SPOILER per tutte le stagioni di Daredevil e per Defenders. Sconsiglio
la lettura a chiunque non le abbia viste perché, a
prescindere dagli spoiler,
la storia ricalca molto il canon e richiede che il lettore ne conosca
gli
eventi per potersi orientare. Ci sono vari salti temporali e gli eventi
che ho scelto
di non raccontare vengono dati per scontati.
Il tuo nome, una
preghiera
Gli
bruciano gli occhi; vede il volto di
suo padre, il cielo luminoso dietro di lui, e poi tutto sparisce.
“Non
ci vedo! Non ci vedo!” urla, troppo
terrorizzato per notare il pizzicore al braccio dove la pelle emerge a
formare
dei punti rialzati.
In un
momento determinante della propria
vita, il destino tesse il nome dell’anima gemella sul corpo
di ognuno. Matt
Murdock l’ottiene il giorno in cui perde la vista e guadagna
molto di più, in
un alfabeto che ancora non ha imparato a decifrare.
⠉⠇⠁⠊⠗⠑
Dopo la
morte di suo padre, Matt si
trova spesso a passare le dita sui punti rialzati vicino al suo polso.
Gli
piace pensare che almeno quel nome appartenga solo a lui, che nessuno
possa
carpirlo con uno sguardo; gli piace sognare che un giorno
incontrerà la sua
anima gemella e i pezzi della sua vita torneranno al loro posto, almeno
in
parte.
Stick non
è d’accordo.
Dopo una
sessione d’allenamento lo
sorprende a cercare conforto in quel nome – la sua mano si
è mossa d’istinto –
e sbuffa in modo derisorio. Matt si irrigidisce all’istante e
riluttante
allontana la mano.
“Lascia
perdere le favole, Matty,” ordina
Stick, raccogliendo il bastone da terra. “I guerrieri non
hanno bisogno di anime
gemelle. Roba del genere ti uccide e basta.”
“Ma
papà mi ha detto…”
“Per
lui ha funzionato bene, vero,
Matty? Con tua madre?”
Matt si
zittisce, incapace di trovare
una risposta adeguata. Stick ha ragione. Forse suo padre e sua madre si
sono
trovati e si sono amati, ma lei poi li ha lasciati. Forse le anime
gemelle sono
una bugia, dopotutto. Forse… forse non ha bisogno di una
sconosciuta. Lui è un
guerriero.
Matt smette
di tracciare i contorni del
nome, da quel momento, e se di notte il vuoto dentro di lui fa un
po’ più male
stringe i denti e lo ignora. Lui è un guerriero.
Anche se
Stick se ne va e non finisce
l’addestramento.
A volte gli
capita di pensarci,
distrattamente, mentre è al college e Foggy parla di Marci e
del suo rifiuto di
rivelargli la sua traccia, e Matt, pensi che sia lei la mia
anima gemella?
Dev’esserci un’altra Marci che mi aspetta da
qualche parte. O forse no?
Matt sa
cosa direbbe Stick sulla sua
amicizia con Foggy, ma non gli importa. Stick se
n’è andato e lui ha intrapreso
la strada che suo padre avrebbe voluto per lui. Durante il primo anno
Matt
conosce una ragazza con il suo nome, ma non succede
niente che vada
oltre un paio di drink una sera.
Poi Matt
conosce Elektra, e d’un tratto il
sistema delle anime gemelle perde ogni senso.
Lui ed
Elektra sono pezzi che si
incastrano alla perfezione, anime che si conoscono e capiscono in un
modo che
non ha mai provato prima. Elektra intuisce da sola i suoi segreti, e
Matthew
lascia che li porti alla luce, perché è
Elektra. Ama il suo odore, la
sua risata, le sue follie.
Elektra gli
dà alla testa e Matt pensa
di non aver bisogno di nient’altro. Per la prima volta dopo
la morte di suo
padre, trova una persona a cui appartenere del tutto.
Elektra
entra nella sua vita come un
vento violento ed esce allo stesso modo, d’improvviso, dopo
aver scatenato una
tempesta. La notte in cui rientra al dormitorio del campus con il
sangue dell’assassino
di suo padre ancora sulle nocche, Matt ha la testa piena dei momenti
passati
con Elektra e delle ultime parole che si sono rivolti. Pensavo
che mi
capissi.
