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Autore: imagjneflowers    15/06/2022    0 recensioni
«Se ci tradisci, ti farò fare la stessa fine di Loki.» poi gli occhi gli caddero sulla mano che Steve aveva alzato a mezz'aria, invitandola a stringerla.
Zoe sorrise «Al massimo potrei lasciarti morire soffocato.» lui non rise, ma alzò le sopracciglia. Anche in un momento di pace, lei riusciva ad essere irritante. Tuttavia, lei afferrò la sua mano e la strinse.
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Zoe Knox è la persona più difficile che si potesse mai incontrare. È testarda, spavalda e a volte arrogante. Ma tra i suoi difetti, spicca un pregio: ha paura di far del male alle persone che ama.
Per anni Zoe ha rifiutato di incontrare Nick Fury e di scendere in battaglia, ma cosa succederebbe se decidesse di accettare quell'invito che rimandava da fin troppo tempo? Sarà in grado di integrarsi nel gruppo di supereroi più famosi al mondo?
***
L'UNICO PERSONAGGIO CHE MI APPARTIENE È QUELLO DI ZOE KNOX, TUTTO IL RESTO APPARTIENE AL MONDO MARVEL.
LA STORIA È MIA MA SEGUIRÀ LE VICENDE DEI FILM, OVVIAMENTE AGGIUNGENDO LA MIA FANTASIA.
LA STORIA PUÒ CONTENERE CONTENUTI ESPLICITI. OGNI VOLTA, SE PRESENTI, TROVERETE UN BOLLINO ROSSO 🔴 ALL'INIZIO DEL CAPITOLO.
•NUOVO CAPITOLO OGNI DOMENICA E MERCOLEDÌ!❤️
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: Bondage
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Sokovia, 19 novembre 1990.

John Pavlov era agitato. La sua fronte continuava a sudare e sentiva ogni cellula del suo corpo tremare. Eppure non si scompose, i colleghi non notarono nulla di strano. Era diventato bravo in questo, ormai. Certe volte credeva di star indossando una maschera che potesse vedere solo lui. Si voltò, cercando di leggere negli occhi di qualcuno la sua stessa agitazione. Qualcuno teneva lo sguardo basso, concentrandosi nei loro rispettivi compiti. Erano, più o meno, sette persone in quel laboratorio.

«Hai saputo che Strucker verrà domani mattina, Lee?» disse uno di loro. Lee Weber, un soldato tedesco che si era ormai dato alla scienza, non alzò lo sguardo sul collega che aveva parlato. Annuì lentamente. Lui era uno di quelli concentrati sul lavoro. Stava visionando delle schede, una in  particolare.

«Viene per vedere l'esperimento?» chiese ancora lo scienziato. John cercò di rimanere ancora più attento alla conversazione, mentre fingeva di aggiustare una piccola armatura.

«Probabilmente viene per prenderla e usarla, finalmente.» parlà finalmente Lee. John ricominciò ad agitarsi. Sapeva che Strucker sarebbe arrivato il giorno dopo, ma non sapeva che voleva portarla via.
In tutti quegli anni passati con l'Hydra, John aveva imparato ad aspettarsi di tutto. E probabilmente l'improvvisa decisione di usare l'esperimento era una di quelle cose inaspettate ma prevedibili. Ma John, forse per la prima volta in tanti anni, si stava rendendo conto che quella non era la strada giusta. Forse aveva addirittura i sensi di colpa.

«Usarla?» chiese scioccato lo scienziato. «Ma è sicuro usarla adesso?»

Lee Weber alzò le spalle «Ordini del capo, Carson. Ora torna al tuo lavoro»

John iniziò a chiedersi se la sua presenza nell'Hydra era giusta. Quando aveva accettato il lavoro, lo aveva fatto con orgoglio e con una voglia matta di seguire le orme di suo padre. Aveva iniziato con dei semplici piccoli passi e piccole missioni e nel corso degli ultimi dieci anni si era guadagnato la fiducia dei suoi capi.

Ma qualcosa negli ultimi due anni era cambiato.

Carson, lo scienziato che aveva dato inizio alla conversazione con Lee, si voltò nella direzione di John. Lo guardò con la fronte corrugata, scuotendo la testa «Insomma, Pavlov, tu devi pur sapere qualcosa!»

Anche in quel momento, John non ricambiò lo sguardo e valutò attentamente se dire qualcosa o no. Non che potesse dire gran che, in effetti.
«Cosa dovrei sapere?» rispose John, senza lasciar trasparire alcun segno di preoccupazione dalla sua voce. «Strucker deve avere comunque il permesso di Belial.» finì, calmo. Sia Carson che Lee alzarono lo sguardo nella sua direzione, intuendo che John sapesse realmente qualcosa in più e che si stesse trattenendo.

