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Autore: Saga no Gemini    26/07/2022    0 recensioni
I Cavalieri d'Oro dell'XI secolo si troveranno ad affrontare un'oscura divinità sumero-babilonese.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, OC (Original Character)
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XXIX
IL CAVALIERE DEL DESTINO
 
Kutha, settembre 1068
 
   Mentre Calx risaliva l'alta torre, avvertì il cosmo dei compagni ingaggiare battaglia. Arrestò per un attimo l'ascesa e chiuse gli occhi: nonostante i suoi innumerevoli errori, i paladini della giustizia avevano deciso di dargli fiducia ancora una volta. Scosse il capo per fugare dalla mente il rimorso degli antichi falli e riprese la scalata.
   Ripensò alla dea Atena, che aveva veduta soltanto nei suoi sogni. Nella sua mente risuonava la sua voce calda e gentile che implorava l'aiuto degli dei di Sumer. Sentì il suo cuore pronto a soffrire qualunque pena pur di realizzare l'ideale di pace di cui tante volte aveva ascoltato tessere le lodi dal Sommo Alexer.
   Il Sommo Alexer, l'uomo che l'aveva reso Cavaliere. Quanta delusione aveva avvertito nella sua voce quando aveva preso la sciocca decisione di abbandonare il Grande Tempio! E quanto affetto aveva letto nei suoi occhi poco prima che si spegnessero per sempre!
   Le sue guance si rigarono di calde lacrime e, a denti stretti, chiese perdono. Alzò lo sguardo e, tra le nubi addensate attorno alla cima della torre, notò un raggio violaceo diretto verso il Sole. Osservò l'astro e si accorse che il suo bagliore stava sbiadendo. - Vorresti spegnere il sole, Nergal? Non te ne darò l'occasione! -, disse fra sé, risalendo più velocemente.
   Raggiunse le colonne che sorreggevano le stanze del dio infernale, spiccò un salto e atterrò sul tetto. Richiamò l'armatura, che aveva lasciato alla base della torre: un bagliore dorato lo investì e sul suo corpo si posizionarono i pezzi della corazza del terzo segno. Guardò dritto davanti a sé e notò uno strano marchingegno che sottraeva calore e luce all'astro splendente. Fece esplodere il proprio cosmo: sollevò le braccia in alto, creò un pianeta incandescente e lo lanciò contro quell'aggeggio, gridando: - Galaxíou Ékrēxis! - Un tremendo boato annunciò la distruzione dell'infernale arnese. Il raggio scomparve, ma l'immensa potenza del colpo di Calx fece crollare il tetto.
   Quando la polvere prodotta dal crollo diradò, il discepolo di Alexer si ritrovò davanti a un individuo possente dall'armatura viola e rossa che impugnava uno scettro finemente lavorato nella destra. Se ne stava seduto, imperturbabile di fronte alla dimostrazione di potenza a cui aveva or ora assistito.
   Il Signore d'Irkalla si levò in piedi e mosse qualche passo verso l'avversario. - Hai avuto coraggio a venire fin qui e a distruggere l'arma che mi avrebbe aiutato a spegnere quell'orribile fonte di luce! -, esordì, osservando l'armatura che aveva danneggiato poco tempo prima risplendere di nuovo. - Ma hai solo rallentato di qualche ora l'estinzione della vita dall'universo. Ho già sconfitto una volta la corazza che indossi; non hai speranza di prevalere contro un destino già scritto! -, continuò, con una punta di disprezzo nella voce.
   - Non sottovalutare un nemico che non conosci. Alexer, il Cavaliere che hai sconfitto, era il mio maestro e Sommo Sacerdote di Atena. L'hai sopraffatto solo perché non era nato con un cosmo divino! -, ribatté il ragazzo, pronto a combattere la battaglia che avrebbe posto fine a quel lungo conflitto.
   - E così il mortale che ha osato affrontarmi si chiamava Alexer... Tu, invece... Qual è il tuo nome? - chiese Nergal con aria beffarda. Non si era mai posto il problema di conoscere il nome di coloro che eliminava, ma quel ragazzo gli suscitava un interesse imprevisto.
   - Io sono Calx di Gemini, il Cavaliere del Destino! -, rispose con tono autorevole il giovane discepolo del Sommo Alexer. Strinse i pugni e fece esplodere la sua luminosa aura dorata.
   Nergal aggrottò le ciglia: il cosmo di quel misero mortale non solo si dimostrava vasto e potente, ma gli sembrava addirittura familiare. Un velo d'inquietudine pervase per un attimo l'animo del nume: cosa significava? Forse il fato non approvava i suoi piani? O era soltanto una sua immaginazione? Qualunque fosse stata la risposta a quelle domande, una cosa era certa: se la profezia offriva un barlume di speranza agli esseri viventi ponendo un ostacolo di fronte alla sua ascesa, doveva fare attenzione e giocare d'astuzia.
   Mentre indugiava su questi pensieri, Calx plasmò sfere d'energia tra le mani e le scagliò contro il dio. Nergal le parò con lo scettro, annullandole. - Se credi che riuscirai a battermi con questi colpi puerili, sei davvero uno stolto! Gli esseri viventi sono come una scintilla tra le sterpaglie: il fuoco che creano sembra imponente, ma dura lo spazio di un battito di ciglia! Un tempo vivevate sotto le sicure ali degli dei come servi, ma avete scelto di ribellarvi e di seguire sogni perituri e sciocchi in nome di una libertà che vi ha condotto alla catastrofe! Se non pongo fine alla vostra ribellione, presto l'universo diverrà un luogo empio e immondo! -, affermò, gli occhi bassi e la voce tremante di rabbia.
   - Nessuna creatura vivente merita di trascorrere in catene la propria esistenza! Credi forse che gli uomini siano gingilli con cui trastullarsi nei momenti di noia? -, ritorse il Cavaliere, di nuovo in posizione di attacco.
  - Vano è resistere e sperare di vincere contro colui che il fato ha designato come Sterminatore della Vita! I tuoi compagni moriranno senza riuscire a distruggere le gemme e tu perderai la tua breve vita per mano mia, proprio com'è accaduto al tuo maestro! -, esclamò Nergal, convinto di avere il destino dalla sua parte. - In fondo, voi mortali non siete altro che fanghiglia nobilitata dal soffio divino! -, asserì il Signore d'Irkalla, lo sguardo tronfio e truce.
   - Speri che il tuo disprezzo mi faccia desistere dal combattere? Ti sbagli! Troppe volte ho rinunciato a lottare a causa della titubanza che incatenava il mio cuore, ma ormai il tempo dell'incertezza è finito! Porterò a termine la missione affidatami dal fato! -, rispose il Cavaliere con tono perentorio.
