Nella stazione di polizia in fermento, l’agitazione della donna appena entrata rischiò di passare inosservata. Kristoff, tuttavia, era lì ad attendere una persona e, dato che ancora non si era fatta viva, decise di avvicinarsi «Signora, si calmi. Ha bisogno di aiuto?»
Lei lo guardò con i suoi grandi occhi castani «Mi hanno chiamato poco fa, dicendo che mio figlio è qui. Che gli è successo? Sta bene? E’ nei guai?»
Il detective fece mente locale, non riuscendo però a trovare una risposta alle sue domande «Come si chiama suo figlio?»
«John Greystoke»
Kristoff sgranò gli occhi, incapace di dissimulare il fatto di essere stato preso completamente in contropiede. La donna che aveva di fronte non era poi così alta ma aveva un fisico robusto, con folti capelli riccioli portati molto corti di un bel castano scuro ma quello che lo colpiva maggiormente era la sua carnagione, scura e calda che ben poco aveva a che fare con quella pallida di John Greystoke.
«Non sono la madre naturale» sussurrò lei a fior di labbra, comprendendo a pieno il motivo del suo smarrimento «Ma ciò non lo rende meno mio figlio, detective» continuò, recuperando sicurezza e guardandolo dritto negli occhi.
L’altro arrossì «Mi dispiace» si scusò «Non volevo insinuare che… sì insomma, anche io sono… » prese fiato «Sono stato solo un pochino sorpreso, niente di più»
La donna distese l’espressione del viso e sorrise bonaria «Per favore, mi porti da mio figlio»
«Certo, mi segua»
Kristoff s’incamminò, facendole strada. La tensione della donna divenne quasi palpabile, quando arrivarono davanti ad una porta chiusa «Non si preoccupi» la rassicurò «Entriamo qui solo per avere un pochino di privacy in più, nessuno di voi due è sotto interrogatorio»
Non appena girò la maniglia, John scattò nella loro direzione e avvolse la madre in un abbraccio «Sto bene» la rassicurò e, solo in quel momento, lei rilassò i muscoli.
«Ci perdoni se l’abbiamo fatta preoccupare» si scusò Jackson, decisamente più capace dell’altro a nascondere il suo stupore «Se volete accomodarvi, vi spiegheremo perché l’abbiamo chiamata signora Greystoke»
Entrambi gli si sedettero davanti, mentre il collega prese posto accanto a lui.
«Il mio nome è Kala Chidubem[1]» si strinse le mani l’una nell’altra, a disagio «Greystoke è il nome della famiglia biologica di John» prese fiato «Vedete, quando decidemmo di adottarlo, dopo l’affidamento iniziale, mio marito non volle dargli il nostro cognome» confessò piena di vergogna.
John le circondò le mani con le sue «I rapporti con mio padre non furono dei migliori all’inizio ma, alla fine, siamo comunque riusciti a costruire un solido rapporto. Di comune accordo abbiamo deciso che avrei mantenuto il cognome della mia famiglia biologica, in onore del loro amore. Avere cognomi o origini diverse non ci avrebbe reso meno uniti»
Jackson annuì, non potendo fare a meno di pensare a quanto sembrassero diverse le due famiglie che, per adesso, ruotavano attorno al caso. Presentò, di nuovo, se stesso e il suo collega e sospirò «Signora Chidubem, l’abbiamo chiamata perché questa mattina suo figlio, assieme ad uno dei guardiani dello zoo, ha trovato il cadavere di una donna davanti alla gabbia dei gorilla di cui si occupa»
«Il cadavere di una donna?» drizzò la schiena allarmata, girandosi immediatamente verso il figlio per scorgere anche solo un minimo segno di shock.
«Sembrava dormisse» la rassicurò John, come leggendole nel pensiero «Ma non era una donna qualsiasi, mamma. Era Sabor!»
Lei tremò «Sa… bor?»
Kristoff annuì «E’ per questo che abbiamo voluto anche lei qui…»
«Io pensavo che mi aveste chiamato perché John fosse nei guai o…» non riuscì ad andare avanti, in balia di troppe sensazioni.
«Signora, suo figlio è abbastanza grande per prendersi le sue responsabilità davanti alla legge, ma non è questo il caso» almeno per il momento, questo però Jack lo pensò soltanto «Vi pregherei di trattare quello che sto per dirvi come informazioni estremamente confidenziali, nel caso le divulgaste allora sì che sareste nei guai e penalmente perseguibili. Abbiamo un accordo?»
