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Autore: Jeremymarsh    29/06/2022    13 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo III: Fraintendimenti





“A voler essere precisi, noi veniamo in effetti generati in mezzo ai malintesi, e fintanto che esistiamo da questi malintesi non riusciamo a tirarci fuori, possiamo sforzarci e far di tutto per tirarcene fuori, ma non serve a nulla.”

Il soccombente, Thomas Bernhard.






Quel pomeriggio, nel momento in cui Inuyasha si recava da Kagome, la seconda delle sacerdotesse che lo aveva ostacolato al suo arrivo si dirigeva verso il lato opposto, in una radura poco frequentata e mal tenuta.

Era da tempo ormai che nessun tipo di erba medicinale vi cresceva, gli alberi da frutto erano appassiti e le erbacce dominavano, insieme a qualche famiglia di topi che vi aveva costruito il proprio insediamento. Tra bambini ci si sfidava a chi aveva il coraggio di raggiungerla mentre i genitori intimavano loro di non avvicinarsi; lo stesso capo villaggio se ne teneva alla larga per quanto possibile. Al centro vi era un’unica abitazione, una volta l’invidia di tutti. Era una delle più grandi, ma ormai il legno era marcio, le assi cadevano a pezzi, così come la porta d’ingresso e il capanno degli attrezzi. La riserva di legna per il fuoco era molto esigua e, lì accanto, un ragazzo poco più grande di lei stava di malavoglia cercando di rimpinguarlo.

Quando Tsubaki apparve nello spiazzo, i due si fissarono e lui lasciò che il suo sguardo si posasse lascivo sulle curve di lei, prima di alzarlo sul suo viso e sogghignare maligno all’espressione di disgusto che vi trovò. Poi, come se nulla fosse accaduto, tornò a tagliare i pochi pezzi di legna che aveva di fronte a sé senza il minimo entusiasmo.

La giovane continuò dritta davanti a sé, badando bene a dove metteva i piedi e distorcendo il volto alla sporcizia che la circondava, ma prima ancora di raggiungere l’abitazione, un uomo ne uscì come richiamato dalla sua presenza.

Doveva essere stato abbastanza alto una volta, ma ora la sua postura oltre che a ingobbirlo lo aveva reso più basso. I capelli, già radi alle tempie e ingrigiti, erano tirati indietro e legati in un codino come la maggior parte degli uomini di quel periodo e la bocca era distorta in una smorfia arcigna che accentuava ancor di più le rughe sul viso da tempo non più giovane. Tsubaki lo ricordava così da quando era bambina: anche allora aveva avuto il contegno di un vecchio e non riusciva a comprendere le anziane donne che parlavano di come fosse stato un bellissimo uomo. Essersi guadagnato il titolo di ‘stregone’ con il passare degli anni e il diffondersi delle paure degli abitanti non avevano aiutato la sua predisposizione verso la gente. In seguito, la povertà ricaduta sulla sua famiglia e la morte della moglie avevano solo peggiorato il tutto. Ciononostante, pur non essendo il partito migliore, Tsubaki conosceva benissimo il motivo per cui il capo villaggio aveva accettato la sua richiesta di prendere in moglie Kagome; era stata lei a convincerlo.

Infatti, al di là di ciò che era accaduto con Hojo il giorno precedente, Haruto aveva avuto ancora abbastanza rispetto per Ichiro per rifiutare la proposta di Onigumo che, da sempre invaghito di Kagome, aveva colto la palla al balzo quando Tsubaki lo aveva informato degli ultimi avvenimenti. Egli sapeva benissimo di cosa fosse capace l’uomo e che chiunque lo avrebbe sposato avrebbe fatto la stessa fine della prima consorte. Tsubaki, però, fingendo di badare solo al benessere della loro comunità, aveva illustrato in che modo sarebbe stato benefico per tutti se Onigumo avesse avuto di nuovo una donna che lo soddisfacesse e distraesse. A quel punto, pur di acquietarlo, Haruto aveva accettato e dato la propria benedizione, dimenticando ogni cosa che la famiglia di Kagome avesse fatto per quel villaggio nel corso delle generazioni.