«Ma tu segui l'esperimento da due anni ormai. Saprai dire se è pronto no.» disse ancora Carson.

No che non era pronta. Non in quelle condizioni. Ma, a parte lui e Gregory Belial, tutti erano troppo superficiali per poterlo ammettere. Soprattutto Strucker. Da due anni spingeva Belial a muoversi con il progetto, lo voleva terminato già pochi mesi dopo che lei aveva messo piede in quel laboratorio. Se lo ricorda ancora quel giorno, John. Strucker e Belial erano eccitati di quello che avevano progettato, quest'ultimo in particolar modo. Negli anni in cui John aveva lavorato con Belial aveva potuto testare quanto lui fosse perfido, subdolo e perfino viscido. Tutti elementi che Strucker apprezzava.

«Non sono autorizzato a parlarne.» concluse John, sperando di porre fine a quella conversazione che non faceva altro che renderlo più agitato. Con la manica del suo camice grigio, John si asciugò velocemente la fronte. Gesto che non passò inosservato a Lee Weber, che sghignazzò tornando con lo sguardo rivolto al fascicolo che aveva di fronte.

«Sembri nervoso, John.» constatò l'ex soldato.

John scosse la testa «Voglio solo che sia tutto sotto controllo, Weber.» si decise ad alzare lo sguardo verso il suo collega, che però non lo ricambiava. Continuava a leggere il fascicolo attentamente, come se stesse cercando di capire da solo se l'esperimento fosse pronto o no.

«Dal tuo ultimo rapporto deduco che non sia effettivamente pronto.» pensò Lee a voce alta, poi incrociò finalmente lo sguardo di Pavlov «Eppure dovrebbe esserlo.»

John alzò le spalle «Eppure non lo è.» rispose a tono, senza abbassare lo sguardo.

Carson e altri colleghi che avevano ascoltato la conversazione risero silenziosamente. Lee era sempre stato un tipo molto arrogante, ma era un genio. Tutti si chiedevano spesso perché, in passato, avesse scelto la strada del soldato. Lui rispondeva sempre che voleva portare onore alla Germania, sopratutto nei periodi di guerra. In realtà  John credeva che quella fosse solo una tattica per finire nell'Hydra come scienziato o, addirittura, come capo. Conoscendolo, però, non avrebbe mai potuto avere il comando dell'Hydra. Non era all'altezza.
Lee sospirò strafottente e guardò il fascicolo «Per essere così piccola, ha già fatto grandi cose.»

A John vennero i brividi a sentire quelle parole. Era vero, purtroppo. L'ex soldato iniziò a sussurrare solo alcune delle cose che l'esperimento era stata in grado di fare i quei due anni, John fece finta di ascoltare ma si sforzò per non farlo. Non aveva mai visto niente in tutti quegli anni e mentre i suoi colleghi erano ammaliati da tale esperimento, lui avrebbe solo voluto mettere fine a tutto.

Si, forse si sentì in colpa.

Weben stava per dire qualcosa, ma una voce rauca e profonda fece voltare tutti i presenti «Pavlov, con me.» In quel laboratorio, sotto lo sguardo di Gregory Belial, calò il silenzio. John non sapeva quanti anni avesse, ma Beliav non dimostrava più di cinquanta anni. Era morto e risorto tante di quelle volte che lui stesso aveva perso il conto. Era un uomo alto, con i capelli perfettamente tirati all'indietro e con un cappotto blu scuro che lo copriva fino alle ginocchia. Chiunque avrebbe pensato di lui che fosse un uomo elegante.

John annuì e raggiunse il suo capo in silenzio. Conosceva ormai quella routine da due anni. Belial che lo chiamava per il solito controllo dell'esperimento, rapporto settimanale e, infine, di nuovo tutto normale. Ma John ormai conosceva Gregory Belial come le sue tasche. L'uomo era silenzioso, con lo sguardo duro e con le mani in tasca. John Pavlov pensò che forse quello sarebbe stato l'ultimo controllo, ma contro la volontà del suo capo.

«E' vero, allora?» chiese John. Belial lo guardò, ma non proferì parola. «Strucker verrà a prenderla domani?»

I due percorsero il lungo corridoio che portava alle celle in cui venivano rinchiusi gli esperimenti. Come tutta la base dell'Hydra, era un luogo buio e terrificante. Sopratutto quando incrociava gli occhi degli esperimenti. John ogni tanto provava a dargli un nome diverso, ma negli anni aveva imparato che quelle persone non erano altro che esperimenti.

Tutti, eccetto una.

«La prenderà solo se sarò io a dirlo. Devo essere certo che lei sia pronta.» disse Belial, facendo sospirare John.