Elektra,
come Stick, ha visto ogni parte
di Matt. Elektra se n’è andata, sparita senza un
addio dopo avergli stravolto
la vita. Matt passa giornate a letto e si ripromette di non aprirsi mai
più
così con qualcuno – ha pensato di confidarsi con
Foggy, a volte, ma ora è impensabile.
Verrebbe solo abbandonato di nuovo.
La sua
anima gemella non è un’eccezione:
chiunque sia, se mai lo conoscesse finirebbe solo per abbandonarlo
anche lei.
Matt compra un polsino e inizia a indossarlo sopra il nome.
⠉⠍
Claire non
crede ai suoi occhi. Le
pupille dello sconosciuto con la maschera non rispondono alla luce. Non
si
sofferma a pensarci troppo – non c’è
tempo – e prosegue l’ispezione; deve
sbrigarsi a stabilizzarlo.
Lui non
collabora, ovviamente. Cerca di
alzarsi solo per ricadere a terra pochi secondi dopo, appena si
risveglia la
interroga come se non fosse lei ad avere il diritto di fare domande
allo
sconosciuto che ha trovato moribondo in un cassonetto. Claire,
però, risponde –
anche quando lui le chiede il nome.
Non si
aspettava davvero di riceverne uno
in cambio, ma il silenzio brucia lo stesso.
“Ti
chiamerò Mike.”
È
un po’ ingiusto: Mike era un bugiardo,
quest’uomo – se non si è sbagliata sul
suo conto – è una sorta di eroe. Un eroe
misterioso, tuttavia, e il nome gli calza.
Per un
secondo è stata tentata di
assegnargli un altro nome, ben più importante, ma si
è ripresa in fretta.
“Riposa,” gli ordina, chiedendosi ancora perché
abbia deciso di
accogliere un vigilante ferito in casa accettando di non chiamare aiuti
meglio
equipaggiati.
È
assurdo e incosciente, eppure sente di
aver compiuto la scelta giusta.
Non si
pente della sua scelta nemmeno
dopo essere stata rapita dai russi, né mentre trema
nell’appartamento scarsamente
illuminato di Mike. Deve fargli capire che ne è valsa la
pena.
“Sono
spaventata, non lo sono mai stata
così tanto. E non sono l’unica. Tu puoi fare
qualcosa a riguardo per tutti noi,
Mike.”
“Matthew.”
Il battito
di Claire accelera, stavolta
non per la paura. Stringe ancora la mano di Mik— Matthew
posata a
sentirle il cuore.
“Mi
chiamo Matthew,” chiarisce lui, e la
situazione è così surreale che Claire potrebbe
ridere.
Ha
conosciuto vari Matthew nel corso
della sua vita, tutti con nomi diversi dal suo segnati chi sulla
schiena, chi
sullo stomaco, chi sull’avambraccio. Ora che ci pensa, non ha
mai visto la
traccia dell’uomo davanti a lei, nonostante gli abbia
trattato tagli un po’
ovunque.
“Claire?
Il tuo cuore…”
“Matthew,”
pronuncia, interrompendolo, e
il nome suona giusto sulle sue labbra – più giusto
di Mike. “Non ho mai visto
la tua traccia.”
Lo sente
irrigidirsi. Poi, Matthew
sposta la mano dal suo petto per rimuovere il polsino che indossa
sull’altro
braccio. Il polsino, ma certo. Passa i polpastrelli
sulla pelle non più
coperta, e Claire non capisce subito. Sul braccio del vigilante non
vede delle
lettere ma, avvicinandosi, nota dei punti in rilievo. Braille.
“Sei
tu,” mormora Matt; sembra stupito
quanto lei, come se non avesse considerato la possibilità
prima di allora.
“Ovviamente sei tu. Mi dispiace, Claire.”
Claire lo
zittisce posandogli due dita
sulla bocca. “A me non dispiace, Matt.”
