Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: eclissidiluna    31/07/2022    0 recensioni
SPOILER SU TUTTA LA SERIE COMPLETA! FINALE ALTERNATIVO
Spiego le vele controvento, seguendo rotte diverse che si delineano all’orizzonte. Come sempre non so dove approderò. Ma so che ho bisogno di andare per mare.
Buona lettura!
Lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Un cacciatore è “vecchio” anche se, nel mondo “normale”, è poco più che maggiorenne. Quando si è riunito a Sam si percepiva già un “sopravvissuto”.
Ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita, facendo “tira e molla” con l’aldilà, a chiedersi “Perché sono ancora vivo?!”. Ma la domanda “vera” avrebbe dovuto essere: “Per chi sono ancora vivo?”. Non è mai stato un “fan” di se stesso però… è sempre stato il primo “sostenitore” di Sammy. Ma ora Sam può “sostenere” quel posto vuoto…sull’Impala. E’ pronto.
E’ un buon momento per “distrarsi”. Ora che l’Universo è in mano a Jack può concederselo. Il Paradiso arriva nei modi più impensati. Un punteruolo che trafigge donandoti un Cielo che invade, trasformandoti in nuvola. informe, leggera, soffice.
Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.
O forse no.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sam esce dalla doccia con un asciugamano attorno alla vita e un altro ad avvolgere i capelli, a mo’ di turbante. Vedendo Marin, appena fuori dalla porta del bagno, arrossisce, imbarazzato.
“Ehi! Non sei niente male in versione induista!” ironizza lei, per nulla a disagio.
“Ehm…Marin…non è il caso che tu mi segua come un’ombra…”
Lei, per tutta risposta, comincia a prendersi gioco di lui, mettendosi una mano sugli occhi e alterando la voce “Oh mio Dio! Mostrarti così…sapendo che hai ospiti! Con quale disinvoltura, con quale sfacciataggine osi presentarti in codesto modo?! Ti credevo un gentiluomo e invece…che delusione!” e Marin enfatizza, tirando su con il naso come se fosse letteralmente sconvolta dalla “disinvoltura” di Sam.
Sam la lascia fare e, “liberando” i capelli dal rettangolo di spugna, la “smaschera” con un mezzo sorriso.
 “Hai finito?”
Marin, ridendo, annuisce sorniona “Però ammettilo, l’interpretazione della “pudica donzella” non era male, vero?!” poi, mantenendo un’espressione giocosa, aggiunge “Sam…sono un’infermiera…credi davvero che mi imbarazzi vedere un uomo semi-nudo?! E poi non metterti strane idee in testa! Sono rimasta fuori dal bagno solo per intervenire, in caso di necessità. Hai dimenticato che, poco prima dell’alba, hai perso i sensi?!”
“No…certo che no…ma ora sto bene…e non sto mentendo, Marin…” ribadisce Sam.
“Lo so, lo vedo…cammini senza barcollare e hai un colorito un po’ meno “fumo di Londra”…direi che le sette ore di sonno filate ti hanno giovato!”
“Sì…e, a dirla tutta, non mi sembra vero di essere riuscito a dormire più di due ore… ” conferma Sam, tamponandosi la capigliatura. Niente vertigini. Nessuno “spettacolo pirotecnico”. Non più. Nemmeno a testa in giù…una sensazione di benessere lo invade e “stare bene” è qualcosa che credeva impensabile.

Impossibile.
Dopo quel dannato fienile.

“Dal punto di vista fisico, c’è un netto miglioramento, Sam. Continueremo con la terapia ma più per precauzione che per reale necessità.”
“Lo so che non vuoi che ti ringrazi ma…è merito tuo, Marin…” afferma Sam, guardandola dritto negli occhi zaffiro.
Marin è certa di non aver fatto nulla di speciale. Ha semplicemente deciso di “esserci”, come Sam fece con lei.  “Se proprio vuoi dimostrarmi la tua gratitudine…vista l’ora, che ne diresti di un caffè veloce e poi mi porti a pranzo fuori?!” suggerisce lei, ammiccante.
“Dammi un minuto e arrivo!” accetta entusiasta, Sam.

Sam entra nella sua stanza, indossa un paio di jeans e una camicia, asciugandosi i capelli di fretta. E’ allegro.  Ha appetito. E’ riposato.

Lo specchio riinvia la propria immagine. Sta sorridendo. E quel viso rilassato lo infastidisce. Non può appartenergli. Si sente improvvisamente svuotato e le labbra, nell’intento di rimediare a quell’ “atto di insubordinazione”, si chiudono in smorfia svilita. Cosa sta facendo?! Come può pensare di uscire a pranzo con Marin, come se niente fosse?! Come può pensare di tornare a sorridere…prima che lui…torni?!

E’ mezzogiorno. Sam ripiomba nella consapevolezza che, quel “mezzodì”, significa “giorno inoltrato”... non più di 24 ore nell’angoscia. Non potrebbe tollerarlo.
Ciò che prova è una sorta di tregua, di “anestetico naturale”, dovuto alle attenzioni e alla pazienza di Marin. Ma “la cura”, quella che porterà alla guarigione completa, è una sola. Ha un solo nome.

Dean.
---
Quando Sam raggiunge Marin in salone, lei si rende immediatamente conto che non ha più la serenità di pochi minuti prima. “Legge” il mutamento d’umore in quella fronte corrugata, in quelle guance tirate.

