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Autore: BlueMagic_96    16/08/2022    2 recensioni
[Skk]
Per Chuuya non c'è niente di più rilassante che osservare Yokohama dall'alto con una sigaretta in mano e il buio della notte a fargli da scudo. Dazai è al corrente di questa sua abitudine e, dopo un'intensa serata di passione, decide di raggiungerlo sul tetto di un palazzo per condividere con lui un raro momento di pace.
- Una ff introspettiva e un po' angst dove un Chuuya rassegnato e un Dazai malinconico parlano del loro passato e della loro 'relazione' onestamente e senza troppi filtri. Lo so, utopico, ma mi piace pensare che sia davvero successo -
(Scusate, i titoli e le introduzioni non sono il mio forte)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuti o bentornati!

Dopo una serie infinita di ff su BNHA ho deciso di tornare con una Soukoku molto velata: ammetto che inizialmente doveva essere una cosa molto più spinta, ma mentre la scrivevo ho deciso di prendere una strada diversa perché... non lo so, era da un po' che non scrivevo qualcosa di questo tipo e Chuuya si prestava molto bene.

In attesa che esca la nuova stagione dell'anime, vi auguro una buona lettura!




Vi lascio qui di seguito una playlist spotify che ho creato pensando a questa coppia!

Playlist Spotify: https://open.spotify.com/playlist/2HTMTA1APDI5Imh4eoE20X?si=9c19f0e8bda44e87



Chuuya aveva sempre amato osservare Yokohama dall’alto, specialmente di notte: la sagoma indistinta dei grattacieli che si stagliavano dietro un tappeto di luci gialle e arancioni, le strade deserte che marchiavano la città come grigie cicatrici di cemento, il fischio degli ultimi treni diretti chissà dove e il distante scintillio del mare.

Ogni volta che aveva bisogno di stare da solo gli piaceva arrampicarsi sul primo palazzo disponibile e perdersi a guardare l’orizzonte, giusto il tempo di fumarsi una sigaretta prima di tornare alla normalità; e normalità era un concetto piuttosto singolare per un dirigente della Port Mafia.

“Sapevo che ti avrei trovato qui” una voce familiare interruppe il suo sacro momento di pace.

Chuuya non si mosse: “Pensavo che te ne fossi già andato” commentò, inclinando la testa quel tanto che bastava per lanciare una rapida occhiata all’ombra alle sue spalle.

“Sono io quello che si è svegliato in un letto vuoto, pensavo che tu te ne fossi andato” si imbronciò l’altro, godendosi la fresca brezza serale, “Non sarebbe la prima volta, dopotutto” aggiunse.

Il rosso alzò gli occhi al cielo: “E’ il mio appartamento, perché cazzo dovrei andarmene?!” gli fece notare.

“Non lo so, sei sempre stato un tipo strano” rispose l’altro, facendo un passo avanti.

Chuuya era seduto sul cornicione del palazzo, una gamba che penzolava nel nulla e l’altra piegata sotto di sé: “Perché sei qui, Dazai?” chiese, senza nemmeno preoccuparsi di guardarlo.

L’ex-dirigente si acquattò poco dietro di lui: “Volevo prendere un po’ d’aria dopo la nostra nottata di passione” rispose con il chiaro intento di farlo innervosire.

“Non è quello che intendevo e lo sai benissimo” e stavolta Chuuya si voltò per incrociare il suo sguardo.

“Sto facendo visita ad un vecchio amico, non posso?” lo punzecchiò il ragazzo dai capelli scuri.

“Oh, piantala!” sbottò Chuuya, schiacciando la sigaretta sul muretto di cemento su cui era seduto e guardandola spegnersi tra le sue dita, “Cosa vuoi? E non dirmi che sei qui solo perché avevi voglia di scopare perché non ci crede nessuno! Compari dal nulla dopo due anni e pretendi che mi beva il fatto che volevi vedere come me la passavo?” disse con una risata nervosa.

