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Autore: eclissidiluna    07/07/2022    0 recensioni
SPOILER SU TUTTA LA SERIE COMPLETA! FINALE ALTERNATIVO
Spiego le vele controvento, seguendo rotte diverse che si delineano all’orizzonte. Come sempre non so dove approderò. Ma so che ho bisogno di andare per mare.
Buona lettura!
Lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Un cacciatore è “vecchio” anche se, nel mondo “normale”, è poco più che maggiorenne. Quando si è riunito a Sam si percepiva già un “sopravvissuto”.
Ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita, facendo “tira e molla” con l’aldilà, a chiedersi “Perché sono ancora vivo?!”. Ma la domanda “vera” avrebbe dovuto essere: “Per chi sono ancora vivo?”. Non è mai stato un “fan” di se stesso però… è sempre stato il primo “sostenitore” di Sammy. Ma ora Sam può “sostenere” quel posto vuoto…sull’Impala. E’ pronto.
E’ un buon momento per “distrarsi”. Ora che l’Universo è in mano a Jack può concederselo. Il Paradiso arriva nei modi più impensati. Un punteruolo che trafigge donandoti un Cielo che invade, trasformandoti in nuvola. informe, leggera, soffice.
Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.
O forse no.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Un retrogusto amarognolo in bocca. Una mistura di zinco associata a granelli di altro minerale… non meglio definito. Forse qualcosa “galleggia” ancora, tra tonsille e palato. Vorrebbe rigurgitare quella sorta di bolo ferroso ma, per farlo, dovrebbe almeno potersi voltare su di un fianco, restituendo una sorta di baricentro al proprio stomaco. Arduo “riorientarsi” quando “vedi” solo buio.
Ciglia serrate e collose. Come se qualche sadico angelo gliele avesse cucite “a mano”, con crudele perizia.
 
Valuta attentamente le sensazioni che provengono dal proprio corpo. Cerca di “scomporlo”, tracciando linee immaginarie che ricordano un po’ le sezioni dell’Uomo Vitruviano di Leonardo. Deve farsi “misura” di quella superficie che non distingue, pur avvertendone l’attrito sul dorso. La parte destra è rigida, un blocco di calcestruzzo.  La sinistra pare essere meno caparbia. Può tentare di “forzarla”.
Il pugno si distende a ventaglio e non importa quanto le dita, stranamente intirizzite, “scricchiolino”, come  rami sferzati dal vento. Prova a muovere il braccio, a “rallentatore”, avvertendo un formicolio che interpreta positivamente.

Ma la palpebra continua ad essere ostrica che, risoluta, racchiude perla opaca. Quel guscio non vuole obbedire al comando di un cervello trivellato, ritenuto poco affidabile.

Si aspetta che, a breve, qualcuno decida per lui, “sparandogli” addosso un fascio di luce artificiale con una di quelle minuscole torce tascabili, all’apparenza innocue…ma letali per il bulbo oculare che rifiuta di “collaborare”.  Meglio far da sé e non indugiare. Pollice e indice riconquistati, fanno leva sull’ostile membrana. Tollera la cornea che urla. Vorrebbe fare altrettanto, unendosi al grido di quell’occhio violentato. Ma riesce ad imporsi il silenzio. In fondo ha una soglia del dolore piuttosto elevata. Una personale “scala Richter della tortura”, costruita grado dopo grado, dall’adolescenza in avanti.
Ben presto anche l’altro occhio s’arrende.

Avrebbe dovuto “ascoltare” la congiuntiva in fiamme che, da solerte “sentinella”, lo supplicava di starsene “buono”.
Ora vede. Ed è l’inizio della fine.
---
Un brivido lo pervade mentre una goccia di sudore gelido scivola lungo la tempia pulsante. II neon, la lingua impaniata, l’odore di disinfettante. Voci arrochite provenienti dal corridoio fanno da contraltare ad altre che, limpide e pacate, tentano di quietarle. Mette a fuoco la stanza angusta dall’arredamento spoglio. Un cubo che, come diceva “lui”, ricorda la Gabbia.

Lui.

Eccolo. Tra tavolino e armadio. In piedi, con un libro in mano. Non lo “saluta” con una freddura sprezzante o una delle sue mimiche facciali inconfondibili. Si “limita” a gridargli nelle orecchie “Good Morning Vietnam!”, facendolo sobbalzare. Il cuore arriva a mille in un decimo di secondo.
 
Il sapore sgradevole che ha nelle fauci secche prevale su tutto. Sam deglutisce il nulla, umettandosi le labbra nello strenuo tentativo di “produrre” saliva.
 
“Sam…”
Non è Lucifero a parlare. Il Demonio se ne sta là, con aria indifferente, a leggere il suo tomo. Un tranquillo e abitudinario “studente” pendolare, alla fermata della metro. Non dice una parola, alza solo un poco la copertina, mostrandogli la scritta che campeggia sopra caotiche geometrie dai colori sgargianti. Il titolo, in minaccioso grassetto, “Manuale di Psichiatria”, precisa in modo inequivocabile la materia trattata.

Non dovrà fingere con Dean. Non dovrà giustificarsi per averlo “tradito”, accecato dalla follia di quella perdita.
E’ impazzito.
Per davvero.
 
E’ questa la punizione divina. E’ arrivata, puntuale e inesorabile, come la mannaia del Cavaliere che non si può ingannare.
Sebbene Jack abbia dichiarato che non avrebbe interferito nell’umana esistenza, non può fargliela “passare liscia”. Anche se ama Dean come un padre. Anche se Sam sarà sempre… un padre.

Ma Jack, oggi,  è  Dio…padre.

Ha delle responsabilità. Sovvertire le regole di Morte non è qualcosa che puoi “perdonare” facilmente.  Sam sa di meritarselo, ma non può pensare di convivere nuovamente con lo strazio che non concede tregua, fosse anche solo una situazione “provvisoria”, architettata da Dio per fargli “imparare la lezione”.

 Il tempo cura ogni cosa. Così dicono.
Sbagliano.
Ci sono cose che il tempo non cura.
 
La sua anima non ha più bisogno di un muro di cartapesta che funga da fragile protezione.
La sua anima è ferita ma integra. E’ “autosufficiente” e libera.

Sam è consapevole che Lucifero è stato annientato ma… ricorda perfettamente quelle visioni. Ogni cosa…che il tempo non è riuscito a “curare”.

Ha ben impresso in memoria il resoconto nitido e conscio di ciò che lo attende.
Un’ allucinazione incessante capace di risucchiare, in mulinello senza ritorno, la più strenua cellula cerebrale.
Morirebbe. Nel giro di pochi giorni. E allora…perché aspettare?

Prende atto delle sbarre alle finestre e, a questo punto, è inutile capire a che piano si trovi. Dovrà pensare a un altro…piano. A volte persino le parole si prendono gioco di te in un bizzarro, grottesco e oscuro balletto di sinonimi.
“Sam…ti prego…guardami…” propone la voce femminile, gentile e morbida.
E’ vestita da infermiera e questo non lo rassicura. Un’ambigua trasposizione, un inganno della sua mente perforata. Potrebbe “interpretare” Meg quando le affidarono Castiel che, pentito di ciò che gli aveva inflitto, si era fatto carico del suo tormento. Potrebbe rappresentare il Vuoto. O Morte stessa.
 