   Il dio infernale abbozzò un sorriso compiaciuto. - Come preferisci! -, disse, sollevando lo scettro. - Anir Irkalak![1] -, gridò, e dal bastone partirono sette raggi di diverso colore. Calx si preparò a rispondere a quell'attacco, senza sapere, però, cosa aspettarsi.
   I raggi prodotti dallo scettro si condensarono in uno solo. Il giovane custode della terza casa si preparò a ricevere il colpo e a schivarlo, ma la potenza della tecnica di Nergal era troppo vasta e lo scaraventò contro una colonna che gli crollò addosso.
   Il dio di Sumer fu lieto di vedere il suo nemico già a terra: era convinto che non avrebbe resistito a lungo e che forse l'inquietudine che sentiva nel fondo dell'animo era del tutto infondata. Dalle macerie non percepiva alcun cosmo e ciò ne corroborava la fiducia. Una risata sommessa squarciò il silenzio di quel tempio e riecheggiò nelle deserte sale adiacenti. - Il tuo tempo è già finito, Cavaliere! Nessun uomo, anche se vanta ascendenze divine, può ostacolare l'avvento del regno di Nergal! -, affermò con soddisfazione.
   Si voltò per raggiungere nuovamente il suo trono e attendere la vittoria degli Utukki. D'un tratto arrestò il passo: l'inquietudine che lo possedeva fin dall'inizio di quella battaglia crebbe in maniera incredibile. Il dio rivolse lo sguardo verso la colonna crollata e vide le macerie muoversi leggermente. Con lo stupore impresso sul volto, osservò il paladino di Atena rialzarsi in piedi, nonostante una profonda crepa sfregiasse l'armatura al centro del pettorale.
   - La tua convinzione ti perderà, Nergal! Tu non conosci abbastanza il genere umano da sapere quanto sia tenace e quanto si ostini a lottare con tutte le forze contro il destino avverso! Per chi conduce una vita parca di soddisfazioni e colma di fatica e dolore l'affrancamento dalla schiavitù del destino è l'unico compiacimento che può permettersi! -, tuonò il custode della terza casa, facendo esplodere il suo cosmo e scagliando sfere d'energia contro il nume infernale.
   Nergal respinse gli attacchi senza fatica e rispose alle provocazioni del Cavaliere imprigionandolo in una rete di tenebre: Calx provò a liberarsi, ma venne investito da terribili scariche elettriche che gli provocarono un dolore indicibile. Il dio si godette la sofferenza dell'avversario che, come un topo in trappola, tentava di sfuggire alle grinfie della morte.
   - Che pena, Cavaliere! Sei riemerso dall'oceano dell'incertezza per perire in una battaglia senza speranza! Atena è una folle sognatrice se pensa di mutare il corso del destino per offrire una via di scampo all'umanità! Non c'è riscatto per creature infime come voi! Il tempo delle tenebre e del silenzio è giunto! Più nessun'anima vivente recherà danno all'atra purezza del creato! -, commentò il dio, nei cui occhi rifulgeva una sinistra luce al pensiero dell'imminente vittoria.
   D'improvviso si udì un boato lontano. Nergal sgranò gli occhi: il cosmo di Alulim, il Diamante di Luce, era scomparso e la gemma era stata distrutta. - Impossibile! -, disse tra sé, - Il fato non può mutare! I Cavalieri sono destinati alla sconfitta! E allora, perché? -, continuò, incredulo. Poi rivolse lo sguardo a Calx: il ragazzo rideva; una luce immensa si sprigionò dal suo corpo e la gabbia creata dal dio andò in frantumi.
   - Sei troppo sicuro di te, Nergal! Ma la profezia non ha mai affermato che avresti vinto! Dovresti mettere da parte le tue convinzioni e accettare la possibilità della sconfitta! -, esordì il Cavaliere, sollevando le braccia sulla testa e creando un pianeta avvolto dalle fiamme. - Assaggia la tecnica suprema di Gemini: Galaxíou Ékrēxis!
   La sfera incandescente puntò dritta contro Nergal. Il dio agitò il bastone formando una barriera d'aria che arrestasse la veemenza del colpo. La mossa ebbe successo, anche se il Signore d'Irkalla fu spinto indietro di qualche passo.
   Per la prima volta dall'inizio di quello scontro l'attacco nemico l'aveva fatto indietreggiare. La furia del dio infernale raggiunse il culmine: come poteva un misero mortale tenergli testa a quel modo? Doveva al più presto sbarazzarsi di quel verme dall'armatura dorata e ripristinare l'autorità del suo nome.
   Sollevò lo scettro e generò una serie di scariche elettriche che indirizzò verso il ragazzo: con grande maestria, il discepolo di Alexer aprì numerosi varchi dimensionali in cui imprigionò i colpi del dio. Poi ne schiuse un altro, in cui aveva condensato tutti i fasci d'energia, e rispedì al mittente una forma potenziata della sua stessa mossa. Nergal fu lesto e riuscì a schivare il colpo, che si schiantò contro il trono, disintegrandolo.
   L'inattesa contromossa del Cavaliere gettò l'ombra di un dubbio nella mente del dio delle pestilenze: perché non riusciva a prevalere? Perché i suoi colpi non erano risolutivi? E perché quel ragazzo aveva un'aria tanto familiare? Ma più si arrovellava a trovare risposte, più il suo animo s'inquietava e una sottile paura s'insinuò silenziosamente nelle sue viscere.
   Aggrottò la fronte, smanioso di gettare nel silenzio delle tenebre ogni anima vivente. Decise di affrontare la sua nemesi con una tecnica che gli avrebbe permesso di vincere facilmente quella tenzone. Disegnò nell'aria un triangolo con lo scettro e, con voce gelida, gridò: - Mushalum Namtarak![2] -.
   Tre triangoli di energia circondarono Calx, intrappolandolo in una sorta di teca trasparente. Il Cavaliere sentiva le forze defluire dal suo corpo e rafforzare quella strana prigione di cosmo. I suoi occhi furono gravati da una stanchezza sfibrante e si chiusero in un sonno profondo e privo di sogni.
   Nergal puntò lo scettro sulla teca e lo avvolse della sua oscura aura cosmica: nella sua mente iniziarono a far capolino immagini dapprima sbiadite e poi pian piano sempre più nitide. Vide una figura dai lunghi capelli con l'orlo del vestito strappato e i piedi insanguinati percorrere l'erto sentiero che conduceva alla dimora dei perduti dei di Sumer.
