e gli altri lo chiamano fratello,
cosa può interessargli di un bastardo che non ha niente da offrirgli? E perché
me ne stupisco? Nessuno mi ha mai voluto, nemmeno mio padre, come potevo
sperare di avere l’attenzione e l’affetto di un giovane bello e nobile come
Theon? Forse solo se avessi continuato a trattarlo da Reek…
Ma non era quello che desiderava. Tutto d’un
tratto anche i ricordi che considerava felici, le torture a Forte Terrore,
tutte le volte in cui aveva terrorizzato quel Reek con le minacce più atroci o sguinzagliandogli dietro i cani…
niente lo emozionava più, niente lo appagava. In realtà quello che veramente
ricordava con gioia ed emozione erano stati i momenti più teneri con Theon,
quando lo aveva salvato dagli Stark, quando lo aveva portato a Pyke, quando
erano vissuti in quel castello costruito male e con dei ponti assurdi, ma in
cui lui era stato veramente… felice, ecco, felice come non aveva mai creduto di
potersi sentire.
Era Theon che voleva, era il suo amore, e
adesso non lo avrebbe avuto mai più: Theon aveva scelto gli Stark, non lui, e
le promesse che gli aveva fatto erano tutte dimenticate.
Ramsay, che piangeva lacrime che gli si
congelavano subito sul viso e non capiva nemmeno che stava piangendo, si
incamminò verso il portone di Grande Inverno e stava per varcarlo quando una
voce lo fermò.
“Ehi, ragazzo, dove stai andando in questa
notte gelida?”
Era Tyrion che, dopo aver assistito alla
scena della nomina di Theon a Stark
onorario, aveva guardato verso Ramsay e, vedendolo uscire dal salone, si
era scusato con Daenerys e aveva deciso di seguirlo. Forse lui più di chiunque
altro poteva capire come si sentisse in quel momento, anche lui da sempre messo
da parte, dimenticato, emarginato non appena all’orizzonte si profilava
qualcuno di più interessante.
“Non lo so” fece il giovane, trasognato. “Era
troppo caldo nel salone e… e poi non era il mio posto.”
“Dici? Non saprei, in fondo non è neanche il
mio” ribatté Tyrion. “Ma questa sera siamo tutti amici, abbiamo sconfitto
quegli esseri mostruosi insieme, quindi almeno per adesso tutto ciò che abbiamo
fatto in passato è sospeso, non importa se siamo Lannister, Stark, Bolton o
Targaryen. Perché non torni dentro con me? Theon si preoccuperà se non ti vede
più al tavolo.”
A Ramsay sfuggì un risolino amaro.
“Theon? A Theon non importa niente di me e
non si accorgerebbe neanche se scomparissi per sempre” replicò, cupo. “Adesso
ha i suoi Stark, i suoi fratelli, non
ha bisogno di un bastardo come me… Forse dovrei tornare a Forte Terrore, tanto
mio padre è alle Torri Gemelle con i Frey. Ecco, farò così, tornerò a Forte
Terrore stanotte stessa, non importa se non c’è nessuno, pian piano troverò
qualche altro avanzo di galera per farmi da servitore…”
Tyrion iniziò a preoccuparsi seriamente. Quel
ragazzo, tutto sommato, gli faceva pena e gli ricordava fin troppo se stesso
alla sua età, le tante delusioni e disillusioni avute, le mortificazioni subite
dal padre e dalla sorella. Si rese conto che Ramsay sragionava… sì, più di
quanto fosse normale per lui. Pensava forse di andare a piedi in mezzo alla neve e nella notte gelida da Grande Inverno a
Forte Terrore? Persino il suo neurone solitario poteva capire che una cosa del
genere era impossibile, che sarebbe morto congelato dopo neanche mezz’ora di
cammino a voler essere ottimisti.
Ma forse era proprio quello che Ramsay
voleva?
Tyrion cercò di trattenerlo con le sue
chiacchiere e, nel frattempo, sperava che Theon non fosse davvero quell’idiota
che lui aveva sempre pensato, che notasse l’assenza di Ramsay dal salone, si
preoccupasse e venisse anche lui fuori a cercarlo. Era chiaro che il giovane
Bolton si sarebbe fermato solo e soltanto se fosse stato Theon in persona a
venirselo a prendere.
“Forte Terrore, dici? Beh, potrebbe essere
una buona idea, anche se non lo conosco, non ci sono mai stato” disse Tyrion,
tanto per guadagnare tempo. “Però non ci arriverai mai senza un cavallo. Perché
non torni nel salone con me, beviamo, mangiamo e ci riposiamo? Domattina
chiederò alla Regina Daenerys di donarti un cavallo, se sarai ancora dell’idea
di recarti a Forte Terrore, che te ne pare?”
“Grazie ma no, posso arrivarci benissimo a
piedi stanotte” ripeté Ramsay, con una voce bassa, stanca e piena di tristezza.
Tyrion pensò ancora una volta che Theon era
un imbecille e che doveva sbrigarsi a ricollegare il cervello, altrimenti
avrebbe perso per sempre il suo compagno. Certo, poteva andarlo a chiamare lui
stesso, ma con le sue gambette corte e tozze avrebbe fatto in tempo a
raggiungerlo e riportarlo indietro prima che Ramsay svanisse nella notte?
Fine capitolo ottavo