“Senti Marin…ripensandoci…mi dispiace ma… a me basterà un caffè. Vai tu a mangiare qualcosa fuori, io me la caverò, hai appena detto che…”
Ma Marin non gli permette di finire la frase “Ho detto che stai meglio ma preferisco evitare di lasciarti da solo, almeno per il momento. Non preoccuparti, sapessi quanti pranzi “saltati” per un’emergenza in reparto! Non c’è problema.” Marin può comprenderlo. Deve andare per gradi. Sa che si ritufferà nel lavoro di traduzione ma è determinata a “strappargli” almeno una colazione come si deve.
“Niente pranzo ma un buon caffè, accompagnato da una fettina di torta… quella che hai rifiutato ieri sera!”
Sam annuisce, con aria grata.
Poi Marin torna all’ “attacco”. Non lascerà che “ridiventi” Russell Crowe. Sam dovrà “staccare”, dovrà distrarsi, dovrà tornarea vivere. Prima di “far tornare” Dean.
“E oggi pomeriggio andiamo a prendere Miracle e a far provviste, promesso?”
“Promesso” acconsente Sam.

Ha evitato di restare mesi nel reparto di psichiatria. E’ in piedi, con ritrovato equilibrio e stabilità. Ha dormito più di due ore. Ha fatto una doccia mantenendo la giusta temperatura dell’acqua, ricordandosi di respirare, sotto il getto ristoratore.

E non ha più il posto in prima fila per quei vortici luminosi, che deflagravano nella sua testa.

Marin si è presa cura di lui…
In cuor suo, mai smetterà di ringraziarla.
 
 ---
Beve un sorso d’acqua e, con la mano tremante per l’emozione, traduce le ultime righe…è completa! Finalmente!
E’ "la soluzione"…ce l’ha fatta!

Andare all’obitorio. Scegliere un uomo sulla quarantina, passato a miglior vita magari per un’ischemia o un trauma cranico…in fondo non tutti possono avere un’infermiera a domicilio. Com’è toccato a lui.
Rubare quel cadavere, fregandosene di chi si domanderà che fine abbia fatto. Fregandosene di una famiglia che non potrà dare degna sepoltura a un figlio, un marito o un…fratello.
Bando ai sentimentalismi. Non può lasciarsi intenerire, indagando eccessivamente sulle generalità del “contenitore”. Sam non potrà concedersi tentennamenti. Non potrà pensare a “chi è stato” ma esclusivamente a "ciò che dovrà essere"…una “scatola di pelle umana”.
Nulla più di questo.

Macinare chilometri per trovarlo, in un luogo sufficientemente lontano. E farne altrettanti per riportarlo a Lebanon, nel bagagliaio, guardandosi bene dallo spaccargli le ossa perché, per un gesto maldestro, Dean potrebbe “svegliarsi” con fratture irreparabili.
Posizionarlo su un altare, a fianco del cadavere che avrebbe dovuto essere cenere. E poi evocare l’anima di suo fratello. Ovunque essa sia.

Scardinarla da qualsiasi luogo in cui si sia adagiata.
Sottrarla al frenetico vagare dello spirito “bloccato”, condannato alla follia.
Strapparla a qualunque pace sia riuscita, nel frattempo, a conquistarsi.

Trasferirla in un’ampolla con la mano ferma del chimico e la temerarietà del cacciatore di spettri.

Quindi, con un coltello intriso del proprio sangue, incidere il “contenitore”, all’altezza del cuore. Più o meno nel punto in cui, quel maledetto chiodo, ha trafitto la loro esistenza.
E, in quella fessura, infilarci lo spirito di Dean.

Finito.

E’ terribile quello che dovrà fare.

Lo aveva intuito ancor prima che Miracle rendesse vano il lavoro di giorni.
 
Quando è svenuto, ieri notte, era arrivato al paragrafo relativo al sangue.
Ci vorrà sangue. Il suo.

Sarà la fase più semplice.
Si ferirà il palmo com’è solito fare, per invocare demoni di un certo livello o stipulare patti dagli esiti nefasti. Poi avvolgerà la mano con un fazzoletto, annodandolo stretto…come Dean gli ha insegnato, quando era poco più di un bambino. Perché un’emorragia indebolisce e chi stai cacciando “fiuta” la debolezza. I ruoli s'invertono. Diventi facile preda.

Versare il suo sangue, non lo preoccupa. Le inevitabili questioni di coscienza che, un “piano” simile, porterà con sé, al contrario, lo angustiano.

Dovrà fari i conti con la consapevolezza di utilizzare un cadavere come “tramite”. Non molto diverso dall’odioso “modus operandi” di Demoni e Arcangeli.
Senso di colpa e la convinzione che, quell’atto di egoismo, gli costerà il Paradiso. Ma la supererà. Qualsiasi cosa pur di riottenere Dean. Non teme l’Inferno. Non più di quello che già vive.
In fondo, “razionalizzando, per “il contenitore” sarà “solo” un "funerale mancato”. Quel corpo avrà la sua “seconda occasione”. Potrebbe appartenere a un impiegato sedentario e annoiato. E in questo caso…una vita alternativa come cacciatore…perchè no?! Quelle ignare membra potrebbero trovarlo persino eccitante!
 
Era sfinito, Sam, stamattina, alle prime luci dell’alba quando si è afflosciato come palloncino sgonfio e ci è voluta la voce risoluta di Marin, per farlo desistere. E le sue dita carezzevoli… per farlo addormentare.

Ma adesso Sam sta bene. E’ decisamente più lucido ed efficiente.

Sam, con la pignoleria che gli appartiene, rilegge tutto con attenzione. Le pupille corrono veloci sulle pagine e poi, inaspettatamente, prendono a dilatarsi e restringersi, ritmicamente. Le iridi si appannano.
Il cuore accelera in modo insostenibile. Fuoriesce dal torace. Un cuore “a molla” che palpita per la coniglietta con il gonnellino plissettato che, senza difficoltà, va a canestro. Immerso in un cartoon in puro stile Space Jam…ma lui non è Bugs Bunny. Forse, a dire il vero, “si sente” più Duffy Duck, “mentalmente instabile” quanto lui.