   Le immagini si dissolsero in colori indistinti, lasciando spazio ad altre figure: rivide Enki e provò un greve rancore. Era stato lui a rinchiuderlo nello Scrigno dell'Eternità e a impedirgli di realizzare i suoi propositi. Ora, però, non poteva più nuocergli, perché era soltanto uno degli innumerevoli numi dimenticati.
   D'un tratto i suoi occhi si spalancarono e il suo cuore sobbalzò: l'attenzione della ragazza era stata catturata da un'altra figura. L'immagine risultava sfocata, ma il Signore d'Irkalla sentiva di conoscere l'individuo che l'ostinazione del Cavaliere gli negava di scorgere. Provava a forzare la resistenza opposta da Calx, ma risultava fatica vana. Riuscì soltanto a udire qualche brandello di frase pronunciato da quella misteriosa sagoma e trasalì. - N-Non è possibile... -, disse tra i denti, socchiudendo gli occhi in preda a una fiumana di emozioni contrastanti.
   Ormai divorato dalla smania di conoscere il volto di quell'individuo che gli suscitava tanto disagio, aumentò la potenza del colpo per abbattere la fiera opposizione fatta dal ragazzo. Tuttavia, Calx continuava a impedire il completo accesso alla sua mente e, anzi, provava a liberarsi dalla morsa di quella prigione.
   Nergal si spazientì al punto da desiderare ardentemente di punire con un'atroce morte quel pugnace mortale che osava sfidarlo con tanta tracotanza. Mentre approntava il suo proposito, un forte fragore giunse dalle sale sottostanti. Il nume si voltò in direzione del boato, distogliendo per un attimo l'attenzione dalla battaglia.
   Quei pochi secondi diedero il tempo a Calx di annullare la tecnica nemica e di ritornare in pieno possesso del suo corpo. - Anche la seconda gemma è andata distrutta! -, esclamò, irritando oltremodo il dio, che gli lanciò una torva occhiata.
   Anche Dumuzi aveva dovuto cedere il passo a un semplice mortale? Cosa stava accadendo? Perché il suo sogno di riportare l'universo al silenzio primordiale gli stava venendo precluso? Tutte queste domande affollavano la mente del Signore d'Irkalla. Quel giovane dagli occhi splendenti, animato dal desiderio impellente di garantire la sopravvivenza al genere umano avrebbe mandato a monte i suoi piani? Perché il fato gli aveva tirato uno scherzo tanto meschino?
   - Chi sei tu, in realtà? -, chiese di getto, come a trovare risposte agli innumerevoli interrogativi che stavano a poco a poco scardinando le sue certezze. - Nessuno è mai riuscito a resistere ai miei attacchi senza subire alcun danno, tu sei il primo a risultare pressoché indenne ai miei colpi! Chi sei? Dimmelo! Chi è il dio che ti ha generato? -, incalzò, fremente di rabbia e roso dalla frustrazione.
   Calx rimase per qualche secondo in silenzio, poi si tolse lentamente l'elmo rivelando il suo volto. Nergal lo osservò avidamente, ma ciò che vide lo gettò nella confusione più totale: - Ma tu sei... no, non ci credo... non puoi essere tu, perché... sei morto, sono stato io a strapparti alla vita! -, balbettò, scosso dalla sorpresa e dall'incredulità.
   Il discepolo di Alexer abbozzò un sorriso sornione: - Ti sbagli, io non sono tuo fratello Erra. Sono suo figlio! -, dichiarò; il sangue di Nergal raggelò all'udire quelle affermazioni.
   - Suo... figlio? -, ripeté incredulo l'ancestrale nume. - Mio fratello è morto nell'età del mito e tu sei un ragazzino... come puoi essere suo figlio? -, continuò, gli occhi sbarrati e la fronte corrugata. - Stai mentendo! Non è possibile! -, sentenziò alla fine, riprendendo il suo solito cipiglio.
   - Mentire? E perché dovrei? -, rispose Calx, fissando lo sguardo su Nergal, che sentì montargli la collera. - La figura che anelavi vedere mentre leggevi nel mio animo era quella di Erra. Ne hai persino riconosciuto la voce! -, affermò, inchiodando il Signore d'Irkalla alla dura realtà dei fatti.
   Nergal avvolse lo scettro di un cosmo oscuro e freddo; lo puntò contro il ragazzo e cominciò a bersagliarlo con scariche elettriche. Il giovane custode della terza casa sfuggì all'attacco nemico rifugiandosi tra le dimensioni e questo fece infuriare oltremodo il dio.
   - Lo spettro di mio fratello continua a perseguitarmi! Fin da quando siamo nati! -, sbottò Nergal, stringendo il pugno attorno allo scettro e scagliando gli ultimi colpi. Il Cavaliere li aveva evitati tutti ed era riapparso alle spalle del dio.
   - Tuo fratello non meritava la morte che gli hai riservato! -, proruppe Gemini, bagnando i pugni di cosmo e attaccando corpo a corpo il Signore d'Irkalla. Nergal parava col bastone e rispondeva con scariche d'energia, che Calx deviava o schivava con maestria. Nessuno dei due sembrava prevalere. La battaglia era in stallo.
   - Cosa può saperne un vile mortale come te? Ha addirittura abbandonato le remote dimore dell'oblio per ostacolarmi! Chi l'avrebbe mai detto! -, commentò il nume, attaccando nuovamente.
   - Lo ha fatto per impedirti di spegnere la vita nell'universo! -, rintuzzò il discepolo di Alexer, arrestando l'assalto nemico e attaccando di rimando.
      - Sarebbe proprio da lui! - ribatté Nergal, parando il colpo nemico. - Ogni volta che mi proponevo di arrecar danno alle umane genti, Erra interveniva in loro favore e vanificava i miei sforzi. Lo ha fatto così a lungo che, a un certo punto, i mortali finirono per identificarci. E l'idea di passare per un dio gentile e magnanimo mi ripugna. Voglio che le creature inferiori mi temano per la mia crudeltà, non che mi amino per i benefici procurati da un altro -.
   Le ultime parole del Signore d'Irkalla contristarono l'animo del Cavaliere: l'odio che spirava dal cosmo del suo avversario era profondo e livido, covato da tempo immemore e riluttante a qualsiasi forma di redenzione.
   - Hai ucciso tuo fratello solo perché rimediava ai tuoi errori, dunque? - sbottò, avvolto dal suo accecante cosmo dorato. Sollevò le braccia e si preparò a scagliare la sua tecnica definitiva, quando un sorriso sinistro illuminò il volto del dio.
