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Autore: Soe Mame    28/07/2022    0 recensioni
C'era una volta un tritone che pensava che gli umani fossero stupidi. L'incontro con un pirata spagnolo lo convincerà di avere ragione.
[La millemilionesima rivisitazione de La Sirenetta feat. un sacco di robe pesciose e non.]
Genere: Generale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V
Xxxxxxx ~ Ti mostrerò come mi sento!


Perdere tempo a guardare la bottiglietta con la pozione verde era stupido. Lovino ne era perfettamente conscio, ma svitare il tappo e trangugiare quella roba era una sequenza di azioni più complessa del previsto. In un primo momento, il principe aveva pensato fossero gli scrupoli a far esitare la sua mano, a togliergli la forza di compiere un gesto tanto semplice quale l'aprire una bottiglietta. Dopo qualche minuto, Lovino aveva realizzato che fosse una bottiglietta stronza.
Era il tramonto. Il sole si scioglieva nel mare, ma solo metaforicamente, perché il contrario avrebbe portato conseguenze apocalittiche. Anche se, pensandoci bene, in un caso del genere, forse non ci sarebbe più stata alcuna forma di vita ad assistere ad un evento simile.
Lovino decise di tentare un'altra volta. Doveva essere trascorsa un'ora, da quando aveva cercato di aprirla. L'aveva stritolata, messa al contrario, sbattuta sugli scogli, lanciata in acqua, presa a testate, niente, rimaneva sigillata. Afferrò il tappo e lo girò. Clack.
"... Dillo che sei stronza. Dillo." La bottiglietta si era infine aperta. Se prima aveva dei timori, quel dannato contenitore glieli aveva risucchiati tutti. Era voluto, o i calamari non erano consci della forza che mettevano nel chiudere le cose?
Si sistemò meglio sulla sabbia, le code bagnate dall'acqua del mare. In un primo momento, aveva pensato di bere la pozione sugli scogli, salvo venire colto dal dubbio di non saper nuotare, se privato delle code. La spiaggia era la soluzione migliore. Scosse la testa - I preparativi li aveva ultimati da, beh, un'ora. Era il momento di fare ciò per cui era venuto lì, magari prima di provare emozioni affini al dubbio o al pentimento - Perché le emozioni le provava, lui.
Inspirò. Si sarebbe dovuto abituare a respirare solo aria, da quel momento. Trattenne il respiro e bevve la pozione in un sorso.
Nettuno, Partenope e Abisso.
Che schifo.

Alzò un braccio e tirò un pugno. Riaprì gli occhi. Aveva chiaramente sentito le dita cozzare contro qualcosa, e il qualcosa aveva anche fatto «Ahia!».
Scattò seduto. Era ancora sulla spiaggia. Era svenuto? Il sole stava scomparendo sulla linea dell'orizzonte, quindi doveva essersi trattato di una manciata di minuti. Una qualche forza superiore aveva impedito al sapore della pozione di rimanergli in bocca - Se era svenuto, non era stato certo per l'emozione.
Guardò al suo fianco. Sì, in effetti aveva colpito qualcuno. Se avesse saputo prima chi fosse, ci avrebbe messo più forza.
«Oh, sei vivo.» Francis sembrava genuinamente sorpreso, mentre si massaggiava una guancia. «Pensavo avessi ingoiato un portalattine di plastica e fossi morto soffocato.»
"Come sei specifico." Ah, vero, non poteva parlare. Sbuffò e distolse lo sguardo.
Cos'erano quelle cose.
No, lo sapeva cos'erano, erano le sue code, ma non c'erano più né scaglie né pinne. Che mostruosità avevano gli umani, al posto delle pinne? E non si sentivano scarnificati, con la pelle così in mostra? Si guardò le mani. Le dita erano staccate, e sembrava si dovessero staccare dal palmo da un momento all'altro. Ma gli umani si sentivano al sicuro, con le dita così separate? Dove trovavano, in primo luogo, la forza per afferrare gli oggetti? Se non altro, avevano anche loro il pollice opponibile. Si toccò le branchie. O meglio, dove prima c'erano le branchie. Pelle. Solo pelle. E le pinne superiori erano state sostituite da piccole pinne ovali che non si muovevano neppure. Rabbrividì. Gli umani facevano senso - E lui se l'era pure fatto, un umano! A sua discolpa, nel quasi buio non aveva realizzato appieno la mostruosità che aveva davanti.
«Non sono affari miei,» Giusto. C'era Francis. «ma ci sono troppe cose che non mi tornano.»
Lovino tornò a guardarlo. A sua memoria, non l'aveva mai sentito parlare con una voce tanto seria. Pensava non potesse farla affatto.
«Tu, dal Sorcier de la Mer? Per diventare umano?» Scosse la testa. «Non m'intrometterò, ma questa cosa non ha il minimo senso.»
"Chi cazzo vuole diventare umano!" Era ancora senza voce. Per quanto, ne era sicuro, la sua espressione fosse cristallina, era difficile comunicare i dettagli. Guardò il bagnasciuga. Il sole era tramontato, ma c'era ancora un po' di luce. Affondò un dito nella sabbia e scrisse la risposta. Più stringata di come l'avrebbe espressa di solito, ché scrivere era più lento del parlare e lui aveva fretta di spiegarsi.
"Temporaneo / Come sai dello Stregone?"
Francis gettò uno sguardo alla risposta. Un sospiro. Allontanò la mano dal punto colpito - A giudicare da com'era rosso, non sarebbe passato in poche ore. «Conosco mon perfid calamar. Pozioni eccellenti, ma disgustose oltre ogni conoscenza terrena.» Indicò qualcosa. La bottiglietta stronza. «Nessun altro potrebbe trasformare un tritone in umano in così breve tempo, con tale precisione. A giudicare dallo stato in cui ti trovi, direi che gli hai dato la tua voce in cambio di una temporanea natura umana.»
Lovino annuì. In fondo, quel pennuto era sempre stato un osservatore. Anche se, pensandoci bene, era piuttosto ovvio che dovesse c'entrare quel mollusco psicolabile.
«Arthùr non fa patti così benevoli.»
Ecco, appunto.
«E tu non hai nessun motivo di essere umano, neppure per un minuto.» Più che serio, sembrava quasi preoccupato. Possibile? «Felicianò lo sa?»
Oh, giusto, doveva essere preoccupato per il piccolo Felicianò. Non rispose. Rimase a guardarlo, impassibile. O forse lo stava liquefacendo con lo sguardo, non lo sapeva e non gli importava. Un dubbio improvviso.
"CHE CAZZO STAVI FACENDO CHE ERI VICINO A ME"
Mise mano al pugnale, ma non lo estrasse ancora. Francis sgranò gli occhi. «Volevo solo accertarmi che fossi vivo! Ero così preoccupato, stavo per-» Gli lanciò la sabbia. Neanche voleva sentirlo. Respirazione bocca-a-bocca. Aveva rischiato la vita.
Non aveva più tempo da perdere. Doveva cercare l'umano. Camminare non doveva essere difficile - Se aveva capito, doveva mettersi in equilibrio sulle code, poi metterne avanti una, poi l'altra, e così via. Piegò le code, in modo che le pinne fossero contro la sabbia. Si diede la spinta con le mani, gettò il peso sulle pinne e si alzò.
Una coltellata lungo la schiena - Una spadata, una frustata, qualcosa di molto grande e molto doloroso gli aprì la schiena. Le code cedettero, il naso fece male e la bocca si riempì di sabbia.
«Oh, devi averlo fatto arrabbiare, eh?» Francis saltellò vicino a lui. Era certo avesse riso. Ne era sicuro. «Camminare non è così doloroso, te lo garantisco. È solo Arthùr che ama divertirsi in modi discutibili.»
Pure. Pensava di essere lui, quello rancoroso. Riemerse e sputò la sabbia.
«Tranquillo, passerà.» La preoccupazione nella voce di Francis era quasi svanita. Era rimasta solo una cantilena irritante, molto più adeguata a lui. «Perché vuoi fare l'umano?»
Lovino alzò la testa. Aveva giocato con le tracine, ora sperimentava la loro vita. Che vita di merda. Allungò un dito. Stava calando la notte e Francis non sarebbe mai riuscito a leggere le sue risposte, sulla sabbia, al buio.
"Vendetta su un bastardo"
Francis inarcò un sopracciglio. «Avevo sentito aveste litigato, ma non pensavo fosse così grave.» Giusto. Francis doveva conoscere l'identità di quel bastardo. Lo sentì schiaffare le mani, con un'inquietante soddisfazione. «Sai, Lovinò, se Arthùr non stesse palesemente tramando qualcosa, ti direi che è un'idea divertente.»
Lovino si rialzò. Almeno, ci provò. Non aveva idea di quale fosse il collegamento fisico tra il fare forza sulle pinne e sentire dolore alla schiena - Parecchio dolore -, ma faceva un male porco e lui non aveva neppure la voce per insultare una qualsiasi entità marina - Tipo lo Stregone del Mare.
«Però» continuò il pennuto: «direi che, al momento, tu abbia un problema più urgente.»
Lo ignorò. Era riuscito a tornare in piedi. Ringraziò il buio, ché stava iniziando a lacrimare dal dolore. Mosse una coda in avanti. La coda gli mandò una fitta tale da mozzargli il respiro. Il respiro venne definitivamente meno quando il petto e lo stomaco si schiantarono su uno scoglio. Non l'aveva notato. E ora era morto.
«In onore al meraviglioso equipaggio del tre Aprile,» Non il tre Aprile, non il tre Aprile! «ti impedirò di continuare a dare un simile spettacolo.»
Lovino alzò appena la testa dallo scoglio e gli rivolse un'occhiata non lo sapeva neanche lui. Forse era stanca, forse era speranzosa, forse era incazzata, forse era disperata. Era tante cose, ma lui voleva solo alzarsi e camminare. Non era neppure il primo punto del suo piano, erano i preparativi e, grazie ad un calamaro simpatico come la carezza di una vespa di mare, si stavano rivelando più dolorosi del previsto.
«Non sarà facilissimo sulla sabbia,» ammise il gabbiano: «ma almeno attutirà le cadute. Sempre che tu non sia calamitato dai sassi.»
Si stava facendo aiutare da Francis. Quanto cazzo era caduto in basso. Il bastardo l'avrebbe pagata anche per quello.