Non era nemmeno arrabbiato, era solo... stanco; stanco di Dazai e dei suoi stupidi giochetti mentali, del suo perenne calcolare e della lotta continua che portavano avanti ormai da anni.
Aveva passato così tanto tempo a maledire Dazai e la sua miserabile esistenza che era rimasto a corto di insulti: non c’era più spazio per la furia, per l’odio o per il disprezzo; solo delusione e rassegnazione.  

“Qualcuno si è svegliato col piede sbagliato” borbottò Dazai sottovoce, ma una singola occhiata di Chuuya bastò a fargli capire che era meglio non tirare troppo la corda, “Ok, ok, potrei avere rubato delle informazioni dal tuo telefono e avere installato qualche cimice nel tuo appartamento” confessò.

Chuuya schioccò la lingua, irritato ma per nulla sorpreso: “Sei proprio un pezzo di merda” constatò.

Dazai sorrise e si prese qualche attimo per osservarlo bene: c’era qualcosa di diverso nel suo vecchio partner, una profondità e una malinconia che non gli aveva mai visto prima, e la cosa lo innervosiva.

Si lasciò scivolare a terra, la schiena appoggiata alla balaustra da cui Chuuya stava contemplando la città: “Non sembri turbato” disse, sperando che il rosso lo smentisse in qualche modo.

Poteva gestire un Chuuya furioso o ubriaco come fosse nulla, sapeva gestirlo più che splendidamente a letto ed era l’unico in grado di controllarlo quando era in piena Corruzione.
Sapeva sempre come comportarsi, con lui, ma non aveva idea di cosa aspettarsi da un Chuuya calmo e ragionevole come quello che aveva davanti in quel momento.

Il rosso buttò indietro la testa: “Non mi importa più un cazzo, Dazai” spiegò, “Fai quello che ti pare, tanto alla fine è quello che hai sempre fatto, no?” gli fece notare con una punta di risentimento.

Se solo sapessi quanto sono stato ‘turbato’ negli ultimi quattro anni, Dazai!

Quando Ougai gli aveva detto che Dazai era stato catturato, Chuuya si era precipitato al quartier generale della Port Mafia guidato da puro e semplice istinto omicida: voleva tagliargli la gola e guardarlo strozzarsi nel suo stesso sangue; voleva sputare sul suo cadavere e vendicarsi di anni di soprusi e menzogne, ma alla fine aveva finito per liberarlo dalle catene e guardarlo scappare con il sorriso in volto.

“Posso?” la voce di Dazai lo riportò al presente, gli occhi castani puntati sul pacchetto di sigarette che Chuuya aveva attentamente appoggiato sul muretto di fianco a sé.

Il rosso non si oppose e rimase a guardare mentre il moro ne estraeva una e si portava il filtro alle labbra screpolate: come poteva una persona essere così rivoltante e splendida al tempo stesso?

Dalla prima volta che si erano incontrati nei sudici e tortuosi vicoli di Suribachi, Chuuya aveva capito che il viso angelico di Dazai gli avrebbe portato solo problemi, e aveva ragione.
Era un Re quando si erano conosciuti e in meno di una settimana Dazai era riuscito a trasformarlo in un Mendicante: esiliato e rinnegato dai suoi stessi compagni, privato della sua corona e onorato con un cappello da buffone; sebbene avesse agito sotto ordine di Ougai, Chuuya era abbastanza convinto che il moro si fosse goduto ogni attimo del suo lavoro.

Nonostante avesse distrutto otto anni di conquiste in poche semplici mosse, però, doveva riconoscere che Dazai lo aveva introdotto ad un mondo nuovo e gli aveva dato un nuovo scopo da inseguire.
Avevano solo quindici anni al tempo.

“Ti manca mai?” si ritrovò a chiedere Chuuya, allungando la mano per riprendersi la sigaretta.

Dazai aggrottò le sopracciglia: “Cosa?”

Il rosso allargò le braccia e si guardò intorno: “Questo” disse, con il fumo che gli usciva dalle narici.