Entrambi annuirono.
«Innanzitutto mi scuso» esordì stupendo entrambi «Mi scuso se, come servitori della legge, abbiamo fallito e non siamo mai riusciti ad incastrare quella criminale, se non per sciocchi reati minori, lasciandola di fatto a piede libero»
«E’ anche per questo che siamo qui oggi» prese parola Kristoff «Costringendovi a riaprire vecchie ferite. Suo figlio ha trovato un biglietto fra le mani del cadavere e questo significa una cosa soltanto: era un regalo per voi»
«Per noi?» ripeté la donna incredula.
Jackson puntò gli occhi dritti nei suoi «Signora, che giorno è oggi?»
«E’ marted…» si bloccò, folgorata dalla comprensione «E’ lo stesso giorno in cui incontrai John» girò lo sguardo lucido verso il figlio «Quando i suoi genitori furono uccisi»
I detective trovarono la conferma che stavano cercando «Abbiamo tutti i motivi di pensare» continuò Kristoff «Che qualcuno abbia voluto vendicarli» fece una breve pausa, a disagio «Così come suo figlio»
Kala Chidubem sgranò gli occhi e, questa volta, le lacrime non trovarono più freni. La lasciarono sfogare il necessario fra le braccia di John ma erano entrambi ben consapevoli di non poter concludere così la loro chiacchierata.
«Sono davvero dispiaciuto di dovervi chiedere di scavare nel vostro dolore» continuò «Ma vorremmo conoscere al meglio la vostra storia, ogni dettaglio può essere importante»
«Per fare cosa?» chiese, tirando su col naso «Punire chi ha ucciso un’assassina?»
John la guardò allarmato ma Jackson, inaspettatamente, abbassò lo sguardo e sospirò «Io la capisco ma comprenderà che questo giustiziere, se di ciò si tratta, non può rimanere impunito. Chi garantisce che sceglierà chi colpire solo sulla base di fattori razionali? Chi stabilirà questi fattori? Chi ci dice che colpirà solo veri colpevoli?»
«In che senso?»
Kristoff strinse i denti «Ha già colpito e non possiamo essere sicuri che non lo farà ancora»
«Un serial killer?»
«Esiste questa possibilità»
Li guardarono a fondo per non perdersi neanche una minima reazione.
«Buon Dio…» sussurrò Kala «D’accordo, vi dirò quello che volete sapere, John era troppo piccolo per ricordare» disse, stringendo maggiormente le mani del figlio «Il quartiere dove abitavamo era molto ampio e ospitava moltissime famiglie, compresa la nostra e quella dei signori Greystoke. Mio marito era il pastore della nostra comunità, un uomo severo ma giusto e me ne innamorai perdutamente. Pochi anni dopo il nostro matrimonio, fummo benedetti dall’arrivo di un figlio. In quello stesso periodo, però, Sabor – appena adolescente – cominciò a terrorizzare il quartiere con la banda di cui faceva parte all’epoca. Banda che tradì per fondare i Leopard e questo provocò non pochi scontri per le nostre strade, una di queste sparatorie avvenne in un parco giochi» prese fiato «Io rimasi gravemente ferita ma i medici riuscirono a salvarmi… per mio figlio… invece… non ci fu niente da fare: aveva solo due anni»
Un singhiozzo sordo le sfuggì dalla bocca e Kristoff commise l’errore di lasciare vagare i suoi pensieri verso Freja: il suo cuore s’incrinò, bloccandogli il respiro.
«Prenda un bicchiere d’acqua» Jackson lo anticipò. Aiutandolo a ricomporsi e permettendo alla donna di riprendere fiato.
Lei ringraziò e si soffiò rumorosamente il naso su di un fazzoletto pulito, riuscì appena a dare qualche sorso, il nodo che aveva chiuso in gola era troppo duro da sciogliere.
«Come si sono incrociate le vostre strade?»