“Sam…” ripete lei, ancor più premurosa “…come ti senti?”
Ma Sam, impaurito, indietreggia sul cuscino. “Tu…io…non puoi essere qui. Io non posso essere qui…è un incantesimo…è la mia punizione…tu non sei reale!”  e intanto, con la coda dell’occhio, scorge Lucifero sfogliare il trattato. Si è soffermato su una pagina. Gliela mostra, con il suo fare canzonatorio, posizionando l’indice sul paragrafo che sta leggendo attentamente. L’ inchiostro è condanna, senza possibilità d’appello: “Schizofrenia”.
Sam prende a tremare, digrignando i denti.

Lei sospira. Come dargli torto?! Se toccasse a lei l’essere accartocciata in quelle lenzuola…se lo vedesse entrare con gli occhi cerchiati, il labbro spaccato e il colorito grigiastro…non potrebbe reagire allo stesso modo?! Forse anche lei non darebbe troppo peso alle due coppie di rughe che, ad ogni cambio d’espressione, “si manifestano”, sulla fronte appena più ampia. E non si soffermerebbe sui capelli leggermente più corti. Per quanto il suo lavoro l’abbia abituata a confrontarsi quotidianamente con il sottilissimo confine tra “realtà” e “delirio”, crederebbe di trovarsi nel bel mezzo di una “frattura temporale”. Penserebbe di esser stata gettata a forza in qualche stramberia che appartiene a…quel mondo.

 Il mondo di Sam.

Se Sam fosse l’ignaro “disegno” su una di quelle riviste di cruciverba dove, nel titoletto, ti suggeriscono: “Trova le differenze”, lei potrebbe mettere una bella “crocetta” su quella fasciatura che riveste parte della nuca. La ferita era profonda. Questo è il particolare “nuovo”, degno di nota. E’ "l'indizio" che prevale su qualche capello in meno o sui segni che, ogni brindisi di Capodanno, ha lasciato sul volto di Sam.

Il volto di Sam… devastato dalla mancanza di sonno e di cibo. Come allora.
Qualche escoriazione qua e là. Come allora.

Due vignette pressoché identiche.
Una copia quasi perfetta di Sam.
Una copia quasi perfetta di Marin.

“Sam…sono io, sono davvero io! E non è un inganno della tua mente o un maleficio. Sono Marin…lavoro qui. Da circa un anno” spiega la ragazza, porgendogli un bicchiere d’acqua che Sam non accetta.
Marin annuisce tristemente. “Oh…certo…che stupida!”. Beve lei per prima e poi ritenta “Non è un imbroglio, è solo acqua…Sam, per favore…”
E’ un trucco. Accettare quell’invito è un sicuro azzardo. Se ne pentirà. Ma la gola va a fuoco e l’Inferno di Lucifero ha già “divorato” parte dell’epiglottide.
Porta il bicchiere alla bocca accorgendosi, con terrore, di quanto i denti picchiettino contro la plastica. Inghiotte.
E’ fresca. E’ insapore. E’ inodore.
E’…acqua.
Ma questo non vuol dire che possa “rilassarsi”.
“Sei nella mia testa. Sei solo nella mia testa! Vai via! Esci da qui!!” e, quel “qui”, per Sam non è solo luogo “fisico” ma interiore. Deve “buttarla fuori” dall’inconscio che si sta burlando di lui.

Marin comprende che sarà complicato. Più del solito.
Anche Sam, impegnandosi, può scovare “le differenze” e “risolvere” il quiz della settimana enigmistica.

 “Sam, guarda il mio collo…”
Sam distoglie lo sguardo, respingendola.  Osservarla con più attenzione non farebbe che incentivare quell’immagine psichica che deve cacciare…non può cadere in quell’ennesimo tranello! Ma i suoi occhi sempre più sgranati e irresponsabili accettano la “sfida”. Sam alza lentamente il capo, squadrando il punto di pelle indicato dalla donna. Ricorda che aveva una medicazione piuttosto estesa…ora, al posto del cerotto, c’è la cicatrice di un’ustione…piuttosto estesa.

Sam conosce il responsabile di quel “marchio”.
Lo spirito del fratello morto...che la voleva con sé.
Come lui rivuole Dean. Con sé.

Sam  coglie un diverso taglio di capelli, leggermente più scuri, e una sottile increspatura verticale, tra le sopracciglia che s’incontrano. Le parole di Marin, gradualmente, sembrano meno minacciose. Ma è presto per dichiararla “concreta” e non sinistro ologramma.
“Sam…qualche mese dopo il nostro incontro, ho deciso di proseguire gli studi. Sono diventata infermiera e ho scelto di lavorare in ambito psichiatrico, per assistere chi vive quello che…che ho passato io. Nella mente umana ci sono tanti “fantasmi”, Sam. Non li puoi tener lontani con scorte di sale. Ci vuole preparazione, sensibilità e molta paz…”
"Perché...perché dovrei fidarmi?!" la interrompe Sam, confuso e sconvolto.
"Perché non hai altra scelta...ricordi, Sam? Io… mi sono fidata…di te...ora ti chiedo di fidarti…di me!”
Lei si è fidata. Sam rammenta alla perfezione le parole pronunciate allora, per convincerla ad accettare il suo aiuto e decide di…fidarsi.

 “Sei…sei davvero tu? Non sei un sogno, una creazione del mio subconscio?!”
“Sam…sono reale!” e Marin cautamente domanda “E’ tornata? La “voce”, Sam… è tornata?”
Sam sposta lo sguardo tra armadio e tavolino. Lucifero è sparito. Forse era solo uno dei suoi soliti incubi, un tragico dormiveglia, indotto dai farmaci. Si arrischia a rispondere in maniera negativa “No…non è tornata…”
Marin si lascia scappare un respiro più ampio, ma è ancora in cerca di risposte.
“E allora mi spieghi come fai ad essere ridotto così?! Ti ho riconosciuto subito, dal vetro, senza bisogno di entrare nella stanza! Sei arrivato qui disidratato, con tutti i segni clinici di chi non dorme da giorni e sei decisamente sottopeso. Deliravi, pronunciavi frasi sconnesse. Hanno dovuto sedarti. E’ tutto…è tutto come allora, Sam! Solo che, stavolta, non ti hanno investito ma eri tu alla guida. Sei andato fuori strada, schiantandoti contro un albero. C’era un cagnolino con te…”
Il particolare di Miracle scuote Sam. Un’altra… “differenza”.
“…lui…lui…dov’è?!”
“Non agitarti…sta bene” lo tranquillizza lei “era solo spaventato a morte. Non si è allontanato dall’auto. Ti leccava il viso. E’ stata una vera fortuna che, in turno, ci fosse Paul. Il paramedico che ti ha soccorso è un accanito sostenitore della pet therapy. E’ finito spesso nei guai per questo…  appena scopre che un degente ha qualche animale domestico ad “aspettarlo”, non esita ad organizzarsi per farlo entrare qui, di nascosto. E funziona! Ha un effetto benefico sui pazienti!” esclama Marin, entusiasta “Paul si è convinto che il cane fosse tuo.  Lo ha caricato sull’ambulanza. Era certo che, l’averlo accanto, ti avrebbe aiutato a riprendere conoscenza. In effetti, mentre lui mugolava, i tuoi parametri sono migliorati. Adesso è a casa sua e sono certa che gli darà doppia razione di cibo e coccole!”
“Grazie a Dio” sospira, Sam, abbozzando un sorriso, pensando per un attimo a Jack.
“Ora che abbiamo stabilito che il cane è tuo e che non siamo vittime di un sortilegio o intrappolati in un insensato déjà-vu…cosa ti è successo, Sam?!” conclude Marin, con tono severo.