Sam non riesce a “riprendere” il proprio cuore. Non riesce a bloccare il guantone gigante che gli sta assestando pugni “a random” e, appena tenta di rimettersi in piedi, si accorge di una minaccia ancor più grave… l’incudine in ferro, appeso al soffitto. Distingue il sibilo che accompagna la “caduta libera” che terminerà …sul suo sterno.
Ma gli sprazzi di lucidità gli consentono di percepirsi umano. Ancora.
Non è in una “creazione” partorita della fervida fantasia di Fred Jones, il vecchio cacciatore psicocinetico, amico di papà.

Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Buio. Cubo. Gabbia. Incudine…a mezz’aria. Bloccato. Giusto in tempo.

Lucifero applaude dagli spalti. Sta gridando qualcosa, come uno sfegatato tifoso di Jordan che, stoppando un paio di avversari, è pronto al tiro. Ma gli applausi non sono per lui.
Bravo Sam! Bravo il mio ragazzo! Sei sempre stato un tipo sveglio! E adesso? Chi glielo dice a quella tua insulsa, insignificante, irritante parte retta e onesta? Ti piace così tanto fingere di essere il “buon Sam”, vero? Ma finalmente farai prevalere “il lato oscuro”, Sammy! E che “la forza sia con te”, mio erede, mio tramite perfetto! Papino è orgoglioso di te, era ora che Anakin Skywalker diventasse Dart Fener!”
In sottofondo a quel terrificante monologo s’inseriscono le ormai note risate pre-registrate.
Sogghigni isterici degni di Joker, It, di qualsiasi maledetto clown incontrato negli anni. Dai protagonisti dei “classici horror”, a quelli “in carne ed ossa” del Serraglio Magico di Plucky Pennywhistle, fino agli spiriti combattuti e vinti. Ma stavolta Sam non può interrompere lo sketch.  La scena e tutta loro. Escono dall’ombra. A decine.

Il fiore finto, appuntato al taschino della giacca a scacchi, zampilla, pronto a schizzarlo. Ma non è acqua.
E’ sangue.
---
Il contenitore di cui parla la pergamena non è un cadavere. E’ un uomo. Vivo. Da uccidere con un fendente al cuore, usando uno stiletto intriso del sangue di colui che compie il macabro rituale.
Quando Sam reciterà la formula quella “feritoia” diventerà crepa dorata, pronta ad accogliere l’essenza di Dean.
 
Un malinteso. Una svista. Un errore.
“Su Sammy, non fare quella faccia! Non abbatterti! Può capitare di confondersi…poco male! Ora hai ben chiara la procedura corretta! Il “compito” è salvo, mio adorabile secchione! Devi solo eseguire le istruzioni e risolvere il problema con i dati a disposizione. E lo farai, Sam. Sappiamo entrambi che non lasci mai un “compito” a metà…”
Lucifero sghignazza, raddrizzandosi il papillon e sistemandosi gli occhiali sul naso. Scrive appunti su una lavagna di nera ardesia, in un’aula universitaria che si riempie a vista d’occhio di clown. Sfilano concentrati, nelle loro variopinte giubbe provviste di fiori spara…sangue. Li azionano, all’unisono, seguendo la coreografia di una raccapricciante parata.

Ci vorrà sangue. Non solo il suo.

 
Il cuore “a molla” rimbalza sulla volta, per ricadere a terra in un sordo tonfo.
Come anatra colpita in volo.

L’incudine si è schiantato.

Su Duffy Duck.
 ---
“Sam!”
Marin ha riconosciuto il rumore del corpo che si abbatte sul parquet anche se, per un attimo, si è autoconvinta fosse una suggestione. Carter l’ha certamente influenzata, mettendola in guardia sulle insidie che può celare un apparente miglioramento.
Come volevasi dimostrare Carter aveva ragione.

Quando arriva in salone Sam è cosciente ma trema come una foglia. Marin teme possano trattarsi di convulsioni. Ma sono brividi di paura. Una paura che fa digrignare i denti e ti attraversa come scossa elettrica.

“Sam, guardami, cerca di calmarti!” e Marin si rimprovera di aver sopravalutato gli effetti di quel benefico riposo. Sam ha un sonno arretrato che non si risolve con meno di otto ore su un cuscino.
Gradualmente gli spasmi si fanno meno violenti. “Così…bravo…respira, piano…” Marin guida ogni atto respiratorio di Sam e, nel frattempo, con un occhio all’orologio, controlla le pulsazioni, augurandosi che decelerino. Ci vogliono circa dieci minuti perché Sam riprenda colore e i battiti tornino pressappoco regolari.

“Sto meglio…” soffia Sam.
“Si…la tachicardia è rientrata ma aspetta a rialzarti…sei ancora in affanno” 
Sam rimane a terra, senza opporsi. Quando Marin reputa che possa muoversi, lo fa con cautela, appoggiandosi a quel corpo minuto che, negli ultimi giorni, non fa che essere sostegno sicuro.
“Che cosa è successo? Avrei giurato che tutto procedesse bene…”
“infatti…è così…ma…ma ho avuto una delle mie visioni…” è la “mezza verità” che Sam decide di condividere.
Marin si rattrista. La "voce" deve essersi “svegliata”, rinvigorita da quella pausa. Anche lei.
“Sam… perché non mi hai chiamato, perchè non hai urlato?!”
“Non ne ho avuto il tempo. Lucifero si è materializzato davanti a me…in mezzo a un paio di clown…ti ho detto il rapporto che ho con i clown, vero?
Marin, pur faticando, riesce a mantenersi seria “Sì…so che non hai un grande feeling con i locali stile Plucky Pennywhistle…”
“Appunto. Sono rimasto come paralizzato…e poi ho perso i sensi. E’ durato poco, meno di un minuto…credo…”
“Sam…forse dovremmo…” suggerisce Marin, preoccupata.
“No, Marin…non posso tornare in ospedale…sai che finirei con il restarci per mesi…”

Marin lo sa. Per questo, sebbene sia in ansia, decide di dargli fiducia. Non è una “ricaduta”, semplicemente il processo di “rielaborazione del lutto” è appena iniziato. Ci vorrà pazienza.
“Allora… aspettiamo…diamoci tempo e vediamo come va. Al massimo aumenteremo la terapia al bisogno, per favorire il sonno. Devi solo riposare il più possibile…”
Sam tira un sospiro di sollievo. Ora non deve far altro che avvalorare la sua tesi. Marin deve convincersi che si possa risolvere tutto con una bella dormita. Otto ore filate di sonno e Lucifero, con la sua banda di saltimbanchi, con cerone e naso rosso, svaniranno.

