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Autore: Mnemosine__    17/08/2022    0 recensioni
I sensi di ragno trillarono all’improvviso e Peter fece appena in tempo a girarsi leggermente e stendere il braccio davanti al proprio viso, per fermare una patata diretta alla propria nuca.
“Lo avevo detto che l’avrebbe sentita arrivare!” gridò la piccola Morgan Stark a poca distanza da lui, rivolta ad Harley Kneer che si era coperto il viso con le mani e sbirciava da dietro le dita.
“Scusa!” gridò, dopo essersi accorto dello scampato pericolo. “Non sono riuscito a fermarla.”
“Non fa niente.” Disse Peter, in risposta, camminando verso i due e stringendo la patata tra le dita.
“Hai visto? Harley e io abbiamo fatto una pistola a patate!” Morgan gli mostrò la propria arma: due tubi incastrati l’uno nell’altro con alcune patate all’interno e alcune molle al centro a costituire il meccanismo.
[Post-endgame - What if - Morgan, Peter, Harley]
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Peter Parker/Spider-Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Legacy



Peter chiuse gli occhi per qualche secondo cercando di frenare l’imminente discesa delle lacrime. Non poteva permettersi di piangere, non lì, non in quel momento.
Intorno a lui c’erano gli eroi più potenti della terra, la sua famiglia. Gli eroi che idolatrava da tutta la vita erano lì, al suo fianco.
Spesso, mentre faceva l’amichevole Spider-man di quartiere, Peter aveva sperato di poter essere qualcosa di più. Aveva desiderato così ardentemente di far parte di quella squadra, di poter combattere al loro fianco, di poter essere come lui.
Aprì gli occhi e li fece scorrere sulle spalle di Pepper Stark, oltre il molo, fino alla ghirlanda di fiori che galleggiava sull’acqua del lago.
Quando era piccolo, zio Ben lo aveva portato all’Expo, dove il signor Stark faceva da magnate. Ricordava ancora la gioia provata davanti a tutte quelle cose tecnologiche che, ancora, non riusciva a capire. E poi i robot erano impazziti. Avevano iniziato a sparare alla folla che, in preda al panico, era fuggita da tutte le parti.
Aveva perso zio Ben. Ricordava perfettamente il momento in cui Iron-Man – Tony – era atterrato davanti a lui ed aveva sparato un raggio propulsore contro la macchina che stava per farlo a fettine. A pensarci bene, ora, l’idea di far finta di combattere con armi giocattolo un robot assassino senza nessun potere da ragno non era stata proprio una delle sue migliori trovate. Ma Tony si era voltato verso di lui e gli aveva detto di aver fatto un ottimo lavoro. E fu proprio in quel momento Peter aveva deciso di voler essere come lui.
Anni dopo, Tony era comparso nel suo appartamento per chiedergli aiuto. E, ovviamente, Peter aveva accettato.
Si guardò intorno, passandosi la lingua sulle labbra, per cercare di ammorbidirle. Pepper, Morgan, Happy e il colonnello Rhods erano in prima fila, davanti a lui.
Al suo fianco, dietro di lui fino al portico della casa, erano riuniti gli eroi sopravvissuti.
Erano chiusi in loro stessi, cercando di contenere quel dolore silenzioso in tutti i modi.
Lui era Spiedr-man, faceva parte degli Avengers, faceva parte di quella squadra. Avrebbe dovuto fare come loro. Ma era così dannatamente difficile.
Aveva solo diciassette anni.
Tornò a guardare la ghirlanda che ondeggiava lentamente sulle onde, il primo reattore Arc di Tony che scintillava al centro.
Era stato Tony ad insegnargli, in quegli ultimi due anni. Era stato Tony che lo aveva fatto diventare un Avenger.
Sentì zia May stringergli le spalle, cercando di dargli conforto. Peter si lasciò uscire dalle labbra un respiro tremolante e strinse le mani a pungo, portandole dentro le tasche dei pantaloni. Sussultò, sentendo la stoffa ruvida a contatto con la propria pelle.
Aveva messo quel completo una sola altra volta, prima. Per il funerale di zio Ben. All’epoca, aveva pregato di non doverlo più indossare. Scosse la testa, quando un’altra lacrima minacciò di scendergli sulla guancia.
Guardò Pepper alzarsi in piedi e lasciare un bacio sulle proprie dita, per poi allungare la mano verso la ormai piccola ghirlanda che si stava spostando verso il centro del lago.
Prese la piccola bambina al suo fianco per mano, sussurrandole parole dolci, per poi voltarsi verso di loro.
 