Sam deglutisce e gli occhi si fanno poco più che fessure.
“Mio fratello…Dean…lui è…è…”
Marin s’incupisce, gli accarezza le mani tremanti e ghiacciate. Le strofina energicamente per scaldargliele, pur sapendo che, quel gelo, non svanirà.
“Mi dispiace tanto, Sam…”
---
“Lui…lui è qui?”
“No…non è uno spettro. Dean era pronto. Credo che la sua anima ormai sia in pace ma io…io quella pace non la voglio, Marin!” afferma esasperato, Sam. “Ho conservato il suo corpo. Sto cercando il modo per…” e Sam stenta ad ammettere quella verità. A Marin. E a se stesso. “…per farlo tornare…” conclude, con un fil di voce.
 
Lei lo scruta con aria sgomenta ma non giudicante “Sam…nessuno meglio di me può comprenderti ma ho visto cos’era diventato mio fratello…dovevo lasciarlo andare…me lo hai insegnato tu, ricordi?”.
Sì, ricorda anche questo. Ma è facile “mettersi in cattedra” quando non sei direttamente coinvolto.
“Lo so ma…non ce la faccio, ci ho provato ma…non posso. Lui non è pericoloso. Non è un fantasma impazzito. Quando lo riporterò in vita tornerà ad essere De…” ma un conato di vomito interrompe l’ardita “spiegazione”. Lei, lesta, gli porge la traversa che, per precauzione, aveva già posizionato ai piedi del letto.
“Scusa…scusami…” sussurra Sam, profondamente a disagio.
“Non ti preoccupare… se sei schizzinoso non scegli questo mestiere! Tutto nella “norma”.  E’ il trauma cranico. I medici hanno parlato di lesione da monitorare.”
E Sam dà un senso alla nausea “tradotta” in briciole ferrose sulla lingua.
Marin gli pulisce delicatamente le labbra cambiando discorso. Meglio non parlare di Dean.  Meglio ricondurre Sam a “chi” lo sta aspettando. Ed è vivo.

 “Chiamerò Paul e gli dirò che, anche stavolta, ci ha visto giusto. A proposito…come si chiama il tuo cane?”
“Miracle…si chiama Miracle…” risponde Sam, meditabondo.
“Be’ è…è davvero un bel nome…”
“Lo ha scelto Dean. Era Dean il suo padrone…”
“A giudicare da come ti ha vegliato dopo l’incidente credo che adesso sia tu…il suo "capo branco", almeno fin quando…insomma…fin quando non troverai una soluzione…”
Sam annuisce stancamente mentre lei sostituisce la traversa con una pulita “In caso di bisogno ma credo che ormai il peggio sia passato…ora cerca di riposare un po’, ok?”
“Ci proverò.” afferma Sam, poco convinto. Poi, mentre Marin si allontana, dirigendosi alla porta, la richiama “Aspetta…ancora una cosa…quanto dovrò restare qui?” domanda, impaziente.
“Hai vomitato…dovrò segnalarlo…” comunica lei, con tono improvvisamente professionale.
Sam comprende che deve riportarla a un registro comunicativo più confidenziale. Ha bisogno che Marin sia “dalla sua parte”.
“Per favore Marin…non farlo. Mi conosco, è una semplice commozione cerebrale…”
“Sam, potrebbe essere una complicanza rilevante. Potresti aver bisogno di un intervento chirurgico per rimuovere l’ematoma…non posso tacere, è troppo rischioso.” conclude lei, perentoria.

Un intervento chirurgico…sa che non sarà la “lobotomia” che gli “paventava” Lucifero, terrorizzandolo. Ma non può perdere tempo prezioso a…farsi trapanare il cervello! E’ già “schiumarola” che tenta di trasformarsi in mestolo.
“TI prego…Marin. Non dire nulla. E’ la conseguenza di ciò che ho vissuto negli ultimi dieci giorni…non dormo a sufficienza e praticamente digiuno…da quando…”
Marin fa un cenno di dissenso “Così non va, Sam. Non puoi continuare ad autodistruggerti…” poi, rivedendo la propria decisione, acconsente “Ok…faremo come dici tu. Ma al prossimo conato suoni il campanello e io avviso la caposala. Intesi?”
“Intesi…” obbedisce, Sam, grato di quella provvidenziale “complicità”.
Marin, dal canto suo, pur restando “in allerta”, vuole che Sam ritrovi un po’ di speranza. E non può ritrovarla temendo di restare a lungo ricoverato “Domani il medico ti visiterà. Probabilmente, deliri e allucinazioni, verranno imputati al trauma cranico…se non subentrano complicazioni, nel giro di qualche giorno, ti dimetteranno.”
Qualche giorno. Una settimana. Un'altra. Per lui...e per Dean.
Troppo.

“Io…io non posso rimanere più di un paio di giorni…” e non serve che Sam entri nei dettagli. Marin comprende il motivo sotteso all’esigenza di “guarire”, in fretta.
“Adesso non pensarci…vedrai che, se seguirai le indicazioni dei medici, ti riprenderai prima del previsto.” lo consola, controllandogli la flebo. “Ora devo andare altrimenti la mia collega mi terrà il broncio per il resto del turno, è una tipa suscettibile! Mi raccomando Sam, non tradire la mia fiducia...”
Sam afferra debolmente il campanello, tenendolo a portata di mano. Marin non è un’ingenua. Non gli permetterà di “imbrogliare”.

Marin, lasciando la stanza, chiude la porta dietro di sè e Sam si auspica di non dover pigiare quel dannato pulsante.
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Sono trascorse da poco le dieci di sera e Sam non ha avuto bisogno di premere il tasto di emergenza.
E’ riuscito a dormire. Non sa per quanto. Forse un paio d’ore. Prima che lui lo svegliasse con un lungo applauso… “a scena aperta”. Sam è sobbalzato. Ma, fortunatamente, al posto dell’inquietante Lucifero, ha scorto la confortante Marin.

“Tutto bene, Sam?”

Marin si aspetta uno schietto “No…non proprio…” ma, quando riceve un “depistante” e frettoloso “Sì…si certo…sto molto meglio.” non si stupisce più di tanto. L’assenza di emesi, dal punto di vista della prognosi, la rasserena ma Marin sa che, un’allucinazione visiva, può “bucare” il cervello più di una craniotomia.

E’ lungimirante Marin.