«Avvenne tre anni dopo» raccontò «I Leopard erano, ormai, una banda assodata e avevano cominciato a divertirsi rapinando case private, senza curarsi se fossero vuote o meno. Sabor era, ovviamente, la più spietata e fu proprio lei ad irrompere nella casa dei Greystoke. La vidi scappare con questi occhi ma era notte e io una povera madre sconvolta» ripeté le parole della difesa con disprezzo «La mia testimonianza non fu ritenuta valida» scosse appena il capo «Senza contare che, secondo la legge, quella notte feci una cosa sconsiderata entrando in quella casa. Quando sentii quel pianto disperato, però, fu il mio istinto a guidarmi, era come se il mio stesso cuore mi stesse parlando, capite? Io dovevo ascoltarlo» rivolse un sorriso colmo di commozione verso suo figlio «Era sopravvissuto alla furia di Sabor solo perché stava già dormendo al piano di sopra. Aveva appena due anni, un segno del destino. Anche all’arrivo dei soccorsi, polizia e assistenti sociali non voleva più staccarsi da me»
«Come avete potuto adottarlo?» Jackson si accorse di essersi espresso male e rimediò subito «Nel senso, è un processo complesso, a maggior ragione in questo caso»
«Ammetto, con un po’ di vergogna, che approfittai dell’influenza di mio marito. Come pastore già conosceva molte autorità dei servizi sociali. In più eravamo una famiglia benestante e rispettata»
«Mi era parso di capire che suo marito non fosse favorevole»
«Non lo era, infatti, ma mi amava e voleva vedermi felice. Quando il nostro analista appoggiò il mio desiderio, si convinse e procedemmo a finalizzare l’affidamento che, poi, trasformammo in adozione»
«Analista ha detto?» gli occhi di Jackson scintillarono «E' ancora in servizio?»
«No, non era più giovanissimo. Quando si è ritirato, diversi anni più tardi, ci ha consigliato di rivolgerci a Kozmotis Pitchiner e così abbiamo fatto… è importante?»
Lui ignorò la domanda, ricevendo in cambio un’occhiata incuriosita di Kristoff «Anche lei John è stato suo paziente?»
Il giovane annuì «Sì, lo sono tuttora»
«Signora Chidubem?»
«La mia terapia è finita tempo fa, faccio solo delle visite periodiche dopo che è venuto a mancare mio marito»
«E’ una cosa recente?»
«E’ morto l’anno scorso» spiegò il ragazzo «E’ stato un duro colpo la sua perdita per me, per noi: dopo anni difficili, avevamo finalmente costruito un solido rapporto ma, purtroppo, il destino non è stato clemente con noi e ce l’ha portato via»
«Come mai i vostri rapporti erano così tesi?» volle sapere Kristoff, curioso.
«Beh, ero così diverso… inoltre, credo che in cuor suo non volesse sostituirmi al ricordo di suo figlio» fece un mezzo sorriso «Ma più lui mi allontanava, più io cercavo un modo per stupirlo, spesso non positivamente, temo»
Kala sorrise a sua volta, piena di affetto per quei ricordi «Oh sì, eri una macchina attira guai a quel tempo»
«Ero un bambino che non sapeva niente del mondo ma che voleva ardentemente scoprire cosa ci fosse al di fuori, con un po’ di difficoltà nel scegliere il modo migliore per farlo»
«Come la maggior parte di loro» ridacchiò Kristoff, tornando ancora una volta con la mente alla sua di figlia.
«Conoscete un certo Robert Locksley?» chiese Jackson improvvisamente.
John Greystoke corrucciò il viso in un’espressione pensierosa, inclinando appena la testa «Non mi pare»
Anche Kala scosse il capo «No, dovremmo?»
Il detective alzò le spalle con apparente noncuranza «Pura curiosità, niente di più» si sistemò meglio sulla sedia «Siete stati avvicinati da qualcuno in questo periodo? Magari interessato alla vostra storia, qualche amico o conoscente vi ha dato strane impressioni?»
«Nessuno è venuto a chiederci del nostro passato, a parte voi» spiegò la donna «Ovviamente ricevemmo moltissimo supporto all’epoca ma, ora, detective, la morte di un figlio non è un argomento che un amico tirerebbe fuori così alla leggera. Nessuno fece niente allora, perché vendicarci adesso?»
Già, perché?
Annuì, comprensivo «Ora devo farvi un’ultima domanda» sospirò «Vi prego di non prenderla sul personale ma come semplice prassi: come avete passata la vostra giornata ieri?»
Kala sbuffò appena dal naso «Meno male che non era un interrogatorio, eh?» chiese, lanciando un’occhiata ironica a Kristoff.