C’è
altro che dovrebbe, vorrebbe, dire,
ma… è tardi e sono entrambi esausti, ancora
provati dallo scontro con i russi. Ci
sarà tempo più avanti per parlare. Claire si alza
e, prima ancora che possa
chiedere dove può dormire, Matt le mostra la camera da letto.
Claire non
protesta, vedendolo
accamparsi sul divano.
“Non
dovrei permettermi di innamorarmi
di qualcuno che è così vicino a diventare
ciò che odia.” È egoista, come frase,
e una parte di Claire sa che è ingiusto tirare in ballo i
suoi sentimenti. Ma
Matt l’ha spaventata, tutto fredda determinazione, e non si
è presa tempo per
riflettere. Non c’era.
“Hai
ragione,” dice Matt, e lei trattiene
il respiro, “non dovresti.”
Matt le
dà le spalle ed esce a cercare
Vladimir, e Claire pensa di non aver mai provato tanta paura in tutta
la vita.
Poi
Hell’s Kitchen esplode e andare all’ospedale
ad aiutare è una scelta automatica. Rendersi utile le fa
bene, se non altro la
tiene impegnata, ma a toglierle un peso dal cuore è solo la
voce di Matt che le
conferma di non essere responsabile per le esplosioni che hanno
decimato i
russi. Matt che le chiede come salvare la vita di Vladimir, e Claire
stenta a
credere che le domandi di salvare l’uomo che l’ha
fatta rapire e torturare, ma.
Matt vuole salvare vite e non prenderle, ed è questo che ama
di lui. Risponde
di sì e tra sé gli augura di riuscire.
È
quando le dice “Se non dovessimo
sentirci più, cerca di stare bene” e
termina la chiamata, che comprende con
assoluta certezza che lei e Matt non avranno un dopo. Anche se
riuscisse a
sopravvivere, Matt non la cercherà per non metterla a
rischio.
Non
è certa di cosa dovrebbe fare lei.
⠉⠍
Non pensava
di poter deludere Claire più
di quanto non avesse già fatto, eppure sul tetto
dell’ospedale ci riesce
ancora. Le parole della sua anima gemella suonano vere, razionalmente
le
riconosce anche di aver ragione, ma emotivamente il discorso
è diverso.
Matt non
può più continuare a commettere
gli stessi errori, non può fingere di poter vivere due vite
e circondarsi di
persone che puntualmente finisce per ferire e allontanare. Ha perso
Karen, ha perso
Foggy, ha mandato via Elektra – perdere di nuovo
Claire fa male, ma è
meglio così. Sa di non avere niente da offrirle se non
problemi e sofferenza.
Il destino le ha giocato un brutto tiro, ma Claire si merita di meglio.
Se lo
ripete come un mantra, nei mesi
dopo la morte di Elektra, quando scopre che per paradossale che sia
è di Claire
che soffre più la mancanza. Non di Foggy, che ha ottenuto il
lavoro dei suoi
sogni e raggiunto il successo, né di Karen a cui ha
finalmente confessato la
verità ricevendo come risposta non so se il
problema è Daredevil. I suoi
amici stanno bene, ora, senza di lui. A volte nota i loro battiti,
così
familiari da attirarlo inconsciamente, in giro per il quartiere.
Non trova
mai i suoni e gli odori che
nel suo mondo identificano Claire, invece, e la sua assenza brucia
quasi quanto
quella di Elektra. Claire ha sempre cercato di fargli da voce della
ragione, di
riportarlo alla realtà, e Matt considera più di una
volta l'idea di andare a trovarla ora
che si è lasciato Daredevil alle spalle. Ogni volta scaccia
l’idea; non sarebbe
giusto. Finirebbe solo per ferirla di nuovo. Non ferma le dita dal
tracciarne
il nome in un gesto che si è negato per anni,
però. Almeno questo può
concederselo.
Sono
passati mesi da quando l’ha
sentito, nella stanza appartata di un ospedale, ma riconosce il battito
di
Claire appena mette piede nella stazione di polizia. Ha scortato Karen
e voleva
accertarsi che Foggy fosse arrivato senza problemi, ma la sorpresa gli
impedisce di concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Perché
Claire è qui?