«Non credo sia cambiato qualcosa rispetto alla settimana scorsa.»

John Pavlov era, da ormai due anni, il braccio destro di Gregory Belial. Da quando l'esperimento aveva messo piede nella base, Belial - che provava un enorme rispetto per il padre di John - aveva deciso di affidarla a lui per i soliti controlli settimanali. Gregory Belial, invece, si occupava proprio di sperimentare su di lei. Tutte le volte permetteva a John di assistere alle prove. Quest'ultimo aveva visto ogni cambiamento, ogni miglioramento e ogni peggioramento.

Forse era stato proprio questo il danno.

I due arrivarono alla cella in questione e, come al solito, fu dato a John il compito di entrare per primo.
«Prendila e portiamola in laboratorio.»setenziò Belial, facendo corrugare la fronte a John.

«Non dovrei solo controllarla?»

Belial sembrò spazientirsi «La controlliamo in modo diverso, oggi.»

John annuì voltandosi, incontrando finalmente lo sguardo della bambina. Era piccola, con dei lunghi capelli biondissimi. In quei due anni, parecchie volte le avevano tagliato i capelli, ma aveva accumulato talmente tanto potere che nel giro di un mese le ritornavano lunghi. La sua pelle era chiara,  a volte dopo gli esperimenti diventava anche bianca, John pensò di non averle mai visto le guance arrossate, neanche quando a volte si fermava a parlare con lei. Gli occhi erano marroni, ma quando veniva esposta sotto la luce il colore diventava verde. Tipico per chi ha i genitori con il colore degli occhi diversi. Lo scienziato aveva timore ogni volta che incrociava i suoi occhi. Erano tristi, spenti e a volte pieni di terrore. Anche John si terrorizzava nel vedere una bambina di sei anni conciata in quel modo. Lei rimaneva ferma sul suo piccolo lettino, l'unico oggetto che aveva in quella cella grigia. Ogni volta che entrava, John si fermava a guardare i graffiti che la bambina faceva sui muri. Ogni settimana erano diversi, lei era in grado di cancellare i vecchi e rifarli nuovi. Come quando si cancella con una gomma qualcosa disegnato su un foglio.

Si avvicinò a lei, che teneva lo sguardo rivolto verso uno di quei graffiti nuovi. Anche lui rivolse lo sguardo verso quei graffiti. La bambina aveva disegnato un prato pieno di fiori, ognuno di diversa forma, e qualche albero. John le sorrise.
«Hai preso sul serio la storia del tuo nome, vedo.» disse lui. Lei non alzò lo sguardo verso di lui, ma John intravide un debole sorriso. Si abbassò sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza. Per un attimo, gli occhi gli caddero sulle braccia. Aveva dei lividi quasi arrossati, provocati dalle ultime sedute con le apparecchiature elettriche. Trattenne il respiro, cercando di rimuovere per un momento gli episodi. Le sfiorò la sua piccola spalla, ma si ritrasse subito quando la sentì sussultare spaventata.

«Devi venire con me.» sussurrò lui e, come si aspettava, la bambina iniziò a tremare scuotendo la testa. Conosceva il copione a memoria, eppure tutte le volte aveva quasi più paura di lei.
«Non rendere le cose più difficili.» le disse ancora, questa volta in modo più fermo, cercando di afferrarla delicatamente dal braccio, ma lei continuò a dimenarsi.

John sospirò guardando velocemente dietro di se, dove fuori dalla cella c'era Gregory Belial. Lui non poteva sentire nulla, ma John solo guardandolo capì che stava iniziando a stancarsi di aspettare.
Rivolse lo sguardo di nuovo verso la bambina e si avvicinò ancora di più a lei «Se non accetti di venire con me, adesso, con le buone, entrerà lui,» John le indicò Belial e la bambina lo fissò terrorizzata «e ti farà uscire con le cattive.»

La bambina tornò a guardare John e parlò, con un filo di voce «Cosa vuole farmi?» chiese la piccola, sperando di aver parlato piano pur di non farsi sentire da Beliel. Il cuore di John perse un battito. Era raro sentirla parlare. In quei due anni l'aveva sentita per lo più urlare, ma erano poche le volte in cui parlava. Lo scienziato ormai aveva imparato a conoscerla: la bambina parlava solo quando era troppo stanca, quando non era in grado di reggere le prove.