«Perfetto!» Francis mise le braccia conserte, un gran sorriso sulla faccia da schiaffi. «È bastato uno spazio bianco per far passare tutta la notte e insegnarti a camminare come un umano zoppo!» Magari, se gli spazi bianchi fossero stati due, avrebbe anche imparato a camminare come un umano e basta.
Non aveva dormito, ma non ne aveva sentito il bisogno. Il desiderio di vendetta gli dava forza, gli scogli lo tenevano sveglio con i loro buffetti sassosi e la presenza di Francis gli dava un ottimo motivo per non abbassare la guardia. Il pennuto gli aveva spiegato che ora le sue pinne erano piedi, le sue code gambe e la loro piega era chiamata ginocchio.
«Conoscere il lessico corretto ti aiuterà a mimetizzarti meglio tra gli umani.» E Francis avrebbe anche avuto ragione, se lui non fosse stato muto e quindi impossibilitato ad usarlo, il lessico corretto.
La schiena non faceva più troppo male e le gambe lo reggevano abbastanza bene. Non era certo in forma, ma almeno riusciva a percorrere qualche metro da solo - Se si appoggiava ad una qualche superficie, poi, riusciva a percorrere anche l'intera spiaggia! Certo, poi si accasciava a terra neanche gli avessero chiesto di spingere via il crostaceo malefico, ma l'importante era sapere di poter camminare così a lungo.
Ora che il sole era sorto, poteva di nuovo comunicare per via scritta - E le onde avrebbero cancellato ogni rimasuglio di prova da lui già cancellata con una manata. Fosse mai che passasse di lì la persona sbagliata.
"Trovare l'umano" Si sentiva un po' stupido ad essere così stringato, ma doveva accontentarsi. Francis scese dallo scoglio su cui era rimasto per quasi tutta la notte. Piuttosto gentile, da parte sua, aveva dovuto riconoscerlo - Gli aveva segnalato la presenza dello scoglio standoci sopra, ma entrambi avevano sottovalutato la conformazione senza senso di quella spiaggia e i suoi scogli a sorpresa.
«Di questo non ti devi preoccupare.» rispose il gabbiano: «Non abita lontano da qui. Credo, anzi, potresti incontrarlo da un momento all'altro.»
Lovino si fece attento. Francis non aveva motivo di mentire. I preparativi per la sua vendetta erano stati difficili, lunghi e dolorosi, ma fortunatamente la riga di testo bianca li aveva resi più digeribili; il primo punto del suo piano, al contrario, sembrava quasi di una facilità ridicola. Doveva trovare l'umano, ma possibile che sarebbe stato l'umano a trovare lui? E soprattutto, una volta trovato, cosa avrebbe fatto? - Lui, non l'umano. Gli sarebbe saltato addosso e l'avrebbe riempito di pugni? Gli avrebbe piantato il pugnale nella gamba? Gli avrebbe fatto ingoiare chili e chili di sabbia?
No, la violenza fisica non era un buon modo per iniziare. Avrebbe potuto mettersi al suo fianco e pungolarlo fino a fargli implorare pietà e fargli riconsiderare ogni sua scelta di vita. Sì, questa era un'idea molto migliore.
«Non posso però esimermi» Francis parlò dopo qualche secondo, forse per dargli il tempo di affinare il suo piano. «dal farti notare che risulti un po' losco.»
"Eh?" Dato che non poteva dirlo, si limitò a lanciargli un'occhiata interrogativa.
Il gabbiano indicò la sua cintura. Lovino abbassò lo sguardo. Il pugnale? Lo prese e glielo mostrò. Francis scosse la testa. Ovvio che non poteva essere quello, anche l'umano era armato.
«Il tuo abbigliamento.» spiegò: «Chiunque capirebbe che sei un tritone con un aspetto umano.»
"Tu sei l'ultimo a poter parlare di abbigliamento, hai letteralmente addosso solo una censura."
Aveva ragione, però. Aveva già notato quanto gli umani rimediassero all'assenza di scaglie con strati e strati di stoffa. Lui aveva una normalissima cintura con strisce di alghe lungo le code - Senz'altro più virile dell'ombrello medusoide algoso di suo fratello - ma, per un umano, non doveva sembrare troppo normalissima.
«Penseranno ti abbiano rapinato.» Francis continuava a blaterare. «Senza dubbio attirerai l'attenzione, ma nessuno penserà che tu non sia umano!»
Lovino gli rivolse un'occhiata disgustata. Ma pure di primo mattino? Con uno sbuffo, si trascinò ad uno scoglio e ci si sedette sopra. Accavallò le gambe e mise le braccia conserte. Fissò Francis.
Francis ricambiò con uno sguardo perplesso. «Non credo così tu non sia sospetto...»
Continuò a fissarlo. A quanto pareva, non era stato abbastanza chiaro. Indicò se stesso. Indicò la sua cintura di alghe. Indicò lui. Indicò alle sue spalle. Indicò di nuovo se stesso.
Francis sbattè le palpebre. Uno, due secondi e realizzò. «Vuoi che ti porti dei vestiti?»
Lovino annuì. Era un pervertito, ma almeno non era tragicamente scemo. Se l'avesse chiesto all'umano, di certo quello gli avrebbe risposto qualcosa tipo: «Vuoi che ti arrotoli nelle alghe e ti faccia rotolare per la spiaggia?».
«Ma dove li trovo, dei vestiti?» Cazzi suoi. «E dovrei rubarli?» Nessun rimorso nel molestare la gente, ma titubanze nel furto. I valori di quel pennuto erano mescolati come il cervello dell'umano.
Scosse la testa. Perché continuava a pensarci? Sbattè le palpebre.
Umani. Li vedeva, non lontanissimi ma neanche vicinissimi. Doveva aver assunto un'espressione particolare, perché Francis si voltò.
«Scusa, ma è meglio che vada.» Tornò a guardarlo. «Gli umani pensano che tutti i gabbiani siano piccoli.»
Lovino annuì appena. Gli fece un cenno, che sarebbe potuto sembrare di ringraziamento o un invito a levarsi dalle palle. Che lo interpretasse come voleva.
Il gabbiano volò via. Lovino si alzò e camminò, piano, verso uno scoglio alto quasi quanto lui - La sua testa lo aveva percepito svariate volte, quella notte. Si issò sullo scoglio, tenendosi con i gomiti, lo sguardo agli umani che si avvicinavano. Erano in due. Al momento, non era abbastanza veloce per un'aggressione a sorpresa, quindi doveva attirarli - Una volta vicini, li avrebbe tramortiti e avrebbe sottratto loro i vestiti. O, al limite, li avrebbe minacciati con il pugnale. In un modo o nell'altro, si sarebbe impossessato delle loro vesti.
«Sono certo si stiano struggendo per il Magnifico Me!» Uno dei due aveva una voce a dir poco squillante. Era roca e gracchiante, e sembrava quasi finta. «Carmen, Dolores, Consuelo, Esmeralda, Ines, Nina! È così tanto che non mi vedono!»
«Puoi sempre tornare da solo!» L'altro non aveva una voce squillante. Aveva solo un volume ridicolmente alto.
E, soprattutto, avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
Soppresse qualsiasi istinto umanicida, o il suo piano ne avrebbe sofferto.
«Ma tu sei scemo! Così la regina penserà che alla fine ti abbiamo venduto ai saraceni!»
«Non credo ci rimarrebbe troppo male, sai?»
«E la tua ciurma ti è abbastanza fedele da tornare solo con la tua presenza, vivo o cadavere.»
Quel debosciato era a capo di una ciurma? O meglio, era a capo di qualcosa? Improvvisamente, capì appieno la gravità delle parole di suo nonno a proposito della competenza di Ludwig.