 “Hai ragione…è certamente questo il problema…stanotte decidi tu il dosaggio delle gocce…io mi fido di te, Marin.”
Marin lo scruta con crescente affetto “Vale lo stesso per me, Sam. Ce la faremo. Vedrai…ce la faremo.”
Marin si fida di lui.

Sam risponde con un sorriso sghembo e una domanda straziante si espande nel cervello, facendolo sentire un colpevole bugiardo.
Lui può fidarsi di sé stesso?
---
Miracle, gli corre incontro scodinzolante, leccandogli il viso ancora provato dal malore.
“Ehi, amico! Quanto mi sei mancato!” e Sam affonda il viso in quell’ovatta in movimento. Paul assiste alla scena con evidente commozione.
“Grazie…grazie per esserti preso cura di lui…” continua a ripetere Sam mentre Miracle non smette di saltellargli addosso.
“E’ stato un piacere…sono felice che possa tornare a casa…la sua vera casa.”
Poi Paul, dando un’ultima carezza a Miracle, gli sussurra all’orecchio “Tieni d’occhio il tuo padrone, mi raccomando!” e l’animale pare comprendere l’importanza della richiesta.
Ora che Dean non c’è più qualcuno dovrà prendersi cura di Sam. E’ lui il suo nuovo padrone.

 Miracle ha scelto il suo capobranco. Dean non tornerà.
Ma Sam è tornato.
---
“Non ci credo!”
“Hai visto? Sono brava a tenere un segreto, vero?! Holly mi ha detto che Mark era riuscito a terminare il lavoro prima del previsto…per questo non sono venuta con te, da Paul, inventandomi la scusa del supermercato. Me l’ha portata poco fa. Volevo farti una sorpresa!”
“E ci sei riuscita! Marin…tu…tu non puoi nemmeno immaginare quanto significhi per me riavere Baby…” mormora Sam, sfiorando la carrozzeria con tenero rispetto.
“Bene…ora...ora non resta che riprenderti in mano la tua vita, Sam.” Marin sa che la “rinascita” di Sam può passare attraverso un guinzaglio e un volante.
“Sì…è così…è un inizio…” mormora Sam “Tu vai a fare la spesa e io…posso aspettarti al bunker…” propone Sam, deglutendo, lanciando uno sguardo triste in direzione del posto del guidatore. Tocca a lui occuparlo. Toccherà a lui…per quanto, ancora?!

Marin scuote il capo, titubante. “Sam…sei svenuto poche ore fa, non mi sembra una buona idea. Dammi solo il tempo di fare un po’ di provviste…non ci vorrà molto. Poi tu ti metterai alla guida e io mi accoderò dietro, con la mia auto. Rientreremo al bunker insieme, d’accordo?” suggerisce Marin.
“Va bene…” accetta Sam. Non ha voglia di discutere. Non servirebbe. E poi…ha già altro in mente.
“’Il parco è qui vicino, a Miracle farà bene camminare un po’. E anche a me.” sentenzia, pensieroso.
“Sam…sicuro di sentirti bene?” domanda Marin, accorgendosi di quell’improvviso rabbuiarsi.
“Sì…sto bene…davvero…ho solo voglia di fare due passi…”
Fidarsi. Marin se lo ripete. Non c’è nulla di strano nel voler restare un po’ da solo. Fa parte del percorso di quel “riappropriarsi” di sé.
“Allora…facciamo fra un’ora al parcheggio?”
“Perfetto.”

Il pick-up è presto un puntino arancio, in lontananza. Sam deglutisce. Marin gli mancherà.

Non poteva prevedere che avrebbe riottenuto Baby eppure, quasi come un automa, prima di uscire, è andato in armeria. E’ appuntito, piccolo. Poco più grande di un bisturi. Può incidere la pelle con la stessa precisione del ferro chirurgico. Può perforare un organo vitale come il punteruolo che ha trapassato Dean.
 
Non tornerà al parcheggio. Non andrà all’appuntamento con Marin. La sottile lama dondola nella tasca del giaccone, avvolta nelle due pagine trascritte in ordinata grafia.
Una passeggiata con Miracle. Poi si metterà in viaggio. Sulla ritrovata Baby che, con il suo capiente bagagliaio, sarà complice di quel delitto.
Lucifero lo guarda compiaciuto, facendo stridere il gesso sulla lavagna. E' in compagnia. Sam si pulisce il viso, con aria schifata. Lo sa che è solo nella sua testa. Lo sa che il sangue che continua a togliersi dalla faccia non è reale. Ma quel fottuto clown, che porta un’inguardabile giubba a rombi gialli e fucsia, è a cinque centimetri da lui. Continua a sganasciarsi, premendo un petalo della margherita che ha cucita sul taschino.

E tutto diventa porpora. Persino il pelo di Miracle è innaffiato di amaranto.
 