   - Rimediare ai miei errori? Che sciocchezza! Mio fratello era convinto di poter cambiare la mia natura, ma si sbagliava! Io voglio che l'universo sprofondi nel tacito oblio, che la sua oscura purezza rimanga intatta! E se non cancello da esso la vita, non potrò conseguire il mio scopo! -, affermò Nergal, pronto a respingere l'attacco nemico.
   Il colpo di Calx si abbatté con veemenza sull'obiettivo. Quando il bagliore creato dall'esplosione diradò, il dio riapparve incolume, protetto dal suo scettro.
   - La malvagità è la mia essenza! Un giorno Erra mi invitò a raggiungerlo nel Giardino degli Dei: voleva parlarmi, diceva. Ma le sue parole suonarono inconcepibili e offensive alle mie orecchie: i suoi ideali di pace, d'amore, di giustizia e di convivenza con l'umanità risultavano solo una risibile utopia. Giammai avrei potuto accettare un mondo simile! Mi infuriai e, senza pensare troppo alle conseguenze, macchiai l'immacolato suolo di quel luogo col caldo sangue di mio fratello! -, raccontò, con aria tronfia e priva di qualsivoglia rimorso.
   - La vostra è una storia vecchia quanto il mondo! -, commentò il Cavaliere, avvolto da un cosmo calmo e rilucente.
   - Che intendi dire? -, chiese il dio con malcelato disappunto. Un'assurda curiosità di scoprire quali verità nascondessero le ultime parole pronunciate dal Cavaliere lo invase: la tranquillità e la fierezza manifestate dal suo cosmo lo indussero a bandire una breve tregua e ad ascoltare quel misero mortale.
   - Osserva l'elmo della mia armatura! -, riprese il giovane discepolo di Alexer, indicando il copricapo che aveva abbandonato poco prima sui resti della colonna crollata sotto il suo peso. - Come puoi vedere i volti posti ai suoi lati hanno espressioni diametralmente opposte. Eppure, i Gemelli a cui è dedicata l'omonima costellazione vissero in perfetta armonia, sebbene l'uno fosse mortale e l'altro immortale. Castore era figlio di Zeus, il re degli Olimpici, mentre Polluce era nato dal seme di Tindaro, un semplice mortale. Furono concepiti nella stessa notte e combatterono sempre insieme, ma, quando la morte colse Polluce, Castore rinunciò al privilegio dell'immortalità per accompagnare il fratello nelle desolate terre dell'Oltretomba. Zeus creò la costellazione dei Gemelli in loro memoria, anche se i Cavalieri che nascono sotto il terzo segno sono gravati da un oscuro destino! -
   - E cosa ha a che fare questo con me e mio fratello? Il Castore di cui parli è stato uno scellerato a gettare via la sua natura divina per seguire un comune mortale! -, ribatté il dio, che non capiva dove volesse arrivare il Cavaliere.
   - Nell'era del mito si svolse la prima Guerra Sacra tra Atena e Poseidone, il dio dei mari. Nonostante i Cavalieri di Atena fossero in grado di manipolare il cosmo non possedevano armature che li proteggessero dagli attacchi nemici e furono quasi del tutto sterminati. La dea allora si rivolse agli alchimisti del perduto continente di Mu e commissionò loro la forgiatura di corazze che si ispirassero alle stelle, le più potenti delle quali dovevano richiamare le dodici costellazioni zodiacali. I fabbri furono divisi in quattro gruppi: ai maestri spettarono le armature di materiale sconosciuto, ai più abili artigiani quelle d'oro, a quelli di media capacità quelle d'argento e ai mediocri quelle di bronzo.
   Tra questi alchimisti vi erano due fratelli: Robur, che per il suo innato talento si vide assegnare la creazione dell'armatura di Gemini, e Tibur, che, invece, ottenne in sorte una misera armatura di bronzo a causa della sua scarsa abilità. Fu proprio questa inferiorità a suscitare nel più giovane una insana invidia verso i successi del fratello maggiore. Così, la notte prima della consegna delle armature, Tibur decise di sfruttare la sua bravura nelle pozioni per mettere in cattiva luce il fratello: penetrò nel suo laboratorio e rimase ammirato dal lavoro che aveva svolto nella realizzazione dell'armatura. Tirò fuori da una tasca dell'ampia veste un'ampolla contenente del liquido verdastro, la aprì e ne versò delle gocce sull'armatura. I volti sull'elmo mutarono d'aspetto: uno mantenne un'espressione serena e gentile, l'altro assunse un ghigno malefico. Aveva innestato nell'armatura che indosso il seme della discordia. Da allora i Cavalieri di Gemini che hanno un fratello sono in perenne conflitto con loro e quelli che, invece, non ce l'hanno sono costretti ad affrontare i demoni della loro anima! -, spiegò il ragazzo con una punta d'amarezza nella voce.
   - Ora capisco cosa intendi! Ma la mia malvagità non è frutto di una maledizione, bensì di un'indole coltivata fin dalla più tenera età! E non ho certo intenzione di abbandonare i miei propositi ora che la vittoria è a un passo! -, chiosò Nergal, pronto a riprendere le armi con maggior ferocia.
   - Forse hai ragione, tu sei la metà oscura di Erra! Non vi è luce nel tuo animo, ma solo fitta tenebra! E ora tutto mi è più chiaro! -, ribatté il Cavaliere, facendo avvampare il suo cosmo.
   Il dio non badò alle parole del ragazzo: la sua mente era completamente assorbita dal desiderio di ridurre al silenzio ogni cuore pulsante. Era stanco dei discorsi e delle altisonanti ragioni della presunta giustizia! La morte era l'unica soluzione alla corruzione che in un futuro prossimo avrebbe condotto non solo la Terra, ma l'universo intero a una catastrofe irreversibile.
   Sollevò in alto lo scettro e nella sala si diffuse una tetra caligine che non permetteva agli occhi di poter distinguere le superfici dell'ambiente circostante. - Aguzigga Irkalak![3] -, sussurrò, e Calx venne investito da potenti raggi di tenebra senza possibilità di difendersi.
   In quella densa oscurità il giovane Gemini poté scorgere tutta la malvagità e l'insensibilità del dio. Subiva colpi da ogni direzione, ma non riusciva a schivarli, né tantomeno a pararli o a deviarli. Ogni percossa gli infliggeva un dolore atroce che lo costringeva a piegarsi.