L’altro scrollò le spalle e sbadigliò, stiracchiandosi la schiena: “Nah, se ho voglia di fumare posso sempre chiedere a Kunikida. Fuma anche lui, sai?” rispose con nonchalance.

Un sorrisetto malizioso incurvò le labbra di Chuuya: “Ah davvero? Anche a lui piace scoparti, prima della vostra pausa sigaretta?” chiese con una punta di arroganza.

Per una volta Dazai sembrò sinceramente scioccato: “Dio, no!” gridò in un misto di divertimento e disgusto al pensiero di lui e Kunikida che facevano qualcosa di anche solo vagamente sessuale.

La risata gli morì in gola quando realizzò il significato implicito di quella reazione: per quanto Kunikida gli fosse vicino, la sola idea di toccarlo o farsi toccare da lui lo repelleva.

Allora perché con Chuuya è diverso?

In tanti anni non aveva mai trovato il coraggio di rispondere a quella domanda.

Sapeva di essere un ragazzo attraente e non aveva mai perso l’occasione di sfruttare il suo bell’aspetto per i suoi fini: il sesso era sempre stato un mezzo rapido ed efficace per ottenere quello che voleva dagli altri, ma questo non significava necessariamente che la cosa gli piacesse.

Alcune persone erano effettivamente interessanti, altre erano solo utili al suo scopo; in ogni caso, Dazai aveva sempre visto il piacere come l’insoddisfacente effetto collaterale di un atto privo di significato.
Ma non con Chuuya. Ogni volta finivano nello stesso letto, Dazai voleva essere lì.

“Non hai ancora risposto alla mia domanda” lo incitò il rosso, passandogli di nuovo la sigaretta.

Dazai sospirò e prese un’altra boccata di fumo: “A volte” confessò, sconfitto.

Avevano condiviso decine di sigarette durante i loro anni di collaborazione, di solito dopo una nottata di sesso o dopo un litigio particolarmente acceso: ogni volta che sentivano il bisogno di seppellire l’ascia di guerra si ritrovavano a fumare sul tetto di un palazzo; era diventata una sorta di tradizione, ormai, e per quanto non volesse ammetterlo, Dazai amava quella strana sensazione di libertà.

Era bello poter ritagliare un momento di pace in una vita così caotica e ricca di violenza, un momento dove poteva smettere di pensare al peso delle proprie parole e alle conseguenze delle proprie azioni.

Chuuya cercò di mascherare la sorpresa e si schiarì la voce: “Sì, anche io” sospirò.

Non si sarebbe mai aspettato una risposta tanto sincera da parte di Dazai, non era il suo stile, ma a quanto pare quella sera erano entrambi più propensi al dialogo.

Seguì un lungo momento di silenzio, interrotto solo dal rumore del vento e da qualche colpo di clacson occasionale in lontananza, finché Dazai decise di alzarsi e prendere posto di fianco a Chuuya sul cornicione del palazzo: “Sai, hai ragione, è proprio bello qui fuori” disse, prendendo l’ultima boccata di fumo prima di lanciare il mozzicone nel vuoto e guardarlo scomparire con una punta d’invidia, “Sarebbe un bel posto dove morire, non trovi?” sorrise, e a Chuuya non restò che fissarlo con un misto di pietà e disgusto.

“Non esiste un bel posto dove morire, Dazai. Che ti schianti ai piedi di un bellissimo palazzo o che anneghi in un canale fognario il risultato è sempre lo stesso. Se sei morto, sei morto... smetti di esistere. Punto” e quelli che devono gestire le conseguenze della tua scomparsa sono i vivi, stupido idiota egoista.  

Dazai scoppiò a ridere: “Sì, forse hai ragione” convenne, “ma se permetti preferirei morire guardando l’oceano piuttosto che ingoiando merda” notò.

