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Autore: Jean Valjean    04/08/2022    0 recensioni
Ho incontrato Ciro il 20 settembre 2019, in un paesino di cui poi racconterò e quel giorno in quel paesino le nostre vite sono cambiate.
AVVISO AI LETTORI:
Questa è una storia in parte rivisitata in parte vera. Una storia terribile e bellissima, forse perchè l'ho vissuta sulla mia pelle. Ho deciso di pubblicarla in parte a scopo educativo, perchè non accada ad altri e perché altri non si spaventino nel seguire la scelta che io ho fatto, di cui leggerete. Basta! Non rivelo altro. Leggete e ditemi se vi appassionao le avventure di Ciro!
Genere: Avventura, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono appoggiato sulla gradinata della casa di mattoni in cui vive il proprietario del territorio delle case-auto, ho scoperto che si chiama Gianni. Sospiro e mi guardo attorno. A quell'ora non c'è quasi nessuno, tutti gli umani sono al mare, ma fa troppo caldo per camminare sulla sabbia, così me ne sono rimasto qui. Gianni è seduto su una sedia alle mie spalle, guarda il telefonino.

Noto il furgoncino del suo aiutante percorrere la strada d'entrata alzando un gran polverone. Mi alzo e mi avvio verso la fontanella per bere. Nel tragitto incontro tre o quattro umani, li saluto scodinzolando e loro salutano me. Me ne torno verso la scalinata, ma mentre mi avvicino noto che Gianni e il suo aiutante mi stanno guardando. Sembrano divertiti e parlano tra loro:

- Oh, sto cane qua ormai lo conoscono tutti in paese!

- E' buono come il pane… Poveretto! Hahaha! Sai chi mi ricorda?

- No. Chi?

- Ciro! Ciro il napoletano che ovunque va tutti lo conoscono! Hai presente??

- Aaaaah! Si è vero!

Li vidi ridere insieme.

- E pure a lui allora lo dovremmo chiamare Ciro!

- Si, ci sta bene!

Da quel momento iniziarono a ripetere “Ciro! Ciro!” e, siccome non avevo la più pallida idea di cosa significasse, rimasi a guardarli senza capire, partecipando tuttavia con uno scodinzolio all'ilarità del momento.

Quel suono, “Ciro”, mi accompagnò per i giorni a venire. Ogni volta che mi vedevano lo ripetevano, tanto che alla lunga diventò un richiamo per attirare la mia attenzione, quasi un secondo nome. In fondo, da quando i miei padroni erano spariti nessuno mi aveva più chiamato Chicco.

***

Questa mattina, mentre dormivo in uno dei miei buchi vicino ad una casa-auto arrivata da qualche giorno, sono passati vicino a me i cani liberi. Andavano, come ogni mattina, a fare il bagno. Rimasi fermo per non farmi vedere, ed annusai l'aria per riconoscere eventuali odori.

Immediatamente percepì un aroma, un aroma che riconobbi immediatamente: una femmina era in calore. Mi si drizzò il pelo per l'eccitazione. Era un odore irresistibile, inebriante. Fui immediatamente preso dalla frenesia. Sgusciai fuori dal mio giaciglio e senza farmi notare seguii il branco libero stando dal lato opposto della recinzione. In pochi minuti la trovai.

Una femmina maculata, dal pelo chiaro tempestato di mille macchioline nocciola, molto più alta di me, slanciata, con una coda dritta ed affusolata camminava in mezzo al branco, pochi passi dietro al maschio dominante e al suo secondo. La volevo, era pronta e calda e dovevo assolutamente corteggiarla. Usai uno dei buchi della rete e marcai il territorio, così che potesse sentire il mio odore. Avevo intenzione di seguire il suo e, una volta allontanata da branco, accoppiarmi con lei. Così rimasi nascosto, in attesa e non persi più le tracce di quella femmina.

L'occasione si presentò quella sera: mentre il branco si avvicinava alla strada dove trovava il cibo riuscii a farmi notare da lei. Mi vide, marcai il ciglio della strada e mi allontanai appena. Venne immediatamente ad annusare la mia marcatura. La aspettai in piedi e quando lei alzò la testa capii di potermi avvicinare per annusarci meglio. Aveva un odore incredibile, il sangue mi friggeva nelle vene e iniziammo immediatamente a giocare, entrambi presi dall'euforia. Gioco chiama gioco e riuscì a montarle sopra. Fu fantastico, riuscimmo ad accoppiarci e soddisfatti per quell'unione ricominciammo a giocare.