“Ho cambiato turno. Domani farò la notte. Il reparto, a quell’ora, è più tranquillo. Potrò stare un po’ di più…con te.”
“No…non voglio metterti in difficoltà…” si irrigidisce, Sam.
“Sam…ho fatto un favore alla mia collega, lei odia il turno di notte! E poi il medico responsabile lo sa che mi prendo a cuore i nuovi arrivati…non lo troverà insolito! Così ti terrò d’occhio… e vedrai che non dovrai prolungare la tua degenza. Chiacchiereremo, mi racconterai quello che “mi sono persa” e io ti parlerò della mia smisurata passione per Jung...ti distrarrai e Charles Manson se la darà a gambe levate!” dichiara Marin, vagamente solenne.
“Grazie…Marin…” sussurra Sam.
“E poi…poi decideremo cosa fare…con …”
Sam torna sulla difensiva “E’ fuori discussione, Marin. Io non voglio coinvolgerti.” chiude, categorico.
“Giusto, è “fuori discussione” che io …ne resti “fuori”! Sono già coinvolta, Sam. Tu mi hai aiutata…con mio fratello. Io ti aiuterò con il tuo…”

Poi, dopo aver frugato nelle tasche, gli offre una barretta di cioccolato confezionata.
 Sam sorride “Vai sempre matta per gli snack ipercalorici?”
“Sempre… ma non li rubo più! L’ho presa alle macchinette…però devo ammettere che, l’adrenalina della cleptomane, un po’ mi manca!”
Sam concorda, divertito.

“Te ne lascio una metà, per lo spuntino “di mezzanotte”, ora che la nausea sembra darti tregua...” quindi Marin scarta la barretta e, lasciandola sul comodino, motiva “Nel caso le mani tremassero un po’ troppo…”.
Sam apprezza quel gesto così tenero e spontaneo.
“Riposa, Sam…ci vediamo domani mattina”
“Ma mi hai appena detto che sarai qui per il turno di notte…”
“Appunto…quindi ho la mattinata libera!” annuncia Marin allegra “Così ti darò notizie di Miracle e ti porterò qualcosa di commestibile…la colazione qui non è granché…almeno per me che vado matta per i cornetti appena sfornati!”

Sam non è abituato a tali premure. Lo conosce appena. Marin non è Jody o Charlie. Non fa parte del “loro mondo”. Ha avuto una tragica esperienza personale di “contatto con l’aldilà”. Ma niente più di questo.
Marin non è che una “vittima”. Una di quelle tante “vittime” che loro hanno incrociato, tra un caso e l’altro. Non gli deve nulla.

“Marin…non sentirti in dovere di essere gentile con me, non sono che un semplice paziente…non hai nessun debito nei miei confronti…è stato tanto tempo fa…e poi era…è il mio lavoro…” spiega Sam, quasi in imbarazzo.
 E’ il suo lavoro. Lo è ancora.
Anche se Dean non c’è più…a guardargli le spalle.

“Sam, lo so che è il tuo “lavoro”… ma tu eri a un passo dalla morte! Avresti potuto fregartene, concentrarti su te stesso invece di ascoltare i deliri di una perfetta sconosciuta! Ricordo ogni cosa, Sam. Ti muovevi a fatica e percepivo quanto stessi lottando contro la tua angoscia. Quando hai ammesso di non farcela a tracciare il cerchio di sale…eri schiacciato dalle visioni, Sam. Lo so bene. Ma hai resistito, hai mantenuto la lucidità necessaria a guidarmi, per portare a termine il rito. Mi hai permesso di “liberare” mio fratello e me stessa…non posso dimenticarlo, Sam! In questi anni ho continuato a pensarci. Ho continuato a pregare per te, a sperare che tu, in qualche modo, avessi vinto…contro quei mostri che ti volevano rubare l’esistenza, divorandoti il cervello…”

Sam deglutisce, colpito dal fatto che Marin abbia percepito in modo così netto il dramma di allora. Esattamente come riesce a far proprio quello di oggi.

“Adesso tocca a me…non ti lascerò solo…qui e…fuori di qui…”
Sam non sa se accetterà il supporto di Marin. Ma, una parte di lui, vorrebbe non essere solo…davanti a quella fossa.

Quando Marin,si congeda da lui, Sam fa un cenno con la mano, adagiando piano la testa sul cuscino. E' ancora in una “centrifuga” ma le tempie sembrano “rallentare”.
Dormirà. E, più tardi, proverà a dare un morso a quello snack “condiviso”. Spartito…a metà.
Come il dolore per un fratello perso.

Forse Jack, dopotutto, non l’ha voluto punire. Lo ha condotto a chi mai avrebbe creduto di rincontrare.
Dio ha sempre un “piano”. Nulla è casuale. E’ un “dogma” che ha imparato. Nel bene e nel male.

Sam, con timore, da un’ultima occhiata tra armadio e tavolino. La metro è stranamente in orario. Lo studente “fuori corso” non sosta più sulla banchina. Si preparerà “in solitaria” all’esame.

Sam riempie i polmoni ed espira. Quella stanza è reale, è nel presente.
Lucifero è nel passato, relegato alla dimensione onirica.
Canta sguaiatamente. Lo pungola, irrompe con una frase sarcastica e… lo applaude… “in differita”. 
Lucifero ride. Sono le risate pre-registrate di una bizzarra sit-comedy, come quelle create ad hoc da Gabriele. Lucifero resterà lì. Non gli permetterà di varcare la soglia di quel set dalle coloratissime pareti, di posticcio compensato.

Marin ha ragione, lui lo ha combattuto.
Continua a combatterlo. Ogni giorno.
Continuerà a farlo.
Anche se è rimasto solo a cacciare i mostri e, quelli che “lo abitano”, attaccandolo “dall’interno”, fanno decisamente più paura.

Buonanotte, Dean…ovunque tu sia…” mormora Sam, scrutando il soffitto, quella volta dipinta di azzurro che, secondo le moderne tendenze d’arredo dei centri di cura e riabilitazione, aiuta a “ritrovare se stesso”.
Forse Dean, ha già “ritrovato se stesso”, in un “azzurro” ben più profondo e sicuro.

Forse Dean, in Paradiso, sta già pregando…
 per lui.

Nella benefica sonnolenza che lo avvolge, Sam è quasi certo di distinguere una voce.
E non è quella di Satana o di Charles Manson.

Buonanotte, Sammy”.
 ---
“Dean? Dean?”
Dean non risponde. Le labbra non possono più aprirsi. Sigillate. Incollate. Come se qualche sadico angelo gliele avesse cucite “a mano”, con crudele perizia.

Gli occhi non possono più definirsi tali. Sono mistura informe di ciglia, terra e fango. A volte Dean crede che qualche talpa, con uno spiccato senso dell’umorismo, gli abbia strappato le pupille, per usarle come macabre “lenti a contatto”. Qua e là il corpo è martoriato, sfregiato. Non solo formiche rosse ma anche scarafaggi e lombrichi che, ad ogni passaggio, gli fanno accapponare ciò che resta della pelle. E poi ci sono “loro”. Con il corpo snodato che si appiattisce, per infilarsi nei punti più impensati. Con quella lunga coda che è frusta in miniatura.

Potrebbero fare la controfigura nei più celebri classici Disney. Peccato che non vestano variopinte magliette e buffi cappellini.
Sono scaltri, veloci. Non si vergognano delle proprie nudità e, mentre affondano denti e zampine nei tuoi polpacci, sono troppo concentrati per confezionare abiti, gorgheggiando soavemente. Peccato. Avessero la passione per la sartoria potrebbero rammendare il suo sudario.
Il lenzuolo è a brandelli. Quasi inesistente. E, invece, lui “esiste”… ancora.