La prima volta che Peter aveva visto Pepper Potts era rimasto impressionato dal suo carattere. A prima vista, gli era sembrata una donna forte e decisa, l’unica, forse, in grado di poter gestire Tony Stark. E l’unica a cui il suo mentore desse retta.
In quel momento, Peter si stupì di come Pepper stesse gestendo quella situazione. Invece di abbassare gli occhi arrossati, Pepper li stava facendo vagare su ognuno di loro. Peter batté le palpebre più volte, quando la rossa posò lo sguardo su di lui mordendosi un labbro. La vide tentennare, mentre lo guardava, così decise di provare a stringere le labbra cercando di dare forma ad un lieve sorriso. Probabilmente non gli riuscì molto bene e, forse, quella che stava facendo era solo una smorfia malriuscita, ma Pepper sembrò apprezzare il gesto, perché la vide ammorbidire lo sguardo.
Fece un paio di passi in avanti, Rhody ed Happy alle sue spalle, e si fermò davanti a Steve Rogers e il re di Asgard, vicino a dov’erano lui e May. “C’è un’ultima cosa…” La sentì sussurrare, grazie ai sensi potenziati. “Un – un video. Lo aveva…” il petto le si alzò lentamente, mentre cercava di trattenere un respiro troppo forte.
“Certo.” Rispose per entrambi il Capitano, mentre Thor annuiva in silenzio.
Pepper aprì e chiuse un paio di volte i pungi della mano che aveva lasciato lungo il fianco, mentre l’altra stringeva quella di Morgan. “Okay. Allora… andiamo dentro.” Deglutì.
Peter lasciò uscire un respiro pesante dal naso, quando i sei lo superarono. Abbassò il capo, pensando che, forse, quello poteva essere il momento giusto per andarsene. Si sentiva di troppo, lì, tra gli amici del signor Stark, la sua famiglia.
Lui era solo un ragazzino del Queens.  
 
“Peter?”
Sussultò, quando sentì chiamare il proprio nome. Si voltò, lentamente, non certo che Pepper stesse parlando proprio con lui.
Alzò lo sguardo, incontrando gli occhi della signora Stark, in piedi a pochi metri dal molo, che lo guardava, in attesa. Indicò la casa con il capo. “Non vuoi venire?”
Peter sentì un’ondata di nausea minacciare di fargli rimettere la misera colazione che si era concesso quella mattina, prima di vestirsi per raggiungere la casa sul lago. All’improvviso si sentì la lingua di cemento, impossibilitato dal poterla muovere.
Sentì la mano della zia fare una leggera pressione sulla sua schiena. “Vai, piccolo. Ti aspetto qui.” Lo incoraggiò.
 
Peter deglutì, certo che se avesse provato a dire qualcosa non sarebbe uscito nulla dalle sue labbra. Si sentiva osservato. Tutti lo stavano fissando, attendendo una sua decisione.
Con fatica, mosse il primo passo verso il piccolo gruppo, cercando di non inciampare nei propri piedi. Evitò di alzare lo sguardo, volendo tenerlo fisso sul cammino davanti a sé. In quel momento, probabilmente, nemmeno i sensi di ragno lo avrebbero salvato, se non avesse visto la buca su cui stava per mettere il piede.
Con la coda dell’occhio notò, in disparte, un ragazzo che avrà avuto sì e no la sua età, con le mani nascoste nelle tasche della giacca. Non sapeva chi fosse, ma sembrava soffrire quanto lui. Probabilmente, a causa dello sguardo fisso su di lui, il giovane alzò gli occhi da terra, incrociando per qualche secondo quelli di Peter, prima che il super-eroe riuscisse ad abbassare il viso, colto in flagrante.
Sentì sulle spalle il peso dello sguardo dell’altro ragazzo, ma non osò riportare gli occhi su di lui.
Seguì il piccolo gruppo fino alla casa, chiudendo la fila e rischiando di scivolare sulle scale della veranda. Quando entrò in casa si fermò il più vicino possibile all’uscita, dietro il divano su cui si stavano sedendo Pepper e Morgan. Thor e Steve Rogers si sistemarono ai lati dei braccioli, affiancati da Rhody ed Happy.
Peter si guardò intorno, intontito. Quella era la casa di Tony.
 
Sorpreso, fece vagare lo sguardo in quella stanza piena di mobili di legno, senza palmari o schermi di nessun tipo, troppo semplice per come ricordava fossero i gusti del signor Stark.
Vide Pepper appoggiare in silenzio il casco di Iron-man sul tavolino davanti al divano.
“Tony ha fatto questo, prima di partire per il complesso.” Disse con voce rauca. Schiacciò un pulsante interno, per poi lasciarsi scivolare sui cuscini.
 