“Tsubaki, che altro vuoi?” Onigumo sibilò sgarbatamente non appena la vide.

“Accidenti, come sia maleducati. È così che tratti una sacerdotessa e colei che devi ringraziare per le tue nozze imminenti?” chiese lei di rimando.

“Non me ne frega nulla di ciò che hai fatto, e lo sai bene. Come se poi potessi davvero definirti sacerdotessa con tutte le sordide cose che trami giorno per giorno,” esclamò, sputando a terra. “Se anche il capo villaggio avesse rifiutato la mia proposta, avrei preso la ragazza in ogni caso. Non che abbia poi così tante aspettative; sia a lei che ai parenti è convenuto accettare con le buone maniere.”

“Ah, Onigumo, la tua sposa è proprio una donna fortunata,” sorrise lei, malefica, “deve solo capire quanto. Piuttosto, non credi che si stia già prendendo troppe libertà? Fossi in te le ricorderei di chi è ora e in che modo ci si comporta. Non vorrai mica avere in moglie una persona ancora più indisciplinata della prima, vero?” gli chiese fingendosi preoccupata. “Alcune cose vanno subito messe in chiaro e insegnate.”

“Che diamine vai blaterando? Evita i tuoi soliti giochetti di parole e vai dritta al sodo prima che decida di insegnare le buone maniere anche a te. Sono sicuro che a mio figlio non dispiacerebbe divertirsi un po’; non è vero, Susumu?”

Quest’ultimo, che stava osservando attentamente lo scambio, ghignò ancora più apertamente di prima. “Potrei insegnarti più di una cosa, Tsubaki-chan.”

La sacerdotessa non nascose il suo disgusto ed evitò anche di incontrare lo sguardo del ragazzino. “Sempre così aggraziato; è dire che ero venuta ad informarti di ciò che combina la tua bellissima fidanzata e di come passa il tempo con altri uomini, impuri per di più. Ma se proprio non ti interessa…” Si voltò e fece per andarsene, ma una mano le afferrò rudemente il braccio e la bloccò.

Onigumo continuò a fare pressione fino a che Tsubaki non tornò a guardarlo. “Se sai cos’è buono per te, ti conviene continuare a parlare,” la minacciò, il volto una maschera di rabbia.

Lei gli lanciò uno sguardo di sfida e gli fece capire che non avrebbe parlato se prima non le avesse tolto le sue sudicie manacce da dosso. Si pulì poi la veste, nauseata, prima di ricominciare. “Un mezzo demone è giunto da noi affermando di voler discutere di ciò che è accaduto ieri. La cara Kagome ha pensato bene di intrattenersi con lui prima di scortarlo dal capo villaggio. È stato sicuramente gentile da parte sua fargli da guida, ma che avranno pensato tutti coloro che l’hanno vista parlare amichevolmente con uno sconosciuto, un mezzosangue, senza la tua approvazione? Mi sono preoccupata delle conseguenze che avrebbe avuto sulla tua reputazione e ho pensato che, forse, dovresti ricordarle a chi apparterrà a breve.”

“Smettila con le tue stronzate, Tsubaki,” sibilò Onigumo, il corpo che gli tremava dalla furia a causa di ciò che aveva appena sentito. “Hai avuto ciò che desideravi: ti sei liberata della competizione, non credi che continuare a mostrare così liberamente la tua gelosia faccia una brutta impressione sul tuo bel visino? Beh, non bello quanto quello della mia promessa sposa; ma come ho già detto, mio figlio saprà accontentarsi,” ghignò, maligno, sapendo bene quali tasti premere con la donna. Non era una novità che Tsubaki covasse odio e invidia per Kagome e che, per questo, aveva da tempo cominciato a spargere voci malevole sul suo conto.