   La voce del dio strisciò tra le tenebre: - Il dolore ti farà rinsavire, Cavaliere! La sofferenza che provi è la stessa che ogni giorno le effimere creature come voi impongono all'universo. Estinguendo tutte le anime viventi gli restituirò la purezza e la pace che merita! -     
    Nel silenzio di quella cupa agonia Calx riuscì a percepire il cosmo dei compagni che combattevano senza sosta per garantirgli la vittoria. Proruppe in un grido muto, soffocato dalla plumbea oscurità che lo imprigionava. Caricò i pugni di cosmo, ma i suoi sforzi non sembravano ottenere risultati. La stanchezza e lo sconforto iniziarono a consigliargli di desistere e di abbandonarsi al dolce oblio che gli carezzava il cuore. D'un tratto, però, le ombre fuggirono, atterrite da un immenso bagliore: da esso emerse una figura che gli apparve subito familiare.
   - Voi? -, disse telepaticamente. - Perché siete qui? -, continuò, ancora perplesso di fronte alla fanciulla elegante che gli si avvicinava lentamente.
   - Poco fa ti eri reso conto di qualcosa, ma pare che tu non ne abbia compreso appieno l'importanza. -, esordì una voce gentile e calma.
   Calx si riebbe. - Avete ragione, divina Atena! Enki affermò che soltanto il sangue di Erra avrebbe potuto annientare Nergal. Quel sangue era colmo di luce e di giustizia, di altruismo e di amore, proprio come il vostro! Ora ho capito: devo abbattere questa oscurità col potere della luce di Erra! -, commentò il ragazzo, nei cui occhi rifulgeva una nuova speranza.
   Atena accarezzò il volto del giovane e il suo sguardo si vestì di una repentina mestizia. - So cosa devo fare! -, disse il ragazzo, asciugando le lacrime che rigavano le graziose guance della dea. - Non lasciate che il vostro cuore si veli di un'amara tristezza, morire per la giustizia è forse l'ideale più alto a cui si possa aspirare! -
   La fanciulla abbozzò un sorriso colmo di dolore e scomparve tra le tenebre in cui aveva aperto una breccia. - Atena è con te! -, gli aveva promesso prima di svanire per sempre.
   Rincuorato dall'appoggio della dea, Calx chiuse gli occhi e bruciò il suo cosmo più che mai: una luce accecante si diffuse dal suo corpo e squarciò l'opprimente morsa delle tenebre. Persino Nergal fu costretto a coprirsi gli occhi per impedire a quel fulgore di ferirgli gli occhi.
   Quando la luce diradò, il Cavaliere era piegato su un ginocchio e ansimava: il potere che aveva liberato era ancora troppo vasto per poter essere controllato. La barriera del Signore di Irkalla, seppur indebolita, non gli consentiva di gestire il cosmo di un dio.
   - Ancora una volta sei riuscito ad affrancarti dalla morte! Tuttavia, finché le gemme non saranno tutte distrutte, non potrai acquisire i pieni poteri di Erra! -, affermò Nergal, sogghignando.
   Calx fissò lo sguardo sull'avversario e, con un sorriso schietto, ne stuzzicò l'animo suscettibile: - Tra poco un'altra gemma finirà nell'oblio. Sembra che uno dei tuoi seguaci si sia reso conto di star combattendo dalla parte sbagliata! -
   Quelle parole irritarono il dio che mal sopportava l'idea che uno dei suoi più fidati guerrieri lo tradisse in maniera così palese. - Ti sbagli, ragazzo! Nergal non lascerà impunito un simile sacrilegio! -, sbottò, conficcando lo scettro nel pavimento. Scariche nere si propagarono per la stanza e penetrarono tra i mattoni per raggiungere l'obiettivo indicato.
   - Ti mostrerò la purezza del male! Ti renderò partecipe delle sofferenze di Jushur, che ha osato voltarmi le spalle poco prima del mio trionfo! -, soggiunse, guardando Calx con occhi folli di rabbia.
   Il Cavaliere avvertì tutto il dolore provato da quello sconosciuto Utukki, ma anche la sua determinazione a perseguire un ideale di giustizia agognato per interminabili eoni.
   - E ora sarò io a custodire il Diaspro di Fuoco, così nessuno potrà distruggerlo! -, disse poi il dio, richiamando la gemma col suo oscuro cosmo.
   Il discepolo di Alexer aggrottò la fronte: non poteva concedere un simile vantaggio al nemico. Si rialzò in piedi e, con la destra, formò un cerchio davanti a sé: una decina di pianeti si disposero a mo' di corona e si diressero, roteando velocemente, verso il dio. - Kosmiké Sýnkrousis![4] -, gridò e, una volta raggiunta la meta, i pianeti collisero provocando una tremenda esplosione. Nergal impugnò nuovamente lo scettro per difendersi, ma la tecnica lanciata dal Cavaliere sembrava più potente di quelle mostrate fino a quel momento. L'esplosione lo scaraventò indietro, gettandolo tra le macerie del trono.
   Si rialzò quasi subito, livido in volto. Per la prima volta era stato atterrato. Ma un misto d'ira e stupore lo colse quando si avvide che il coprispalla destro della sua armatura era stato completamente divelto e la spalla gli sanguinava.
   Un nuovo boato scosse la sala distrutta dalla battaglia, annunciando che anche la terza gemma era andata perduta. Nergal aveva sopportato abbastanza: non solo era stato ferito due volte da misere creature, ma anche la barriera che gli avrebbe consentito di vincere senza grandi difficoltà stava crollando sotto i colpi tracotanti dei Cavalieri.
   - Sei proprio come mio fratello! Ti ostini a lottare per esseri immeritevoli che presto ammorberanno l'intero universo! -, proruppe, con la voce satura di rabbia. - Se le creature viventi continueranno a farsi gioco dei limiti posti loro dalle divinità, giungeranno al punto di elevarsi a tale protervia da alterare l'ordine costituito! Non si atterranno più ad alcuna legge, non avranno timore di nulla e di nessuno, non si porranno alcuno scrupolo! -, continuò, gli occhi coperti da un velo di tristezza e le mani strette a pugno.
   - Non puoi sapere cosa faranno gli uomini nei secoli a venire. La sfida che Atena ha accettato è proprio questa: nonostante la sua mutevolezza e imperfezione, l'uomo può migliorarsi e imparare a seguire un sentiero di giustizia. Lei ha posto questa fiducia nell'umanità e noi Cavalieri l'aiutiamo a realizzare il sogno di cambiare il mondo! -, rispose il giovane Gemini, con tono risoluto e schietto.
   - Solo uno sciocco spererebbe di salvare una razza destinata all'annientamento dell'universo. Io ho visto cosa farà l'umanità nel futuro: non si accontenterà di contaminare questo pianeta, ma si avventerà sull'universo, come uno sciame di locuste sul raccolto. L'ideale a cui aspirate voi e la vostra dea è pura utopia! -, ritorse il dio, scuro in volto e accigliato.