Lentamente, un ologramma di Tony prese forma davanti a loro.
Peter strizzò gli occhi. Aveva visto Tony solamente il giorno prima. Il giorno prima.
L’ologramma si sedette su una sedia, facendo una leggera smorfia.
 
Tutti vogliono un lieto fine, giusto? Ma le cose non vanno sempre così. forse stavolta. Spero che, se ascolterete questo messaggio, sia per festeggiare. Spero che le famiglie siano riunite, che sia tornato tutto, che si sia ristabilito qualcosa che assomiglia ad una versione normale del pianeta. Sempre che sia mai esistita – che mondo meraviglioso – che universo, ora. Se mi avessero detto dieci anni fa che non eravamo soli, di altre forme di vita – figuriamoci, non… non – sarei rimasto sorpreso. Dai, chi immaginava? Le… forze epiche dell’oscurità e della luce che entrano in gioco. Nel bene e nel male questa è la realtà in cui Morgan dovrà trovare un modo per crescere. Così ho pensato ‘meglio registrare un salutino in caso di una prematura dipartita’ – la mia, intendo. Insomma, non che la morte non sia sempre prematura. Il viaggio nel tempo che tenteremo di fare domani mi – mi sta facendo perdere il sonno con questo fatto della sopravvivenza. Ma il compito dell’eroe è questo: una parte del viaggio è la fine. Ma perché questo trip? Tutto quanto andrà esattamente come… deve andare. Ti amo tremila.” Finì l’immagine del signor Stark rivolta a Morgan.
 
Peter strinse gli occhi. Tony lo sentiva, lo sentiva che le cose sarebbero andate in quel modo.
Voltò lo sguardo verso una mensola, vicino alla porta. C’erano delle foto incorniciate, sopra. Tony e Pepper con Rhody ed Happy, un paio di scatti di quella che, probabilmente, era Morgan da piccola, il bacio all’altare alla fine del matrimonio… Peter si bloccò.
Involontariamente fece alcuni passi verso le fotografie, per poterle osservare meglio.
Lo riconobbe immediatamente. Il selfie che aveva fatto con il signor Stark alla fine della gara di scienze a scuola. Dopo la premiazione era andato con Happy, zia May, Tony e Pepper a festeggiare il primo posto con coca-cola e cheeseburger. Ed eccolo lì, Peter con la medaglia al collo e l’angolo della bocca sporco di maionese, mentre scattava un selfie proprio quando il signor Stark stava addentando il proprio panino.
“Era una delle sue foto preferite.” Peter sussultò, quando si accorse della presenza di Happy alle proprie spalle. “Ha fatto l’impossibile per riportarti indietro.” Aggiunse, posando gli occhi sulle fotografie che li ritraevano insieme.
Peter non rispose, ma assorbì quell’informazione in silenzio, continuando a guardare il signor Stark mangiare con gusto il panino ricolmo di carne e salse di ogni tipo.
Tony non avrebbe più potuto mangiare cheeseburger, non avrebbe più potuto baciare sua moglie e, soprattutto, non si sarebbe più preso cura di sua figlia.
Non avrebbe più potuto vivere, perché lo aveva riportato indietro.
 