“Matt?”
Claire l’ha notato a sua volta e
si è sbrigata a raggiungerlo. Matt è congelato
sul posto. “Dovevo immaginare
che fossi coinvolto anche tu.”
“Claire,”
mormora, soffermandosi un
momento sul nome che suona così giusto
sulle sue labbra. “Perché sei
qui? Stai bene?” domanda, ma sa che almeno fisicamente
è illesa: non c’è odore
di sangue, su di lei. Mentre se ne accerta, trova anche la risposta
alla prima
domanda. A portarla alla stazione è stato Luke Cage.
“Non
sei l’unico eroe che conosco,”
scherza Claire. Gli è mancata la sua voce.
“Io…”
Matt deglutisce. Ci sarebbe troppo
da dire, e al contempo nulla, e non ha tempo ora. Deve andare ad
aiutare
Jessica. “È stato bello rivederti,” dice
rapido, sperando che quelle semplici
parole possano trasmettere tutta la loro verità, e lascia la
stazione con un
ultimo saluto.
Forse
è solo un’impressione, ma gli
sembra che Claire lo osservi finché non sparisce alla vista.
⠉⠍
Matt.
Dovrebbe
essere abituata, ormai, a
vederlo sdraiato su un divano privo di coscienza, ma la preoccupazione
che
sente è sempre la stessa. Stavolta non è ridotto
a brandelli, che è sicuramente
un passo avanti, ma chiunque abbia steso lui è riuscito a
sopraffare anche Luke
e Jessica. È preoccupante.
Claire
inspira a fondo e si obbliga ad
accantonare i sentimenti, focalizzandosi sul compito che ha davanti. Si
fa
aiutare da Foggy a rimuovere la camicia di Matt per poterla consegnare
a Misty
per le analisi, poi si mette al lavoro. Niente di rotto, per fortuna.
Gli tasta
il retro della testa, cercando zone particolarmente tenere, ma non
trova nulla.
Le pupille sono della stessa grandezza, il che è positivo.
“Starà bene”
mormora, a beneficio di Foggy, e si augura che sia vero.
Insieme
all’avvocato riesce a manovrare
Matt in modo da infilargli la maglietta della polizia fornitale da
Misty. Si
siede un momento accanto al divano e si permette di osservare i
movimenti del
petto di Matt senza un vero motivo. Averlo qui, a un passo da lei, per
la prima
volta dopo il disastro al Metro General le sembra ancora irreale. Si
è tenuta
impegnata con Luke, Danny e Colleen, ma adesso si trova a chiedersi
perché non
sia tornata da lui. Avrebbe potuto contattarlo, chiedergli di vedersi
anche
solo da amici, sentire com’era la sua vita dopo la rinuncia a
vestire i panni
del vigilante.
Il volto di
Matt si contrae nel sonno; d’istinto, Claire
gli passa una mano tra i capelli sperando di vederlo rilassarsi, e in
quel
momento sa di aver mentito a sé stessa. Non può
chiedere a Matt di vedersi solo
da amici, non ne sarebbe capace, e non sa se è in
grado di costruirci
qualcosa di più. Per questo si è tenuta lontana,
anche dopo aver aiutato Luke a
riconciliarsi con Jessica.
“Matt…”
Il telefono
dell’ufficio squilla all’improvviso
e Matt si alza di scatto, disorientato. Fa quasi cadere una lampada, ma
riesce
a recuperare l’equilibrio in tempo.
“Matt,
va tutto bene.” È una bugia –
Danny è sparito, Luke è ancora privo di sensi e
la polizia li ha trovati con
due cadaveri nell’edificio – e Claire si chiede se
Matt sia abbastanza lucido
da notarlo. Non che abbia bisogno di ascoltarle il battito per
rendersene
conto, in effetti.
“Claire?
Dove siamo?”
“Distretto
di polizia di Harlem, in un
ufficio privato. Cos’è successo, Matt? Non ho
trovato ferite gravi, puoi
confermarmi che stai bene?”
Matt
inclina la testa e resta assorto
per alcuni secondi, probabilmente ascoltando la sua respirazione o
qualcosa di
ugualmente impossibile eppure così Matt.