L’uomo arrossì «E’ solo per essere certi di allontanare da voi ogni dubbio, tutto ciò che ci siamo detti qui non ha nessuna valenza legale»
«Sono stato allo zoo tutto il giorno. Abbiamo una gorilla a termine della gravidanza e va venuta sotto controllo» spiegò John per dimostrare la sua buona fede «Il turno di Clayton è stato più lungo del previsto, mi ha riaccompagnato a casa a mezzanotte. Ci siamo ritrovati, poi, al mattino»
La donna fece altrettanto «Ho passato la giornata come al solito: qualche faccenda domestica, qualche compera. Sapendo che John sarebbe rientrato tardi, ho invitato a cena alcune amiche. Sono andate via verso le undici e, poi, sono andata a dormire»
«Vi ringraziamo per la collaborazione» disse sincero Kristoff, alzandosi assieme al collega: il colloquio era finito «Vi saremmo grati se vorrete continuare a garantirci la vostra collaborazione in caso di bisogno»
John Greystoke gli tese la mano «Certamente»
Jackson
si passò una mano sugli occhi stanchi e allungò
le
gambe sotto alla scrivania. Kristoff aveva lasciato la stazione di
polizia da
poco per via di un impegno scolastico di Freja: Anna aveva un incontro
importante alla galleria, decisivo per portare fra le sue mura
– per la prima
volta in assoluto – un artista di altissimo
livello, un’opportunità più che
succosa da non lasciarsi scappare. Lui era stato ben lieto di
lasciargli
il
pomeriggio libero, d’altra parte, un altro giorno se
n’era andato e, ancora una
volta, avevano davvero poco su cui basarsi: continuavano a brancolare
nel buio e la luce in fondo al tunnel continuava a sembrare quanto mai
lontana. L’autopsia sul corpo di Sabor aveva
rilevato le solite tracce rinvenute su quello di John Lionheart, con
l’aggiunta di due
particolari in più: sull’addome della donna era
presente una grossa cicatrice
frastagliata che risultava, però, di vecchia data e,
probabilmente, non aveva niente a che fare con il caso ma la sua
trachea aveva diverse escoriazioni, come se le
avessero inserito qualcosa all’interno con forza. Elsa,
ovviamente, aveva una
sua teoria ma non si era sbilanciata, rimanendo in attesa del
tossicologico
che, con molta probabilità, era già arrivato
quella mattina. Controllò di
riflesso le mail per verificarne la presenza ma, rimasto con un palmo
di naso,
decise di assecondare il suo stomaco brontolante e di dare inizio alla
sua
pausa pranzo. Si alzò, più che mai intenzionato
ad andare a mettere qualcosa sotto ai denti ma,
ancor prima di riuscire a posare la mano sulla maniglia,
avvertì due lievi colpi
sulla porta che si aprì subito dopo.
Le sue labbra si tirarono in un sorriso furbo «Se non ti
conoscessi, direi che
ci stai prendendo gusto nel venirmi a trovare»
Elsa lo guardò con espressione impassibile «Ma mi
conosci, per cui… sei solo?»
Jack annuì «Sì, Kristoff è
andato…»
«Al colloquio con gli insegnanti, giusto»
si ricordò. Tirò, poi, fuori dei fogli dalla sua
borsa
e glieli porse «Sono passata per consegnare alcuni documenti
e ho pensato di
aggiornarvi direttamente sul risultato del tossicologico»
«Qualcosa di diverso?» chiese lui, scorrendoli
rapidamente.
«Tutto come John Lionheart, ad eccezione di una cosa
soltanto: sono state
trovate tracce di cloroformio. Come immaginavo l’hanno sedata
e, poi, le hanno
fatto ingerire la fenilciclidina liquida con la forza, attraverso
l’inserimento
di una cannula»
«Comprensibile, Sabor non aveva l’aria di essere
una tipa granché
collaborativa»
«In effetti no» concesse con un mezzo sorriso.
«Il cloroformio non è ormai inutilizzato da
anni?»
«In medicina, sì» confermò
lei «E’ estremamente tossico ma è ancora
di facile
reperibilità, immagino che al nostro misterioso assassino
non interessi molto
l’incolumità delle sue vittime, vista la fine che
fanno. Voi avete
novità?» chiese, poi «Qualcosa di
interessante dal colloquio di ieri con Greystoke e sua madre?»