John non trovò le parole. Non sapeva mai cosa risponderle. Quando l'aveva vista per la prima volta credeva che sarebbe stato facile gestirla, ma più vedeva come la distruggevano e più si distruggeva anche lui stesso. Non sapeva mai se dirle la verità su cosa le avrebbero fatto e non sapeva cosa risponderle quando lei gli aveva chiesto se i suoi genitori sarebbero mai andati a prenderla. Belial e John avevano capito che la piccola non ricordava più niente della sua vita precedente e ciò faceva sorridere il primo, perché ciò rendeva tutto più sicuro.
Provò a toccarla di nuovo e questa volta lei non si dimenò, anzi, sembrò prendersi di coraggio e si alzò per seguire i due uomini. Prima di uscire dalla cella, però, la bambina strinse la mano di John per richiamare la sua attenzione. John si abbassò di nuovo davanti a lei.

La bambina ingoiò la saliva e, con lo sguardo perso e stanco, fissò le sue iridi marroni in quelle di John.
«Puoi dirmi di nuovo come mi chiamo?» chiese lei.
John sentii un peso nello stomaco. Si sentiva responsabile per aver distrutto la vita di una bambina di quattro anni, che adesso ne aveva sei, si sentiva un mostro. Anche se lei, in una delle poche conversazioni che hanno avuto in quei due anni, definiva John il mostro buono. Il cattivo era, ovviamente Gregory Belial. L'uomo sospirò, sorridendole «Zoe. Ti chiami Zoe.»

Gregory, John e la piccola Zoe raggiunsero il solito laboratorio. Era grande, forse il più grande della base. Strucker si era assicurato che Belial potesse lavorare al meglio sull'esperimento e gli forniva sempre i migliori macchinari disponibili. Anche se, spesso, dei macchinari non c'era proprio bisogno. Belial conosceva la magia come se l'avesse inventata lui. Conosceva i suoi poteri e sapeva gestirli. Negli anni si era sempre preoccupato di testare sull'esperimento con le sue stesse mani. Le volte in cui ricorreva ai macchinari erano quando la bambina dava segni di resistenza, quando voleva concentrarsi sulla potenza dei poteri oppure quando, semplicemente, non obbediva agli ordini. E per quanto potesse essere tutto terribile, John sperava sempre che lei obbedisse a tutto quello che le veniva chiesto di fare. Vederla contorcersi, urlare e piangere contro le scosse elettromagnetiche era dura da sopportare.

Il terrorista prese la bambina dal braccio in modo brusco, completamente divero dal tocco gentile di John, le attaccò una serie di tubi nelle braccia e un casco sulla testa. Era da quel macchinario che provenivano le scariche elettriche, qualora ci fossero state complicazioni durante le prove. Mentre Belial eseguiva i procedimenti per attaccare bene ogni presa sul corpo, Zoe iniziò a tremare e a muoversi in modo agitato.

«Tienila.» disse Belial a John, che obbedì cercando di tenerla ferma. La bambina, tuttavia, non cessava di muoversi. John sapeva bene la procedura, quindi si allontanò quando vide Belial afferrare un piccolo telecomando e fece partire una scossa. Zoe urlò quando sentii la scossa pervaderle il corpo, ma poi rimase in silenzio. Belial sorrise, mentre John cercò di non vomitare.

«Fa partire il video, Pavlov.»

Jhon sospirò e si avvicinò alla piccola videocamera posizionata in un lato della stanza sopra un'asta. Da quella posizione, la videocamera era in grado di riprendere tutto. Belial diceva che riprendere tutto gli serviva a notare ancora di più la differenza tra una seduta e l'altra. In quei due anni, avevano registrato circa cinquanta video. E John era costretto a rivederli sempre, uno ad uno, e studiare ogni dettaglio della seduta.  Si posizionò dietro la videocamera, dando segno a Belial che poteva iniziare. L'uomo indossò degli occhiali bianchi per proteggersi dalle scosse, poi iniziò a parlare.

«19 novembre 1990. Esperimento 14. Il soggetto si trova in elaborazione da due anni, cinque mesi e dieci giorni. Precisamente 893 giorni.» Belial si allontanò dalla videocamera e rivolse lo sguardo alla piccola. John fece zoom su Zoe e riuscii a vederla immobile, ma con lo sguardo terrorizzato. Belial si avvicinò a lei, bloccandole i fianchi ad un altro macchinario per evitare che scappasse. Per quanto però Zoe potesse essere terrorizzata ogni volta, ormai anche lei conosceva le procedure.
«Zoe Knox. La mia migliore creazione.» disse Belial, sorridendo soddisfatta «Oggi voglio provare tutto quello che ti ho insegnato. Sai già cosa succede se ti rifiuti. Sei pronta?» le chiese, anche se non suonò proprio come una domanda. Belial afferrò il fascicolo di Zoe, dove erano appuntate tutte le sue capacità. «Come si dice? Chi tace acconsente.»  Zoe fissò Belial. Probabilmente, anche senza muoversi, quell'uomo avrebbe fatto paura a chiunque.
«Cominciamo con qualcosa di semplice.» iniziò Belial, afferrando una pistola e puntandola verso la bambina. John sentii i brividi in tutto il corpo.