«So che ci tenete, a tornare. Se volete, vi do una dispensa.»
«Ma quelli non tornano neanche se gli dai una cucina intera. Ma torna in Spagna e fine, perché ti ostini a rimanere qui?»
«Ho ancora un conto in sospeso.»
«Non parliamo di conti, ché ho ancora paura di ritrovarmi Lucilin appeso al soffitto che mi chiede se sono in regola con le tasse.»
«Sta solo facendo il suo dovere.»
«Non cambiare discorso! Lo so qual è il tuo misterioso conto in sospeso, e posso assicurarti che, per come sono messe le cose, non c'è alcuna speranza che tu-»
Voleva saltargli addosso per farselo lì sulla spiaggia gonfiarlo di botte. Al buio, non aveva realizzato del tutto quanto fosse bello accettabile passabile niente di che a dir poco disgustoso. Si pentì amaramente di avergli dichiarato guerra e non poterlo dunque toccare in quel preciso istante avergli anche solo concesso di poterlo sfiorare. Finalmente lo vedeva alla luce, persino asciutto, e maledisse lo scoglio tra di loro ringraziò lo scoglio tra di loro, perché sentiva un irrefrenabile desiderio di baciarlo fino a portarlo ad un passo dal soffocamento spaccargli la faccia.
«Lo conosciamo?» La voce gracchiante dell'altro umano gli ricordò che c'era un altro umano. Si era distratto. Non poteva non distrarsi, avendo il suo peggiore incubo ad uno scoglio di distanza.
«Forse?» Ora sì che lo riconosceva del tutto. Rincoglionito. Rincoglionito come poche persone al mondo. «Perdoni, buon uomo.» L'imbecille si fece avanti. Un altro passo e sarebbe stato così vicino da potergli ficcare le dita negli occhi verdi. «Le abbiamo per caso affondato una nave?»
Bizzarro modo di approcciare qualcuno. Bizzarra scelta di termini, visto che si trattava di lui. Lovino non fece una piega. Continuò a fissarlo con purissimo e sentitissimo odio.
«O magari una flotta intera?»
Impassibile.
«Abbiamo dato fuoco ai suoi possedimenti?»
Impassibile.
«Abbiamo affondato la sua nave dopo averle dato fuoco?»
Impassibile.
«L'abbiamo derubata? O forse truffata? Magari in un scambio spacciato per equo o al tavolo?»
Impassibile.
«L'abbiamo per caso minacciata di morte per farci rivelare dove teneva i suoi possedimenti?»
Era quasi curioso di sapere fin dove si spingeva la sua fedina penale.
«Abbiamo per caso cercato di ucciderla?» L'umano sembrava confuso. Rincoglionito e confuso. Quasi gli faceva pena. Lo scimunito ci riprovò: «Non è che siete un creditore?»
«Non ha molto la faccia da creditore.» Un bisbiglio roco da lì accanto.
«Magari è un creditore che è stato aggredito e privato dei suoi possedimenti.»
«Non mi sembra che la cosa gli stia dando troppi problemi.»
Ma pensavano che non li sentisse? Idioti. Gettò un'occhiataccia al compare del cretino. Sembrava uno scheletro, con capelli bianchi e occhi rossi. In tutta onestà, era più inquietante dello Stregone del Mare - Che tuttavia non era inquietante, ma solo molto prono al far autosuggestionare i suoi clienti.
«Forse è traumatizzato.» Il cretino lo disse con tutta la tranquillità del mondo. «Per questo non parla.»
«Antò, sembra ti voglia ammazzare, qualcosa devi avergli fatto.»
A meno che non si chiamasse "Antozoo", quel bastardo doveva chiamarsi "Antonio". E prima parlavano di tornare in Spagna. Quel coglione era spagnolo e si chiamava Antonio. Ringraziò di averlo saputo in quel momento, ché cercare uno spagnolo di nome Antonio sarebbe stato come cercare una specifica sardina in un banco di sardine sapendo solo di dover cercare una sardina.
«Sì.» Il bastardo lo guardò per un istante, salvo tornare subito da lui. Aveva staccato lo sguardo per quell'unico secondo. «Ma, se non mi dice cosa, non è che posso indovinarlo.»
"Annamo bene." Dato che si stava tenendo soprattutto con i gomiti, aveva le mani libere. Quindi, gli indicò la giacca che indossava.
«Cos'è, un rebus?» La voce gracchiante dell'albino fu coperta da quella del cretino: «Vuoi la mia giacca per coprirti?»
"Ma porca puttana, come cazzo l'ha capito?"
Forse non era così stupido come pensava. O forse - E tremava all'idea di averci azzeccato - era soltanto quello che pensava di fare da qualche minuto.
Lovino annuì. Come se non aspettasse altro (Argh!), l'idiota si tolse la giacca e gliela porse. Lui la prese e si lasciò scivolare dietro lo scoglio. Aveva visto quella giacca svariate volte, ed era piuttosto sicuro fosse un'altra. Quasi uguale, ma di una gradazione di rosso leggermente diversa e con i cerchietti appena più piccoli.
«Non sarebbe il caso di portarlo in ospedale?»
«Penserebbero che sia colpa nostra! Non ricordi il Grillotalpa?»
L'albino trattenne il fiato. «L'ultima volta che ci hanno visto là era con il Grillotalpa?»
«Eh, sì, Smith l'abbiamo imbarcato sulla Trapassante in una botte.»
«Gott, meno male che non sono andato al pronto soccorso per quel taglio!»
Lovino si riscosse. Guardò di nuovo la giacca. Di certo non se la sarebbe messa addosso, o avrebbe fatto un orrido effetto Feliciano-con-l'-armatura-di-Ludwig e- Cazzo, ci aveva pensato. E aveva pensato pure a quanto Ludwig lo trovasse palesemente tenero. Le pozioni dello Stregone del Mare non erano nulla in confronto al disgusto di quelle scene.
Si tolse le alghe e il pugnale e li nascose sotto la sabbia. Si legò la giacca in vita - Con il nodo sul fianco, o avrebbe reso abbastanza inutile la richiesta di un capo di abbigliamento.
Riemerse dallo scoglio, stavolta camminando. Tenne comunque una mano contro il sasso. Tutto voleva tranne che cadere davanti al bastardo.
«Che...» L'albino era confuso. «... modo originale di indossare una giacca.»
«Sei ferito.»
La frase del cretino lo costrinse ad abbassare lo sguardo. Sul torace spiccavano i segni dei morbidi abbracci lasciati dalla sabbia nel suo stato precedente l'erosione. A vederli alla luce, davano un'idea perfetta del piacere che aveva provato nel ricambiarli.
«Ti porto a palazzo.» L'idiota aveva deciso da solo. «Manon è una brava infermiera, saprà cosa fare.»
«Manon è una brava ragazza, ma scambia l'acquavite con l'acqua ossigenata.»
«Sta ancora imparando.» L'espressione del mentecatto era quasi grave. «Le ci vorrà un po' per capire che l'acqua ossigenata non serve a niente.»
No. Un attimo. Palazzo? E prima non avevano parlato di una regina? Un sospetto atroce.
Indicò il fallimento architettonico sulla spiaggia. L'umano scemo annuì - Continuava a non staccare lo sguardo neppure per sbaglio. «Sì, abitiamo là.»
Una regina che doveva avere un qualche interesse nella sua presenza o assenza. Una ciurma ai suoi ordini. Il palazzo come residenza.
O in Spagna funzionava in modo strano, o quel coglione rischiava di essere del suo stesso rango - O, peggio, superiore.
Forse aveva già fallito, perché la sua sete di vendetta non si sarebbe placata neppure se lo avesse pregato per un mese intero.