Onigumo aveva sopportato di buon grado i suoi modi pur di ottenere ciò che desiderava e, per entrambi, la morte di Hojo era stato solo un benedetto colpo di fortuna. Altrimenti, lui aveva già avuto intenzione di prenderla con la forza, anche da sposata, e Tsubaki avrebbe diffuso voci sul tradimento perpetuato nei confronti del povero ragazzo. In un modo o nell’altro, dunque, entrambi avrebbero avuto ciò che desideravano: Onigumo la giovane che aveva puntato dal giorno in cui aveva cominciato a mostrare le prime forme e Tsubaki si sarebbe liberata di chi era solo un ostacolo alla sua sete di potere. Ma gli ultimi avvenimenti avevano solo facilitato le cose.

“Non farmi ridere,” sbottò l’altra cominciando a perdere la pazienza, “non so che ci trovi in quella ragazzina, ma di certo non ho paura di lei. Sbrigati a levarmela dai piedi, piuttosto; vederla girare ancora con quegli abiti da sacerdotessa è solo una vergogna per chiunque altro faccia parte della categoria.”

Lui cominciò a sghignazzare in tutta risposta. “E tu, invece, li indossi meglio? Quel tuo potere impuro è degno di portarli? Ribadisco che l’invidia non ti sta per nulla bene. Ti ringrazio per il modo in cui mi hai facilitato le cose e stai sicura che insegnerò bene a mia moglie qual è il suo posto, ma sono proprio curioso di cosa farai per liberarti di Kikyo.”

“Non so di cosa tu stia parlando,” ribatté lei, punta in viso.

“Oh, lo sai bene,” mormorò lui avvicinandosi ancora di più e respirandole addosso; Tsubaki fece un passo indietro e non nascose il conato di disgusto. “Sai bene che subito dopo Kagome, la più dotata tra le tre è Kikyo e ora che la prima non è più l’erede, Hitomiko sceglierà la seconda. Dopo tutto ciò che hai fatto, non avrai ancora ciò che più desideri.” Poi le diede le spalle e fece per rientrare, ridendo di cuore.

La sacerdotessa strinse i pugni dalla rabbia e si ripeté che non valeva la pena farsi provocare da quello sporco uomo. Tuttavia, prima di lasciare la radura, ritenne saggio ribadire, urlando, che sarebbe stata lei a succedere a Hitomiko e che, non appena l’avrebbe sostituita, avrebbe fatto pressione sul capo villaggio per cacciare sia lui che la sua sudicia discendenza.


***



Arrivata la sera e assicuratosi che tutti fossero andati a dormire, Inuyasha si recò silenzioso verso la sua meta. Raggiunta la capanna, si guardò bene attorno e, poi, bussò per chiedere di entrare.

Il fratellino di Kagome sporse la testa oltre l’entrata e gli afferrò frettolosamente il braccio per fargli segno di muoversi. Quando entrò, i suoi occhi si aggiustarono subito al buio e non fecero fatica a individuare gli altri tre componenti della famiglia. Kagome stava piangendo silenziosamente tra le braccia del nonno mentre la mamma sistemava i pochi averi che avrebbe portato con sé; Inuyasha aveva consigliato loro di preparare il minimo per poter viaggiare leggeri. Odorare le lacrime di lei non ebbe un effetto positivo su di lui: gli riportò alla mente i propri dubbi e la possibilità che Kagome fosse spaventata da lui tanto quanto da Onigumo. Ciò nonostante, si schiarì la voci e annunciò la sua presenza.

Kagome alzò immediatamente il volto dal petto del nonno e fece per asciugarsi le lacrime con la manica del kimono che aveva indosso; Ichiro la bloccò e le passò un fazzoletto sul viso. “Ricordati a chi stai andando in sposa,” la redarguì. “Ti abbiamo insegnato le buone maniere, non dimenticarle a causa di ciò che è accaduto.” Lei annuì silenziosa, prima di abbracciarlo un’ultima volta e procedere a salutare anche la madre e il fratello.