La magia del momento si spezzò quando due cani liberi apparvero a poca distanza da noi. Ci fermammo immediatamente tutti e quattro a guardarci, poi i due maschi emisero un richiamo per il capobranco. Ero in pericolo, dovevo immediatamente scappare. Cominciai ad arretrare, la femmina rimase dov'era, doveva tornare al suo branco. Quando l'enorme mole del maschio alpha apparve fortunatamente ero abbastanza lontano e mi affrettai a tornare nel territorio degli umani, dove i cani liberi non andavano mai di giorno.

Nei giorni a seguire riuscii a vedere altre volte la femmina in calore, sempre con la possibilità di incappare nei maschi del branco libero, ma accoppiarmi con lei mi faceva letteralmente impazzire e così continuai a rischiare.

Un giorno però qualcosa andò storto. Avevo lasciato un richiamo per la femmina vicino all'entrata del paese e lei lo aveva sentito. Ci stavamo accoppiando quando sentii un ringhio alle mie spalle. Cinque cani liberi erano ormai a pochi metri da me e mi sbarravano la strada verso la tettoia, la quale, a quell'ora del giorno, era completamente deserta a causa del caldo torrido. Iniziai a indietreggiare e mi guardai ai lati per cercare una via di fuga. Mi resi conto di essere entrato in un agguato. Sia a destra che a sinistra altri tre cani liberi si stavano avvicinando attraverso i vicoletti, bloccandomi e obbligandomi ad arretrare verso il mare e l'enorme costruzione di blocchi di pietra. Già a metà strada alcuni di loro avevano tentato di mordermi le caviglie o la base della coda, ma ero riuscito ad indietreggiare fino al capolinea: sui blocchi c'erano il maschio alpha, il beta e altri due cani.

Mi sentii perso, perché sapevo che non avrei mai potuto fare niente. Avevo sfidato il capobranco e ora il branco faceva rispettare le proprie regole.

Mi si avventarono addosso tutti assieme cercando di colpire i punti più sensibili, mordendomi la schiena, il collo, le articolazioni delle gambe. Sentivo i loro canini perforarmi le orecchie e brandelli di pelle e carne staccarsi dal mio dorso. Ero consapevole che molto probabilmente non sarei sopravvissuto a quell'attacco, ma feci quel poco che potevo per difendermi.

Ad un certo punto sentii una gran confusione di voci superare quella dei ringhi e degli ululati. Una decina di uomini si erano avvicinati al trambusto che stavamo creando per disperdere i cani liberi. Alcuni avevano in mano le gambe delle sedie di plastica del bar poco distante e le impugnavano come bastoni, scuotendole per allontanare i cani inferociti, e gridando forte con atteggiamento aggressivo. Nel giro di qualche minuto i cani liberi si dileguarono, erano terrorizzati dagli umani, ed io rimasi dov'ero, steso a terra, a coprire la sabbia col mio sangue.

Nei giorni seguenti venni raccolto e curato. Il signore che lasciava il cibo ai randagi mi permise di dormire nel suo cortile e mi curò e disinfettò le ferite, le quali si stendevano su quasi la totalità del mio corpo dalla testa alla coda. Persino gli amici del supermercato si impegnarono nel tenere disinfettati i morsi ricevuti e Gianni mi tenne d'occhio in ogni momento mentre ero nel territorio delle case-auto.

La pelle impiegò quasi due mesi a ricrescere ed era nera e rovinata. Non mi sarei stupito se in quei punti non sarebbe mai più rispuntato il pelo. Inoltre divenni un banchetto prelibato per i parassiti, i quali, trovando un fisico già parzialmente debilitato, avevano iniziato a riprodursi nel mio pelo senza essere mai debellati, in quanto io non facevo il bagno in mare.

Le cose cambiarono. Il mio nuovo aspetto non piaceva più agli umani, i quali (a parte i miei amici più stretti) non avevano il coraggio di toccarmi. In quel periodo capii che non basta bere e mangiare, ma che per essere felici si ha bisogno di compagni e di affetto. Proprio queste due cose andavo cercando, compagnia e affetto, quando incontrai loro.

 

  
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