---
“Ciao Dean”
Eccola. L’aspettava. Un paio di siepi fa. E’ in ritardo.
“E’ graziosa Faith, vero?” domanda Delia, come se volesse intrattenersi in una conversazione amichevole, come una semplice “vicina” di casa. Di “quella” casa.
“Si…lo è…” conferma Dean, abbassando lo sguardo.
“Chi l’avrebbe mai detto che un “ex demone”…per qualcuno potesse essere…un angelo! Buffo, vero?”
E Dean non risponde. “Buffo” è un termine che non “rende giustizia” a ciò che ha provato.

"Era l’ultima persona che dovevi incontrare Dean. Ora ti lascio libero.
Dean, con indicibile emozione, coglie la parola “libero”… mentre si fa macchia di atomi scomposti che si riaggregheranno altrove.
 ---
“Ed eccoci qui, come promesso.”
Dean osserva la terra smossa. Sa cosa c’è lì sotto. Cosa “resta” di lui.
Lì sotto.

“E…e adesso?”
“E adesso aspettiamo Dean.” asserisce Delia, sedendosi tranquillamente ai piedi di un albero come un’altera principessa elfica.
“Il mio corpo sta cedendo?”
“Ormai è al limite. E’ involucro sfatto, piegato su se stesso.”
Dean deglutisce. “E quando resterà solo la mia anima lei…lei…”
Lei, la tua anima, era pronta…dall’inizio, giusto Dean?”
“Giusto…”
“Allora non ci saranno problemi…”
“Non…non ci saranno problemi…” ripete Dean, con la voce leggermente gracchiante. “La mia anima…deciderà…”
“Non solo la tua…” puntualizza Delia, allungando le gambe e giocherellando con il lungo abito.
“Che cazzo vuol dire?! Basta con i tuoi rebus da sfinge stronza!” esplode Dean, esausto.
“Modera i termini, Dean!” lo riprende lei, ricordandogli “chi comanda”.

Dean si frantuma. Esala un grido che non ha più nulla di umano. Ogni sensazione del suo eroico corpo consumato gli viene rimandata. E Dean non ha più occhi, naso, bocca. Un ammasso di carne informe.

Deve aspettare.

La fine.
---
“Posso?”
Quella voce lo scuote, “salvandolo”. Sam ha lo sguardo perso nel vuoto. Apparentemente non prova alcuna emozione, fissando un punto imprecisato, tra il fogliame multicolore ma, la sua anima, sta scappando da un’orda di pagliacci killer.
“Eh?”
“Posso sedermi?” ripete educatamente l’uomo, un po’ stizzito.
“Certo…certo…” balbetta Sam, riavendosi.
Miracle si scosta, scendendo dalla panchina, facendo posto allo sconosciuto.

“Grazie! E grazie anche a te, piccolo!” e l’uomo sfiora Miracle che mostra i denti più per prudenza che per concreta minaccia. “Ehi…sei da guardia, non c’è che dire!” esclama, ritraendo la mano. Poi si lascia andare mollemente sulla panchina, posando il suo voluminoso zaino a terra, tra le ginocchia. Sistema alla meglio anche la custodia di uno strumento musicale, altrettanto ingombrante.

Sam lo scruta. E’ accaldato. Stanco. Presume che abbia superato i 35 anni. Statura media e muscolatura tonica. Probabilmente è uno sportivo.
Ha capelli biondo miele, naso piccolo e labbra carnose.
E un’aria un po’ boriosa.
E gli occhi verdi.
Ma non è “quel verde”. E’ più tendente al nocciola.
Prende una birra dalla sacca e gliela offre. “Vuoi? Non è freschissima ma di buona qualità. Fa un caldo pazzesco, per il periodo, non trovi?!”
“Già…già…” replica Sam.
“Allora?”
“Allora cosa?”
L’uomo lo squadra spazientito. Ma è l’unica panchina all’ombra nelle vicinanze e lo zaino è pesante e lo ha in spalle da un paio d’ore. Maledetti bus sempre in ritardo! S’impone di mantenere la calma.
“La birra…la vuoi? Sì o no?”
“No…no, grazie”
“Non bevi? Sei astemio?”
“No, non sono astemio…ma ora…ora non mi va…grazie” ribadisce Sam, immerso nelle sue congetture.
L’uomo senza ulteriori indugi, stappa la bottiglia, mandando giù un paio di golate.
“Comunque…per la cronaca… io sono John Stewart” e gli porge la mano sudaticcia.
Sam a quel “John” ha un leggero fremito. “Sam…Sam Winchester”
“Sei di Lebanon? Vivi qui?”
“Si…poco fuori città e tu?”
“Io sono solo di passaggio. Viaggio spesso per lavoro, mi muovo in autobus ma…come vedi…non sono affidabili! Dovevo prendere quello per St. Louis. un’ora fa ma…sono ancora qui! Ogni tanto noleggio un’auto. Mi piace guidare ma non posso permettermi di mantenere un’automobile di proprietà!”
“Che lavoro fai?” domanda Sam, pur intuendolo, dal bagaglio che si  porta appresso.
“il musicista. Canto in locali di livello medio-basso…non è il massimo ma, in fin dei conti, faccio ciò che mi piace e riesco a guadagnarmi da vivere. Sai, la discografia è un settore difficile…” precisa, quasi a voler “giustificare” la propria “carriera mancata”.
Sam deglutisce “E…cosa canti?”
“Ho un repertorio rock, suono il basso…canzoni dei Queen, in gran parte. Certo non sono Mercury ma ho un pubblico che, a metà serata, non fa più gran caso alle stecche!” e John ridacchia, finendo l’ultimo sorso di birra.
“Deve…deve essere interessante…” tenta di approfondire, Sam.
“Sì, lo è. Non mi lamento. E’ la vita che mi sono scelto. Mai un posto fisso, mai una relazione fissa. Non sono fatto per una famiglia, per un legame stabile. Mi annoierei a morte!”
“Credi? A volte la normalità non è poi così male...” sospira Sam.
“Ormai tra poco avrò quarant’anni credo di sapere cosa faccia il caso mio!” ribatte John, saccente.
“Tra poco…be’ allora…buon compleanno…”
“No, niente auguri…facevo così, per dire. In realtà ci vogliono ancora un paio di mesi ma sai…i 40 anni sono un po’ una meta… quando ne parli sembrano dietro l’angolo!”
“Giusto…” risponde distrattamente Sam, pensando che, “i suoi 40” non avrà alcun senso festeggiarli.