Lui scosse il capo «Solo un’altra triste storia...
eppure c’è un quesito che mi ronza
nella mente»
«Quale?»
«John Lionheart era un individuo spregevole ed è
chiaro che sia stato ucciso
per vendicare Marian Fitzwater ma Sabor, nella sua carriera di
criminale, ha
fatto numerose vittime: perché vendicare proprio i genitori
di John e il figlio
della signora Chidubem? Che cosa accomuna questi casi?»
Elsa inarcò un sopracciglio «La tua faccia mi dice
che lo sai già»
Jackson ghignò «A detta di John e sua madre, non
conoscono Robert Locksley ma
ciò non toglie che abbiano una cosa in comune con lui: sono
tutti pazienti
del dottor Kozmotis Pitchiner» le svelò
«Ma, considerando il segreto
professionale, temo serva l’autorizzazione per riuscire ad
avere con lui una
conversazione soddisfacente. Con queste prove circostanziali,
però, non so se
qualche giudice si esporrebbe così tanto»
Elsa s’illuminò «Posso provare a
chiedere al giudice Weselton, è sempre stato
un caro amico di famiglia: lavorava con mia madre e conosceva mio padre
molto
bene, forse ci aiuterà» girò il polso,
controllando velocemente l’orologio «Se
mi sbrigo, dovrei riuscire ad incrociarlo prima che vada a
pranzo»
«Posso venire con te?» chiese l’altro di
getto, senza quasi pensarci «Poi
possiamo mangiare qualcosa insieme. Non vuole essere un appuntamento
romantico»
precisò subito, nel vedere l’occhiata torva che gli aveva appena rifilato
«Non ti tormenterò e parleremo solo di lavoro,
prometto»
Elsa non aveva un minuto da perdere in futili discussioni
«D’accordo» concesse,
quindi «Ma guido io»
«Mi
dispiace, Elsa» le disse il giudice Weselton, sistemandosi
gli occhiali che gli erano scivolati verso la punta del naso
«Purtroppo non
posso fare quello che mi chiedi: il segreto professionale non si
può violare
con le poche cose che hanno in mano i tuoi detective. Entrambi i
sospetti hanno un alibi per i rispettivi delitti, sono persone
incensurate e
rispettabili, non possiamo muoverci in tal senso»
«D’accordo, la ringrazio comunque» gli
rispose lei, senza riuscire a nascondere
una piccola punta di delusione nella voce.
Lui le diede un leggero buffetto su una mano «Spero non ce
l’avrai con me per
questo»
«Si figuri» si affrettò a rimediare
«Capisco perfettamente»
Il giudice si alzò «Coraggio, accompagnami
fuori» la invitò, sistemandosi i
baffi bianchi con le dita, prima di mettersi il cappotto
«E’ proprio giunto il
momento di mettere qualcosa sotto ai denti, non credi?»
Elsa annuì e lo seguì fuori dal suo ufficio.
«Come stanno tua
nipote e tua sorella?»
«Molto bene, grazie»
«E’ sposata con un dei due detective che
lavora sul caso, se non sbaglio. Un brav’uomo?»
«Decisamente sì» rispose lei
sincera «Sono una bellissima famiglia»
«Mi fa piacere» rispose bonario «E
tu?»
Elsa rallentò un pochino il passo «Io,
cosa?»
Il giudice Weselton ridacchiò «Il saper nascondere
l’imbarazzo non è mai stata
una dote delle donne di famiglia, eh? Non vorrai mica finire come
me?» la luce
al di fuori del tribunale li investì in pieno viso
«Mangiamo qualcosa assieme?» la
invitò.
Lei fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sul fondo delle scale
di
pietra, dove Jack la stava aspettando «Veramente avrei
già un impegno»
«Uh, capisco…» disse lui con fare
furbetto «Non credo che questo povero galletto
possa competere con un bel giovanotto come quello. Mi ha fatto davvero
piacere
vederti, Elsa, anche se non è stata propriamente una visita
disinteressata»
concluse, indossando il cappello e facendole un piccolo occhiolino.
«Mi perdoni» gli rispose, arrossendo un poco
«Prometto che tornerò a trovarla
senza secondi fini»
«Ci conto»
§
Ancor prima che
lei aprisse bocca, Jackson le aveva già
letto in faccia il suo fallimento. Non ne fu particolarmente stupito,
era
consapevole che fosse una mossa azzardata, non c’era motivo
di essere delusi
per questo.