“È colpa mia se è morto.” Si lasciò sfuggire dalle labbra.
Vide Happy voltare la testa di scatto, terrorizzato da quella risposta. “Non è vero – Peter – non dirlo mai più… non è assolutamente colpa tua.” Disse a voce alta, cercando di mantenere lo sguardo con quello di Spider-man.
Peter scosse la testa, cercando di non dare peso al senso di ragno, che lo avvertiva di essere osservato. Aveva notato come tutti si fossero voltati verso di loro.
“E allora di chi è?” chiese, con un filo di voce. Guardò fuori dalla finestra. Gli Avengers erano tutti fuori, in lutto, raccolti nel loro dolore, perché Tony non c’era più.
Strinse gli occhi, cercando di distogliere lo sguardo dal viso del signor Stark.
“Conosceva i rischi, ragazzo. C’è sempre un prezzo da pagare.” Sussurrò Captain America, guardandosi le scarpe.
Peter non rispose, cercando di non sentire il peso dello sguardo di Pepper Potts sulle proprie spalle. Tony aveva rinunciato alla sua famiglia, per riportarlo indietro. Voltò leggermente la testa, intravedendo la figura della piccola Morgan Stark, nascosta dietro le gambe della madre.
“Non ne valeva la pena.” Soffiò piano. Scosse la testa, mordendosi l’interno della guancia e cercando di trattenere la grossa lama che sembrava voler uscire dal proprio cuore a furia di dilaniargli il petto.
“No, Peter.”
“Queens, non puoi dire così.”
“Ragazzino…”
Si voltò verso gli adulti che avevano fatto un passo tremolante verso di lui. “No, è vero. Aveva – si era fatto una – una famiglia, aveva…” cercò di non guardare Morgan, di non incrociare uno sguardo così simile al suo.
“Peter.” Pepper chiuse gli occhi, mentre una lacrima solitaria le bagnava la guancia. “Sono anni che – è da quando ti ha… perso, che cercava un modo per portarti indietro.” Si morse un labbro, per poi camminare lentamente verso di lui e mettergli le mani sulle spalle. “Hai sempre fatto parte della famiglia. Ne fai parte.”
Peter sobbalzò sul posto, mentre un’ondata di nausea si faceva largo dal suo stomaco fino alla base della gola, minacciando di far uscire il misero pasto che era riuscito a fare quella mattina.
Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di tornare a guardare gli occhi decisi di Pepper Stark.
“Non devi dire niente.” Lo bloccò lei. “Ma non è – e ripeto, non è – assolutamente colpa tua.” Socchiuse gli occhi per qualche secondo, per fermare le nuove lacrime che stavano minacciando di uscire allo scoperto.
Peter si passò la lingua sulle labbra screpolate, guardando in basso per nascondere il viso.
“Capito?”
“Io…” Peter deglutì, cercando di scacciare la forte ondata di nausea. Annuì, in silenzio, convinto di non essere in grado di dire nulla di utile, in quel momento delicato.
“Coraggio, ragazzo.” Disse Thor, con voce rauca. “Nel mio mondo i grandi guerrieri vengono accolti nel Valhalla, trascorrono l’eternità tra risse e banchetti.” Spiegò, mentre ondeggiava verso la porta. “Sono sicuro che Nat e Stark si staranno divertendo, magari – sì, beh, magari hanno trovato anche Loki, laggiù. O lassù. Sapete… è un po’ complicata, la magia degli dei – bevi questo, ragazzo, ti tirerà su – ma potrei, potrei spiegarvelo meglio, se volete.”
Farfugliò mettendo nelle mani di Peter una lattina di birra mezza vuota, la stessa che stava sorseggiando il dio norreno fino a pochi secondi prima.
“Thor…” Peter sentì alle proprie spalle la voce di Captain America piena di disappunto.
“Sono – sono minorenne, in verit…”
“Mio padre mi ha cresciuto con idromele e cinghiale, non è mai troppo presto… troppo presto per iniziare a bere da veri uomini.” Thor indicò la lattina. “Però, forse, forse è meglio che questa la finisca io.” Disse riappropriandosi della bevanda, per poi dirigersi verso la porta.
“Stark è nel Valhalla, ne sono… sicuro.” Tartagliò il dio, fermandosi all’ingresso.
“Dove vai?” Chiese Rhody, incrociando le braccia.
“A nuova Asgard hanno bisogno del sovrano.” Raccolse Stormbreaker da dentro il portaombrelli. “Ma non di me. C’è bisogno di un re che si prenda cura di loro e – Credo che… credo che abdicherò.” Disse prima di alzare l’ascia magica in aria ed alzarsi in volo.
 
“Ok.” Sospirò Happy. “Quel tizio ha bisogno di un aiuto emotivo.”
Peter vide con la coda dell’occhio le spalle degli altri abbassarsi leggermente, mentre qualche accenno di sorriso si faceva largo sulle loro labbra. Pepper tornò dalla figlia, che era rimasta a giochicchiare con il casco di Iron Man, dall’altra parte del salotto.
“Potremmo fissargli un appuntamento da qualche terapista.” Aggiunse Rhody, scuotendo la testa.
“O da un dietologo.” Continuò il Capitano, mordicchiandosi l’interno della guancia.
 
Peter vide Pepper sussurrare qualcosa all’orecchio di Morgan, che, se n’era accorto da quando era arrivato al lago, ogni tanto gli lanciava degli sguardi curiosi.
Ad un cenno affermativo della madre, la bambina avanzò lentamente verso di lui.
“Papà – papà mi ha raccontato di te.” Disse, fermandosi proprio davanti a lui.
Peter sbarrò gli occhi, colto di sorpresa. “Davvero?” chiese, quasi in un sussurro.
Vide la piccola tirare su con il naso, mentre si asciugava una lacrima con la manica del vestito.
“Sei Peter, mio fratello.” sentenziò con semplicità.
Peter si bloccò sul posto, impietrito.
“Però ha detto che non sei suo figlio, ma lo sei. Non ho capito molto.” La bambina giocò con il bordo della gonna. “Ma non importa. Volevo tanto un fratello grande.”
“Io…”
Peter tremò, non sapendo come gestire quella conversazione.
Il Signor Stark aveva raccontato a sua figlia, alla sua vera figlia di lui, di lui come fratello.
Il cuore di Peter iniziò a battere all’impazzata. La figlia di Tony Stark era lì, davanti a lui, più reale e solida che mai, e sottolineava con la propria presenza il tempo che, per i sopravvissuti allo schiocco di Thanos, era veramente passato.
Guardò Pepper cercando un’indicazione sul cosa dover dire o fare, ma la donna alternava lo sguardo tra lui e Morgan, gli occhi lucidi.
Morgan lo guardò, concentrata. “Sei come nelle foto.” Aggiunse la bambina, muovendo gli occhi sul viso del più grande e scandagliando ogni dettaglio con occhi attenti. A sua volta Peter ne approfittò per studiare il viso di Morgan, ricercando e distinguendo i tratti di Pepper da quelli di Tony.