Quando termina, annuisce senza
commentare. “Danny, hanno preso Danny. Devo
salvarlo.”
“Matt,
aspetta. Chi ha preso Danny?”
Prima che
Matt possa risponderle – o non
farlo –, Misty entra nell’ufficio, determinata a
interrogare il suo testimone.
Matt ha idee diverse.
Midland
Circle crolla davanti ai suoi
occhi e tutto ciò a cui riesce a pensare è che ha
accettato di posizionare le
bombe. Ha accettato di far esplodere l’edificio, e Matt
Murdock non tornerà più
da lei perché l’ha lasciato andare senza farsi
promettere il suo ritorno.
Claire
prega il Dio di Matt, per la
prima volta dopo anni, perché sembra l’unica cosa
da fare.
Alla
stazione di polizia raggiunge Foggy
e la reporter amica di Matt. Sa di dover loro i fatti, che ne hanno
diritto. Lo
sa, ma… Matt non tornerà le
resta in gola, la sua voce si rifiuta di
riconoscerlo. Non c’è davvero bisogno che parli:
la verità le si legge in
faccia, a giudicare dalla reazione dei due. Li lascia abbracciarsi
senza
intromettersi nel loro dolore – non può
condividerlo. Loro piangono un amico,
lei rimpiange una possibilità inesplorata per la troppa
paura. Se non avesse
lasciato Matt, sarebbe cambiato qualcosa? Se… Ma
è inutile ragionare sui se.
Claire
rivolge un cenno a Luke, Jessica,
Danny e Colleen ed esce da sola dal distretto. Non si controlla il
braccio: vedere
la traccia sparire renderebbe la morte di Matt troppo definitiva. Non
è pronta
ad accettare di averlo perso per sempre, non ancora.
Se ne
accorge per caso, giorni dopo la
caduta di Midland Circle. Lo sguardo le cade sul nome di Matthew
prima
che possa correggersi, e quando si rende conto di trovarlo ancora
segnato dov’è
da anni inspira a fondo. La traccia sparisce, quando la
propria anima
gemella muore.
La sua
prima reazione è di panico. Matt
è ancora vivo, sepolto sotto le macerie? Se fosse stata meno
codarda avrebbe
potuto salvarlo prima, in qualche modo?
Ma no, non
è possibile. Anche se fosse
sopravvissuto al collasso dell’edificio – come?
–, senza acqua non
avrebbe potuto resistere tanto a lungo. Matt è vivo.
È un miracolo a cui
stenta a credere, senza vederne la prova. Senza riflettere, afferra la
borsa ed
esce di casa. Ha bisogno d’aria, di riflettere… ha
bisogno di trovarlo.
Considera
l’opzione di chiamare Foggy,
ma la scarta in fretta. Non sa se Matt gli abbia mai confidato la
natura del
loro rapporto. Sospetta di no, dato che Foggy non ha commentato niente
a
riguardo. Non è un discorso che si vede affrontare, in
questo momento, e non
vuole rischiare di dare false speranze a lui e Karen, se di questo
dovesse
trattarsi. La sua traccia potrebbe sparire da un momento
all’altro, per quanto
ne sa – si dice di no, deve negarselo, ma
la logica le consiglia
comunque di tenerlo per sé.
La sua
prima destinazione è Midland
Circle, come se Matt dovesse spuntare fuori dalle macerie e salutarla.
Resta
lì, ferma, senza che succeda niente. Non sa quanto ci
rimanga prima di riscuotersi.
D’un tratto la vista delle rovine le dà la nausea,
e Claire torna a muoversi.
Raggiunge
Hell’s Kitchen e lo sguardo le
corre ai tetti, mentre continua a camminare. Quasi si aspetta di
trovarvi un
uomo mascherato da un momento all’altro. Gira senza meta per
un’ora,
percorrendo ogni via del quartiere per cui Matt ha dato tutto,
finché non si
ritrova davanti a una parrocchia.
Entrarci
è più istinto che decisione
razionale.
Si
incammina per la navata pensando che,
se davvero Matt è ancora vivo, qualcuno ha risposto alla sua
preghiera.