«Protezione.» disse lui, severo, premendo il grilletto della pistola. Si sentii uno sparo che rimbombò in tutta la stanza. Per un attimo John ebbe paura di guardare e trattenne il respiro, ma quando vide una piccola aura verde intorno alla bambina, capì che lei aveva obbedito e il proiettile era caduto da qualche parte sotto la scrivania, evitando di colpirla. Belial sorrise, ma c'era ancora altro da fare. Si avvicinò a lei ed estrasse della tasca un piccolo coltello. Anche li, John sperò di non assistere alla scena.

«Abbiamo visto che il soggetto è in grado di proteggersi con la sua aura. Adesso testiamo le capacità curative.» alzò il coltello, in modo che la videocamera potesse ripenderlo bene. Zoe sussultò e si lasciò scappare un gemito di dolore quando lui le procurò un taglio sulla spalla.

«Curati.» le disse, mentre la bambina scoppiò a piangere. Anche se John intuì che, più che lacrime di dolore, erano di paura. Tuttavia, anche quella prova andò a buon fine. Zoe poggiò la sua manina sulla spalla, nel punto esatto in cui era ferita, e dalla sua piccola mano fuoriuscì un'energia verde. Belial le allontanò la mano e mostrò alla videocamera come la ferita fosse sparita.

Le prove andarono avanti per un altro po'. Ogni tanto Zoe implorava di finirla, ogni tanto si rifiutava, ogni tanto faceva resistenza. Puntualmente, Belial faceva scattare le scosse su tutto il corpo. Non aveva ancora azionato le scosse elettromagnetiche in testa, le più atroci. Non lo riteneva ancora necessario.
Gregory fece segno a John di avvicinarsi. Corrugò la fronte, non capendo perché lo stesse facendo avvicinare. Fece come ordinato e si posizionò davanti alla bambina, con una distanza di cinque metri.

«Abbiamo visto le prove più semplici. Adesso continuiamo con le più importanti, nonché le più difficili.» disse, appoggiando una mano sulla spalla di John. Poi rivolse di nuovo lo sguardo su Zoe.
«Voglio che tu adesso esegua un attacco su di lui.» John spalancò gli occhi. Non era mai stato usato come cavia e per un attimo il panico lo pervase.
«Tranquillo, John, se dovesse succederti qualcosa la mia creazione sarà in grado di curarti.»

Lo scienziato annuì, terrorizzato. Zoe era una bambina, ma era potente. Belial aveva messo tutto se stesso in lei e nei suoi poteri. Sapeva che lei era in grado di fare molto di più di un semplice attacco. Era in grado di distruggere palazzi interi, forse anche città. Belial ne andava fiero, se non fosse stato che non riusciva ancora a tenerla sotto controllo. Secondo i suoi piani, Zoe non doveva ribellarsi ai comandi. Eppure lo faceva ancora. Si ribellava, resisteva ai comandi. Non avrebbe mai eseguito tutto senza il comando di qualcuno. Non sapeva ancora farlo da sola.

Ecco perché non era ancora pronta per andarsene.

John si risvegliò dai suoi pensieri quando sentii la bambina piangere. Belial continuava ad ordinare di attaccare, ma lei scuoteva la testa. Continuò a rifiutarsi anche quando il terrorista fece partire le scosse sul corpo. Zoe urlò sentendo le scosse durare più del solito, ma continuò a rifiutarsi. John iniziò a pensare che stava cercando di proteggerlo e pregò che lei smettesse di farlo.

«Zoe.» disse tagliente Belial «Se continui a rifiutarti nonostante le scosse sul corpo, mi costringerai ad usare le maniere forti.» Il viso della bambina era ricoperto di lacrime e il corpo tremò ancora più forte. John intravide una debole energia verde attorno al suo corpicino e capì che lei si stava curando dal tremolio e dal dolore delle scosse. Era straziante vederla in quello stato, voleva fare qualcosa per aiutarla. Ma non poteva. Lo avrebbero ucciso senza pensarci due volte. Lui non poteva interferire con la creazione più potente dell'Hydra.
Continuò a non muoversi. Il suo sguardo era rivolto a John. Lei non ricordava il suo nome, ma ricordava la sua voce. Lo guardava negli occhi sapendo che lui era diverso dall'uomo accanto a lei. Non riusciva ad attaccarlo. Era come se qualcosa dentro di lei glielo impedisse.

La voce di Belial risuonò di nuovo nella stanza «Come vuoi tu, piccolina.»

