Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: sakusadokja    11/08/2022    0 recensioni
[eruri, 659 parole]
il giorno in cui Levi aveva giurato fedeltà ad Erwin e al Corpo di Ricerca le aveva messe in conto tutte, ogni morte, ogni segno, ogni centimetro della pelle scura delle imbracature che gli si avvolgeva attorno, ogni centimetro della sua in meno
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Levi difficilmente usciva fuori dalle imbracature. Spesso ci si addormentava dentro e anche a togliersele i solchi sulla pelle gli rimaneva impressi per giorni finchè di nuovi non ci si imprimevano accanto, sopra, finchè non ci scavavano dentro, più a fondo. Era come se ad ogni missione qualcosa dalla sua pelle si sottraesse irrimediabilmente. Come se la pelle tenesse il conto della disperazione a cui assisteva, penasse e si lacerasse di conseguenza. Era viva ed era testimone.

Il giorno in cui Levi aveva giurato fedeltà ad Erwin e al Corpo di Ricerca le aveva messe in conto tutte, ogni morte, ogni segno, ogni centimetro della pelle scura delle imbracature che gli si avvolgeva attorno, ogni centimetro della sua in meno. 

Allentarne le cinghie non sarebbe servito a nulla, era un tipo di morsa che non aveva a che fare con la scomodità. Le imbracature erano un confine entro cui stare e proprio per quello - per la sua stretta e i suoi solchi - lo facevano sentire soldato, erano l’effettiva uniforma. Non la giacca, non le ali sulla schiena, ma quelle stringhe dure di cuoio. E Levi badava bene ad uscirne solo di rado, filando di bocca qualche battuta scurrile, o tagliante, giudizi senza filtri, non richiesti e amari, poi prendeva, beveva un sorso del suo solito tè nero e ci si ricuciva dentro, senza aggiungere altro, tornando poi soldato condiscendente, ligio e austero. 

Levi era sommariamente quello che vi rimaneva della sua pelle non solcata e dei silenzi che appendeva tra uno di quei suoi insulti gratuiti e l’altro. Era un tratteggio complesso, zone d’ombra che senza quelle di luce restavano oscure ed incomprensibili. Era un puzzle senza scatola. 

L’unico ad esser riuscito a trovarne capo era Erwin, per tutti il Comandante Smith. Erwin che aveva il quadro completo e il tassello mancante. Erwin che la notte - o almeno quelle che Levi gli concedeva - giaceva con lui e gli mappava la pelle di baci e attenzioni, che con le sue mani sapeva passare sui quei solchi e riempirli, che lo possedeva e stringeva a sè fino a far combaciare la loro pelle fino a renderla una, sola e piena, che lo amava senza dirglielo, che lo avrebbe fatto intero, anche dopo l’ultimo giorno insieme che la vita gli avrebbe concesso.

Levi quella pelle indietro non la rivoleva, preferiva ricordare e marchiarsi, piuttosto che illudersi di poter tornare inalterato, illeso. Per questo prima che sorgesse l’alba toglieva le tende dal giaciglio del suo Comandante, per questo nei corridoi, in ufficio, in battaglia restava impassibile alle sue attenzioni, per questo Erwin poteva averlo per sé solo in rare istanze di debolezza, quando la disperazione era acuta e la carne debole. Quando erano soli, stremati, vinti dalla morte incombente, da una rassegnazione diversa dalle sconfitte contro i giganti, una più esistenziale, una che nel cuore della notte sapeva far soccombere anche i più valorosi dei soldati.

Il giorno in cui Levi aveva giurato fedeltà ad Erwin ed Erwin solo, non al Corpo di Ricerca, non all’uniforme, non all’umanità, quando gli si era concesso per la prima di una numerosa, lunga serie di volte, l’aveva messa in conto la morte dell’altro. E aveva messo in conto anche ogni centimetro di quella pelle candida ma dura e matura che aveva religiosamente memorizzato tra le lenzuola e che da lì in poi avrebbe baciato e ricordato solo vagando per i sentieri e i solchi della mente, che scavano più in profondità del cuoio scuro stretto attorno alle membra. Aveva già messo in conto ogni centimetro della sua di pelle in meno che restava concava a prescindere dalle imbracature. 

Amare Erwin, averlo sotto le dita, la lingua e l’epidermide era stato come provare il cielo sopra di sé per la prima volta diversi anni addietro, come capire di esser stati vuoti, segnati, in difetto, fino a quel preciso momento. La sua essenza era il solco indelebile che nemmeno il tempo sarebbe mai riuscito a guarirgli di dosso.

   
 
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