   Calx restò stupito dalle ultime affermazioni del nume: aveva forse poteri profetici? O le sue parole erano solo l'esito di un disprezzo atavico per le umane genti? Eppure, fino a quel momento aveva palesato senza remore il suo odio, ripeterlo a cosa gli sarebbe giovato? Era convinto che quelle frasi celassero un significato recondito.
   - Hai visto... il futuro? Che vuoi dire? - chiese, spinto dalla curiosità di conoscere la fonte da cui aveva avuto origine il dispregio del Signore d'Irkalla.
   Il dio annuì. - Ho il privilegio di poter leggere nel remoto futuro, ma non in quello prossimo. Solo ciò che avverrà tra molti secoli mi è dato conoscere, ciò che accadrà oggi mi è precluso -, spiegò, chiarendo i dubbi del giovane avversario.
   Sollevò lo scettro e creò davanti a sé una sfera trasparente. D'un tratto, apparvero uomini con indosso strane armature di stoffa e armi che emettevano strani lampi di luce; carri di ferro che lanciavano proiettili esplosivi; bizzarre macchine che roteavano attorno alla terra o atterravano sulla Luna e su Marte. Le foreste bruciavano e le città erano velate da una fitta nebbia scura; i mari erano opachi e melmosi; gli animali cadevano nei mattatoi o per mancanza di cibo e d'acqua. Innumerevoli cadaveri giacevano insepolti alla mercé dei corvi: bambini, donne, vecchi, tutte vittime dell'umana follia.
   Poi Nergal abbassò il bastone e la sfera si dissolse. - Questo è il futuro dell'universo, se l'umanità proseguirà nei suoi atteggiamenti delittuosi. Mio fratello non ha mai compreso la mia missione, né tantomeno mi dava ascolto quando gliene parlavo! Avete già offeso abbastanza il mondo che vi è stato concesso: non permetterò che contaminiate anche l'universo! -, concluse, preparandosi a un nuovo assalto.
   La stanza tremò ancora: Etana, l'Eliodoro del Fulmine, era caduto. Nergal avvolse nuovamente l'ambiente di pesanti tenebre e lanciò l'Aguzigga Irkalak. Calx si ritrovò a dover lottare al buio senza sapere la provenienza dei colpi, ma, stavolta, aveva ben chiaro il modo di annullare quella tecnica.
   La barriera cominciava a indebolirsi gravemente e il Cavaliere sentiva fluire nel suo corpo un potere sempre maggiore. Sollevò le braccia al cielo e plasmò tra le mani un pianeta incandescente, tese i sensi e lo scagliò in direzione dello scettro del dio.
   Nergal si preparò a parare, ma la potenza di quel proiettile lo fece sudare parecchio prima di lasciarsi annullare. Il suo volto s'incupì: più quella battaglia proseguiva, più quell'imberbe ragazzino dominava il cosmo divino. Doveva impedire a ogni costo che risvegliasse il potere di Erra e gli precludesse l'attuazione del suo piano.
   Aveva ancora una tecnica da mostrare, una tecnica che forse gli avrebbe assicurato la vittoria definitiva contro quel mortale che tanto gli ricordava l'odiato volto di suo fratello. Fisse il bastone nel pavimento, spiegò le ali della sua armatura e attorno a lui apparvero sette fasci d'energia colorati. Iniziarono a vorticargli intorno creando una sorta di difesa. - Namlugal Ankik![5] -, pronunciò, e lingue di fuoco si avventarono su Calx.
   Il ragazzo le respinse, ma esse si tramutarono in fulmini, gli avvolsero le braccia e le martoriarono con potenti scariche. Cadde all'indietro, ma un vento impetuoso lo sbalzò in alto. Poi la corrente s'acquetò e il Cavaliere precipitò al suolo in una pozza di fango che lo inghiottì completamente.
   - Degna fine per un mortale che si atteggia a nume! Mi hai fatto penare, ma alla fine hai ceduto il passo al volere del fato! -, disse con soddisfazione.
   Il sole aveva già percorso metà del suo cammino e il cielo, spolverato da scialbe nuvole lente, era attraversato da stormi di uccelli canterini che squarciavano il silenzio di quel deserto. Nergal alzò il capo e chiuse gli occhi: - Presto, ogni cosa tornerà a splendere nelle tenebre dell'oblio -, pensò tra sé. D'un tratto, avvertì l'agitarsi di un cosmo e si voltò di scatto.
   - Galaxíou Ékrēxis! -, gridò una voce ben nota. Un enorme pianeta si abbatté sul dio, che riuscì a salvarsi appena in tempo, prima che il colpo lo centrasse in pieno.
   Il pianeta fu deviato verso l'alto ed esplose in mille pezzi, creando meteoriti che si abbatterono sulle rovine di quella che fino a prima di quello scontro era stata la sala del trono del Signore d'Irkalla.
   - Sei ancora vivo? Ho avvertito lo spegnersi del tuo cosmo, come hai fatto a sfuggire alle grinfie dell'alata signora! -, domandò il dio, sbigottito dalla tenacia dimostrata da quel ragazzino.
   - I Cavalieri di Gemini sono in grado di ingannare i sensi dell'avversario: prima di cadere in quella melmosa pozza ho aperto un varco dimensionale facendoti credere di essere morto. Il tuo colpo massimo non è poi granché! -, rispose Calx, con tono sarcastico.
   - Nessuno ha mai osato dileggiarmi in tal modo! Pagherai per la tua sprezzante ironia, misero mortale! Namlugal Ankik! -, sbottò irritato il dio delle pestilenze.
   I fasci di energia lo circondarono di nuovo, ma stavolta il giovane Gemini fu bersagliato da aguzze lame di ghiaccio. Il ragazzo le schivò quasi tutte, ma una gli si piantò nella spalla e lo gettò a terra. Da essa si sprigionò una tenue luce che gli avvolse il braccio e parte del torace. Il corpo del custode della terza casa iniziò a perdere sensibilità.
   - Ora sprofonderai tra le ombre dell'oblio! Addio, Cavaliere, il tempo delle illusioni è ormai giunto al termine! -, sentenziò il dio, trasformando quella tenue luce in fitte tenebre. Calx provò un dolore straziante, ma strinse i denti e continuò a resistere.
   Doveva resistere fino alla distruzione dell'ultima gemma: solo allora avrebbe potuto sferrare l'attacco definitivo e concludere finalmente quella logorante guerra. Espanse il suo cosmo dorato per contrastare l'attacco nemico e, dopo immani sforzi, riuscì ad affrancarsi dal giogo delle ombre.
   - Non è ancora il momento di lasciare questa vita, almeno finché non avrò sventato i tuoi piani, Nergal! -, asserì Calx, pronto a riprendere la lotta.