Due giorni prima, quando il dottor Strange gli aveva detto, ancora su Titano, che erano passati ben cinque anni, Peter non ci aveva creduto. Anche quando era tornato sulla Terra, dopo la battaglia, gli era stato difficile credere al passaggio del tempo. Per lui non era trascorso che un attimo.
Ma Morgan aveva quasi cinque anni. Morgan aveva vissuto ed era cresciuta con Tony mentre lui non c’era, perché era morto. Ma ora era stato riportato indietro, cinque anni dopo.
Ed eccola lì. La prova vivente del reale tempo trascorso di quelli che, per lui, erano stati pochi secondi. Un brivido gli percorse la schiena. Erano passati anni, ma lui era esattamente come prima, quando gli altri erano invecchiati e portavano sul viso i segni del tempo trascorso.
“Sono Morgan.” Disse la bambina, riempiendo il silenzio. “Tu non mi conosci perché non c’eri – prima, io sono nata quando non c’eri.” Tentennò.
Peter deglutì, cercando di rimandare da dove era salito il sapore amarognolo che aveva in bocca.
“Piacere di conoscerti, Morgan.” Disse, piegando le ginocchia per essere alla stessa altezza della bambina. “Sono… sono Peter.”
“Lo so.” Rispose lei, facendo un passino verso di lui.
Peter alzò lo sguardo verso Happy, alle spalle di Morgan, non sapendo esattamente cosa fare. Lui era bravo con i bambini, di solito. Spesso, quando pattugliava le strade di New York, si fermava a giocare a pallone con alcuni o ne accompagnava a casa altri. Quella, però, non era una bambina qualunque.
Era la figlia di Tony. Ed era convinta che lui fosse suo… fratello.
Com’era possibile?
Vide Happy aprire le braccia, facendogli segno di fare altrettanto.
Peter sentì una prepotente ondata di nausea farsi largo dal suo stomaco fino alla bocca, ma fece come gli era stato suggerito. Aprì le braccia, timidamente e, contro ogni sua aspettativa, la bambina squittì a quel gesto. Non se lo fece ripetere e si lanciò verso le braccia di Peter che emise un piccolo verso sorpreso, ma riuscì prontamente ad afferrarla e la strinse a sé, e lei affondò il viso nella sua spalla. La tenne stretta, quando lei gli cinse il collo con le braccia. Il cuore di Peter iniziò a battere all’impazzata.
Guardò gli adulti presenti nella stanza, a disagio, non sapendo se fosse meglio rimanere lì, accucciato, o alzarsi in piedi.
Optò per la seconda opzione e, strette le braccia attorno al corpicino di Morgan, con un colpo di reni distese le ginocchia e si alzò in piedi. Morgan, si aggrappò più forte a lui. Peter riassestò l’abbraccio, stringendole le spalle e accarezzandole la schiena. Morgan si sistemò tra le sue braccia e si allontanò abbastanza da riuscire a girarsi verso la madre.
“Hai visto, mamma? Petey è qui.” Le fece notare, sorridente.
Peter guardò Pepper e la vide lottare il suo viso tra l’esprimere la tristezza provata per la perdita del marito e la gioia di quel momento.  
“Si, piccola. Petey è qui.” Ripeté Pepper.
“Sai, Morgan, la prima volta che ho incontrato Peter, lui mi ha rubato lo scudo.” Disse Captain America.
Peter vide gli occhi di Morgan spalancarsi. “Davvero?”
Steve Rogers sorrise, sedendosi sulla poltrona di fianco al divano. “Già. Ha fatto una capriola in aria e con una ragnatela mi ha sfilato lo scudo dalle mani.” Continuò.
Morgan si voltò verso Peter. “Hai preso il suo scudo?”
Peter annuì, mesto, mentre Morgan si dimenava per essere lasciata libera di camminare per conto proprio.
“Gli stava molto bene, se devo essere sincero.” Aggiunse il capitano. Peter, imbarazzato, si passò una mano sui capelli.
“Già. Peccato che non sia stato un incontro di piacere.” Aggiunse il signor Rhods. “Il tuo papà e il capitano avevano appena litigato.” Disse, mentre Morgan correva verso il signor Rogers per farsi raccontare quella storia.
 