Ci avevano messo un po' ad arrivare all'ingresso. Lovino non sapeva se fosse una fortuna o una sfortuna che non fosse quello a mollo nel mare, ma uno che dava sulla strada. Da una parte, avrebbe preferito stare in acqua, ché la terra sotto i piedi pungeva; dall'altro, non era sicuro né di saper nuotare né di riuscire a stare in equilibrio su qualcosa di bagnato. Tanto valeva pungersi i piedi.
Il bastardo gli aveva porto un braccio. Era così evidente che zoppicasse? Gli ci era voluta una frazione di secondo per realizzare di averglielo afferrato, prima di schiaffarlo via e accelerare il passo. La stoffa asciutta era strana. Aveva tutta un'altra consistenza. Le sue mani erano sempre bastate per bagnare qualsiasi cosa in superficie, essere asciutti e toccare qualcosa di asciutto che rimaneva asciutto faceva un effetto bizzarro.
Comunque, poteva dirsi fiero. Aveva percorso la spiaggia e parte della strada da solo. Gli sembrava di aver nuotato per chilometri, stava cercando di non ansimare e non era del tutto sicuro di non avere alcuna ferita sotto i piedi, ma era perfettamente autonomo e dignitoso.
«Ce la fai a salire le scale?»
Ovvio. Non era mica così difficile. Affatto. Doveva solo alzare di più il piede, che problema c'era. Lo fece, e tutto andò bene.
«Sei proprio sicuro di farcela?»
Lovino incenerì l'umano con un'occhiataccia. Alzò una mano, chiuse il pugno e lasciò dritto solo il dito centrale. Abbattè il pugno a terra e si rialzò. Non era scivolato. Aveva solo sottovalutato quanta forza fosse necessaria per issarsi con le gambe. E non si era fatto un male porco al ginocchio. Con tutta la tranquillità del mondo, si avvicinò ad un'asta orizzontale perpendicolare a quella costruzione del demonio. Si rivelò più efficace dei sassi e, in poco tempo, fu in cima a quella tortura.
L'albino era davanti al portone aperto - Era arrivato qualcosa come un quarto d'ora prima di loro. Insieme a lui c'erano altre tre persone: un ragazzino, un colosso e un'adorabile fanciulla con un volto simpatico. Erano tutti e tre biondi, tutti e tre con gli occhi verdi e tutti e tre elfi.
"Tutte 'ste scene per un tritone e poi si tiene in casa tre elfi?" Scartò l'ipotesi che l'imbecille non l'avesse capito: le orecchie a punta grandi il doppio di quelle umane e l'intenso odore di alberi e resina erano indizi abbastanza poco subdoli.
«Oh, poverino!» La ragazza si precipitò al suo fianco. Tra le mani aveva una tavoletta fucsia. «È proprio come ha detto Gilletje, sembra un naufrago rapinato e molto sfortunato!»
«E ferito.» le ricordò il ragazzino.
«Dobbiamo assolutamente occuparcene.» Chiunque sarebbe stato felice di essere guardato con tanto desiderio da una sì graziosa damigella. Il problema era l'evidenza che la graziosa damigella lo stesse considerando una grossa bambola con cui giocare dopo mesi di noia. «Stai tranquillo, ti curerò io!» Gli prese una mano. Era calda, e asciutta. «Sono arrivata alla quinta uscita del corso di infermiera, sai? Non hai nulla da temere!» Non avrebbe temuto solo se le uscite fossero state sei, perché se fossero state cinquantadue avrebbe avuto tutto da perdere. «E poi avrai bisogno di vestiti consoni.» Un'espressione più triste. «Speravo fossi una ragazza, ma Gilletje era troppo poco entusiasta nel parlare di te, quindi già sapevo...»
«Ehi!»
«Però posso comunque darti i miei vestiti!» Era una ragazza molto carina e premurosa, ma- «Ti aiuterò a metterteli, so che possono essere un po' difficili, ma-»
«Credo che i miei andranno benissimo.» Il ragazzino gli mise una mano sulla spalla e lo spinse ad entrare. Il gigante, in silenzio, aveva preso la donzella per le braccia e l'aveva semplicemente spostata di lato.
«Credo possa fare da solo.» Fu l'unica cosa che disse, quando la ragazza lo guardò male. Ormai erano tutti dentro l'abominio chiamato palazzo. C'era un caldo più tiepido rispetto all'esterno e, soprattutto, era fottutamente pieno di fottutissime scale.
«Magari ha bisogno di aiuto!»
«Bastiamo Lucilin ed io.»
La ragazza gonfiò le guance e assottigliò lo sguardo. Poi parve ricordarsi di qualcosa e tornò all'attacco. «Gilletje ci ha detto che non parli.» Gli porse la tavoletta. Lovino la prese. Era un rettangolo fucsia, la cornice in legno scuro. Un pennino di un qualche tipo di materiale sconosciuto era appeso ad un angolo con una cordicella. Nella parte inferiore della cornice, a sinistra, un piccolo pomello era incastrato in una striscia vuota. Provò a muoverlo. Scorreva, ma non sembrava servire a niente.
«Puoi scrivere!» La ragazza prese il pennino e glielo porse. «E poi puoi cancellare!» Indicò il pomello.
"Ma sul serio?" Fece uno scarabocchio. Effettivamente, la linea tracciata dal pennino rimaneva impressa sulla tavola fucsia, di un rosa brillante. Fece scorrere il pomello. Qualsiasi traccia rosa scomparve. Guardò la ragazza, gli occhi spalancati. Sapeva quanto gli elfi fossero saggi e conoscitori di grande magia, ma era davvero difficile credere di avere tra le mani uno strumento magico di tale valore.
«Sai scrivere?» Quella della ragazza era una semplice domanda. Non c'era nessuna punta di scherno. Lovino comprese che doveva trattarsi della persona più intelligente e gradevole di quel palazzo - Non che gli altri due elfi o lo scheletro gli avessero fatto niente, ma era senz'altro più bella da vedere. Mica come il relitto cerebrale là dietro.
Lovino annuì. Per dimostrarlo, scrisse qualcosa. Glielo mostrò. «"Grazie."»
Scrivere con un pennino su una superficie era molto più comodo che farlo con le dita sulla sabbia. Poteva scrivere le frasi per intero, persino con la punteggiatura.
La ragazza sorrise. «Prego!» Si indicò. «Io mi chiamo Manon e sono la cameriera di palazzo!» Indicò i due elfi. «Loro sono i miei fratelli. Lui» Si rivolse al gigante. «è Abel, il maggiordomo. Lui» Guardò il ragazzino. «è Lucilin, il tesoriere.» Si voltò verso i due umani. «Gilbert e Antonio li hai già incontrati. Sono il quartiermastro e il capitano,» Sì, già conosceva la triste notizia. «ma non pensarci troppo.»
«"Eh?"»
«Tu, invece, come ti chiami?» Il bastardo era apparso alle spalle di Manon e aveva posto proprio una delle poche domande a cui non avrebbe risposto - Soprattutto a lui.
Forse avrebbe dovuto pensare ad un nome falso. Tuttavia, non gli aveva detto il suo vero nome, di certo non gli avrebbe concesso preziosi secondi di meditazione per la scelta di un nome falso tirato fuori apposta per ingannarlo.
«Non hai un nome?» Manon intervenne, la voce dolce. Lovino realizzò solo in quel momento che le stessero lasciando fare la portavoce, dato che sembrava l'unica a cui si rapportava in modo normale. Ovvio che lo facesse. Chiunque l'avrebbe fatto. Però non avrebbe risposto neppure a lei. Non l'avrebbe guardata male, ma non le avrebbe risposto.
«Non vuole dircelo.» L'albino, Gilbert, parve capirlo prima degli altri - O almeno, lo esplicitò.
«È nei suoi diritti.» Il ragazzino, Lucilin, annuì, comprensivo.
«Ma non possiamo chiamarlo il Naufrago Rapinato e Molto Sfortunato, è troppo lungo!» protestò Manon: «E neppure NReMS, suona malissimo!» Nondimeno, era una definizione di merda, nonché falsa.
«Beh,» Il bastardo tornò a farsi sentire. «se non vuole dirci il suo nome, ha implicitamente accettato che gliene dessimo uno noi.»
"Ma anche no."
«Quindi,» Sembrava troppo allegro. Lovino si preparò alla cazzata. «in onore a questa città, ti chiameremo "Romano"!»
Non era un brutto nome. Però...
«"Che cazzo dici, brutto idiota, siamo a Napoli!"»
Gli elfi celarono malissimo una risata. Forse non volevano davvero celarla.
«Romano le porta grande rispetto, capitano.» Abel, il gigante, estrasse dalla tasca un bizzarro oggetto di legno simile ad una stecca con un piccolo contenitore. Se lo portò alla bocca dalla parte della stecca. Con una magia, accese un fuoco tra le dita. Gli elfi erano creature davvero misteriose e straordinarie, forse anche più dello Stregone del Mare.
«Ma non era ferito?» La voce gracchiante dell'albino glielo ricordò.
«Sì, ma non si sta mica portando in mano le budella.» Manon era tranquillissima. «Non è così grave!»
«Ti porto al bagno con la vasca.» Lucilin intervenne, a voce abbastanza bassa da farsi sentire solo da lui. Forse voleva farlo sgusciare via da quell'incrocio di attenzioni e gliene fu abbastanza grato. «Spero che per te non sia un problema, è al terzo piano.»
Lovino alzò lo sguardo. Scale. Scale. Scale. Forse sarebbe arrivato in serata, ma ce l'avrebbe fatta - Da solo.
Aveva trovato l'umano - O meglio, l'umano gli aveva risparmiato la fatica e si era fatto trovare. Sapeva dove abitava, si era subdolamente - O qualcosa del genere - intrufolato nel suo nascondiglio e avrebbe avuto libero accesso alla sua persona in qualsiasi momento. Forse. Doveva ancora lavorare su quel punto. E pensare a come rovinarlo in modo concreto.
«Gli offro la mia camera.»
Lovino si mise in ascolto. Era già al quinto gradino, non poteva deconcentrarsi troppo.
«Non ce ne sarà bisogno, capitano! Abbiamo la stanza degli ospiti!»
«Ah. Giusto.» Voce più funerea non poteva esistere. «Abbiamo una stanza degli ospiti.»
«Siamo pieni di stanze degli ospiti! Siamo in cinque in un palazzo!»
E la povera Manon doveva pulirlo da sola da cima a fondo? Sporco schiavista! L'avrebbe pagata anche per quello! Un dubbio. Lasciò un attimo la stecca parallela alle scale per scrivere una cosa a Lucilin.
«"Ma quel cretino non è un capitano? Dov'è la sua ciurma?"»
«Oh, non si preoccupi per la ciurma.» Lucilin era molto beneducato, anche senza sapere di stare parlando con un principe ereditario. «Risiedono tutti alla Locanda di Catriona la Figona, a qualche isolato da qui.»
«"Immagino sia molto frequentata."»
«Certamente. Fanno una pizza che non ha eguali.»
Cos'era una pizza. Doveva scoprirlo. E, nel tempo libero, avrebbe iniziato ad attuare il suo piano. L'idiota gli aveva già suggerito un'ottima idea.