Nulla ha senso. Senza Dean.

“Il 24 gennaio”
 “Che cosa…cos’ hai detto?!” Sam sbianca e, in un atto involontario che non riesce a frenare, balza in avanti, andando quasi addosso a John che si scosta, come se avesse timore di essere colpito.
“Ehi! Che ti prende?!”
“Hai…hai detto il 24 gennaio…” sibila Sam.
“Be’…sì…è il mio compleanno. Non stavamo parlando dei miei 40 anni?!” motiva l’altro, sempre più  scocciato dall’atteggiamento di Sam.
“Certo…certo…scusa…” balbetta Sam, sedendosi nuovamente sulla panchina come un giocattolo con le pile scariche. Si muove al rallentatore perché gli alberi ballano, le panchine si alzano in volo, gli edifici rimbalzano.

Gli sembra la trama ordita da un Trickster. Il nome, i lineamenti, i colori…e ora anche la data di nascita! Sfiora la piccola arma, nella tasca, la percepisce attraverso l’inestimabile carta usata per avvilupparla.

E se fosse un demone? O peggio una sua allucinazione?! Se in quel momento gli altri lo vedessero parlare da solo, su quella panchina?! D’istinto osserva Miracle. Lui lo ha accarezzato e Miracle gli ha fatto posto. Miracle lo ha “visto”, gli ha mostrato i canini…ma se anche lui facesse parte di quell’imbroglio di un semi-dio burlone?

Sente un fischio e poi John esordire dicendo “Ehilà, gran bel culo…mi fai venire voglia di allenarmi!”
“Cretino!” grida la ragazza bionda che, intenta a fare
 jogging, prosegue ad ampie falcate, scuotendo il capo in segno di disapprovazione.
John fa spallucce “Be’…non dico che sia un approccio da gentleman ma ogni tanto funziona! Qualche volta mi becco un ceffone, qualche volta si fermano per insultarmi e, se me la gioco bene, ottengo un numero di telefono! Spesso ci scappa cena e dopo cena!” conclude fiero John, facendo l’occhiolino a Sam.

Ok. Non è un’allucinazione.

“Stai bene?”
“Ah?” risponde Sam, provando a cercare, all’interno di sé, qualcosa di più “articolato”. Ma quel suono da ebete è già sforzo immane.
“TI senti bene?! Insomma…sei “fatto”o sei semplicemente nato così…un po’ “rallentato”… alla Forrest Gump?!”
Schietto. Diretto. Ironico.

Come Dean.

“No…no…è solo che…sono stati giorni difficili. Ho perso mio fratello…” svela Sam, quasi senza rendersene conto.
Di colpo l’espressione di John diventa seria e dispiaciuta.
“Scusami…non intendevo mancarti di rispetto…mi sembravi solo un po’ strano, uno svitato…ecco tutto. “
“Non fa niente, non potevi sapere.”

Nessuno può sapere.

Cala un silenzio cupo e imbarazzato. Sam ne approfitta, proponendogli la piccola borraccia che porta sempre con sè. Acqua benedetta…
“Un sorso d'acqua?"
“In effetti, la birra è dissetante ma, in questi casi, l’acqua aiuta a ritrovare la parola…”. John prende la fiaschetta, accostandola alle labbra. Sam è pronto a vederlo contorcersi, gridare, sfrigolando. Invece non succede nulla.
“E un tantino stantia…ma grazie lo stesso…” osserva John, asciugandosi la bocca, con malcelato disgusto.
Sam vorrebbe poter usare la lama. Ma non per compiere quel crimine ignobile. Semplicemente per…
Ma John, inconsapevolmente, soddisfa la sua curiosità.

 “Accidenti!” esclama, tenendosi la mano.
“Cos’hai fatto?!”
“Un chiodo…”

Sam deglutisce. Un chiodo.

“Fammi vedere…”
“Non è niente, sono panchine vecchie, non ho fatto caso al ferro che usciva dal legno. E’ solo un graffio”

Sam rimane rapito da quel rigagnolo rosso che, dal dito, cola lungo il palmo.
Non è un demone.

Sam non sa se provare gioia o inquietudine.

John si avvolge il dito con un fazzoletto, senza troppi commenti. Sam nota alcune cicatrici sparse qua e là, sugli avambracci lasciati scoperti. Ha caldo John. Il giubbotto in pelle lo ha annodato alla vita.
“Non hai un disinfettante con te?”
“Stai scherzando? Non sono mica una femminuccia! Vedi questa?” e John mostra a Sam uno degli sfregi più evidenti “Lotta libera con uno stronzo che, a scuola, non mi lasciava in pace. Ho sfondato la portavetro della sala insegnanti…avevo 12 anni e mi hanno dato…12 punti! Comico eh?! Invece questa è recente. Una scazzottata in un locale. Non mi ricordo il motivo della litigata…forse una donna…avevo finito l’esibizione e il proprietario era rimasto entusiasta, tanto da propormi consumazioni gratis…e ne ho approfittato!” e John ride, non entrando nei dettagli.
“E quella?” fa Sam, indicando una nodosa “colata di lava” in rilievo, nella zona del polso.
John si incupisce “Questa…questa è una punizione di mio padre. Era un tipo all’antica, ci andava giù pesante. E bastava poco per fargli perdere la pazienza. Quel giorno era letteralmente fuori di sé. Ha preso l’attizzatoio del caminetto e mi ha marchiato. Come si fa con il bestiame.”
Sam abbassa lo sguardo “Perché…perché era così rigido con te?”
John resta in silenzio. E ora è lui quello “rallentato”, alla Forrest Gump.