Chuuya sbuffò e scosse la testa: “Dio, Osamu, sei proprio un ipocrita del cazzo” borbottò, assaporando il gusto dolceamaro del nome di Dazai sulle sue labbra, “Se odi così tanto questo mondo cosa te ne frega di guardare l’oceano, mmh? Se pensi che la morte sia una specie di grande traguardo a cui tutti dovremmo aspirare allora perché hai pianto quando Odasaku è morto, eh?! E non provare a dire che non è vero perché so che lo hai fatto” disse, e l’espressione sardonica di Dazai vacillò per un secondo; i muscoli del moro si irrigidirono quando sentì il nome di Sakunosuke, ma a Chuuya non importava più nulla a questo punto. “Se ci tieni così tanto a crepare allora buttati e falla finita!” continuò, indicando la strada sotto di loro con uno sguardo di sfida, “Giuro che stavolta non ti fermerò”.

Erano passati sei anni da quell’infausto giorno, ma lo ricordava come se fosse ieri: la chiamata sconclusionata nel pieno della notte, la corsa in moto fino all’appartamento di Dazai, il corpo privo di sensi del moro sul letto e le pillole sparse ovunque sul pavimento; erano solo due ragazzini, al tempo.

Dazai restaurò la sua solita espressione stoica e indecifrabile: “Sei troppo gentile, Chuuya” disse, guardando in basso come se stesse seriamente considerando la sua offerta, “ma ho ancora alcune cose da fare prima di lasciare questo mondo, mi dispiace” aggiunse.

Il rosso lo guardò con aria cinica: “Tsk, sei quasi credibile” brontolò.

“Sto cercando di essere una persona migliore, Chuuya, è una cosa così terribile?” chiese il moro.

Stavolta fu il rosso a scoppiare a ridere: “Non è terribile, Dazai, è inutile!” sbuffò, ormai incapace di trattenere i propri pensieri, “Non sei una brava persona e non lo sarai mai, ok? Potrai prendere per il culo i tuoi nuovi amici Detective ma non me. Ti conosco e so benissimo che tutto quello che stai facendo lo stai facendo solo te stesso, per sentirti meglio con la tua stupida coscienza! Di aiutare le altre persone non te ne frega proprio un cazzo, o sbaglio?” sbottò, stanco di quella messinscena.

Dazai serrò la mascella ma riuscì a mantenere la propria compostezza: “Mmh, forse hai ragione, sai? Forse le persone non possono cambiare. O forse ti sei convinto di questa cosa perché così non devi perdere tempo a interrogarti sull’eticità delle tue scelte” rispose con l’aria di chi ne sa una più del diavolo.

Chuuya si inalberò: “Oh, quindi adesso il codardo sono io? Solo perché non sto dalla parte dei ‘buoni’?!”

Dazai alzò le mani in segno di resa: “Parole tue, non mie”.

Il rosso gli puntò un dito contro: “Sei tu che mi hai trascinato nella Port Mafia, ricordi?!” gli fece notare.

“Sto solo dicendo che forse tutto questo risentimento che provi nei miei confronti nasce dal fatto che io sono riuscito a prendere una decisione che tu non saresti mai stato in grado di prendere” chiarì, e dio, quanto era insopportabile quando riusciva a rigirare le cose a suo favore!

“Senti, non so cosa cazzo credi di fare all’Agenzia ma appartieni alla Port Mafia e lo sai bene” disse il rosso.

Appartieni a me, Osamu. E’ quando siamo insieme che brilliamo di più.

“Non appartengo proprio a nessuno, Chuuya, e nemmeno tu” mormorò Dazai, cogliendolo di sorpresa.

Lasciatelo in pace. E’ perfettamente in grado di decidere da solo come usare il suo potere.

Erano quelle le parole che Dazai aveva rivolto ai suoi compagni delle Pecore, quando li avevano incontrati in sala giochi sette anni prima: quel giorno, Chuuya aveva capito che per quanto disprezzabile, Dazai era più di quello che dava a vedere; entrambi erano due facce della stessa medaglia, due bambini costretti a crescere troppo in fretta sotto il peso di un potere più grande di loro.

Il rosso schioccò la lingua e sbuffò: “Che c’è, vuoi che mi unisca all’Agenzia, adesso?!” chiese, voltandosi verso di lui finché entrambi si ritrovarono seduti a gambe incrociate uno di fronte all’altro.