Fu un attimo. Gregory attivo la scossa nella testa di Zoe, che urlò mentre veniva torturata. John sperò si fermasse, ma la scossa non finiva. Non durò i soliti dieci secondi. Era arrivato a trenta, forse quaranta secondi. Lei non smetteva di urlare, di piangere, di spalancare gli occhi. Quella scossa fu talmente potente che per la prima volta le colorò il viso leggermente di rosso. Se avesse potuto, John lo avrebbe ucciso in quel momento. Zoe tremava, ansimava e piangeva. Avrebbe voluto contorcersi ancora, ma era bloccata al macchinario. Chiunque al suo posto avrebbe desiderato morire. Lo conosceva ormai quel dolore, ma ogni giorno sembrava sempre più forte. Quella tortura  era diventata ogni giorno più potente. Ma lei era addestrata anche a questo: reprimere il dolore.
Ecco perché si calmò immediatamente, facendo sorridere ancor Belial. Con gli occhi colmi di lacrime e con la pelle che ricominciava a prendere il suo solito colore chiaro, la bambina fissò di nuovo John.

«Attacca.» sussurrò il terrorista.

Fu un attimo. Zoe alzò le sue braccine e le tese, trattenendo il respiro, verso John. Una potente energia verde scaraventò violentemente John contro il muro, distruggendogli ogni muscolo. Aveva smesso di respirare per un attimo e un dolore atroce gli pervase la schiena. Quella bambina di soli sei anni era diventata davvero potente. Non gli aveva causato danni gravi. John aveva solo dolori dovuti all'urto, ma per qualche minuto si sentii mancare l'aria. Non si rialzò per i cinque minuti successivi. Belial sembrava soddisfatta.

«Sorprendente.» udì dire John da una voce poco distante da lui. Alzò il viso lentamente ed incrociò lo sguardo di Strucker. Aveva un lungo cappotto nero, simile a quello di Belial, lo sguardo divertito e le solite cicatrici in viso. Il Barone osservava, con le mani dietro la schiena, come John emetteva gemiti di dolore mentre cercava di rimettersi in piedi.

«Strucker.» disse Belial rivolgendo lo sguardo al suo capo «Non ti aspettavo prima di domani.»

L'uomo si avvicinò senza scomporsi «Ho anticipato.» rispose. Quando fu finalmente vicino a Belial, il suo sguardo si fermò sulla bambina. «E' cresciuta, vedo.»

Jhon riuscì a posare per qualche secondo lo sguardo sull'esperimento, che aveva spalancato gli occhi e aveva ricominciato a tremare. Zoe, pur essendo tenuta immobile nel macchinario, cercava di indietreggiare per allontanarsi dai due uomini. Strucker si parò davanti a lei e in quel modo John non riuscì più a vedere il viso della bambina.
«Allora?» chiese il Barone rivolto verso Zoe «Cosa sai fare?».

John riuscì ad alzarsi e incrociò lo sguardo divertito di Belial. Quest'ultimo fece allontanare Strucker, poi si avvicinò all'orecchio della bambina tenendo gli occhi su John, intimandole «Distruggi.»

Ancora una volta, Zoe scosse la testa e fece resistenza. La sentii parlare, per la seconda volta in poche ora «Basta.» sussurrò tra le lacrime «Per favore.»

Strucker scoppiò in una risata «Ribelle.»

Ma Belial non ci trovava nulla da ridere. Il suo sguardo era duro su quello divertito di Strucker «E' debole. Non è ancora pronta.»

E' una bambina, maledizione!

Strucker ghignò e osservò i fili che ricoprivano le braccia della bambina. Poi osservò anche il casco elettromagnetico. Allungò le mani verso il piccolo telecomando che Belail teneva in mano e, senza esitare, lo azionò. Zoe riprese a sentire dolore e ad urlare. La scena che si presentò davanti a John fu raccapricciante. Rimase immobile mentre Zoe cercava, invano, di ribellarsi alla tortura. Strucker continuava a premere il pulsante d'azione del casco per troppo tempo, ma Zoe urlava talmente tanto che John non si era neanche accorto che anche i fili nelle braccia erano attivi. Belial non li aveva mai usati insieme e ciò lo spaventò a morte.

«Così la uccidi! Basta!» urlò John. Strucker gli lanciò un veloce sguardo e, senza smettere di ghignare, disattivò le scosse elettromagnetiche. Belial fulminò con lo sguardo John, ma prima che potesse dire qualcosa Strucker si avvicinò a Zoe.