«Mi dispiace di non essere stata d’aiuto»
si scusò, muovendo distratta la
forchetta sul suo piatto, improvvisamente priva di appetito.
«Non preoccuparti» cercò di rassicurarla
«Lo sapevamo di avere poche
possibilità di successo. Grazie per aver provato ad
aiutarmi» le disse,
riconoscente.
Elsa inarcò le sopracciglia «Non ho cercato di
aiutare te, ma il caso»
gli rispose, rigida.
Lui sbuffò «Va bene: grazie per aver cercato di
aiutare il caso allora»
bevve un sorso «Finché non troveremo una piccola
falla negli alibi non potremmo
muoverci in questo senso. A meno che…»
«A meno che, cosa?» chiese curiosa.
«Robert ha un alibi per l’omicidio di Lionheart e
John ne ha uno per quello di
Sabor ma chi ci garantisce il contrario?»
«Stai suggerendo che si siano scambiati gli
omicidi?»
«E’ possibile, no? S’incontrano in una
sala d’attesa, giorno dopo giorno, ci
scappa un saluto, si conoscono, si raccontano le loro tristi storie e
mettono
in atto il loro piano»
«Allora perché i biglietti? Perché un
modo di uccidere così complesso?»
«Per sviare i sospetti su un possibile serial killer di
criminali? Per farli
morire facendogli provare anche solo una minima parte della loro
angoscia?»
Elsa ci pensò su «Ti ho visto mentre parlavi con
Robert, non mi sembra proprio
il tipo»
«Nemmeno John, se è per questo» concesse
Jackson con una piccola smorfia «Ma le
persone sono piene di sorprese e questa potrebbe essere la giusta leva
per
ottenere un’autorizzazione ufficiale»
«Vuoi davvero prenderti il rischio di accusare due persone
che hanno già
sofferto così tanto? Solo sulla base di un terapista in
comune?»
Lui inspirò a fondo, indeciso «Sai che ti
dico?» espirò «Ci andrò lo
stesso a
parlare con questo dottor Pitchiner: in via del tutto informale,
s’intende.
Voglio cominciare a capire di che tipo si tratta. D’altra
parte – oltre ai
biglietti – è l’unico legame che
abbiamo»
Elsa si tamponò le labbra con un tovagliolo e bevve un sorso
d’acqua «Hai
ragione»
Jack sgranò gli occhi «Scusa, puoi
ripeterlo?» le disse, estraendo il
cellulare dalla tasca «Voglio registrarlo,
così lo metto come suoneria»[2]
Lei roteò gli occhi al cielo e si alzò
«Andiamo»
«In che senso andiamo? Andrò da solo»
«Prego?» inarcò un sopracciglio, piccata
«Prima mi stressi per venire con me e
poi mi pianti in asso? Non credo proprio» disse risoluta
«Senza contare che la
mia presenza renderà la tua visita ancor meno
ufficiale»
Jackson sbuffò appena «Agli ordini, capo»
Lo studio del
dottor Kozmotis Pitchiner era avvolto dalla
penombra. La sua posizione, sul retro di un edificio imponente,
probabilmente
gli impediva di prendere il sole anche nell’ora di punta
della stagione più
bella e, a quanto pareva, il suo proprietario non faceva
granché per
migliorarne la luminosità, preferendo piccole luci dai toni,
sì, caldi ma di
bassa intensità.
La sala d’attesa era deserta tuttavia, dai brevi movimenti
che si potevano
intravedere dal vetro satinato, c’era qualcuno al di
là della porta.
Né Jack, né Elsa si sedettero sulle poltrone a
loro disposizione, decidendo di
rimanere in paziente attesa che qualcuno si palesasse. Il che avvenne
pochi
minuti dopo: un’ombra scura si disegnò sulla porta
a vetri e la maniglia girò.
Kozmotis Pitchiner era un uomo sui cinquant’anni, alto e
magro, vestito
completamente di grigio scuro, ad eccezione della camicia che portava
sotto il
pullover, di una tonalità più chiara.
Portava i capelli neri corti e ben pettinati all’indietro: i
suoi occhi, di un
castano così chiaro e luminoso da avvicinarsi al color
dell’oro, si sgranarono
appena nel trovare quegli ospiti inaspettati ad attenderlo
«Mi dispiace, non
accetto appuntamenti questo pomeriggio» disse, in modo
gentile ma distaccato.