*



Due grammi di euglenoide del Mar dei Sargassi - che era suo.
«Lorem ipsum dolor sit amet...» Un grammo e mezzo di crisofita del Mar degli Smargiassi - che era suo.
«Consectetur adipisci elit...» Le bolle sulla superficie scoppiarono. Un mazzetto di dinoflagellate delle montagne di Thule - che, essendo nell'Atlantico del Nord, era sua. Un pizzico di diatomea delle praterie di Lemuria - che, essendo nell'Oceano Indiano, era sua.
«Sed do eiusmod tempor incidunt...» Una spruzzata di feofita delle nuvole di Atlantide (che, essendo nell'Atlantico, era sua), e un pugno di foglie di arthrospira platensis (che, avendola raccolta lui, era sua).
«... ut labore et dolore magna aliqua.» Il liquido color miele ribollì, i riccioli di fumo si persero nel vento.
Dodici minuti e quindici secondi. Il tempo perfetto. Arthur tolse il bollitore dal frigorifero e lo versò nella teiera. Il tempo necessario non era indifferente, ma il tè ai frutti di mare non identificati era pur sempre il tè delle grandi occasioni. Si accomodò sullo scoglio e aspettò che la teiera annullasse la temperatura lavica del suo contenuto.
Tè ai frutti di mare non identificati, scones di farina di scoglio alla confettura di ciliegia marina e la promessa dell'ultima parte del mondo ancora non sotto il suo dominio. In più, la giornata era meravigliosa e Alfred e Alfred Due stavano giocando felici nelle tane degli squali martello, a chilometri di distanza.
Versò il tè. La tazzina non si sciolse, quindi la bevanda era ragionevolmente sorbibile. La assaggiò. Perfetta. E, soprattutto, nessuna ustione di quinto grado.
Sì, era un giorno stupendo. Un futuro radioso, una mattina rilassante come poche ne aveva avute, e-
«Arthùr!»
I tentacoli emersero dall'acqua, dieci arpioni puntati contro il gabbiano. Arthur abbassò la tazzina, piano.
«One last wish, before dying?»
«Mon cher, perfide calamar.» Francis portò le mani ai fianchi. «Cosa stai combinando.»
«Sto per uccidere un gabbiano.» Era bastata la sua sola presenza a guastare il sapore perfetto del tè.
«Chéri, è di cattivo auspicio uccidere un gabbiano.»
«No, lo è uccidere un albatro.» Posò la tazzina. «Goodbye, frog-voiced seagull.»
Francis si piazzò sullo scoglio esattamente davanti a lui. Il suo desiderio di abbandonare la vita era quasi triste. «Smettila di dire sciocchezze, chéri. La situazione è già abbastanza grav-»
Doveva ammetterlo, ormai era diventato piuttosto bravo a schivare i suoi attacchi. Riuscì a non farsi colpire neppure da un arpione. Gli concedette un piccolo applauso.
«Arthùr!»
«Sparisci, prima che ti trasformi in marmellata di pollo.»
Francis spalancò gli occhi. La faccia divenne quasi blu. «Sai, chéri, qualsiasi nome di cibo, se pronunciato da te, diviene una minaccia. Non farlo mai più, s'il te plaît
Arthur inspirò a fondo. Molto a fondo. Non aveva potuto fare quella pozione per modificare i sapori. Apprezzava la precisione e la puntualità richieste da certi incantesimi ma, a volte, finivano per ritorcersi contro di lui - E questo non lo apprezzava affatto.
«No, non mi plè
Il pennuto fece una smorfia disgustata. «E non pronunciare mai più una parola in francese.»
«Dimmi cosa vuoi e poi estinguiti.» Posò la tazzina sul frigo. «However, why should I speak French-»
«Hai fatto un patto con il principe Lovinò.»
Oh, era quello il problema. Doveva aspettarselo. Era già irritato per il ricordo della pozione sfumata, quindi quell'argomento era perfetto. «Non sapevo fossi amico del principe.»
«Non lo sono.» Ah, ecco. «Ma siamo soci in affari.»
«Non voglio sapere altro.» Non pensava che quel piccolo mostriciattolo fosse coinvolto in giri così loschi. Quante cose che si scoprivano.
«E le petit Felicianò è adorabile, mi dispiacerebbe dargli un dolore così grande come fargli sapere che suo fratello è finito tra le tue malvagie grinfie.»
«È stata una sua scelta.» Riprese la tazzina. Forse era meglio avere il tè a portata di tentacolo. Era il più buono dei suoi tè, in fondo. «Io gli ho fatto un'offerta. Lui l'ha accettata. Se vuoi dare la colpa a qualcuno, dalla a lui.» Bevve. Ma perché continuava a prestare attenzione a quel gallinaceo? Ad ogni modo, quello era davvero il migliore dei suoi tè.
«Mon cher.» Era serio. Forse avrebbe potuto concedergli uno sguardo di sufficienza in più. «Tu fai leva sulla disperazione delle persone. Difficilmente i tuoi clienti sono del tutto in grado di intendere e volere.»
«Tu seduci gente appena naufragata.»
«Non sto dicendo che sbagli.» Sventolò una mano. «Ma ti pare? Io porto gioia e conforto a chi è reduce da un naufragio, tu porti gioia e conforto a chi è triste e solo. Siamo persone di buon cuore, noi!»
Arthur soffocò una risata nel tè. Per un istante, si era ricordato perché tollerasse la presenza dello struzzo, lì. Poi si era ricordato che era Francis e la sua espressione era tornata seccata come doveva essere.
«Quello che non mi torna» proseguì il gabbiano: «è il patto di per sé. A vederlo così, direi che hai dato a Lovinò un aspetto umano in cambio della sua voce.»
«Precisamente.»
«Sarebbe come accettare di costruire un castello intero in cambio di un caffè.»
«Io chiederei del tè.»
«Qual è il vostro vero patto?» Braccia conserte, sguardo serio e fisso su di lui. Era una visione sbagliatissima.
«La vera domanda è» Abbassò la tazzina. «perché vuoi saperlo?»
Era ovvio che il patto non fosse una cosa così stupida. Soltanto lui e pochissimi altri avrebbero potuto fare una cosa potente e grandiosa come trasfigurare una creatura per un tempo così prolungato, e lui era l'unico a poterlo fare senza lasciare tracce della forma precedente. Era uno degli incantesimi di cui andava più fiero e non l'avrebbe mai venduto per una sciocchezza come una voce di tritone - Per quanto senz'altro remunerativa, ancor più in quanto di un principe ereditario. Francis lo sapeva benissimo ma, in teoria, non gliene sarebbe dovuto fregar di meno.
«Perché ho un dubbio, Arthùr.» Voce ferma. Conosceva già la risposta.
Arthur non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto. «Il gabbiano dalla voce di rana ha un dubbio. Muoio dalla voglia di scoprirlo.»
Francis sospirò. Un sospiro a metà tra l'esasperato e il preoccupato. Strana miscela di emozioni, per un gabbiano così irritante. «Lovinò ti ha promesso il Regno del Mare, vero?»
Che sarebbe presto stato suo. Era uno dei pensieri più belli che avesse avuto negli ultimi dieci anni.
«Non sono così avido.» Il tè era ormai quasi finito. «Mi ha promesso di divenire mia legale proprietà.»
«Quoi?» «I won't marry him!»
Riuscì a coprire in tempo la voce gracidante di quel pennuto. Così, giusto per specificare per la ventesima volta che non aveva intenzione di sottoporsi al peggiore dei supplizi.
Francis aveva tutte le piume arruffate, gli occhi e la bocca spalancati. «Sarebbe il colmo!» La voce era quasi soffocata. «Hai sempre rifiutato le mie proposte di matrimonio, ci mancherebbe pure che tu sposassi il primo che passa, anche se principe!»
«I won't marry you, too.» Lo specificò, per la centoventesima volta. Così, giusto per stare sicuri.
«Arthùr.» Sembrava essersi ripreso. «Questa cosa finirà-» Aveva allungato una mano. La ritrasse con un verso stizzito e si afferrò le dita scottate. «Ancora la barriera, chéri
«La barriera c'è sempre, quando ci sei tu in circolazione.» Non era vero e lo sapevano entrambi, ma era troppo comoda per non approfittarne per tenere lontane le zampacce di quel pennuto. Doveva solo ricordarsi di attivarla - E, ultimamente, se lo stava scordando troppo spesso, e Alfred e Alfred Due si scordavano di ricordarglielo.
«Dicevo.» Francis mise le dita a mollo. «Questa cosa finirà male, Arthùr.»
«E perché mai?»
«Hai già il mondo, Arthùr.» Continuava a non vedere il problema. «Accontentati di ciò che hai e non peccare di avidità. Lo sai che una simile arroganza non potrebbe mai rimanere impunita.»
«A me sembra che la ruota del destino stia srotolando il tappeto rosso per il mio ingresso trionfale nel Regno del Mare.» Accavallò due tentacoli. «Un semplice sopralluogo in un piccolo relitto ha fatto sì che la mia strada si incrociasse con quella del principe ereditario. Dopo, lui stesso è venuto a chiedermi aiuto, offrendomi di fatto il suo regno, proprio mentre stavo cercando un modo per sottrarglielo!» Posò il viso su una mano. «Se non è destino questo, non so cos'altro possa esserlo.»
Francis scosse la testa. «Tutta la iettatura che hai fatto ti tornerà indietro.»
«Oh, temo mi sia già ampiamente tornata indietro.» Lo squadrò dall'alto in basso. «E poi, non vedo come questo patto possa volgere a mio sfavore.» Sorrise. «Re Romolo non è eterno. E il principe Lovino non abdicherà mai in favore di suo fratello. Il suo regno lo detesta e, a giudicare dal fatto che è venuto da me per vendicarsi di un torto stupido da parte di un umano idiota, il principe è una delle persone più rancorose che i Sette Mari abbiano mai conosciuto. Oserei pensare che trascinare il Regno del Mare sotto il mio dominio sia per lui qualcosa di equiparabile alla vendetta verso il suo stesso popolo.»
Francis fece per dire qualcosa. Tacque. Richiuse la bocca e distolse lo sguardo. Sembrava irritato.
Arthur non riuscì a trattenere un risata leggera. «Questo è un patto che, qualsiasi risultato avrà, fra trenta giorni farà felici sia me che il principe. I Sette Mari non hanno bisogno di essere quattordici.» Mosse la mano libera, a scacciare il suo ospite sgradito. «Torna a spiare gli umani, feathered frog. Lascia il tuo socio ai suoi affari.»
Il tè era finito. Era davvero buono. Aveva fatto bene a prepararlo per quel giorno.

*



Se si escludevano le scale, gli ematomi da schianto, le scale, gli spagnoli, le scale e gli spagnoli sulle scale, ogni minuto in quella tragedia architettonica trascorreva con grande senso di meraviglia.
C'erano le bolle anche in superficie ma, al contrario del mare, volavano verso il basso invece che risalire. Sgorgavano da una schiuma bianca, profumata e non fonte di organismi in decomposizione. Era stato un po' strano ritrovarsi a mollo da umano, meno di ventiquattr'ore dopo aver lasciato il mare, ma non era stato brutto. Faceva più impressione l'idea di asciugarsi e di non rinsecchirsi.
Dopo il bagno, Lucilin l'aveva portato in una stanza, e nella stanza c'era Manon, armata di kit del pronto soccorso. Nessuna poltiglia o sassi curativi, ma una serie di striscioline marroncine che rimanevano attaccate alla pelle. Erano lunghe poco meno di un dito e, nella parte centrale, avevano un quadrato più morbido - La parte da mettere a contatto con la ferita. Dovevano essere strumenti elfici di grande potere.
«Tra poco serviremo il pranzo.» annunciò Manon: «Per qualsiasi problema orientatorio, consulta la mappa!» Con questa criptica stringa oracolare, se ne andò.
"Quale mappa?" Lovino guardò d'innanzi a sé e si ritrovò a ricambiare il suo stesso sguardo.
Davanti a lui stava uno specchio - O meglio, una cassettiera con uno specchio grande il doppio della stessa. Sulla cassettiera, bello in vista, stava un foglio di carta, con sopra disegnata la piantina del castello. Lovino la prese e si rese conto di come l'interno fosse ben peggiore di quanto si potesse sospettare dall'esterno. Il fatto che ci fosse un'intera sezione cancellata con la scritta "abbattuta da una cannonata" e un piano con una X e la scritta "errore di stampa" non la rendeva certo migliore.
Con un sospiro, Lovino piegò il disastro e se lo mise in tasca. Aveva una giacca lunga, ora, e persino delle tasche. Manon aveva armeggiato con la tavola magica, attaccandoci una cordicella e consentendogli di portarla a tracolla piuttosto che in mano. Poteva dirsi ben attrezzato ad affrontare il castello umano, ma la prudenza non era mai troppa.
Aprì il primo cassetto. Una spazzola apparve davanti ai suoi occhi. La prese e la alzò, per studiarla. Probabilmente aveva ragione Francis, serviva per pettinarsi i capelli. Tuttavia, l'idea di Feliciano non sembrava poi così fuori dal mondo. La battè piano sulla superficie di legno della cassettiera. Il suono che risuonò era abbastanza duro. Poteva funzionare. Infilò la spazzola nella cintura, a temporanea sostituzione del pugnale, e cercò altro.
Una massa di capelli. Una massa di capelli attaccata ad una retina. Gli umani dovevano avere un problema con i capelli - Arrivavano persino a cambiarseli? Scartò subito l'ipotesi che gli umani fossero calvi di natura e utilizzassero quelle masse di capelli per coprire la testa - In caso contrario, i ricci del bastardo gli sarebbero costantemente rimasti in mano.
Accanto, due folti ciuffi di pelo scuro. Sul retro, sembravano quasi le striscioline marroncine che aveva sul busto. Li alzò all'altezza degli occhi. Gli ci volle qualche secondo per riconoscerli come baffi. Sì, gli umani avevano un problema con il loro crine.
Seguirono bottigliette profumate, rettangoli di polveri colorate, pennelli minuscoli e pastelli neri grandi un pollice. Quella era una stanza pensata per un'ospite donna - Oppure, più probabile, era una stanza degli ospiti in cui Manon aveva messo oggetti di sua proprietà.
Un brivido. Che Manon volesse usare quegli strumenti su di lui? Non sembrava un'ipotesi troppo azzardata.
Comunque, la spazzola era requisita fino a nuova decisione.