Povero Sam. Inguaribile ottimista! Probabilmente credeva che quella fibra fosse più robusta. O forse non pensava che dovesse “reggere” a lungo. Uno dei “cavalli di battaglia” di Sam… “Troveremo un modo, una soluzione, Dean!”. Quante volte glielo ha sentito dire!

Inguaribile ottimista, il suo fratellino.

Ma qualcosa, stavolta, non deve aver funzionato. E lui è ancora lì, cumulo di resti umani che non si rassegnano al proprio destino. Ormai lo ha accettato. E’ sceso a patti con l’involucro che continua a lottare. Fin quando sarà briciola che si confonde con la roccia frantumata. Quei rudi topolini che non si sentono “degnamente” rappresentati da Mickey Mouse, prima o poi, avranno la meglio. Dean sarà tavola imbandita, succulento buffet.

La voce di Delia suona così ovattata. Lontana. E il dolore provato è talmente dirompente, penetrante, incredibilmente tangibile da non consentirgli neppure un soffio di risposta.
Ma ci prova. L’anima rannicchiata di Dean, in un gesto estremo, emette un sibilo che fa muovere un filo d’erba.
“Dean…puoi sentirmi, vero?”
Il filo d’erba oscilla. Impercettibilmente.
Delia sospira a sua volta, come se la tortura inflitta a Dean avesse messo a dura prova anche lei.
“Mi dispiace molto, Dean. Non hai ceduto. Non hai vacillato. Hai atteso con pazienza che io decidessi la…prossima mossa. Sei un ottimo giocatore, Dean!” afferma Morte, con un compiacimento che lo fa imbestialire.
Grandissima puttana!” pensa Dean, fra sé, rivalutando Billie. Lei, almeno, non stava a “pensarci” troppo.  Avrebbe stretto il suo cuore senza neppure avvisarlo, spappolandoglielo in mezzo minuto.
Invece questa Morte è capace di una crudeltà sottile. Lo spaventa. Anche se gli pare stupido provare paura. E’ ridotto a carcassa di carne umana, cos’altro potrebbe fargli?! Ancora?!

“Bene, Dean…si riparte!” comunica Delia, entusiasta.
Dean non ha più fiato a sufficienza, per ottenere delucidazioni. Il filo d’erba resta immobile. Come la sua anima scuoiata.
Lei gli si avvicina. Ponendo l’indice sulla fronte lurida e madida.  L’anima di Dean, improvvisamente, non soffre più.  Non percepisce più nulla. Spogliato di materia. Quella materia che è solo tormento.

Dean si domanda cosa lo attenda. Ci sarà uno scotto terribile da pagare.
Per quel nulla. Che è tutto ciò che desidera.

“Perché?! Cosa…cosa hai in mente?!”
Delia, schiocca le dita e Dean cade in una sorta di catalessi che gli permette di “vedersi”. Sottoterra.

Un ribrezzo che non ricorda di aver mai provato. Per nessuno delle orripilanti creature affrontate e sconfitte.
Trattiene un rigurgito “illusorio” che non può espellere, afflosciandosi come spaventapasseri sventrato. Dato in pasto ad argute cornacchie.
“Lo so…non è un bello spettacolo vero? Il tuo corpo è dannatamente tenace, Dean.” e pare che quasi provi sincera pietà, per lui.
Dean ha lo sguardo perso nel vuoto, come il condannato a cui deve essere comunicato il “mezzo” con cui verrà giustiziato. Che sia per fucilazione o impiccagione…poco importa. Il “risultato” sarà il medesimo.

“Dove…dove vuoi portarmi stavolta? E poi…con quel…insomma…“L’alba dei morti viventi” vuoi fare il remake?!” sottolinea veemente Dean, mettendosi la mano sulla bocca, come a voler trattenere un hamburger che non ha mangiato. Non può più rimpinzarsi di panini imbottiti ma ha tutti i sintomi di una “digestione” difficile.
Lei gli sorride, furbamente, palesando delusione “Mi sottovaluti, Dean! Non sono una sciocca e posso manipolarti a mio piacimento, “rigenerarti”, all’infinito” puntualizza e un lampo attraversa le chiare iridi.
Dean barcolla. Quel “rigenerarti all’infinito” gli suona orrendamente “familiare”. L’Inferno. Alastair.
Pezzetto dopo pezzetto. Polverizzato. Fino all’ultimo.
Per poi ricominciare. Dal primo. All’ultimo.

“Il tuo corpo sarà integro. Solo la ferita fatale…quella rimarrà aperta. Un buco in pieno petto. Ma farò in modo che gli altri non la vedano.”
“Aspetta…spieg…”
Ma Dean è già nuvola di molecole che si frammenta per poi “ricompattarsi”.
Altrove.

Stronza!” riflette e, confermando la preferenza per Billie, si prepara alla nuova…mano di poker.
---
Si ritrova davanti a un cartello che conosce bene. Per triste “esperienza pregressa” e facendo un rapido calcolo matematico intuisce che potrebbe aver chiesto di essere sepolto lì. Tra chi amava e credeva di non meritarsi…quell’amore.
E’ completamente disarmato. Non ha “assi nella manica”. Non vuole più giocare.

Basta.

Si appoggia al legno. Implorante. “No…no! E’ stato importante per me! Risparmiami almeno questo! Ti supplico, Delia! Lisa, Ben…e ora lui…non posso accettarlo!” e Dean grida tutta la propria disperazione.
Lei lo guarda compassionevole e non cede alla tentazione di “lasciarlo sulle spine”.
“Dean…nessuna tomba. Sonny non è morto. Anzi…posso svelarti che gode di ottima salute. E’ a New York, a un convegno promosso da alcuni imprenditori filantropi. Ha aderito a un progetto che potrebbe portare cospicui fondi alla comunità.”
Dean si siede, ai piedi dell’insegna, boccheggiando “Allora lui…lui sta bene?! Non mi stai mentendo?!”
“Dean…non mento mai. A volte vorrei esserne capace. Quando ero un mietitore spesso provavo pena per chi dovevo “abbracciare”. Quando mi toccavano dei bambini…poi…” e Delia si blocca, per una manciata di secondi. “Avrei voluto essere capace di “addolcire” la verità, rendendola più lieve, ricorrendo a una bugia o inventandomi una favola... ma non riuscivo a farlo.” conclude, pensierosa e Dean è stupito da tanta sensibilità.  “Dico il vero, Dean. Sonny, nonostante l’età che avanza, continua a dedicarsi ai “cattivi ragazzi” con la stessa passione di sempre”
Dean sorride e non gli sembra vero di ricevere quella “buona notizia”.
“Ma allora…perché siamo qui?!”
“Nessuno ti ha mai detto ogni cosa a suo tempo, Dean”
Dean sbuffa, squadrandola torvo “Certo! Tu, continuamente! Da quando è cominciato questo calvario!”