«Mi ricordo ancora quando ti abbiamo trovata.» iniziò a dirle, mentre lei ansimava ancora per colpa dello shock delle scosse «Oserei dire che ti abbiamo salvata. Adesso...» Strucker rivolse lo sguardo di nuovo su John «Dovresti essere riconoscente e obbedire quando ti viene dato un ordine, piccola Knox.» La sua voce era tagliente, ma lo sguardo di John si era spostato su Belial. Gregory aveva uno sguardo congelato contro Strucker. Sembrava geloso del modo in cui le stava parlando. D'altronde, Zoe era un'invenzione di Belial non aveva mai permesso a nessuno, oltre a John, di avvicinarsi a lei. Ma Strucker non si lasciò intimorire dallo sguardo dello scienziato-mago e sussurrò alla bambina «Distruggi.»

Per la seconda volta, Zoe colpì violentemente John. A differenza della prima volta, però, non lo scaraventò contro il muro. L'energia di colore verde che uscì dalle mani di Zoe lo colpì in pieno petto e, lentamente, si espanse in tutto il corpo facendolo contorcere dal dolore. John sentii come se il suo corpo stesse bruciando in mezzo alle fiamme, ma allo stesso tempo si sentii colpito da milioni di lame affilate. Si accasciò a terra, urlando, sotto lo sguardo di tutti. Non sentiva più le gambe e, per un attimo, ebbe paura di morire. La bambina, fuori controllo, lo colpì altre due volte.

«Basta così.» ordinò Belial.

John rimase a terra. Senza fiato e con il dolore che ancora lo invadeva. Non riusciva a muoversi, sembrava paralizzato. Riusciva a malapena ad ascoltare e a distinguere le voci. Probabilmente, se lo avesse colpito ancora, sarebbe morto.
«Hai fatto un bel lavoro, Gregory. Ha solo bisogno di essere addestrata, adesso. I miei uomini se ne occuperanno con cura.»

«Non è pronta.» ripeté ancora una volta Belial «Non può controllarlo da sola. Per il momento, ha bisogno di me.»

Strucker alzò le mani davanti a se «Potrai venire quando vuoi per controllare che sia tutto ok, o per potenziarla. Ma lei adesso verrà con me.»
Belial si irritò e fece per rispondere, ma qualcosa fece voltare tutti.

Zoe stava ansimando, esausta, e John notò che le stava sanguinando il naso. Poi fu tutto all'improvviso: la stanza cominciò a tremare, allarmando i terroristi e lo scienziato, che cercava di rimettersi in piedi. Zoe iniziò a riempire la stanza di energia verde, facendo esplodere il macchinario.
«Fermati! No! Che stai facendo?» urlò Gregory Belial, ma Zoe sembrò non ascoltarlo. Iniziò a scagliare scariche di energia ovunque, poi la stanza esplose. I macchinari, i fogli, le scrivanie... tutto ciò che era in quella stanza si era distrutto.
John si era buttato a terra da qualche parte più distante, sentendo le sue orecchie esplodere. La stanza era piena di fumo e non riusciva a vedere nulla. Il fumo era talmente tanto che gli entrò nei polmoni, facendolo tossire. Non aveva idea di dove fossero Belial e Strucker, anche se continuava a sentire qualcuno tossire poco distante da lui. Riconobbe in lontananza la voce di Strucker, ma la sua attenzione era rivolta altrove. Si guardò intorno, cercando Zoe. La trovò nello stesso punto in cui l'aveva vista l'ultima volta, spoglia di qualunque cosa elettromagnetica che potesse bloccarla o che potesse provocarle dolore. La bambina si guardò intorno spaventata, poi osservò le sue mani che tremavano. John si mosse, strisciando, nella sua direzione. Nonostante il caos, Zoe riuscì a sentirlo e si voltò nella sua direzione.

«Vattene!» urlò «Lasciami stare!»

John provò ad alzarsi, fallendo. Si rivolse a Zoe, che stava ancora tremando «C-c-ome...» si sforzò di dire lui «hai fa-tto?»

Lei lo guardò sconvolta «I-io? No! Non ho fatto niente! Volevo s-solo liberarmi.»

A John scappò un sorriso «Ci sei riuscita, non è f-fa-cile. Sei in gamba» sentiva ancora gli effetti dell'energia di Chloe su tutto il corpo e una fitta lo colpì al petto. Poi sentirono entrambi un rumore, provenire nella direzione in cui si trovava Strucker. Lo scienziato si rivolse di nuovo alla bambina.
«Devi andare via da qui.» disse velocemente.

«Come? Non so cosa fare.»