L’addio, per quanto intenso e doloroso, fu altrettanto quieto per evitare che eventuali suoni giungessero ad orecchie poco discrete. Per lo stesso motivo, era stato deciso di rimanere al buio, nonostante gli occhi umani facessero fatica ad abituarsi ad esso. Infine, l’anziano uomo si voltò verso di lui e gli fece un cenno con la testa. “Ricorda bene ciò che ti ho detto, giovanotto, e che gli Dei possano guidarvi,” disse prima di girarsi ancora e baciare il capo della nipote.

Ancora una volta, Inuyasha ebbe l’impressione di partecipare a qualcosa di troppo personale e pensò che non aveva il diritto di osservare quei momenti. Purtroppo, però, la fretta e l’agitazione impedì a tutti di procedere come avrebbero voluto. Così, dopo aver promesso di tornare presto ed essersi raccomandato, Inuyasha lasciò la capanna prendendo il polso della ragazza, facendo bene attenzione a non spaventarla con gli artigli, e conducendola per la strada da cui era giunto. Per loro fortuna, poco dietro la capanna iniziava un sentiero che conduceva direttamente alla foresta e avrebbero potuto allontanarsi da lì senza dover passare davanti a troppe abitazioni. Appena poco lontano dall’ultima, Inuyasha si bloccò e si posizionò di fronte a lei, dandole la schiena. Kagome rimase interdetta dal gesto, ma ancora di più quando lui le ordinò senza troppi preamboli di salirgli in groppa.

“Scusami?” sussurrò, allibita.

“Ho detto sali,” ripeté Inuyasha, spazientito e agitato. L’aria che si respirava non gli piaceva per nulla e nonostante si fosse assicurato che fossero soli, avrebbe voluto lasciarlo il prima possibile.

“Non che non lo faccio,” continuò intestardita Kagome. “Hai promesso a mio nonno che non ti saresti approfittato di me e ora vuoi che ti salga in spalla? Che faccia tosta che hai!”

“Taci, ragazzina,” sbottò rude lui, “vuoi farti scoprire da tutti? Non l’ho fatto mica per poterti toccare; per quale pervertito mi hai preso! Dobbiamo essere il più veloci possibile e se dobbiamo stare al tuo debole passo umano non lasceremmo il villaggio nemmeno per l’alba, altro che essere di ritorno al castello.” Detto ciò, si alzò di nuovo in piedi e senza aspettare che ricominciasse a blaterare e urlasse a tutti la loro presenza, la prese in braccio e saltò sul primo albero. Le coprì la bocca per evitare le grida e cominciò a correre il più veloce possibile di ramo in ramo. La rimise a terra solo una volta che furono al sicuro oltre il confine. A quel punto, la guardò in cagnesco e prima che potesse anche solo parlare, le disse: “Allora? Vuoi continuare così fino alla nostra destinazione o vuoi deciderti a salirmi in spalla? A te la scelta!”

“Avresti potuto chiedermelo in modo più gentile; sei solo un maleducato!” sibilò Kagome.

“È quello che ho fatto,” chiarì Inuyasha. “Quanto ancora avresti voluto rimanere lì? Vuoi essere riportata indietro e sposare quel mostro?”

I loro volti erano ormai a un centimetro di distanza e si stavano lanciando saette con gli occhi.

“E quello lo chiami chiedere gentilmente?”

“Non avevamo mica il tempo necessario a seguire tutte quelle regole insulse su cui vi basate voi stupidi umani. Te ne sei resa conto che quello che stai facendo non è un gioco?”

“La smetti di insultarmi? È così che vuoi trattarmi anche quando ti avrò sposato? Beh, allora non è che ci sia tanta differenza tra te e Onigumo.” Non ebbe nemmeno finito di dirlo che se ne pentì. In realtà, Kagome sapeva di non poter confrontare i due e che se anche Inuyasha l’avesse sposata per pietà, sarebbe stato comunque più gentile e amorevole di Onigumo. Tuttavia, quella giornata era stata troppo tesa per lei, senza contare che il dolore della separazione e per la morte di Hojo era ancora fresco. Il risultato era che il tutto stava tirando fuori il peggio di lei e aveva finito per prendersela con chi non lo meritava.