“Scusa sono stato indiscreto …non ne vuoi parlare…lo capisco…” dice Sam, scusandosi della propria indelicatezza.
Ma John risponde secco, fissando le nuvole “Avevo un fratello”
E quel verbo al passato, per Sam, è già frustrazione.
“Anche tuo fratello è…” e anche se non è una domanda, pare che Sam si aspetti una risposta.
John si volta verso Sam, rinunciando a mantenere le pupille perse nel cielo.

“Sì…ma non l’ho conosciuto.  Solo attraverso i racconti di mia madre. Dalle foto mi assomigliava ma aveva i capelli più scuri. Mio padre adorava Gerard. Trascorreva con lui ogni momento libero dal lavoro. Io sono di Boston e i miei avevano un cottage, in collina, ereditato da mio nonno paterno. Era immerso nel verde e ci andavano ogni fine settimana. Gerard amava quel posto. Stava giocando con papà, a nascondino. Mio padre gli diceva sempre di non allontanarsi troppo ma lui voleva…vincere. C’era una sporgenza, nascosta tra i rami. Era autunno, un autunno tiepido, con tutte le sfumature tra il rosso e il marrone, tipiche delle nostre parti. Quel dirupo era troppo vicino e lui...era troppo piccolo per rendersi conto del pericolo. Aveva compiuto sette anni il mese prima. E’ stata la sua ultima fotografia, scattata mentre spegne le candeline. Ha messo male un piede ed è diventato un mucchio di cenci. Un bambolotto di porcellana, rotto in mille pezzi. Mio padre ha stentato a riconoscerlo. Mia madre ha preferito continuare a guardare quella foto. Gerard davanti a una torta a due piani, con quell’orsetto di cioccolato, immerso in uno strato di pasta da zucchero. Negli anni ho osservato ogni particolare di quel dolce…sono arrivato a immaginarne persino il gusto!”

“Mi…mi dispiace…” sussurra Sam, maledicendosi per aver riaperto quella ferita che, probabilmente, si è “tradotta” in … “colata di lava”, sul polso di John.

 “Il cottage è stato svenduto di fretta e io, con mio padre, non ho mai giocato a nascondino…per ovvi motivi.” E John non pare turbarsi per il cinismo di quella frase. Poi continua, prendendo un lungo respiro. “Sono il figlio “sostituto”. Quello nato per “rimpiazzare” Gerard ma…non sono lui. Non lo sono mai stato.” E nella voce di John cogli l’amara consapevolezza di cosa “è stato”…
delusione.

“Capisco…per loro, per i tuoi genitori sarà stato terribile…” tenta di giustificare, Sam.
“Mia madre se n’è andata per un cancro, quando avevo sedici anni…e a lui…sono rimasto solo io. Credo che, un sacco di volte, abbia pensato che, quel tumore ai polmoni, avrebbe dovuto colpire me. Del resto, a tredici anni, già fumavo. “
John non ha intenzione di “giustificare”.

“Non può averlo pensato…è pur sempre tuo padre…”
“Ti sbagli, Sam…lui era il padre di Gerard. E Gerard era quello che si meritava di essere suo figlio. Papà lo portava spesso nello studio legale. Era orgoglioso di quanto Gerard fosse a suo agio tra quelle scartoffie. Si sedeva sulle sue ginocchia in religioso silenzio, ascoltando le lunghe telefonate di lavoro. Era affascinato dalla sua parlantina. Gerard allineava le penne, con precisione maniacale, dicendogli che, da grande, avrebbe voluto una scrivania come la sua. Ci ha provato. Papà ci ha provato…ma non ha funzionato. Ero chiassoso, irruento, la disperazione delle due segretarie che, anche loro, non facevano che guardarmi con rammarico, compatendo mio padre. Bisbigliavano, confrontandosi su quanto fosse “calmo e giudizioso” Gerard. Credevano che non le sentissi. Ma sono un musicista…ho sempre avuto un ottimo udito. Alla fine papà ha capito che non faceva per me. Ha smesso di portarmi in studio.”
E John respira ravvicinato come se quel senso di inadeguatezza facesse ancora male. Sam può comprenderlo. Tante volte, agli occhi di suo padre, si è sentito inadeguato, rispetto a Dean. Lui era il nerd di casa, quello da proteggere, quello che avrebbe voluto una vita “normale”, l’anello debole…era in un certo senso “sbagliato” per John.
E qui c’è un John…“sbagliato”. Come può essere curiosamente ironica l’esistenza.

“Avrebbe voluto che continuassi la tradizione di famiglia. Una prestigiosa università, Harvard o Stanford. Il mio nome sotto il suo, sull’ insegna dello studio legale…ma io mi sento libero solo quando suono, girovagando da uno Stato all'altro, fermandomi in un motel dove puoi decidere “chi essere”. Ogni tanto mi registro con nomi d’arte, inventati. Ne ho quattro! E’ divertente.”
Stanford.

Un padre che sognava un figlio avvocato.
Un padre che lo voleva accanto, per portare avanti… “gli affari di famiglia”.

Sam è frastornato da quante analogie si accavallino tra passato e presente, creando una ragnatela di fili che lo uniscono a “quel John”.