Non sapeva quanto ci avesse messo ad arrivare alla sala da pranzo e non gli importava. Se non altro, era una bella stanza: le pareti erano di vetro e davano una splendida vista sul mare. Era strano vedere il mare da così in alto. Era stato così preso dalle scale da non aver prestato attenzione a ciò che vedeva oltre i vetri. Cosa che non avrebbe potuto fare per bene neppure in quel momento, dato che tutti e cinque gli abitanti del castello stavano aspettando lui.
Il bastardo sedeva a capotavola. Alla sua destra, lo scheletro. Settantadue chilometri più in basso, il trio di elfi. Lui era l'unico coglione a sedere sul lato sinistro. Si accasciò sulla sedia, ma cercò di non far trapelare troppo la sua stanchezza. Era certo di aver salito e sceso almeno cinque centinaia di scale, nell'arco di quella mattinata.
«Speriamo che il pranzo sia di tuo gradimento!»
Lovino trasalì. Non si era accorto che Manon era apparsa al suo fianco, né che avesse servito tutti. Fece appena in tempo a vedere il suo grande sorriso luminoso, prima che lei trotterellasse al suo posto. Portò lo sguardo al pasto. O meglio, a tutto ciò che c'era davanti a lui sul tavolo.
I piatti erano tre. Uno era un piatto piatto, uno era un piatto meno piatto e uno era curvo, tutti impilati. A destra, due pugnali sottili e una piccola cazzuola concava - Era una delle diavolerie trovate da Feliciano, almeno quella sapeva cos'era! A sinistra, tre piccoli tridenti e un rotolino di stoffa. Al di sopra dei piatti, tre calici, un tridente minuscolo, una cazzuola concava ancora più minuscola e un piattino su cui era stato posto del pane.
Una cosa era certa: gli umani amavano complicarsi la vita.
«Stavolta hai cucinato te, Manon?» La voce gracchiante dell'albino lo riportò alla realtà.
Per tutta risposta, la ragazza ridacchiò. «Certo che no! Abbiamo ordinato da Gennaro!»
Lovino non aveva idea di chi fosse Gennaro, ma sperava sapesse cucinare bene. Guardò il contenuto del piatto d'innanzi a sé. Attinie giallognole immerse in una crema semiliquida rossa. Una ciotolina che non aveva notato prima conteneva della polverina bianca e una cazzuolina concava. Alcuni dei suoi commensali ricoprivano le attinie di abbondanti spolverate, alcuni davano una passata leggera, altri le lasciavano sguazzare nella poltiglia rossa. Dato che non aveva idea di cosa fosse niente di tutto quello - Anche se aveva l'impressione di aver già visto qualcosa di simile -, tanto valeva provare per gradi. Soprattutto perché non aveva fatto colazione, né cena, né... merenda? Quant'era che non mangiava? Aveva preso troppo alla lettera il detto secondo cui la vendetta andasse mangiata fredda. O qualcosa del genere.
Afferrò una manciata di attinie. Erano calde, ma in modo piacevole. Le assaggiò. Non erano attinie, e non erano neppure pesce. Ricordò. Quella era la roba umana di cui Feliciano andava tanto ghiotto - Pasta, spaghetti, quella roba là. Doveva dargli ragione. Era dannatamente buona. E dannatamente scomoda da mangiare. La poltiglia rossa sgocciolava ovunque - Tavolo, gambe, vestiti, faccia, braccia -, lui si sporcava con una facilità ridicola e, se non trattenuto, il cibo riprecipitava nel piatto ad una velocità assurda. Come facevano gli umani a vivere in quel modo?
«Aah, Romano mangia come mangiavi te.»
Lovino alzò lo sguardo. L'albino lo guardava con occhi sbarrati, il viso marmoreo. Il bastardo sembrava starsi divertendo come non mai. Manon soffocava una risata, Lucilin fingeva (male) di non starlo guardando e Abel lo stava apertamente osservando.
«Forse viene dalle tue parti.» Il cretino stava parlando con Gilbert.
Quest'ultimo annuì appena. «Sì.» Sembrava pensieroso. «Forse.»
"Ma direi proprio di no." Un altro pensiero, ben più urgente. Nonostante, a quanto sembrasse, anche Gilbert soleva mangiare in quel modo, quel modo non era il modo in cui gli altri solevano mangiare. Si passò il braccio coperto di stoffa sulla bocca e sul mento, per darsi una parvenza di ripulita.
«Un po' alla volta, Romano.» Il tono dell'imbecille era disgustosamente accondiscendente. «Metti la forchetta» Prese un piccolo mucchietto di attinie con il tridentino. «giri» Per magia, i filamenti gialli si arrotolarono attorno ai denti della forchetta. «e tiri su.» Quando il tridentino fu alzato, le attinie rimasero arrotolate e non precipitò la minima goccia di poltiglia rossa. Poltiglia rossa che, a dispetto di tutto, era buona, era un crimine sprecarla e che quindi si stava premurando di leccare via dalla mano e dalle dita.
Era ovvio che il bastardo usasse la magia - magia elfica su concessione dei suoi dipendenti, probabilmente - per mangiare le attinie. Voleva umiliarlo, mostrargli come fosse facile e poi ridere della sua incapacità, in quanto all'oscuro delle tecniche segrete utilizzate. Quindi, schiaffò di nuovo una mano nel piatto e riprese a mangiare come prima.
«Oppure puoi continuare a mangiare così.» Il cretino alzò le spalle. Lovino si tirò su una manica e recuperò con la lingua la paccottiglia rossa che gli era finita sul braccio, sotto la stoffa. Per tutta risposta, incenerì l'idiota con un'occhiataccia. Non sembrò dovutamente spaventato.
Provò anche la polverina bianca. Le attinie erano buone sia con che senza. Erano gusti diversi, ma entrambi buoni. Era assurdo che gli umani potessero produrre cibi così variegati - Insomma, erano stupidi, come potevano?
Dopo le attinie, fu il turno di qualcosa di più normale. Pesce. Salmone. Rettangoli di carne di salmone, con mezzelune gialle e fili di alghe più pastose. Era tutto molto più facile da mangiare - Mangiare e non sbranare, mica era un tritone selvaggio che addentava le prede un attimo dopo la loro morte. Andavano un po' lavorate, prima!
Al salmone con mezzelune e alghe seguì una cosa rotonda gialla. La cosa rotonda gialla fu tagliata in spicchi e ciascuno ne prese uno. Era dolce e sapeva di limone. Lo spicchio era molto buono. Il pesce era stato molto buono. La pasta era stata fottutamente buona. Il cibo era molto buono. Gennaro era senz'altro un uomo molto buono. Gli umani, quando si trattava di cibo, erano molto buoni.
«Puoi prenderne un'altra fetta!» Non poteva dire di no al sorriso incoraggiante di Manon. Anche Manon era molto buona. C'era molta bontà.
Aveva sofferto molto - Il suo stomaco aveva sofferto a causa delle pozioni, il suo corpo aveva sofferto per gli scogli e le scale, la sua mente aveva sofferto per il calamaro, il gabbiano e il coglione, ora stava ricevendo un dovuto compenso. Magari la vendetta l'avrebbe mangiata fredda, per ora si beava del cibo caldo e del mare oltre le vetrate.