Delia ride. E Dean si fa di nuovo…nuvola.
 ---
“Non è la casa famiglia…” constata Dean, amareggiato. Anche se Sonny non c’è torna sempre volentieri in quel luogo. Gli dà serenità. Pace. Quella che gli sembra irraggiungibile.
“No, ma è una casa” illustra lei, descrivendo il lapalissiano.
“lo vedo! Sono semi-morto, non sono stupido!!” ribatte Dean, offeso.
“Diciamo che, anche da vivo, non hai mai brillato per intelligenza!” chiarisce lei, sagace.
Dean borbotta il proprio disappunto, stando comunque al gioco “Bene…allora, riassumendo per quelli che, come me, hanno pochi neuroni che si rincorrono…che ci faccio qui?!”
“Oh…guarda…c’è un campanello!” suggerisce Delia, fingendo meraviglia.
“Ma stai scherzando, vero? Non so che cazzo di ora sia…ma è giù buio. Non so nemmeno chi viva qui!”
“Appunto…suonando lo scoprirai.”
“Un altro dei tuoi giochetti da perversa isterica! Mi fai rimpiangere Billie!”
“Addirittura?!” esclama Delia per nulla risentita. “Vuol dire che sto diventando credibile come Morte!” e gli strizza l’occhio.

Dean scuote la testa, accostando l’indice al campanello. Aspetta poco più di minuto e poi, ringhiando un udibilissimo “Accidenti a te!”…suona.
E la porta si apre.
La riconosce. Un pensiero inatteso e nitido gli percorre la mente, all’istante: è sollevato nel vederla viva. Avrebbe potuto essere “volto su lapide”.
Anche lei.
Invece è in piedi, davanti a lui, sorpresa ma con le labbra che si distendono, in espressione emozionata. Pronuncia il suo nome… “Dean Winchester!”.
Anche lei.

 “Dean Winchester! Ma…ma che ci fai qui?!”
“Ciao…ciao, Robin…ecco io…io passavo da queste parti e ho pensato che…che forse…” balbetta Dean provando ad inventarsi qualcosa. Ma non è necessario. Il respiro viene meno e si ricorda che, il “foro” nel torace, avrà sicuramente la “sua parte” in quel “giro sulle giostre” che Delia gli ha offerto. Rappresenta il “filo diretto” con la carcassa. Giusto per ricordargli “il solito”, come direbbe la puttana.

“Dean! Entra, mi spiegherai tutto con calma… puoi fermarti qui, per la notte!” gli propone Robin, sorreggendolo.
Dean rimane volutamente sul generico, perché non sa quanto “tempo” gli concederà Delia. “Grazie… solo…solo un paio d’ore…poi me ne andrò…”
“Mamma? Tutto bene?!”
La voce proviene dal piano superiore. Non è come quelle di Ben, ormai uomo. Questa è ancora “in evoluzione”.
Dal loro ultimo incontro non era emerso che Robin fosse sposata o avesse un figlio…Dean non capisce perché glielo abbia voluto nascondere.
“Va tutto bene, tesoro. Ma non indovinerai mai chi si è appena seduto sul divano di casa!”

Dean, recuperando fiato, tra un cuscino e l’altro, ode passi svelti scendere le scale. E la voce ha presto un “proprietario”.
Alto. Magro. Biondo. Occhiali sul naso.

“Dean!! Dean Winchester!”
Gli si avvicina, con fare compito e beneducato e, porgendogli la mano, esclama “Bentornato Dean, signore!”
Una stretta vigorosa, cordiale.
Come gli ha insegnato…lui.

Dean.

“Timmy! Timmy…wow, sei davvero cresciuto!” constata Dean, incredulo.
“Già, porto sempre gli occhiali ma questo non mi impedisce di essere piuttosto bravo quando devo prendere la mira!”
“Non stento a crederci, ragazzo!”
Poi interviene Robin “Sam? Lui dov’è?’” domanda, tradendo apprensione.
“Lui…lui…” tentenna Dean scatenando la scioccante reazione di Timmy “Siete qui per la Baba Yaga! E’ da tempo che le stiamo dando la caccia! Ha preso Sam?!”
Dean guarda Robin con aria interrogativa e poi Timmy e poi di nuovo Robin. Finché la donna non rompe il silenzio che si è creato “Calma, calma Timmy. Lascia che Dean ci spieghi…scusalo ma purtroppo non è la prima volta che si trova a combattere contro quella strega. L’anno scorso un suo amico è rimasto quasi ucciso. Sono in gamba ma troppo giovani e inesperti. Sonny li ha addestrati a sparare, ad usare il coltello ma non hanno una vera e propria guida. Non è facile essere cacciatori.”
Dean strabuzza gli occhi.          
“Tu hai detto…hai detto cacciatori?! Ho sentito bene?!”
Robin ride, accompagnando la risata a un eloquente gesto del capo “Hai sentito bene, Dean. Qui hai lasciato il segno, da ragazzino e, a quanto pare, anche da adulto!”
Dean, sbigottito, si gira e rigira sul divano, passandosi una mano sul viso e l’altra tra i capelli. A più riprese, tenta di alzarsi…senza risultato. Il “foro” non si vede. Ma c’è.
“No no…non può…lui…tu...che caspita c’entrate con la caccia?!”
Robin nota che Dean si sta “alterando” e cerca di correre ai ripari. Non conosce i dettagli, della caccia che li ha fatti nuovamente incontrare. Non ha ferite evidenti ma quella mano ancorata al torace, quel respiro grosso, le fa capire che, l’ultima cosa di cui ha bisogno, è “irritarsi”.

“Dean…è tutto ok…Timmy, per favore, vai a prendere qualcosa da bere”
Timmy, accondiscendente e solerte, si dirige in cucina e Robin accetta di buon grado la battuta di Dean “Spero che non mi porti dell’acqua…ho bisogno di qualcosa di decisamente più forte!”
“Dean…” riprende Robin, paziente “Timmy…solo tu puoi immaginare quanto abbia sofferto. Solo tu lo puoi capire davvero.”

E Dean abbassa lo sguardo. Una madre che si sacrifica per salvarti. Una madre che diventa fiammata e poi ritorna, come fantasma impazzito. Una madre diventata mostro e che Timmy deve “cacciare” per evitare che rubi altre vite. Si…lo può capire.

 “A quell’età, con il suo vissuto, con quegli incubi che non gli facevano chiudere occhio…conosci Sonny da abbastanza tempo per sapere come funzionano queste cose. Nessuna famiglia l’avrebbe tenuto a lungo, trasformando l’affido in adozione.”
Maledettamente vero, ragiona Dean.  E’ già complicato allevare un figlio che, ogni tanto, ha paura di cosa si possa nascondere nell’armadio…figuriamoci uno che, suo malgrado, ha scoperto che “qualcosa” di terribile può davvero celarsi tra la camicia a quadrettoni e il giaccone imbottito.
“Quindi…tu…” ipotizza Dean, cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
“Ho deciso di occuparmene io.” conferma Robin “Le richieste di affido di un single solitamente faticano ad essere accolte ma il giudice Morgan è stata compagna di scuola di mia madre. Mi conosce da quando sono nata. Mi ha dato fiducia, sapendo che non l’avrei delusa. Sonny mi ha aiutata a prendermi cura di lui. Non so come avrei fatto, in questi anni, senza il suo supporto! Conciliare la tavola calda e le esigenze di Timmy…non è stato semplice. Ho assunto un paio di cameriere. Meno guadagni ma più tempo da trascorrere insieme…a mio figlio” e Robin sorride, orgogliosa.
“Ma ancora non capisco come sia arrivato a…”
“Ho cominciato ad interessarmi di occulto. Di incantesimi. Insomma, “roba per voi”.” chiarisce Timmy, porgendo una birra a Dean. Probabilmente ha intuito che, dell’acqua, sarebbe stata poco gradita al loro ospite.
 “Non sapevo bene da dove partire ma la mamma non mi ha ostacolato…”
“Tu…tu davvero non…” esclama Dean, mandando giù una golata di birra.
Robin lo squadra, con aria polemica “E perché avrei dovuto, Dean?!Tu, alla sua età, non volevi fare il cacciatore. Sognavi di diventare una rockstar o un buon meccanico…”
“Appunto!”
“Dean…Timmy non vuole fare il cacciatore ma conosce il Male che c’è la fuori…vuole potersi difendere. E io non gliel’ho impedito. Gli piacerebbe insegnare o lavorare in biblioteca. Come vedi, dedicarsi alla “caccia” non è tra i suoi piani ma quando c’è qualcosa di sospetto nei dintorni… lui non si tira indietro.” argomenta Robin.
Dean, a quella precisazione, non si sente più tranquillo.
“Ma non ti puoi improvvisare cacciatore, e  pericoloso! Devi essere preparato e pronto a tutto! Se lo ami come un figlio…come puoi accettare che…”
”Proprio perché lo amo come un figlio non gli chiederò mai di scordare cosa hai fatto per lui…per noi.”
E Timmy prende la parola, spiazzando completamente Dean.