Peter si morse un labbro, assistendo ad una conversazione che si faceva via via più distesa, anche se riusciva a percepire la tristezza di fondo che, comunque, aleggiava in quel salotto.
Quando Pepper e gli altri si sedettero sul divano per continuare a parlare, seppur lentamente, del signor Stark, Peter pensò che quello fosse il momento adatto per uscire di scena.
Fece un passo indietro, in silenzio, poi un altro e un altro ancora, per poi raggiungere la porta ed uscire in veranda.
Gli altri erano ancora tutti fuori, divisi in gruppi più piccoli. Qualcuno si girò verso di lui, ma non gli diedero molto peso.
Peter notò con la coda dell’occhio Carol Danvers e Nick Fury, appena sotto le scale. Captain Marvel lo salutò con un cenno della testa e Peter riuscì a fare lo stesso, senza soffermarsi davvero sulla coppia mentre scendeva i gradini, veloce, e camminava verso il retro della casa.
Raggiunse l’albero più vicino e, senza preoccuparsi di essere visto o meno, saltò sul ramo più basso; dopo essersi sistemato, poggiò la schiena al tronco e lasciò penzolare le gambe verso il vuoto.
Chiuse gli occhi, cercando di ascoltare i rumori della natura, il cinguettio degli uccelli, il fruscio del vento sulle foglie. Cercò di non pensare a dove si trovava, a cos’era appena successo, provò ad immergersi in quel meraviglioso boschetto che, forse, poteva cancellare, anche se solo per qualche minuto, tutto ciò che era successo nell’ultima settimana, a partire dalla sua brillante idea di salire su una navicella spaziale aliena.
Era stremato dagli ultimi giorni, aveva preso parte ad uno scontro con strani alieni ruba-ciondoli-agli-stregoni, una gita clandestina alla Star Wars, era addirittura diventato un Avenger, ma poi si era dissolto in polvere, era diventato nulla, anche se pochi secondi dopo si era ricomposto e il dottor stregone lo aveva portato al centro di una nuova battaglia; aveva anche visto il signor Stark, per un breve momento, ma poi il suo mentore era morto, perché aveva tenuto tra le dita il più grande potere dell’universo. Troppo per soli tre giorni.
Era quasi sul punto di addormentarsi, quando una voce lo risvegliò dal dormiveglia in cui era caduto.
 
“Ciao.”
Peter sussultò, colto alla sprovvista. Si guardò intorno per qualche secondo, prima di pensare che difficilmente qualcun altro sarebbe riuscito a salire su un albero di quel tipo senza un aiuto, per poi abbassare lo sguardo e notare che, a sei metri da lui, c’era il ragazzo che aveva visto durante il funerale. Sembrava poco più grande di lui ed era sicuramente più alto.
“Ciao.” Rispose Peter, in difficoltà.
“Volevo parlarti, dopo il funerale, ma… dopo che sei uscito di casa sei scappato.” Tentennò il ragazzo, dondolando sui piedi. “Sono Harley Keener.” Si presentò.
Peter socchiuse gli occhi, cercando di ricordare dove avesse sentito quel nome, aveva un suono familiare.
“Sono… Ero un amico di Tony – cioè, l’ho ospitato nel mio garage per… è complicato. Ma mi ha dato una mano, anche con la domanda per il college.” Sospirò. “Quello che voglio dire… so che era importante anche per te, o non saresti qui.”
Peter chiuse gli occhi. Per lui, Tony Stark non era solo importante. Si era preso cura di lui, a modo suo. Gli aveva insegnato ad essere un Avengers, ad essere migliore.
“Parlare di lui potrebbe fare bene… a entrambi. Se vuoi.” Harley calciò un rametto spezzato con il piede, tentennante.
Peter chiuse gli occhi qualche secondo, mentre Harley biascicava qualche spiegazione che aveva letto in uno studio riguardo al senso di lutto pubblicato da poco nella sua università.
Dopo zio Ben, Tony era diventato il modello da seguire e ora… ora non c’era più. Aveva perso anche lui.
“So che sapere della morte di Tony deve essere stato un duro colpo, io credevo fosse uno scherzo, quando l’ho sentito, ma…”
“Nessuno me lo ha detto. È morto davanti a me. Davanti agli Avengers. Uno spazio pieno di super eroi e nessuno di noi lo ha potuto salvare!” Rispose Peter, dal suo ramo.
“Sono andato su Titano, per lui, per aiutarlo e gli sono scomparso tra le braccia. Poi sono tornato e – erano passati cinque anni, cinque anni e sono stato catapultato in una nuova battaglia contro Thanos.” Disse, ringhiando, mentre con un movimento fluido portava entrambe le gambe dalla stessa parte del ramo, per guardare meglio Harley negli occhi. “L’ho visto per un solo secondo, uno solo perché poi ha usato le gemme per salvarci.”  