*



Quando Ludwig tornò con lo sguardo cupo, Feliciano capì che le ricerche erano state vane. Strinse il binocolo al petto. Non sapeva più cosa fare, dove cercare.
La sera precedente, Lovino non aveva accolto lui con sguardo di disapprovazione e Ludwig con un augurio di morte prematura e dolorosa. Il nonno non l'aveva visto rientrare. Il letto e l'armatura di ricambio di Ludwig non contenevano trappole. La camera di suo fratello era vuota. Lovino era scomparso e gli ultimi ad averlo visto erano stati lui e Ludwig.
Il nonno lo aveva fatto cercare per tutta la notte. Feliciano era salito in superficie, ma il mondo era una gigantesca macchia d'inchiostro di seppia e faticava a vedere persino la boa a cui era abbracciato. Al mattino, era andato alla Graffa Grotta Gratis, si era azzardato ad entrarci, ma l'aveva trovata vuota. Se Lovino si fosse trovato davvero in superficie, poi, sarebbe stato impossibile trovarlo, con i loro mezzi - La terra emersa, seppur più piccola dei mari, era di un'estensione non indifferente e tutti loro sarebbero diventati bidimensionali e liofilizzati nel giro di una giornata, quindi cercarlo lassù era fuori questione.
«Avremo sue notizie» esordì Ludwig: «nel caso si tratti di rapimento. Ci verrà chiesto un riscatto.»
Feliciano alzò lo sguardo. Era sicuro di avere un'aria disperata, perché Ludwig assunse quell'espressione di tristezza tipica di quando incontrava il suo sguardo disperato. «Ludwig...» Posò una mano sul pettorale della corazza. «Ma chi si vorrebbe così male da rapire Lovino? Se ci dovessero contattare dei rapitori, sarà per chiederci di venirli a salvare.»
Ludwig annuì, piano. «Sarebbe comunque una buona cosa.»
«Sì, almeno sapremmo dov'è!» Si sarebbe volentieri gettato tra le sue braccia, ma l'ultima volta si era schiantato e gli era uscito un bernoccolo sulla fronte - E quella volta Ludwig neppure aveva l'armatura. «Ho un brutto presentimento. So che non è morto,» si affrettò a dire: «ma ho paura che si sia cacciato in qualche grosso guaio.»
«Il principe Lovino sa come cavarsela in caso di attacco squalo, attacco orca, attacco kraken, attacco delfino, attacco stelle marine e attacco rete da pesca.» Ludwig gli accarezzò la testa, un modo un po' rude di rincuorarlo, ma apprezzava il pensiero. «Dubito sia caduto vittima di qualcuno di questi. Avremmo trovato il suo cadavere, o qualche pezzo.» Feliciano guardò Ludwig. Ludwig guardò Feliciano. Diede un colpo di tosse. «Intendevo, non abbiamo modo di credere sia ferito. O morto.»
«Né avreste modo di crederlo morto solo per un arto staccato.» Gli prese la mano ancora sulla sua testa. «Credo sia in superficie.»
«Feliciano...»
«Possiamo chiedere al fratellone Francis.» Serrò le labbra. «Anche se non mi ha risposto, stamattina. Forse era troppo lontano.»
«O è migrato.»
«Se non riuscissimo a trovare il fratellone Francis» Non voleva arrivare a tanto, ma era per suo fratello. «rapiremo un umano, ruberemo degli spaghetti e minacceremo di fargli mangiare spaghetti tagliati, scotti e senza condimento se non ci darà informazioni soddisfacenti su Lovino!»
Gli occhi azzurri di Ludwig erano due sfere colme di terrore. «Feliciano... Arriveresti persino a-»
Feliciano annuì. «Non risolveremo niente rimanendo quaggiù.» Alzò lo sguardo. «Sono un po' sicuro che Lovino sia in superficie.»
«Un po'...?»
«Ve~ Mica sono del tutto sicuro.»

«Fratellone Franciiiiiiis!» Feliciano chiamò di nuovo. Nulla. Erano ormai dieci minuti che invocava l'apparizione del gabbiano ma, per la prima volta, le sue chiamate sembravano non sortire alcun effetto.
«Se Francis sa dov'è il principe,» azzardò Ludwig: «potrebbe starlo seguendo. Per questo non ti sta rispondendo.»
Feliciano annuì. Voleva crederci. Di certo, era molto sospetto che fossero scomparsi sia Lovino che Francis, quindi voleva pensare l'ipotesi più positiva.
«Chissà se Lovino mi sente.» Sospirò. Guardò gli scogli. «Se mi mettessi a cantare, mi risponderebbe?»
Una mano sulla spalla. Lo sguardo deciso di Ludwig negli occhi. «Con tutta la bontà, Feliciano, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno adesso è portare delle navi verso gli scogli.»
«Sì, ma» In realtà, al momento non gli importava nulla di navi e scogli. «lo sai che il canto delle sirene arriva a tantissimi chilometri di distanza! Non so quanti, ma so che sono tantissimi! E, se cantassi, lui potrebbe sentirmi anche se è lontano e-»
«No, Feliciano.» Era una di quelle affermazioni a cui non si poteva ribattere. Non che Feliciano non avrebbe potuto imporgli il silenzio, ma poi Ludwig si arrabbiava, diventava tutto rosso, iniziava a fumare e sfiorava l'esplosione, e lui non avrebbe mai voluto che Ludwig esplodesse.
«Felicianò!»
Feliciano si voltò di scatto. Con un ritardo di dieci minuti e mezza mattinata, Francis era apparso, e si era appollaiato sopra gli scogli. Ad aggiungere stranezze su stranezze, la sua voce era funerea e il suo sguardo abbattuto. Decisamente, sapeva qualcosa.
«Lovino è scomparso!» Feliciano artigliò gli scogli e fece appena leva per sollevarsi. «Tu sai qualcosa, vero? Cosa-»
«Je sais tout.» Un sospiro. «Je sais tout.»
Feliciano si calò di nuovo in acqua. Si mise in ascolto, Ludwig al suo fianco.
Bastarono due minuti per raggelargli il sangue.
«Lo Stregone del Mare...» Stritolò il binocolo. Le nocche sbiancarono. «Per vendicarsi...»
«Ha messo in palio il regno.» Anche Ludwig era sbiancato, ma sulla faccia. «La situazione è più grave di quanto pensassi.»
«Esattamente.» Francis annuì. Sembrava stanco. «La cosa peggiore è che il contratto è valido e legale. Non possiamo fare niente. Deve cavarsela da solo.»
Feliciano si voltò verso il castello degli umani. Francis aveva detto che Lovino era lì, con degli umani - Con quell'umano.
«Io» Un sussurro. «volevo che trovasse il modo di reagire. Ma non era questo che volevo.»
La mano di Ludwig sulla testa, la sua colossale presenza accanto a sé.
«Non è colpa tua.»
«Certo che non è colpa mia.» Scosse la testa. Sentiva la voce spezzarsi ad ogni sillaba. «Però, forse, avrei dovuto cantargli una canzone diversa.»
«Non credo c'entri niente-»
«Tipo, com'era? I due indiani stanno al sole per un po', un si fuse come cera e uno solo ne restò.»
«È probabile avesse già preso la decisione di vendicarsi in modo pittoresco.» Ludwig lo stava ignorando di proposito. Non gli piaceva, quando non ascoltava le sue idee.
«Ma... Diventare umano?» Lo guardò. «Lui disprezza gli umani!»
«Evidentemente, l'odio per quell'umano è più forte del suo disprezzo per gli umani.»
Feliciano abbassò lo sguardo. Era assurdo. Quella situazione era assurda. Ed era tutta colpa di un unico essere umano.
Si voltò verso Francis. «Voglio parlare con lui!»
«Ehm...» Il gabbiano alzò un dito. «Ti ho detto che ora è muto, no?»
«Troveremo il modo di comunicare.» Brandì il binocolo. «Cercherò di attirare la sua attenzione e farlo scendere sulla spiaggia, ma non sono sicuro di riuscire a trovarlo, là dentro.»
Tra l'altro, il sole si rifletteva sui vetri, e dai vetri accoltellava gli occhi dei poveri stolti che osavano guardare in quella direzione a quell'ora del giorno.
«Mi serve il tuo aiuto, fratellone.» Lo supplicò con tutta la forza del suo sguardo adorabile. «Non sono affatto sicuro di riuscire ad attirarlo sulla spiaggia. Ti prego, individualo e digli che voglio parlare con lui!»
Francis trasse un lungo sospiro. Brutto segno. «Io sarei felicissimo di aiutarti, Felicianò.»
Ma?
«Ma Lovinò, ora, è sempre attaccato agli umani. Soprattutto ad Antoine.»
«Antoine?» Feliciano sbattè le palpebre. «È l'umano di cui Lovino vuole vendicarsi?»
«Più precisamente si chiama Antoniò, mais oui, c'est lui
Aveva un'informazione in più. Abbastanza inutile ma, per nessun motivo, sentì di aver fatto dei progressi.
«Quindi non puoi avvicinarti troppo.» Era un brutto colpo, ma Feliciano lo incassò. «E sarà difficile anche per me riuscire a parlargli.»
«Per me, per te e anche per lui.» Francis fece un cenno a Ludwig. «Senza contare che Lovinò sembra star tenendo segreta la sua identità. Non so se sia parte del suo piano folle o se faccia parte del patto con quel folle.» Qualsiasi motivo avesse avuto Francis, quel che era certo era che fosse preoccupato quasi quanto lui. «Se qualcuno lo vedesse parlare con un tritone o un granchio non ci metterebbe molto a risalire alla sua identità.» Parve pensare a qualcosa. «Sempre che non ci siano già risaliti.» Un'aggiunta sottovoce, più un borbottio che una frase rivolta a qualcuno in particolare.
Feliciano tornò di nuovo a rivolgersi verso il castello, evitando con cura di guardare le finestre.
«Feliciano.»
Il principe secondogenito scosse la testa.
«Feliciano, dobbiamo dirlo al re.»
Feliciano scosse di nuovo la testa. «Il nonno non può farci niente.» Non guardò Ludwig. «E si preoccuperebbe soltanto.»
«È una cosa che riguarda il regno intero. Non posso tacere.»
«Ti ordino di tacere.»
Stavolta fu il turno di Ludwig di sospirare. Se avesse iniziato anche lui, si sarebbero potuti riunire sotto un certo ponte di Venezia. In ogni caso, il capo delle guardie non sembrava affatto sorpreso, né arrabbiato.
«Abbiamo un mese.»
Feliciano annuì. «Voglio aiutare Lovino.» Finalmente, tornò a guardarlo negli occhi. «Se le cose non dovessero sistemarsi entro la fine del mese, ti prometto che ti ordinerò di non tacere più. Fino ad allora, obbediscimi.»
Ludwig chinò la testa. Feliciano sforzò un sorriso.
Non aveva modo di contattare Lovino, c'era il rischio di incappare in qualche clausola assurda che lo avrebbe messo in pericolo e il regno di suo nonno rischiava di essere inglobato dall'impero del re dei Sette Mari.
La cosa che più lo spaventava, però, era il rendersi davvero conto di cosa stesse succedendo. Lovino aveva preferito fare un patto con uno stregone e diventare qualcosa che disprezzava piuttosto che parlare con lui o con il nonno, ed era andato in un luogo che schifava senza avvisare nessuno, in cambio della libertà.
Era odio quello che provava per la loro casa?