“Dean…signore, lei mi ha cambiato la vita. Mi ha dato coraggio, mi ha fatto sentire capace di grandi cose. E poi…la mamma… se non fosse rimasta coinvolta in quel caso, probabilmente non mi avrebbe mai adottato. Sarei rimasto semplicemente uno dei suoi allievi di chitarra. Un ragazzo difficile…di Sonny, senza alcuna possibilità di diventare altro. Credevo di essere destinato a rimanere un orfano. Credevo di dover fronteggiare i miei incubi da solo. Invece c’è stata lei, la mamma…ad abbracciarmi. Ogni notte.”
“Non so…non so davvero cosa dire…” mormora Dean, guardandosi attorno, deglutendo.
“Be’, forse una pacca sulla spalla e qualche parola d’incoraggiamento…” suggerisce Robin, vagamente stizzita.
“Certo…certo…è solo che…davvero non avrei mai immaginato che…” si giustifica Dean, imbarazzato.
“Che un mingherlino, pauroso e con gli occhiali, potesse cavarsela con streghe e vampiri?” ironizza Timmy.
 
“No…non fraintendermi…non volevo affatto dire questo…sono…sono sicuro che tu sia un tipo in gamba…” e Dean pensa a Garth che, ben prima di trasformarsi in lupo mannaro, era un amico fedele e un cacciatore forse un po’ maldestro ma abile.  “Credimi…non volevo offenderti…”
“Non mi sono offeso, signore!” risponde prontamente, Timmy.
“Possiamo smetterla con questo “signore” e vuoi darmi del tu, per favore?!” e Dean, in quell’approccio così reverenziale, rivede se stesso. Davanti a John.
“Certo…certo come vuole sig…Dean, volevo dire, Dean.” si corregge il ragazzo.

Robin tira su con il naso accarezzando il viso di Timmy “Ora che ne diresti di lasciar riposare Dean? A quanto pare Sam non è nei guai e quella creatura riuscirete a prenderla, vedrai!”
“Vorrei tanto che tu avessi ragione, mamma. Poi…be’ forse, Dean, una volta guarito, potrebbe…darci una mano…”
“Ecco io…io non so per quanto potrò fermarmi…Sam sta indagando su un caso a Boston… devo raggiungerlo, appena possibile. Ci siamo divisi perché… io dovevo riprendermi da una brutta ferita.” E Dean si tasta il petto, sapendo di risultare decisamente credibile.
“Certo, certo, capisco…” afferma Timmy, visibilmente deluso. “allora vado a preparare la stanza degli ospiti”
“No, ragazzo, lascia stare…il divano andrà benis…”

Ma Timmy è già al piano superiore. Ha fatto gli scalini a due a due, con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto che, il proprio super-eroe, dormirà sotto lo stesso tetto. Poco importa se si fermerà per una notte sola. I super-eroi, si sa, sono parecchio impegnati a salvare il mondo.
E Dean, per Timmy, resterà per sempre “Dean-spaccamostri”. Rigorosamente senza mantello. Timmy, cacciando, ha compreso a cosa si riferisse, con quella battuta…un mantello sarebbe davvero poco pratico!

“Lascia perdere, quando si mette in testa una cosa non lo distogli. A quest’ora starà già tirando fuori il lenzuolo di lino delle grandi occasioni!”
Dean, alla parola “lenzuolo”, avverte un brivido lungo la schiena,
“Deve essere un bravo ragazzo e poi con te…insomma, sembrate davvero molto legati…” e Dean ha in mente quella famiglia “non di sangue” che non li ha mai abbandonati.
“Ci sono voluti tre anni ma, quando mi ha chiamato “mamma” è stata…è stata un’emozione indescrivibile!” e Robin si asciuga una lacrima. “Eravamo proprio qui, su questo divano. Non era un giorno speciale, non eravamo vicino a Natale o al suo compleanno o al mio…era un giorno come un altro. Una semplice serata davanti alla TV. Mi si è accoccolato vicino. Come ogni sera. Ridevamo, guardando un film di Sandler e lui, come se niente fosse, mi ha detto “Ti voglio bene, mamma”. Da allora…non sono più Robin…”
Dean fa un cenno con il capo accorgendosi che, quello stato “a metà” non gli impedisce di percepire gli occhi farsi specchio.
“E’…è una bella storia…”. Ne aveva bisogno. Aveva un disperato bisogno di…una bella storia.
“L’hai scritta tu, Dean…”
Dean deglutisce. Stavolta non c’è una pietra su cui piangere. O un figlio senza madre.
C’è una donna generosa e un ragazzo che, al contrario di Ben, ha vinto la crudele fatalità che ti può condurre nei fondali più profondi.

Robin si dirige verso la libreria. Prende un volume piuttosto corposo. E lo tende a Dean che inizia a sfogliarlo, incuriosito. E’ una raccolta di fotografie che ritraggono Timmy, Sonny e Robin.
Halloween trascorsi con improbabili costumi “fai da te”…Sonny è esilarante con la dentatura da Vampiro Alfa! Natali che immortalano Timmy tra pacchetti rossi e dorati. Momenti di vita scolastica, dalla recita di fine anno, all’esperimento di chimica realizzato in gruppo, con tanto di ampolle e alambicchi. Una foto attira particolarmente l’attenzione di Dean: Timmy stringe al petto la riproduzione, a grandezza naturale, di un vocabolario, placcato oro. Robin “risponde” alla perplessità di Dean. “Un po’ kitsch, devo ammetterlo… ma Timmy ne va fiero! E’ arrivato primo alla gara di sillabazione!” e Dean, sottolineando la bravura di Timmy, prosegue in quella carrellata di quotidianità.
Weekend in tenda, trascorsi con i ragazzi del centro, con Timmy e Sonny davanti al fuoco e Robin che suona la chitarra. E poi… i primi piani. Robin riesce a cogliere le luci e le ombre di ogni viso. I volti di chi è stato maltrattato, di chi ha trasformato la propria sofferenza in ribellione, di chi non sa se potrà credere di nuovo in se stesso. Il volto rugoso e accogliente di Sonny. Il volto pensieroso di Timmy.
“Scatti di vita”. Una vita che, Dean, ormai sa di aver perso per sempre. Lo sa che, quel corpo rimesso “a nuovo”, è solamente “in prestito”. E per un momento vorrebbe che le cose fossero andate diversamente.
In quel maledetto fienile.