“So quello che provi.” Provò a dire Harley. “E magari…”
“Non hai idea di cosa provo.” Sputò fuori dalle labbra Spider-man. “Non ne hai proprio idea.” Chiuse gli occhi, cercando di frenare le lacrime che, prepotenti, minacciavano di sgusciare via dalle ciglia che cercavano, invano, di trattenerle.
“Sono tornato, dicono tutti, ma io non ho la minima idea di dove sia stato. Per me sono passati pochi secondi di nulla e – e invece scopro di essere sparito per cinque anni.”
Peter scosse la testa. “Cinque anni in cui il Signor Stark ha cercato di riportarmi indietro e – ha avuto una figlia. Due giorni fa Morgan non c’era e invece ora è qui, ed è nata da cinque anni, mentre io non ero niente!”
Strinse tra le dita il tronco che stava utilizzando per non scivolare dal ramo su cui era salito, per poi sentire un sonoro CRACK ed accorgersi di aver lasciato il segno della mano impresso nel legno.

Si bloccò, improvvisamente senza fiato, mentre il giovane ai piedi dell’albero lo guardava, in silenzio, e abbassava lo sguardo, mortificato.
“Sc – Scusa.” Balbettò Peter. “Io –“ alzò lo sguardo, quando i sensi di ragno trillarono all’impazzata. “Morgan.” Si lasciò sfuggire dalle labbra, notando la bambina a pochi passi da Harley che lo guardava, impaurita.
Silenzioso e agile, scivolò con grazia dal ramo su cui era seduto, atterrando ai piedi dell’albero e attutendo leggermente la caduta piegando le ginocchia, mentre Harley si girava verso di lei, guidato dal richiamo di Peter.
Morgan li guardò entrambi, stringendo la piccola custodia che teneva tra le mani, Peter se ne accorse solo in un secondo momento, non sapendo esattamente cosa fare.
“Ehi, Morgan.” Ripeté Peter, facendo un passo verso di lei. “Non – non volevo gridare. È solo che ...”
“Ci manca Tony.” Completò Harley, per lui.
“Ho una cosa. Da papà.” Disse lei, dondolandosi sui talloni. “Ha detto – aveva detto di dartela.” Aggiunse, porgendo a Peter il pacchetto di legno con entrambe le mani.
“A me?” soffiò piano Peter dalle labbra.
“Mhmm.” La bambina lasciò la custodia tra le mani del più grande, mordendosi un labbro. “Ha detto – ha detto ‘per quando torna Pete’.”
Peter guardò le proprie mani, tremolanti, stringere la piccola scatola di legno, avendo paura di lasciare la presa da un momento all’altro.
Per quando torna Pete.

“Conoscevi papà?” chiese Morgan, rivolta ad Harley. “Anche a te manca?”
Peter smise di ascoltare, sentendo le voci dei due farsi via via più ovattate, mentre guardava la scatola.
Il Signor Stark gli aveva lasciato un regalo. A lui. Lo aveva dato a Morgan, sua figlia, perché glielo consegnasse personalmente.
Non riusciva a capire, Peter, cosa fosse successo in quei cinque anni di nulla che, per lui, non erano stati altro che pochi attimi, per far sì che la famiglia Stark al completo – Rhody ed Happy compresi – lo considerassero parte integrante del gruppo.
L’ultima volta che aveva visto Pepper, a cena insieme al signor Stark e zia May, lei era stata gentile; Peter, però, era sicuro che negli occhi della donna, prima, non ci fosse l’affetto che aveva visto rivolgergli nelle ultime ore. Pepper, come anche il colonnello Rhodes ed Happy, lo avevano guardato in modo diverso per tutto il funerale. Si erano rivolti a lui con una tale premura che, davvero, Peter non riusciva a comprendere. Lui era solo un amichevole Spider-man di quartiere.
E poi c’era Morgan. La bambina, i pochi momenti in cui Peter se n’era accorto, lo guardava con entusiasmo, oltre che con timore. Ma, Peter lo aveva visto, non era un timore pauroso, il suo, sembrava quasi che Morgan lo guardasse come lui era certo di guardare Tony. L’espressione carica di aspettative della bambina sembrava riflettere lo stesso sguardo che Peter rivolgeva al Signor Stark ogni volta che aveva paura di deluderlo.