*



Il pomeriggio trascorse nell'esplorazione della città degli umani. O almeno, questo era il piano di Lovino. La realtà era che Lovino aveva voluto sdraiarsi sul letto due minuti e, quando aveva riaperto gli occhi, erano le otto di sera e il fattorino di Gennaro aveva appena consegnato la cena.
Se non altro, lo sminchiamento del suo bioritmo tornò utile al suo piano di vendetta. Dopo la cena, s'impegnò nello studio della mappa del castello. Non era facilissima da leggere, dato che alcune didascalie avevano delle frecce che finivano affanculo, a segnare un trasferimento di stanza. Su quella cartina era segnato di tutto. In particolare, spiccavano quattro stanze, tra cui quella in cui risiedeva, segnate come "camere di Manon", con abbondanza di cuoricini - Indizio che portava a pensare che l'autrice di tutto fosse la cameriera. Degne di nota erano anche le didascalie "serra di Abel" e "Lucilin non vuole che si entri qui" - Non aveva idea di cosa coltivassero in quel castello, né perché il tesoriere non volesse gente in una determinata stanza, ma non aveva troppa smania di scoprirlo. I suoi occhi, piuttosto, furono presto calamitati da una stanza in particolare.
Uscì dalla sua camera verso le undici. Quando arrivò a destinazione, sentì in lontananza i rintocchi della mezzanotte. Che modo curioso di indicare l'ora all'intera città, persino di notte, ogni fottutissimo quarto d'ora. Almeno era utile.
Le gambe tremavano un po', ma i dolori erano passati quasi del tutto. L'odio per le scale no. Quello non sarebbe mai passato. Aprì la porta della camera del bastardo. Non fosse stato per la luce della luna e per le due finestre giganti, sarebbe stata al buio. Il bastardo dormiva, e dormiva supino. Lovino si lasciò sfuggire un ghigno e mise mano alla tasca. Tirò fuori il primo strumento della vendetta. Si avvicinò allo specchio in punta di piedi e si prese tutto il tempo del mondo per passare la punta densa del pastello nero sulla superficie riflettente.
Concluso il disegno - Non per peccare di superbia, ma era bellissimo -, Lovino si rivolse all'imbecille. Aveva un letto enorme e dormiva al centro. Avrebbe preferito rimanere con i piedi al pavimento - Strano a pensarlo, in effetti - ma doveva adeguarsi. Si inginocchiò sul letto e avanzò carponi, fino a trovarsi alla dovuta vicinanza. Estrasse il secondo strumento di vendetta. Lo mise dritto. Ora era il momento di fare piano. Con calma, delicatezza. Si chinò sulla vittima, avvicinò l'arma e-
Click.
Lovino sgranò gli occhi. Deglutì, ché di colpo si era ritrovato un groppo in gola. No, meglio non parlare di colpi. Il foro della pistola era premuto contro la sua tempia.
«Romano?» Antonio sbattè le palpebre. Sembrava incredulo. Abbassò la pistola e Lovino trattenne un sospiro di sollievo - Non si era spaventato, era solo stato colto di sorpresa!
«Che ci fai qui?» Sì, il cretino era confuso. Oppure era tranquillissimo, difficile dirlo. «Hai idea di quanto hai rischiato? Perché non hai chiamato-»
Con un attacco da vero guerriero agile e scaltro, Lovino bloccò quella cascata di domande stupide portando a termine la sua tortura. Antonio si toccò la faccia. I baffoni scuri erano saldamente attaccati al suo brutto muso e niente - Niente! - avrebbe potuto salvarlo, ora!
Gli stavano così male, erano così brutti, che Lovino scoppiò in una risata silenziosa.
"Questa devo farla anche al crostaceo!" Con una certa prepotenza, l'immagine di Ludwig, biondissimo, bianchissimo e serissimo, con dei mustacchioni giganti scuri in mezzo alla faccia si schiaffò nella sua mente. Lovino si lasciò andare all'indietro e ricadde tra le coperte. Mai gli era tanto dispiaciuto non poter fare una bella risata sguaiata - Possibilmente molto malvagia. Chi l'avrebbe mai detto che sarebbe bastato un paio di baffoni brutti per rovinare per sempre la reputazione di qualcuno? Magari il nonno avrebbe licenziato Ludwig per oltraggio alla decenza, e Feliciano non l'avrebbe più voluto, l'avrebbe (finalmente) trovato brutto e-
«Oh, i baffi per i travestimenti.»
Lovino riprese fiato. Gettò uno sguardo all'idiota. Sgranò gli occhi. Tornò seduto di scatto. Se li era tolti. Se li era tolti. Come aveva osato.
«Sono nella tua stanza, quindi?» Un sorriso enorme ed ebete. «Suppongo ci siano anche le parrucche. È un po' che li cercavamo, in certi casi sono molto utili!»
No. Non era tutto perduto. Aveva disegnato i baffoni anche sullo specchio quindi, quando il bastardo ci si fosse riflesso, li avrebbe visti sulla sua orrida faccia anche se non erano fisicamente presenti! Sarebbe andato nel panico, perché lo specchio avrebbe riflesso qualcosa di diverso da ciò che lui vedeva - E avrebbe avuto paura, avrebbe pensato di essere perseguitato da qualche entità misteriosa - E sì, lo era, era perseguitato da un tritone che voleva la sua vendetta, tremenda, sanguinaria, spietata vendetta!
«Sei venuto nella mia camera per mettermi i baffi mentre dormivo?» Una risata. «Che hai qualcosa contro di me l'ho capito, ma questo è un modo alquanto strano di vendicarsi.»
Lovino lo polverizzò con lo sguardo. Almeno, avrebbe voluto. L'intenzione c'era tutta. Come già quella mattina e quel pomeriggio, l'umano tutto sembrava fuorché spaventato. Doveva deficitare - tra le tante cose - anche di istinto di autoconservazione. Una persona normale l'avrebbe supplicato di lasciarlo in pace, di avere pietà di lui, avrebbe evitato con timore il suo sguardo, avrebbe cambiato strada non appena l'avesse scorso in lontananza - Il deficiente, invece, sosteneva il suo sguardo, lo fissava più del necessario, gli si avvicinava con troppa confidenza e-
No, quello era qualcosa che andava oltre la confidenza. Quello tra i loro visi era uno spazio di una manciata di centimetri, ma riuscì a schiaffare una mano sul grugno del maiale e a girargli la faccia. Purtroppo non gli spezzò il collo, quindi il subumano sopravvisse - In effetti, cosa sarebbe successo, in caso di morte del demente? Non era un'ipotesi a cui aveva pensato. Giunse alla conclusione che sarebbe bastato revocare il patto.
L'umano riuscì a liberarsi dalla sua presa. Se non altro, si rimise al suo posto. Rideva. In fondo, gli faceva pena. Di certo aveva molti problemi, soprattutto mentali. Con un ultimo sguardo schifato, Lovino scese dal letto. Aveva lasciato la tavola magica in camera, quindi c'era un solo modo per comunicargli la sua dichiarazione di guerra. Estrasse la matita nera, tornò allo specchio e, sotto gli orrendi ma ben disegnati baffoni neri, scrisse: "Questo è solo l'inizio.".
Senza degnare il cretino della minima attenzione, uscì dalla camera e si premurò di sbattere la porta. La sua vendetta era iniziata. Certo, l'idiota non se n'era reso conto ma, pian piano, la crudeltà delle torture avrebbe avvelenato la sua mente, fino a distruggerlo.
Si accorse di aver scordato i baffoni in camera. O meglio, in mano al bastardo.
Così come aveva lasciato la cartina sulla cassettiera, e non ricordava quali rampe di scale avesse fatto esattamente per ritrovarsi lì. Il castello, a quell'ora, era buio - Molto buio. E lui, senza voce, non avrebbe potuto chiedere niente a nessuno - Non che l'avrebbe fatto, ma la possibilità di poterlo fare, in qualche modo, era rassicurante. Lovino si guardò intorno. Dove cazzo era.
"... E ora come minchia torno in camera mia?".

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene da Love is War (Koi wa Sensou), canzone composta da Ryo e cantata da Miku Hatsune.
(Famosa, iconica, ma forse migliore in cover. Ad ogni modo, è praticamente la canzone portante di questa storia-)
L'altro titolo veniva da Baciala (Kiss the girl), ma qualcosa è andato storto.
* «I due indiani stanno al sole per un po', un si fuse come cera e uno solo ne restò.»: Una delle ultime strofe della filastrocca Dieci piccoli indiani.


Che crudeltà! Che spietatezza! La furia del principe Lovino è inarrestabile! (O qualcosa del genere.) Date le due canzoni che danno il titolo a questo capitolo, infatti, si può ben capire come Lovino sia mosso da genuina furia umanicida e rancoroso desiderio di vendetta, e che Antonio sia assolutamente terrorizzato dalla sua presenza. Tipo. Sempre che non faccia e soprattutto dica cose bizzarre.

(BTW, ma quant'è comodo che il nome da nazione di Sud Italia sia anche un nome effettivo? Così, se si scrive di Lovino che assume un altro nome, c'è già "Romano" bello pronto!) (... O viceversa, certo-)

Da questo capitolo entra in scena un elemento importantissimo: la tavola magica, alias la lavagna magica, che è importantissima perché è quella che avevo io da piccola. Non che ci scrivessi nulla di profondo o ci disegnassi Cappelle Sistine, è che trovavo affascinante tutto il suo funzionamento, e mi è tornata in mente mentre scrivevo, quindi eccola qui come Elemento Indispensabile! ☆

Con il prossimo capitolo si sarà ufficialmente a metà storia~ Tuttavia, dato che me ne vado in vacanza, ci si risente tra un paio di settimane. (Sarebbe stato più carino fare una pausa a metà precisa, ma così ha voluto il calendario-)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e auguro a tutti buone vacanze! (Fatele. Prendetevi il vostro tempo. È importante.) Ciao ciao!
  
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