“Potresti…potresti provare a parlargli…dicendogli cosa provi…quanto hai patito la sua indiferrenza…” suggerisce Sam, ricordando gli occhi pieni di suo padre quando sono riusciti a parlarsi “davvero”, grazie alla perla dei desideri. Avessero potuto farlo prima che…
ma è prevalso il rancore e l’orgoglio.
“No…non ho bisogno di lui. Va bene così. Non ci sentiamo da diciotto anni, ormai. Credo che, se morissi, non lo verrebbe neppure a sapere.  E poi non lo vorrei al mio funerale. Io certo non andrei al suo. Non voglio un soldo da lui. Non me ne frega un fico secco dello studio, della villa…ricordo solo mia madre che piange davanti a una foto, accarezzandomi la schiena con aria distratta. E poi quel camino, quell’attizzatoio…vorrei che quella casa bruciasse all’Inferno.” E Sam, negli occhi di John, scorge scintille degne della Gabbia.
Poi John si ricompone, quasi mortificato di essersi “svelato” fino a quel punto. “Scusami…tu sei in lutto per tuo fratello e io ti vomito addosso i miei traumi infantili!" e si alza, a disagio, allontanandosi.
“No, aspetta! Resta ancora un momento, mi fa piacere fare due chiacchiere e poi…anch’io non ho avuto un rapporto facile con mio padre…”
“Davvero?!” e John che zaino e strumento in spalle, era pronto ad andarsene, si ferma. Poggia il borsone a terra e ne estrae una birra “Be’ in questo caso…visto che hai ascoltato la mia storia lacrimevole ora tocca a te raccontarmi la tua. Ma stavolta ci bevi su e… non acqua rancida!”  e, così dicendo, gli lancia una birra al volo.
Sam l’afferra, d’istinto, deglutendo. Il cuore ha ricominciato la sua corsa e non c’è Marin che tiene il conto dei battiti.
“Ottimi riflessi, Sam!”

Sam sorride, inebetito, frastornato.

Terrorizzato.

Esaltato.

Un musicista rock che suona in locali di infimo livello. Si muove principalmente con i mezzi pubblici, noleggiando, di tanto in tanto, un’auto. Talvolta usa un nome d’arte. Il suo pubblico “tipo” vuole trascorrere una serata senza pensieri…clienti che alzano il gomito e non disdegnano le zuffe. Troppo disattenti e ubriachi per memorizzare il volto del cantante.
Una donna in ogni locale. Ma nessuna che ricordi il suo nome.
Un padre ancorato al proprio puntiglio.
Nessuno lo cercherà.
Nessuno farà caso a Dean. Quel viso “donato” passerà inosservato. Del resto…non si dice che, per ognuno di noi, esistano sette sosia al mondo? Dean potrebbe essere il sosia di un certo John Stewart.

 La “morte” di John potrebbe addirittura esser dichiarata, per evitare qualsiasi complicazione. Un incendio che polverizza. Le fiamme avvolgeranno i resti di Dean. Ma la sua anima sarà al sicuro. Lui sarà vivo. Nel corpo di un cantante sfortunato. Che non arriverà ai “suoi 40”.

Sam prova un pizzico di gioia nell’immaginarsi a scrivere un telegramma, per avvisare quell’uomo ingrato, che ha rinnegato John. Quella seconda paternità avrebbe potuto essere conforto. Ma è stato continuo paragone, permanente biasimo, impietoso giudizio. La “sentenza” arriverà, anche per lui. A nulla servirà la laurea in legge e la brillante carriera d’avvocato. La “difesa” perderà.
Il rimorso è un giudice estremamente severo. Quell’uomo sarà condannato.

Piangerà due figli.

“Che ne diresti se ti dessi un passaggio? Così eviti di aspettare l’autobus?”
“Davvero faresti questo per me?!”
Sam si morde il labbro. “Non solo per te…lo farei per me…anche per me…così potrei raccontarti con calma…la mia storia…”
“Sarebbe grandioso!”
Miracle lancia un’occhiata di rimprovero a Sam e poi comincia ad abbaiare e ringhiare contro John, nel disperato tentativo di farlo allontanare.
“Miracle, che ti prende? Basta!” intima, Sam.
“Uhm…credo di non stargli simpatico…forse…forse è meglio aspettare l’autobus…grazie lo stesso…” e John indietreggia, impaurito dalla reazione di Miracle.
“No, no…non ti morderà! E’ bravissimo, è solo un po’ diffidente con gli sconosciuti ma si abituerà…si abituerà…vedrai che…alla fine del viaggio sarai…sarai uno di famiglia…” lo rassicura Sam, con un lampo ambiguo nello sguardo. Poi si china su Miracle. “Buono bello, va tutto bene…è tutto a posto…” e poi, abbassando la voce “ti prego Miracle…”.

Miracle annusa John. Sembra simpatico. Ha un buon odore. Di birra, di hamburger, di giubbotto in pelle e stivali di cuoio. Ha mani che sfiorano con gentilezza e occhi velati di malinconia che però sfavillano…quando ride.

Si accuccia ai piedi di John. Sa che non è giusto ciò che il suo padrone sta per fare ma è il suo “capobranco”.
E poi, forse, anche lui preferisce un “Dean non Dean” a un mondo… "Senza Dean”.

Vedi…ha già cambiato idea!esclama Sam, orgoglioso della fedeltà di Miracle.
“Ok…allora…d’accordo, andata!” e John s’incammina, affiancando Sam, seguito da Miracle.

Sam sfiora la lama che, a ogni suo passo, “danza” nella fodera del giaccone. Un’ ultima “piroetta” prima di “uscire” allo scoperto. Per il gran finale.
Un “altro John” si sacrificherà…di nuovo. Per restituire la vita a Dean.
Un colpo netto, preciso, svelto. Non si accorgerà di nulla.

Lucifero si posiziona alle spalle di John. Sam lo “vede”. Ha un’espressione appagata. Come quella del clown che lo accompagna.
Sam dovrà pulirsi la faccia.

E non sarà un fiore di gomma a sgorgare fiotti color vermiglio.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: eclissidiluna