“Serve
aiuto?”
Si blocca.
Persa com’era nelle sue
riflessioni, non si è accorta del prete che le si
è avvicinato in silenzio.
“Sono
qui per…” esita. Perché è
qui? Forse
la chiesa le è sembrata il posto adatto per cercare il suo
martire. Alza il
braccio per sistemarsi una ciocca dietro l’orecchio, e nel
farlo le si abbassa
la manica. Si affretta a riaggiustarla, notando gli occhi del prete
posarsi
sulla traccia. “Sono qui per un amico,” termina,
sentendosi… non a disagio, non
esattamente, ma agitata come se fosse sotto esame.
“Matthew?”
mormora l’uomo, cauto. “Chiedo
scusa,” aggiunge un attimo dopo, “non ho potuto
fare
a meno di leggere. Sono
Padre Lantom. C’è un Matthew che frequenta questa
chiesa.” L’ultima frase viene
pronunciata più come una domanda che come
un’affermazione.
“Matt
Murdock?” le sfugge.
Padre
Lantom le sorride. “Vorrei
mostrarle una cosa.”
Claire
annuisce, sorpresa, e si trova a
seguirlo. Imboccano un corridoio che collega la chiesa a un altro
edificio. È
sul punto di fare domande, perché Padre Lantom non ha
aggiunto altro lungo
tutto il percorso, quando finalmente si fermano davanti a una porta.
“È
qui,” mormora il prete, prima di aprire
e precederla nella stanza.
All’interno
ci sono tre letti, ma solo
quello al centro è occupato. Steso sopra le coperte
c’è un uomo con il torso
pesantemente bendato. Claire sa di chi si tratta ben prima di arrivare
al suo
fianco. “Matt.”
“Non
ha ancora ripreso conoscenza,”
spiega Padre Lantom avvicinandosi, e Claire deve compiere uno sforzo
significativo per distogliere la sua attenzione da Matt e
concentrarsi sulle
sue parole. È quasi certa di aver perso un pezzo.
“Le suore hanno fatto del
loro meglio per medicarlo. I suoi segreti sono al sicuro con
noi.”
Claire
annuisce, passando una mano tra i
capelli di Matt. È vivo. Le lacrime
iniziano a scendere a tradimento, ma
sono molto diverse da quelle versate dopo la caduta di Midland Circle.
“Sono un’infermiera,”
riesce a formulare coerentemente dopo solo un paio di tentativi.
“Rimarrò qui.”
Non è una richiesta, e non si sente in colpa per
l’imposizione.
Non
lascerà Matt, non più, a nessun
costo.
Padre
Lantom non la contraddice;
annuisce – lo nota con la coda dell’occhio
– ed esce dalla stanza.
Matt
è vivo.
⠉⠍
“Elektra…”
È
ferito. È difficile individuare ogni singola
ferita, il dolore viene da un po’ ovunque. A spaventarlo,
però, è l’assenza di
suono nel suo orecchio destro. Matthew è… cieco.
Non ha idea di dove sia.
Sente delle voci, ma sono fioche, indistinguibili.
“Matt.”
Stava
provando ad alzarsi, ma la voce
alla sua destra lo spinge a fermarsi. La riconosce. Tenta di toccarla,
assicurarsi che sia reale e non frutto della sua immaginazione.
“Claire?”
“Sono
qui, Matt.” La voce di Claire ha
qualcosa… sta piangendo? Perché piange? Gli
stringe la mano, però, e Matt si
tranquillizza in automatico.
Deve
concentrarsi. “Dove… dove?”
“Saint
Agnes. L’orfanotrofio.”
Saint Agnes?
Perché è qui? Perché…
Claire? Gli gira la testa. Vuole alzarsi, ma Claire
spinge delicatamente sulla sua spalla per tenerlo fermo
dov’è. Non riesce a opporsi.
“Dov’è…
Elektra?”
“Non
è qui. Matt, sei stato incosciente
per settimane,” l'informa Claire; suona più
vicina, ora.
“Il
mio orecchio… Claire… Non ci
vedo. Non ci vedo!”