Inuyasha indietreggiò e trattenne il fiato, come se quelle parole lo avessero fisicamente schiaffeggiato. Un attimo dopo, stringendo denti e pugni, si voltò, inginocchiandosi e dandole la schiena di nuovo. Abbassando ancora di più la voce, disse: “Se questo è quello che pensi, sei libera di tornare dalla tua famiglia in questo istante. Ti darò solo qualche altro secondo; non ho voglia di perdere altro tempo inutile. Se vuoi venire con me mi salirai in spalla, altrimenti fa ciò che più desideri.”

Vergognandosi del modo in cui si era comportata e colpita dalla freddezza con cui il mezzo demone aveva parlato, Kagome si avvicinò a lui e, il più gentile possibile, si posizionò su di lui, circondandogli il collo con le braccia per mantenersi. Un secondo dopo, sentì le sue mani stringerle le cosce, sfiorandola il meno possibile, e partirono. Inuyasha prese la spinta senza rivolgerle una parola di avvertimento e cominciò a saltare di albero in albero. Kagome si guardò un’ultima volta indietro, il cuore pesante e un brutto presentimento alla bocca dello stomaco, e poi nascose il viso nell’incavo del collo per proteggersi dal vento violento che le sferzava intorno, ringraziando la cortina di capelli argentati che le faceva ugualmente da scudo.

Per entrambi si prospettava un viaggio per nulla confortevole; speravano solo potesse concludersi presto.


***


Per quanto Inuyasha stesse andando veloce, stava anche cercando di adeguarsi al passeggero che portava in spalla e, per questo, dopo un paio di ore erano ancora a metà tragitto. Decise di prendere una pausa e far riposare Kagome che stava anche tremando a causa del freddo della notte e del vento che la colpiva. Si fermarono in una piccola radura e accese un piccolo fuoco. “Riscaldati,” le disse più gentile che poté. “Non possiamo rimanere troppo tempo o attirare ospiti indesiderati. Quando ripartiremo ti darò la mia veste: è più pesante di quel che possa sembrare.”

Kagome, che si era avvicinata subito al fuoco allungando le mani per riscaldarle, restò colpita dall’offerta, soprattutto dopo il modo in cui si era comportata prima. “Non c’è bisogno e non voglio che sia tu poi a soffrire il freddo.”

“Keh, non mi fa nulla. Inoltre, non era una domanda; lo prenderai e basta. Ci manca solo che ti ammali,” sbuffò.

Lei gli lanciò un’altra occhiataccia. Non c’era proprio verso di parlare con lui; era ancora più testardo del nonno e mancava decisamente di grazia o gentilezza. Si chiese dove avesse nascosto quei modi educati che aveva mostrato prima: erano stati solo una messinscena per convincerli ad accettare? No, si ripeté, non avrebbe fatto due volte lo stesso errore accusandolo ingiustamente. Inuyasha era l’opzione migliore e Kagome non dimenticava comunque ciò che aveva scoperto su di lui. Tuttavia, non poteva non pensare al tono con cui le parlava, tutt’altro rispetto a ciò che si sarebbe aspettato dalla sua anima gemella, e all’idea che lui avesse chiesto la sua mano solo per salvarla e perché si sentiva in colpa, non per ciò che avrebbe potuto legarli.

Se solo avesse lasciato che il nonno le raccontasse di più su quella leggenda, se casualità del genere non fossero così rare e ne avesse saputo di più, magari avrebbe potuto confrontare la propria situazione con altre. Invece, si trovava a combattere con un mezzo demone rude e testardo che non sembrava per nulla grato di quel dono che gli Dei gli avevano concesso, per utilizzare le parole che aveva usato con il nonno. Sbuffò tra sé e sé; tutto sembrava tranne che grato.

“Non c’è bisogno che tu faccia quella faccia disgustata,” commentò Inuyasha che nel frattempo aveva mal interpretato le sue espressioni facciali e aveva tratto le proprie conclusioni, continuando quel susseguirsi di incomprensioni tra i due. “Non è colpa mia se non ti sei vestita in modo adeguato al viaggio.”