“Davvero…davvero notevole…” esordisce Dean, chiudendo con delicato rispetto, l’album. “…così, alla fine, non hai rinunciato alla fotografia…”
“In un certo senso è così. Ho realizzato il mio sogno. Non fotograferò luoghi esotici e lontani, non vedrò mai il mondo ma non me ne dispiaccio. Ogni individuo che incontri è un meraviglioso continente, tutto da scoprire, da attraversare senza bussola e senza guida turistica. Me lo ha insegnato Timmy e… un ragazzo che, “da grande”, voleva fare il meccanico per riparare i motori, per far tornare le vecchie auto su strada…”
Dean sospira “Quel ragazzo ha rinunciato ai suoi sogni…”
 “Ha fatto di meglio… ha finito con il “riparare” e salvare persone. In fondo anche questo è molto “rock”! Non credi Dean?!”

Dean sorride. Si sente stranamente bene. Anche se è morto. Anche se per lui non ci saranno weekend in tenda o alberi addobbati da immortalare.

“Ora vai di sopra e riposati, Dean” consiglia Robin, accarezzandogli il viso..
“Ok…allora grazie e…be’ a domani…”
“A domani, Dean e vedi di non sparire. Ricordati che mi devi sempre un ballo!”
“Farò…farò del mio meglio per non “sparire”…” e vorrebbe poter raccontare a Robin un’altra “storia”, senza “lieto fine”. Ma a che servirebbe?
---
“Allora Dean, ti è piaciuta la mia sorpresa?!”
Dean balza sul letto- Era quasi riuscito ad abbandonarsi a un breve sonno. Non gli sembra vero che, “quel lenzuolo”, sia integro e profumi di fiori di campo.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Oh, scusa tanto, ti parrò indelicata ma, nella tua situazione, non credo che uno spavento possa peggiorare le cose!”
Dean annuisce, abbacchiato.
“Cosa vuoi? E’ ora di andare?”
“No. So che sei abituato a scappare senza salutare ma Robin e Timmy meritano di poterti dire addio. Proseguiremo il nostro viaggio domani.”
“Perciò a cosa devo la tua visita?” ringhia, Dean.
“E’ stato lui”
“Lui chi? E a fare cosa?!”
“E’ stato Timmy ad uccidermi”

Dean stringe gli occhi, esterefatto “Lui?! Davvero è stato lui?! Come?!”
“Ero a un passo da quel suo amico, quello di cui ti ha parlato. Timmy era sulle tracce della Baba Yaga ma Arthur l’ha vista…prima che lui potesse intervenire. Ha una malformazione cardiaca, congenita e… l’attacco di panico ha fatto il resto. Ero lì per...lui. Gli stavo dicendo di stare calmo. Avrei voluto essere capace di raccontargli una “bugia”…ma sono solo riuscita a dirgli che non avrebbe più rivisto i suoi genitori e che doveva venire con me perché…il suo tempo era finito.”
Dean scuote la testa “Ma non c’è una sorta di corso di formazione per mietitori?! Come accidenti si fa a parlare così a un ragazzino?! E poi…che è successo?!”
“Non so come sia riuscito a vedermi. Forse perché ha avuto quell’esperienza di "contatto" con lo spirito di sua madre... non lo so Dean…ma mi ha visto. E non ha esitato. Prima che io potessi mietere Arthur avevo già una lama conficcata in pieno petto. Così sono diventata la nuova Morte. Timmy ha affrontato la strega, insieme ad altri due compagni di caccia. Ma lei è riuscita a dileguarsi. Arthur è tornato in fretta e furia nel proprio corpo e, dopo due settimane di coma…ce l’ha fatta.”
“E’ davvero un prodigio questo Timmy! Caspita, uccidere un mietitore! E senza un’arma particolare…com’è possibile?!”
“Lui ha impresso un’energia, una forza tale a quel semplice pugnale che non è servito null’altro. E sai una cosa? Mentre, tremante, affondava la lama, continuava a ripetere “Come un lottatore, come un lottatore…come Dean…” quell’atipico “mantra” ha funzionato.”

Dean sorride soddisfatto. Le parole pronunciate per infondergli il coraggio necessario a “lasciare andare” sua madre.
“Direi che ha funzionato alla grande!!”
“Sai che potrei farti pentire di tanta ilarità, vero Dean?!” lo minaccia Delia.
“E dai, Delia, fammi godere un attimo di felicità…poi da domani tornerò sottoterra ad essere cibo per topi. Ma oggi…oggi fammi assaporare questa piccola vittoria…”
Delia lo scruta e non sembra voler dar seguito alle sue intimidazioni.
“E’ una grande vittoria, Dean…tu hai fatto “la differenza” per Timmy e per Robin. Avresti potuto farla anche per Ben.”

La puttana non può vederlo felice. Neppure per una frazione di secondo.
“Cosa…cosa c’entra adesso Ben?!” esplode Dean.
“Lui non può ricordare le tue parole, Dean. Non può rammentare la fiducia, l’amore, i valori che gli hai insegnato…” illustra lei, spietatamente onesta.
E Dean non può che incassare.

“Io…io…non potevo sapere che lui…volevo solo proteggerlo…”
“Lo so, Dean. Lo so. Ma tu sei uno straordinario “continente”, come direbbe Robin. Se solo avessi permesso, a chi hai incontrato, di seguire la “mappa”, invece di “rubarla” a quell’esploratore che chiedeva solo di viaggiare. Con te.” ribadisce lei, senza alcuna pietà.

“Ora basta…lo sappiamo entrambi che è finita. Sam non ha trovato soluzioni e io marcirò a breve, per quanto testardo possa essere il mio corpo. Non c’è che un unico “viaggio”, un’unica meta “da scoprire” e la mia anima non…non desidera altro…” e Dean si maledice, rendendosi conto di quanto la voce oscilli, sul finire.

Delia lo scruta “Perché “è giusto così” vero, Dean?”
Dean non ribatte, pur cogliendo il sottile sarcasmo di Morte. E lei rincara la dose “Ricordati di salutarli, domani. Robin e Timmy non sono Lisa e Ben. La loro memoria è integra. Loro…si fidano di te.”

Dean muove le labbra in attesa “d’ispirazione”. Vorrebbe dire qualsiasi cosa, anche una fesseria pur di non tacere, pur di non restare lì, ammutolito. Ma Delia ormai è svanita.

Torna a distendersi, inebriandosi di quel prato che gli sembra di poter toccare. Guarda il soffitto, come tante volte ha fatto. Negli ultimi dieci anni.
Prega.

Per Robin e Timmy, perché possano continuare a vivere la loro “storia”. Fotografia dopo fotografia.

Per Ben perché, alla fine, trovi la forza di cambiare la propria “storia”. Scegliendo un autoscatto, in cui sia lui a decidere in che “posa” farsi ritrarre.

Per Sam, perché possa voltare pagina. Continuando “la storia”…che lui non può più scrivere.

Dean prega…e non ha bisogno dell'azzurro del Paradiso per farlo.

Buonanotte, Sammy
   
 
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