   Lo spallaccio sinistro era stato squarciato dalla lama nemica e dalla spalla sottostante cominciarono a zampillare fiotti di sangue che arrossarono il pavimento, mescolandosi a polvere e detriti.
   Il Signore d'Irkalla rise e lo schernì, dicendo: - Pur essendo prole di un dio, il tuo sangue è scarlatto come quello di qualsiasi mortale! Finora la sorte ti è stata amica, ma il tuo cosmo umano sta per esaurirsi e mancano ancora tre gemme per abbattere la barriera posta a mia difesa! -.
   Richiamò la sua tecnica più potente e si preparò ad attaccare nuovamente: non voleva concedere più tempo a quel moccioso che aveva dimostrato una tempra così adamantina. Calx, a sua volta, era pronto a respingere qualsiasi colpo: la fiducia che riponeva nei suoi compagni gli forniva la forza necssaria per affrontare tutte le armi nemiche senza alcuna esitazione.
   Nergal lanciò il Namlugal Ankik, ma, invece di pararlo o deviarlo, il giovane discepolo di Alexer aprì davanti a sé piccoli varchi dimensionali che intercettarono le varie anime della tecnica nemica e le vanificarono inglobandoli e disperdendoli in remoti universi.
  Il dio era esterrefatto: nonostante la barriera fosse ancora in piedi, quel Cavaliere continuava a tenergli testa e a proseguire la missione di sventare i suoi piani. Era riuscito persino a resistere e ad annullare il suo colpo massimo. Che scherzo barbino gli aveva giocato il destino! Possibile che dovesse arrendersi a una sconfitta ormai certa? Ma il suo nome, già infangato dalle opere caritatevoli di Erra, ne sarebbe stato irreparabilmente compromesso! Non poteva cedere! Non poteva perdere dopo aver passato innumerevoli secoli nell'attesa di un riscatto!
   Mentre il suo animo esacerbato si macerava e cercava una via d'uscita a quella situazione di stallo, l'ennesimo terremoto avvertiva che un'altra gemma era stata distrutta. Una frustrante collera s'impossessò di lui: provò un astio inimmaginabile per suo fratello. Lo rivedeva negli occhi, nel portamento e nel cosmo di quel ragazzo che con tanta ostinazione gli si opponeva. Doveva eliminarlo, come aveva fatto ai tempi del mito, ma stavolta per sempre!
   Mentre rimuginava su quanto stava accadendo, fu investito dall'immensa luce di un pianeta incandescente. Lo parò con lo scettro, ma la forza dei colpi nemici continuava a crescere e non gli era più così semplice annullarli. Il sangue divino di Calx si risvegliava di minuto in minuto e minacciava pesantemente la sua sete di vittoria.
   Riuscì a smorzare la potenza della tecnica nemica e la ridusse all'impotenza, tuttavia si avvide che sullo scettro erano comparse crepe e incrinature: anch'esso iniziava a risentire di quell'estenuante scontro.
   - Sono stanco di giocare con te, Cavaliere! -, sbottò d'un tratto il dio, avvolgendosi del suo cosmo oscuro. - Namlugal Ankik! -, gridò, lanciando la sua tecnica definitiva che assunse una nuova forma.
   Calx venne circondato da alte fiamme, mentre il terreno sotto i suoi piedi diventava sabbioso. Il Cavaliere iniziò ad affondare, ma avvertiva un gelo pungente agli arti; non solo, dalle fiamme si scatenò una tempesta di fulmini che bersagliò il ragazzo, ustionandogli le esigue parti del corpo lasciate scoperte dall'armatura.
   Il custode della terza casa strinse i denti, opponendo il proprio cosmo all'opprimente assalto della tecnica segreta del dio. Provava un dolore atroce e sentiva, da un lato, le carni sfrigolare sotto le sferzate di quelle saette; dall'altro, i piedi e le gambe perdevano progressivamente sensibilità e non lo aiutavano ad affrancarsi da quel giogo di morte decretato per lui.
   - Non posso morire adesso! Devo reagire! Devo farlo per Atena, per il Sommo Alexer e per i miei compagni! Non posso lasciarmi annientare a un passo dalla vittoria! L'umanità merita di vivere, non posso precluderle questa possibilità! -, pensò tra sé. Sollevò lo sguardo e vide Nergal corrucciato e insofferente. In quel colpo aveva riversato tutto l'odio e il rancore che covava nell'animo dai tempi del mito.
   Poteva avvertire il profondo disprezzo che provava per le umane genti e per la loro sacrilega arroganza, il desiderio ardente di rifondare l'universo e di immergerlo nell'eterno silenzio e nella quiete delle tenebre. Si sentì avvilito e sconcertato da quei sentimenti così oscuri e scevri di misericordia. Non poteva lasciarsi andare: doveva sconfiggere Nergal prima che il cosmo intero venisse derubato del calore della luce e della scintilla della vita.
   Chiuse gli occhi e si lasciò assorbire da una delle innumerevoli dimensioni che riusciva ad aprire grazie alle sue abilità cosmiche. Nel vederlo scomparire, il dio d'Irkalla gioì in cuor suo: pensava che la sua tecnica più potente avesse finalmente sortito l'effetto sperato. Quando di Calx non restò più nulla il colpo del nume si esaurì e nella stanza calò un silenzo surreale.
   Il volto di Nergal si distese e i suoi occhi puntarono al cielo: il destino aveva ripreso il suo corso originario e ora poteva realizzare un sogno che si portava dietro da lunghi secoli.
   - Se anche i Cavalieri vincessero gli ultimi due scontri, nessuno di loro potrebbe sconfiggermi. La vittoria è a un passo! Più nessuno ostacolerà la mia ascesa: né Erra, né il suo sedicente figlio! -, disse, col petto gonfio d'orgoglio e di speranza.
   Levò lo scettro verso l'alto e si preparò a ricostruire il marchingegno distrutto da Calx poco prima della battaglia. D'un tratto, però, esso esplose in mille pezzi, lasciando il dio oltremodo perplesso.
   - Cos'è successo?! -, disse fra sé. - Possibile che l'ultimo colpo del Cavaliere l'avesse danneggiato a tal punto? -, continuò, cercando una risposta a quell'inaspettato evento. Un dubbio gli fece capolino nel cuore: a ripensarci bene, Calx, che fino a quel momento aveva resistito con somma fierezza, era morto in modo troppo repentino. Forse la sete di vittoria lo aveva accecato a tal punto da non rendersi conto della verità?