“Sei tu che hai detto che avrei dovuto viaggiare leggera!”

“Intendevo le scorte, stupida, non i vestiti da indossare!”

“Ancora con gli insulti?”

“Oh, maledizione,” sbottò Inuyasha alzando le mani in aria. “Per quanto vuoi continuare ad assordarmi? Non ti preoccupare, ti libererai presto di me visto che chiaramente è quello che desideri più di ogni altra cosa. Non ne hai fatto un segreto!”

Kagome rimase a bocca aperta, terrorizzata dall’idea di conoscere il significato di quelle parole. Non voleva mica abbandonarla? Allora erano davvero tutte fandonie quelle che aveva raccontato al nonno? “C-che vuoi dire? Hai promesso che mi avresti portata al castello!” lo accusò.

“Certo che l’ho fatto, ma non sono io quello che viene meno alla parola data. Per di più, non voglio mica condannarti a una vita accanto al povero e disgustoso mezzosangue,” sottolineò, sardonico. “Non mento mai ed ero sincero quando ho detto che volevo liberarti di quella feccia a cui il villaggio voleva darti in pasto. Eppure, non voglio come sposa una donna che odia solo il pensiero di me o che deve costringersi solo perché sono il male minore. Quindi, se è ciò che desideri, arrivati al castello e dopo che ti avremo provvista di abiti migliori, ti accompagnerò da persone che godono della mia fiducia e in una comunità dove le tue doti potranno essere utili. Così potrai costruirti una vita migliore.”

Lei lo aveva ascoltato allibita per tutto il tempo e la sorprese ancora di più l’espressione soddisfatta del mezzo demone quando concluse, come se fosse fiero della sua idea. Eppure, il solo pensiero le riempì gli occhi di lacrime e il cuore di rabbia. Un attimo dopo, lo stava colpendo senza remore e lui, colto di sorpresa, cercò di coprirsi il volto e la testa al meglio. “Oi! Che diamine ti prende?”

Kagome continuò a piangere e a prenderlo a pugni, quindi lui le bloccò i polsi e la immobilizzò. “Ragazzina, smettila immediatamente; che cosa credi di fare?”

“Io? E tu? Vuoi abbandonarmi!” strillò a pieni polmoni. “Dopo tutti i discorsi che hai fatto a mia madre e mio nonno vuoi abbandonarmi!”

“Ma che accidenti hai capito?” le urlò contro. “Io ti stavo aiutando a liberarti di me come ho fatto con quell’altro. È chiaro che l’unico che volevi sposare era il ragazzo che Sesshomaru ha ucciso.”

“Non nominare Hojo!” gridò ancora Kagome, dopo che nuove lacrime le ebbero bagnato le guance. “E io che mi ero anche ricreduta e pensavo tu potessi essere una persona gentile e non prevenuta.” Lo strattonò per liberarsi della sua presa e quando lui la lasciò andare si coprì il volto con le mani, continuando a singhiozzare.

Inuyasha era sempre più stupito dai cambiamenti di umore di quella donna e dalle sue incongruenze. Si poteva sapere che diamine voleva? Prima lo trattava di merda e poi si arrabbiava se le concedeva libera scelta. Non era quello che voleva? Senza contare che vederla piangere, ancora e ancora, gli spezzava pian piano il cuore. Sentì l’istinto di confortarla, ma allo stesso tempo non sapeva come avrebbe potuto reagire e quindi, dopo aver allungato la mano per carezzarla, la ritrasse.

“Senti,” cominciò con un tono più mitigato, “forse abbiamo cominciato tutte e due con il piede sbagliato e ci siamo incompresi a vicenda. Non so che idea tu ti sia fatta di me, ma di sicuro non sono prevenuto. Hai idea di chi sono? Conosco benissimo che danni può causare il pregiudizio, quindi ti pregherei di non mettermi alla stregua della gente con cui hai vissuto finora. Non può fregarmene un fico secco di ciò che dicono sul tuo conto; so riconoscere una sacerdotessa nera a occhi chiusi e di certo non credo alle stronzate sulla gente che porta sfortuna. Quindi se le tue lacrime sono per quello, puoi anche evitare di versarle.”