“Credimi, è l’ultima cosa che voglio,” ribatté il moro, allungandosi in avanti per spostargli un ciuffo di capelli arancioni dalla fronte, “saresti un pessimo Detective” lo prese in giro.

Chuuya allontanò la sua mano con uno schiaffo: “Fottiti” ringhiò, ma sapeva che lo stronzo aveva ragione.
Non era tagliato per quel tipo di lavoro, e in ogni caso non avrebbe mai tradito la Port Mafia.

Proprio mentre stava per aggiungere qualcosa, Dazai lo interruppe: “Mi dispiace di non essere mai riuscito ad amarti” la sua voce era piana e profonda, gli occhi color cioccolato fissi sull’oceano, pensierosi e malinconici.
Guardandoli, Chuuya capì che non stava scherzando.

Le conversazioni a cuore aperto non erano mai state il loro forte, per ovvi motivi, ma non era raro che durante le loro ‘pause sigaretta’ volassero parole pesanti o affermazioni scomode; il rosso, tuttavia, non si sarebbe mai aspettato una dichiarazione del genere da parte di Dazai.

La loro era una storia lunga e turbolenta, una storia piena di paradossi e contraddizioni che avevano portato ad una serie infinita di fraintendimenti e questioni irrisolte: avevano imparato a sfruttarsi a vicenda come due organismi simbiotici, prendendo tutto quello che potevano l’uno dall’altro, senza riserve e senza interrogarsi sul prezzo; il loro legame era diventato talmente profondo che era impossibile capirne l’origine.

Lo chiamavano ‘odio’ perché era più facile definirlo così, ma entrambi sapevano che era qualcosa di più intimo, un sentimento così forte e inspiegabile che li costringeva a orbitare l’uno intorno all’altro come due pianeti affetti da una forza gravitazionale tutta loro.

Avrebbero potuto conquistare il mondo, se lo avessero voluto, ma entrambi non erano mai riusciti a mettere ordine ai loro pensieri e avevano finito per distruggersi a vicenda.

Chuuya si schiarì la voce: “Sì, lo so. A me dispiace non essere mai riuscito ad odiarti” sospirò prima di alzarsi in piedi e muovere i primi passi verso la porta delle scale anti incendio, “Io torno dentro, non disturbarti a seguirmi” annunciò, conscio di aver detto tutto quello che c’era da dire.

Dazai lo fermò prima che potesse allontanarsi troppo: “Potremmo avere bisogno del tuo aiuto con la Gilda” disse, aspettando la reazione del rosso. “Io e l’Agenzia” specificò.

L’altro si voltò fece un passo verso il moro: “E pensavi che un paio di orgasmi sarebbero stati sufficienti a comprare la mia cooperazione?” rise, fermandosi a pochi centimetri da lui.

Senza distogliere lo sguardo da Chuuya, Dazai allungò una gamba in avanti e strusciò il piede bendato contro il suo cavallo dei pantaloni: “Se facessimo tre?” si offrì con un sorriso malizioso.

Chuuya non provò nemmeno ad allontanarlo e, con la rapidità degna di un sicario della Port Mafia, tirò fuori il suo inseparabile coltello dalla tasca e glielo puntò alla gola: “Se mi rifiutassi?” lo sfidò.

“Non lo farai” rispose semplicemente il moro, spingendosi volontariamente contro la lama, “E’ chiaro che fossi già a conoscenza del piano, Ougai te ne avrà sicuramente parlato. Non disubbidiresti mai ai suoi ordini, giusto?” constatò senza il minimo dubbio.

Per sconfiggere Fitzgerald e la Gilda, sia Ougai che Fukuzawa avevano deciso di riportare in auge i Double Black per proteggere Yokohama dalla nuova minaccia europea.

“Se sapevi che avevo già accettato perché sei venuto qui? Per chiedere la mia opinione?” chiese Chuuya con una punta di sarcasmo, sinceramente confuso e curioso di capire quali fossero le sue vere intenzioni.