   Tese i sensi per avvertire il più flebile afflato di cosmo, ma, a parte quelli dei Cavalieri impegnati ancora a combattere, non sentiva nulla. Sollevato da quella scoperta, alzò le mani verso il cielo e riprese la sua opera di ripristino del congegno che avrebbe spento per sempre la luce del Sole.
   La stanza tremò ancora: anche la sesta gemma era stata distrutta. Nergal non ci badò, era troppo preso dalla sua opera di rifondazione dell'universo. Non si accorse neppure del cosmo che gli appariva alle spalle e s'innalzava maestoso.
   - Un'ultima gemma e la velleità del tuo sogno ti diverrà palese! -, tuonò la voce di Calx, avvolto da un'aura cosmica imponente.
   Nergal abbassò lentamente le braccia e si voltò verso il ragazzo, guardandolo torvo. - Non sei morto, dunque. Eppure il tuo cosmo era svanito! -, commentò, con la voce rotta dalla collera.
   - Le dimensioni create da Gemini sono un rifugio insostituibile per sfuggire agli occhi del nemico, anche se si tratta di un dio! -, ironizzò il Cavaliere, formando con la destra un cerchio davanti a sé e richiamando la Kosmiké Sýnkrousis. I pianeti si avventarono sul dio roteando e avvicinandoi sempre di più. Il Signore d'Irkalla incrociò le braccia per parare il colpo, ma venne spinto indietro di parecchi metri. I bracciali della sua armatura si riempirono di crepe, da cui iniziarono a sgorgare gocce di linfa vitale.
   Ombre nere avvolsero i pianeti che entrarono in collisione e impedirono che l'esplosione si riversasse sul loro padrone. Nergal era in affanno: mai prima di allora aveva penato tanto in uno scontro. Si sentiva svuotato del suo privilegio di essere un nume; si sentiva defraudato del suo sogno di potere. - Che tu sia dannato, Cavaliere! La tua ostinazione a opporti a un dio è imperdonabile! -, sbottò, al colmo della frustrazione e della rabbia.
   Spiegò le ali e un cosmo nero come la pece oscurò il cielo terso. Un vento tagliente si abbatté su Calx e lo spinse verso il ciglio della stanza. Il ragazzo provò ad ancorarsi a una delle poche colonne rimaste in piedi, ma la potenza di quel soffio lo travolse e rischiò di cadere ai piedi della torre. Ancora una volta sparì tra le dimensioni e riapparve alle spalle del dio, incolume.
   Nel momento in cui il sole illuminò di nuovo l'orizzonte, l'ultima gemma fu ridotta in cenere. Nergal spalancò gli occhi: il ragazzo che ora aveva di fronte non era più un semplice umano, ma aveva risvegliato il cosmo di un dio. Lo percepiva: era immenso, puro, caldo, colmo di giustizia. Era il cosmo di Erra.
   - Siamo alla resa dei conti, Nergal! -, disse Calx, spogliandosi dell'armatura. Presentava una ferita alla spalla e un sottile squarcio sul torace, entrambe macchiate di sangue ormai rappreso. Il dio fu sorpreso da quella mossa. - Vorresti affrontarmi senza neppure l'ausilio della tua corazza? A tali vette giunge la tua alterigia? -, commentò sprezzante, livido e insofferente.
   - L'armatura di Gemini mi ha protetto dai tuoi colpi, ma ora è tempo che ritorni alle Dodici Case. Non voglio coinvolgerla nell'assalto finale! -, spiegò il giovane Gemini, sollevando il braccio sinistro e incassando il destro.
   - Eccoti la tecnica creata dal mio maestro e da me perfezionata: Galaxíou Aphánisis![6] -, a quelle parole, un enorme vortice dimensionale, circondato da una luce abbagliante, si aprì sulle loro teste. Nergal sentì le membra intorpidite e più tentava di muoversi, più restava immobilizzato.
   - Non riuscirai a liberarti! La forza di attrazione di tutte le dimensioni esistenti ti impedisce il più impercettibile movimento. Questa tecnica ha già sconfitto un dio che, al contrario di te, è destinato a ritornare e a combattere ancora contro i Cavalieri. Le tue tenebre, invece, si disperderanno nei remoti meandri delle dimensioni e verranno soppresse dalla luce che le investe! Il bagliore che vedi è l'essenza cosmica di tuo fratello: sarà esso a cancellare per sempre la tua oscurità! -
   - Forse ho sottovalutato sia te che la profezia, ma io sono un dio e una tecnica così banale non riuscirà a piegarmi! -, proruppe Nergal, che fece esplodere il suo cosmo per avere ragione di quell'invisibile prigione.
    Tuttavia, le tenebre sprigionate dal suo cosmo vennero risucchiate dal vortice e il potere del dio scemò di colpo. L'armatura che indossava cominciò a sbriciolarsi e anche le sue membra sembravano sciogliersi come neve al sole.
   - C-Che mi succede? -, disse, incredulo. -  I-Il mio corpo... si dissolve come misera polvere... -, proseguì, mentre la sua vita si disperdeva tra le pieghe delle dimensioni. - Alla fine... hai vinto! Ora puoi gioire del tuo trionfo... assieme ai tuoi compagni mortali! -, concluse, deluso e adirato contro il fato.
   - Non temere, Nergal, ti accompagnerò nel tuo ultimo viaggio! Sono costretto a chiudere il portale dall'interno, altrimenti il vortice dimensionale collasserà e finirà per spazzare via un intero continente! Ma una volta chiuso, non è più possibile tornare indietro. -, spiegò Calx, il volto sereno e pronto a incontrare la nera signora.
   Socchiuse gli occhi e, usando le sue capacità telepatiche, si congedò dai suoi amici: - Addio, nobili Cavalieri di Atena! Il destino che ci ha visti a lungo separati ci divide ancora una volta. Vi ringrazio per il sostegno e la fiducia che mi avete concesso in questa mia ultima battaglia: affido a voi la pace e la giustizia in nome di Atena! Un giorno ci rivedremo nel Paradiso dei Cavalieri! -
   Il vortice dimensionale emise un bagliore accecante che irradiò l'intera pianura. Quando la luce si estinse non vi era più traccia né di Calx, né di Nergal, né del suo palazzo. A testimonianza della cruenta battaglia era rimasta una piccola depressione nella sabbia.
   La battaglia era finita, ma nel cuore dei Cavalieri riuniti sotto i palmizi non c'era la gioia per la vittoria, bensì il lutto per la perdita di un amico.
 
[1] "Lamento di Irkalla".
[2] "Specchio del Destino".
[3] "Aurora Infernale".
[4] "Collisione Cosmica".
[5] "Dominio del Cielo e della Terra".
[6] "Estinzione della Galassia".
   
 
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