Kagome alzò finalmente il volto, sorpresa, tirando su con il naso per un paio di volte. “N-no?” chiese per conferma, come se non potesse credere alle sue orecchie. “N-non hai sentito ciò che dicono su di me?”

“Certo che l’ho sentito, ma non ho mai dato retta alle malelingue. È tutta la vita che me le tirano contro e so che sono solo cazzate.” Poi recuperò il fazzoletto dalla sua sacca e glielo porse, voltando il viso imbarazzato quando lei lo ringraziò.

“Quindi non vuoi abbandonarmi perché credi che io sia maledetta?” gli chiese ancora con voce timida, facendolo sentire ancora peggio.

Come poteva pensare di essere maledetta? Chi poteva anche credere che una persona con un’aura così pulita e brillante potesse esserlo? “Ti hanno detto anche questo?” le chiese, cercando di non mostrare in volto quanto la possibilità lo facesse stare male.

Lei annuì con il capo. “Le voci erano cominciate già prima della morte di Hojo, ma io le avevo sempre ignorate perché avevo una famiglia che mi voleva bene e a gran parte della comunità bastava sapere che svolgevo il mio compito con eccellenza. Non so come possano essersi convinti così facilmente, ma il fatto che nessuno abbia visto davvero tuo fratello u-uccidere Hojo e che una morte così violenta non accadeva da decenni ha aiutato.” La sua voce flebile si ruppe in più di un punto mentre parlava.

“Non penso tu sia maledetta, Kagome, non potrei mai,” le sussurrò, dolce, trattenendosi dal raggiungerla e stringerla fra le braccia per offrire al meglio il proprio conforto. Avrebbe voluto almeno allungare la mano e asciugarle le lacrime silenziose che continuavano a rigarle il viso, ma strinse i pugni per resistere all’impulso, ripetendosi che anche se ora stavano parlando tranquillamente, fino a poco prima gli insulti erano volati senza difficoltà.

Lei annuì ancora, rincuorata, ma non aggiunse altro sulla questione o sulla sua proposta di matrimonio, lasciando vivi ancora gran parte dei dubbi. “P-posso avere la tua giacca, ora? Se… se vuoi ancora.”

Lui se la sfilò senza fiatare e gliela appoggiò addosso. Poco dopo, confortata dal calore e, inconsapevolmente, dall’odore di Inuyasha che la circondava, Kagome si addormentò stremata dagli eventi e dalla mancanza di riposo. Solo una volta che il suo respiro gli ebbe confermato che stava dormendo, osò allungare le dita – pericolose e mortali per qualsiasi umano – per pulirle il più delicatamente possibile le guance.

La osservò per qualche secondo, facendo particolare attenzione alle labbra semiaperte da cui fuoriusciva il suo respiro caldo, le ciglia lunghe e bagnate, l’espressione triste che ancora conservava e il rossore sulle sue gote. Inuyasha non aveva mai visto qualcosa di così delicato e bello. Nonostante non riuscisse a capire perché certi sentimenti si fossero sviluppati così velocemente o se fosse l’effetto di quei lacci che erano apparsi durante il loro primo e recente incontro, pregò di poterla proteggerla per sempre e non soltanto per quel poco tempo che lei gli avrebbe concesso. Facendo attenzione a non svegliarla, se la caricò in spalla e, silenzioso, riprese il viaggio verso casa.







N/A: Salve a tutti, come state? Spero questo terzo capitolo vi sia piaciuto. Credo abbia risposto ai dubbi di chi, magari, pensava che la proposta fosse arrivata troppo velocemente, e inoltre Inuyasha torna a essere più IC; la volta scorsa aveva tirato fuori le buone maniere che i genitori gli hanno insegnato, adesso le ha dimenticate.

Ringrazio come sempre tutti coloro che stanno seguendo questa storia e ci rileggiamo presto. Un abbraccio 🥰.

   
 
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