John sentii di nuovo una fitta nel petto e si rese conto che l'aria cominciava a mancargli. Stava soffocando, da li a breve sarebbe morto. Zoe era davanti a lui, spaventata e senza sapere cosa fare. Era potente, in grado di distruggere qualunque cosa ma su una cosa Belial non si sbagliava: non riusciva ancora a controllare il suo potere. Hanno pensato a potenziarla, a riempirla di magia, di forza, ma non hanno pensato ad insegnarle a controllare il suo potere. Per questo Belial non voleva lasciarla a Strucker, per questo era nervoso, temeva che sarebbe successo questo.
Nessuno di loro, però, ha pensato mai alla cosa più importante: Zoe aveva solo sei anni. E, cosa peggiore, quando tutta questa storia era cominciata quando ne aveva solo quattro. Nessuno di loro ha mai pensato che una bambina così piccola non avrebbe mai potuto essere in grado di gestire qualcosa di così grande.

John si odiò a morte per aver permesso tutto questo. Odiò se stesso per non essere intervenuto, odiò suo padre per avergli trasmesso quelli che lui chiamava i valori dell'Hydra. In quel momento, John si chiese cosa fosse davvero l'Hydra. Si odiò per aver rovinato la vita ad una bambina, anziché salvarla.
Alzò lo sguardo verso il punto dove, pochi minuti prima, c'era la videocamera. Si ricordò che registravano sempre tutto, così gli tornarono in mente tutte le cose che Zoe aveva imparato in quei due anni. Le serviva un modo per poter scappare e c'era un modo che, in quel momento, poteva tornarle utile.

«Zoe, ascoltami.» le disse «Tu sei potente, ma sei una bambina, non posso farti combattere. Le guardie arriveranno tra poco, devi andartene prima che arrivino.»

Lei scosse la testa «Non so farlo io. Non posso andarmene.»

«Si invece.»

In realtà, John non era così sicuro che ci sarebbe riuscita. Quello che Zoe doveva fare in quel momento, era qualcosa che Belial l'aveva già obbligata a fare durante alcune prove. Magia avanzata, magia complicata. Così la chiamava Belial. In due anni, Zoe era riuscito a farlo solo una volta.
«Tu sei in grado di raggiungere altri posti, solo pensandoli. Puoi trasportarti in altri posti. Ma puoi farlo solo se ti concentri.»

Zoe urlò di nuovo «Io non posso! Ho paura, non posso!»

«Puoi! Concentrati, ti prego. Pensa un posto, qualunque posto, e raggiungilo. Devi fidarti di me.»
Lei spalancò gli occhi. Vide l'uomo davanti a lei cominciare a chiudere gli occhi e abbassò verso di lui. Concentrò la sua energia sul suo petto per provare a curarlo. John continuò a sentire dolore, ma il respiro stava comunque cessando.

«Vieni con me.» gli disse Zoe. Guardava gli occhi dell'uomo ed ebbe la stessa sensazione avuta qualche ora prima: poteva fidarsi. Lui stava cercando di aiutarla, di farla scappare. Ma perché? Zoe non ricordava niente. Quell'esplosione che aveva causato l'aveva risvegliata dallo shock, ma di quello che le era successo prima... il vuoto. E forse quell'uomo sapeva qualcosa.

«Non posso. Non c'è più tempo, vattene! Pensa un posto e raggiungilo.»

Entrambi si voltarono verso l'ingresso, dove delle guardie stavano iniziando ad entrare a raffica nella stanza. Istintivamente, Zoe provocò un'altra esplosione nella direzione delle guardie e ciò le fece guadagnare del tempo. Pensa un posto... Pensa un posto...

Nella sua mente, Zoe vide una casa. No, non una casa, un palazzo. Un edificio. Era bianca, alta, con delle enormi vetrate. Vedeva la luce, vedeva il sole. Quell'edificio lo conosceva, ma non ricordava di esserci mai stata. Non sapeva dove fosse, non ne aveva idea.

Zoe guardò un'ultima volta l'uomo a terra ancora dolorante, voleva che lui la seguisse, ma non c'era più tempo. La bambina vide una guardia avvicinarsi cercando di evitare il fumo. Il panico la assalì, ma le tornò di nuovo in mente quell'edificio.

Senza che se ne potesse rendere conto, Zoe aveva lasciato quella stanza buia. Si accasciò a terra, mentre il sole le colpiva la pelle debole. Le venne da vomitare, la testa le girava e si sentiva scoppiare. Non si ricordava più cosa le fosse successo prima di quella stanza, non ricordava di aver mai visto il sole, non ricordava di aver mai visto quell'edificio e... ricordava a malapena il suo nome. L'uomo l'aveva chiamata Zoe. Mi chiamo Zoe, urlò nella sua testa.
Vide del sangue gocciolare per terra, si toccò velocemente il naso e si rese conto che stava perdendo sangue dal naso. Poi fu tutto troppo veloce: si guardò intorno, senza sentire più nulla. Prima che potesse crollare per terra e perdere coscienza, Zoe lesse un nome.

Stark Industries.

   
 
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