Li guardò attentamente «Temo, inoltre, vi abbiano
male indicato, qui non si fa
terapia di coppia» li vide trasalire come due adolescenti e
un piccolo ghigno
divertito spuntò sulle sue labbra.
«Non siamo qui per questo, dottor Pitchiner» si
affrettò a mettere le cose in
chiaro Jack «Detective Overland, della squadra
omicidi» si presentò.
«Dottoressa Bleket, medico legale»
Lui inarcò appena le sopracciglia scure «Questo
è insolito, come posso
aiutarvi?»
«Vorremmo farle qualche domanda su due dei vostri pazienti:
Robert Locksley e
John Greystoke»
L’espressione dell’altro
s’indurì «Detective, credo proprio che
lei sappia già
che non potrò rompere il segreto professionale, a meno di
autorizzazione
ufficiale di un giudice e qualcosa mi dice che voi non
l’abbiate»
«Non saranno domande che metteranno a rischio la sua
posizione» lo rassicurò
Elsa, anticipando Jack per un soffio «Vorremmo solo capire
alcune cose»
Kozmotis Pitchiner li guardò in silenzio per qualche
secondo, poi, si fece da
parte «Accomodatevi: potrebbe essere un risvolto interessante
per questo
altrimenti noioso pomeriggio»
Elsa si guardò attorno, prima di prendere posto su una delle
sedie davanti alla
scrivania «Come mai niente appuntamenti, oggi?»
chiese distratta, l’attenzione
completamente rapita da un libro poggiato sulla superficie laccata: Il
peso
della perdita.
L’altro registrò immediatamente la cosa con il suo
occhio attento «Oggi
pomeriggio è dedicato alle finanze»
sospirò annoiato «Si può dire che il
mio
lavoro si possa riassumere con morte e tasse»[3]
sghignazzò appena «Che, a
ben pensarci, è la stessa cosa che si può dire
del vostro»
«Non ha un commercialista? Una segretaria?»
buttò lì Jackson, prendendo posto
accanto alla collega.
«Essere un esperto di un determinato argomento non fa
necessariamente di me un
uomo ricco: sono un tipo molto organizzato, finché posso
cerco di farne a meno.
Ma veniamo a noi…» li incalzò.
«Immagino avrà letto la grande notizia sui
giornali di oggi» gli spiegò
Jackson. Lo vide annuire «Stessa cosa per John
Lionheart»
«Due personalità come quelle uccise da
un’overdose è decisamente una cosa che
fa notizia. Si potrebbe fin dire che, talvolta, il karma
funzioni»
«In entrambi i casi, pensiamo, che il karma
sia stato un pochino
aiutato»
Il dottore inarcò le sopracciglia «Pensate siano
stati uccisi?» lo vide annuire
«Come?»
«Purtroppo queste informazioni sono, al momento, riservate.
Credo possa
comprenderne il perché» bloccò subito
la sua
curiosità sul nascere «Ho motivo
di credere che Robert l’abbia già informata del
ritrovamento del signor
Lionheart, quello che forse non sa è che il corpo di Sabor
è stato trovato
proprio da John Greystoke: sappiamo cosa li lega alle vittime»
«Vittime?» Kozmotis Pitchiner
piegò le labbra in una smorfia «Che
curiosa scelta di termini, detective. I miei
pazienti sono le vittime
qui, non i suoi cadaveri»
Jackson accusò il colpo «Non se hanno deciso di
farsi giustizia da soli»
sentenziò gelido «Ha motivo di credere che si
conoscano?»
«Può darsi che si siano incrociati in sala
d’attesa, se è questo che mi sta
chiedendo ma se si frequentino al di fuori non posso saperlo e, se lo
sapessi,
temo non potrei dirglielo» gli fece presente sullo stesso
tono.
«Li crede capaci di uccidere, dottor Pitchiner?»
chiese Elsa senza mezzi
termini, frapponendosi fra i due.
Kozmotis portò la sua attenzione su di lei
«Chiunque può uccidere, dottoressa:
basta solo la motivazione e il momento giusto»
sospirò «Ma John e Robert sono
due brave persone, non sarebbero in grado di mettere in atto una
vendetta di
questo calibro. Reagire con violenza di fronte ad un trauma
è una cosa molto
comune; uccidere dopo tutti questi anni denota una certa freddezza
che,
francamente, nessuno di loro due ha»
Jackson lo guardò dritto negli occhi
«Perché ho come l’idea che, se anche
l’avessero, non ce lo direbbe mai?»