Claire non
risponde subito. Matt crede
di sentire un singhiozzo, ma non ne è certo. Gli sembra di
essere sott’acqua.
“Andrà
tutto bene, Matt. Guarirai.”
È
l’ultima cosa che sente, prima di
richiudere gli occhi.
Claire non
se ne va.
Gli resta
accanto in ogni fase della
convalescenza, lasciandolo solo occasionalmente con Maggie quando
è costretta
ad assentarsi. Non succede spesso.
Quando sta
abbastanza bene da potersi
muovere, Claire lo porta a casa sua. Ha affittato un appartamento a
Hell’s
Kitchen, vicino alla chiesa. Quando le dice di non chiamare Foggy e
Karen lei
gli dà dell’idiota, ma non gli forza la mano.
“Allontanarti
dalle persone che ami non risolve
niente, Matt,” gli ripete ogni sera, finché Matt
non si trova a crederci.
Ha permesso
a Elektra di entrare nella
sua vita e ha dovuto pagarne il prezzo.
Claire
l’ha accolto nella sua avendo
solo un’idea delle sue attività notturne, e non se
n’è mai andata del tutto. Si
è allontanata – ha fatto bene
–, ma ha promesso di esserci sempre quando
ne avesse avuto bisogno. Non se l’è mai rimangiata.
“Perché
mi aiuti, Claire?”
Lei smette
di leggere al tavolo e lo
raggiunge sul letto, gli passa una mano tra i capelli. “Hai
davvero bisogno di
chiederlo, Matt?”
No, sa
già la risposta, per quanto gli
sembri incredibile.
Il giorno
dopo, smette di sentire sangue e cenere in tutto ciò che
assaggia. Quella sera chiede a Claire di chiamare Foggy.
“Te
quiero, Matt.”
Matthew
l’ascolta addormentarsi, calmato
dal ritmo regolare del suo respiro.
Sono
passate settimane da quando ha
riaperto gli occhi nell’infermeria
dell’orfanotrofio e ancora non è tornato
pienamente in forze – il ronzio
nell’orecchio destro persiste –, ma la
disperazione dei primi giorni in cui si è scoperto ancora
tra i vivi si è diradata.
Ancora non
crede di meritare la sua
anima gemella, però… Claire ha deciso di
rimanergli accanto. Stick aveva torto (e
perché se ne stupisce?): la sua anima gemella non
l’ha ucciso, l’ha tenuto
in vita. Non è una debolezza, ma la sua forza più
grande.
Matt non sa
se la merita, ma sa di non
avere la forza di lasciarla. Posso meritarla. Posso—
“Ti
amo anch’io, Claire,” le sussurra sui
capelli, dimenticando per un attimo tutto ciò che non siano
loro due stesi sul
letto. Il mondo – la sua città –
può aspettare, per una notte.
NdA
…e
poi Fisk esce di prigione e succedono
altri casini, immagino, ma Matt non li
affronterà da solo, in questo
universo.
Il tema di
giugno della To Be Writing
challenge è Soulmate!AU, una tipologia
di storia che amo, e non ho
resistito alla tentazione di sfruttare uno dei prompt più
classici del genere
[il nome del soulmate scritto sul proprio corpo] pensando a Claire che
inizialmente non sa il nome di Matt. La storia poi
mi è scivolata dalle
mani andando ben oltre il reveal, ma il motivo principale per cui ho
scelto di
trattare Matt e Claire (oltre al fatto che li amo) è questo.
Spero che
la lettura possa essere
risultata piacevole, e che non abbia presentato problemi nel seguirla:
ho
cercato di essere il più chiara possibile, ma so di aver
giocato molto con i
salti temporali. Se avete dubbi o domande risponderò
volentieri; una piccola
nota per un dettaglio che spero si sia intuito, ma tengo a chiarire: in
questo
universo Luke e Jessica sono soulmates e Claire non si mette con Luke,
sebbene
lo aiuti come nel canon. A cambiare è solo la natura della
loro relazione, e ho
immaginato anzi che sia proprio lei ad aiutare Luke e Jessica a
ritrovarsi.
Grazie
mille per aver letto! Un bacio,
Mari