Il moro si avvicinò ulteriormente, lo sguardo magnetico fisso nelle iridi grigie del ragazzo di fronte a lui, la bocca a pochi centimetri dalla sua: “Volevo vedere se eravamo ancora in sintonia” ghignò.

Chuuya ponderò la situazione e alla fine decise di abbassare la lama: “E?” chiese, afferrandolo per i riccioli scuri e  tirandogli indietro la testa per avere libero accesso alle sue labbra.

Dazai rispose con un sibilo: “A-ha, direi che siamo ancora una bella squadra” sorrise, prima che il rosso lo baciasse senza alcuna traccia di affetto o delicatezza, le loro lingue intrecciate in un umido abbraccio.

Chuuya era facilmente manipolabile quando si trattava di sesso, ma le sue azioni erano quasi sempre imprevedibili ed era proprio quello che lo rendeva così affascinante agli occhi di Dazai: c’erano volte in cui il rosso si divertiva a trasformare tutto in un gioco perverso, altre volte in cui voleva solo che le cose finissero in fretta; alcune notti si lasciava sottomettere come un cagnolino, pronto a dargli piacere senza alcun tipo di vergogna, ma in altre occasioni preferiva rendergli le cose difficili e comportarsi come un bambino arrogante e capriccioso.

Dazai non sapeva mai quale suo lato avrebbe visto, ma che Chuuya fosse la vittima o il carnefice, la gentilezza non faceva mai parte del gioco.

Gli occhi del rosso si scurirono: “Tregua?” chiese, pronto a mettere da parte il rancore per un paio d’ore.

Dazai gli appoggiò una mano sulla nuca: “Tregua” convenne, annullando di nuovo ogni distanza.

Non c’erano Agenzia o Port Mafia sul tetto di quel palazzo, solo loro.

Il rosso gemette e lo attirò a sé, mordendogli il labbro inferiore: “Andiamo,” ansimò, indicando la porta che portava all’interno, “non ho alcuna intenzione di farlo qui fuori” concluse.

L’altro non sembrava pensarla allo stesso modo: “Perché? Sarebbe bello, invece,” mormorò, scendendo a baciargli il collo, “proprio come ai vecchi tempi” aggiunse, strappandogli un ansito strozzato.

Quel tetto gli ricordava molto la loro prima volta, quando avevano solo sedici anni, ed era proprio per quello che Chuuya voleva tornare dentro: “Non mi lascerò scopare sul cemento, è sporco e scomodo”.

“Non hai mai avuto di questi problemi, Chuuya” gli fece notare l’altro, divertito, “Ti ho scopato contro un cassonetto dell’immondizia, ricordi?” lo provocò, rigirandosi un ricciolo arancione tra le dita bendate.

Chuuya arrossì e gli diede un pugno sulla spalla per allontanarlo: “Ero ubriaco” cercò di difendersi, ma sapeva benissimo di essere poco credibile. Chi voglio prendere in giro?

Dazai spostò la mano sui suoi fianchi e fece scivolare le dita sotto la sua cintura: “Puoi sempre usare il mio corpo come materasso, se preferisci” si offrì, inumidendosi le labbra al solo pensiero.

Chuuya sopra di lui, i capelli ridotti ad un ammasso di nodi e gli occhi lucidi di lussuria mentre si lasciava ricadere senza vergogna sul suo corpo. Sì, ne ho bisogno.

Il rosso si morse un labbro e cercò di non pensare alla conseguenza delle sue azioni: “Affare fatto” disse.

Nel giro di poco, entrambi si lasciarono andare alla passione sotto il cielo stellato di Yokohama, unico testimone del loro ennesimo crimine.
 





Eccoci qua! Che dire... spero che questa one shot un po' malinconica vi sia piaciuta! Sentitevi liberi di commentare o di lasciarmi qualche suggerimento, mi fa sempre molto piacere sapere cosa ne pensate :D

Alla prossima!!

Ilaria;)


 
  
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