«Perché, invece, mi sembra che lei stia prendendo
un po’ troppo a cuore il
destino di questi due criminali? Non è sollevato, detective?
Persone che, per
via di una giustizia fallace, hanno reso vano il suo lavoro e quello
della dottoressa Bleket – e di molti altri come voi
– hanno avuto ciò che si
meritavano, dovreste esserne contenti»
«Dottor Pitchiner, lei parla come un colpevole, lo
sa?» lo sfidò Jackson.
«Mi permetta di correggerla: io parlo come una persona che
non si dispiace
della morte di due assassini»
Jack si alzò «Credo che la nostra conversazione
possa ritenersi conclusa. La
ringrazio del suo tempo, dottore» disse,
incapace di dissimulare un
certo fastidio «Andiamo, Elsa» esortò
l’altra, avviandosi verso la porta senza
aspettarla.
«Dottoressa Bleket, un attimo» la bloccò
Pitchiner prima che potesse
raggiungerlo «Non ho potuto fare a meno di vederla
interessata al mio libro: ha
perso qualcuno?»
«I miei genitori» rispose d’istinto
«In un incidente d’auto»
«Lo prenda» le disse, facendolo scivolare ancor
più verso di lei con la sua
mano pallida e affusolata «Se avesse bisogno di una
consulenza, sa dove
trovarmi»
Squillino
le trombe: Kozmotis Pitchiner ha fatto il suo trionfale ingresso in
scena, che ne pensate? Ovviamente il suo personaggio si rifà al Dr Trent Marsh: la sua story-line sarà molto simile, non cercatela se non volete rovinarvi la sorpresa. Come Elsa, anche Megan (la protagonista di Body of Proof) si porta dietro un lutto sin da quando era bambina: la perdita del padre, morto suicida. Megan ha un carattere ben peggiore di quello di Elsa ma non si può negare che abbiano ben più di un tratto in comune. Come nella serie, il Dr Marsh è l'anello di collegamento fra due casi di omicidio e l'ipotesi dello scambio di delitto è anch'essa presente ma come proseguirà la faccenda è ancora un bel punto interrogativo. Potrei non seguire proprio tutto ciò che accade nella serie tv, d'altra parte senza variazioni non c'è tanto gusto. L'arrivo di Kala ci ha mostrato un'altra tristissima storia che, ovviamente, si rifa al canon ma sappiate che l'angoscia di Kristoff è stata anche la mia. Abbiamo avuto anche l'apparizione di un nuovo personaggio: Weselton che, nei panni di un giudice amico di famiglia, apre nuovi sentieri tutti da esplorare. Si comincia, inoltre, ad intuire il mestiere di Anna ma mi riservo il prossimo capitolo per fornire ulteriori dettagli. Le cose fra Elsa e Jack pare si stiano distendendo un pochino... o no? Vorrei, infine, spendere due parole sull'ambientazione di questa storia: sebbene - come detto più volte - si basi sulla terza serie di Body of Proof, essa non si svolge a Philadelphia, né in America. Come avrete notato non ci sono particolari riferimenti a luoghi, pensate a questo come un mondo alternativo che si rifà ai modi e costumi moderni ma non ne ricalca per forza di cose tutte le sfumature. Visto soprattutto l’ambito di questa fic, incappare in incongruenze giudiziarie, a seconda del paese di locazione, diverrebbe un fosso che non sono sicura di avere le fonti e tantomeno le energie necessarie a superarlo. Perciò, per quanto cercherò di essere il più realistica possibile, non seguirò delle vere e proprie regole. Perdonatemi se mi prenderò qualche libertà. Ora taccio che ho rubato anche troppo del vostro tempo. Come sempre, grazie per aver letto anche questo nuovo capitolo. Un ringraziamento speciale va a chi mi supporta con le sue impressioni e listando la storia nelle Preferite - Seguite - Ricordate. Alla prossima Cida |
[2] Questo scambio di battute arriva direttamente dalle bocche di Megan e Tommy, ditemi se non sono Jelsosi? *-*
[3] Questa battuta, invece, viene dal film Vi presento Joe Black.