Fratellone?” sussultò, rendendosi conto della realtà attorno a sé, notando gli occhi di Morgan guardarlo, curiosi.
Non era la prima volta che Morgan lo chiamava così, quel giorno. Ma Peter non riusciva a capacitarsi di come una bambina che non aveva mai visto lo considerasse in quel modo.
Vide Harley sussultare, sorpreso, quando Morgan si appellò a Peter in quel modo. I suoi occhi saettarono, veloci e curiosi, tra lui e la bambina.
“Io…” mormorò, dopo qualche minuto di silenzio, strinse la scatola tra le dita, attento a dosare la propria forza per non rovinarla. “Mi dispiace, io – non. Grazie, Morgan.” Balbettò, cercando di mantenere lo sguardo ancorato a quello di Morgan.
“Che ne dici se lasciamo a tuo fratello un po’ di spazio per aprire il suo pacchetto? Potrei – potrei raccontarti della pistola-spara-patate che ho costruito con il tuo papà.” Propose Harley, prendendo in mano la situazione, forse notando l’espressione tentennante dell’altro giovane. “Magari potrei anche farti vedere come si fa, mi basterebbe avere un paio di bottiglie e alcune molle.”
“E le patate?” chiese la bambina, particolarmente interessata.
“Giusto, anche le patate.” Sorrise Harely, per poi rivolgersi a lui. “Noi andiamo verso il gazebo, intanto.”
“D’accordo.” Rispose Peter, ringraziandolo con un mezzo sorriso, mentre si rigirava la scatola tra le mani.
“Poi vieni?” chiese Morgan, guardandolo. Peter tremò sotto lo sguardo carico di aspettative della piccola, ma cercò di sorriderle ed apparire tranquillo. “Certo. Dammi, dammi solo qualche minuto.” Garantì.

Soddisfatta della risposta, la piccola Stark accettò la mano di Harley, diretto verso la cucina per recuperare un paio di bottiglie di plastica.
Peter seguì i due con lo sguardo, sentendoli chiacchierare su come avrebbero dovuto incastrare le bottiglie tra di loro.
Solo quando furono fuori dalla sua portata d’orecchio, Spieder-man decise di riportare gli occhi sulla custodia che aveva ancora stretta tra le mani.
La portò vicino al viso e fece un profondo respiro tremolante. “Forza, Spider-man.” Si disse, prima di alzare il coperchio con i pollici.
Gli mancò il respiro. “Ma che…”
Spattè le palpebre un paio di volte, per essere sicuro di non aver avuto una visione. “Non è possibile – questi…” avvicinò agli occhiali le dita, cercando di non farle tremare troppo, togliendoli dalla custodia.
Con l’altra mano chiuse la scatola, cercando il foro della tasca alla cieca e riuscendo a infilarla solo al terzo tentativo, mentre gli occhi erano concentrati ad ammirare ciò che aveva in mano.
Soffiò, piano, dalle labbra, mentre con delicatezza apriva le stanghette.
“Ok… forza.” Si ripetè, prima di indossarli.

Guardò ciò che aveva intorno attraverso le lenti, leggermente scurite, cercando di non dare di matto. Quelli erano gli occhiali che aveva sempre visto indossare a Tony. A coprire gli occhi, nella tasca del completo al posto del fazzoletto, appesi sul collo della maglietta, Tony non se ne separava mai.
Sussultò quando vide dei movimenti davanti a sé e subito piegò le ginocchia ed alzò le mani, pronto per qualsiasi scontro. Poi, però, si accorse che il movimento proveniva dalle lenti stesse.
“Verifica di identità.” Sentì una voce provenire dalle stanghette, quasi come se avesse un auricolare nelle orecchie.
“Cosa…?” Peter si guardò intorno, notando come le lenti degli occhiali emettessero dei bagliori rossi e blu e accorgendosi solo in un secondo momento che gli stavano scandagliando la retina.  “Ciao, Peter.”
Peter deglutì, non sapendo esattamente cosa dire agli occhiali.
Sono E.D.I.T.H. Even dead I’m the hero. Tony adorava gli acronimi.” Peter si ritrovò ad annuire, d’accordo con l’intelligenza artificiale.
“Ho un messaggio per te, lo vuoi vedere?” chiese la voce, aspettando una conferma.
Peter sussultò. “Un… messaggio? Per me?” Tony gli aveva lasciato un messaggio personale? Solo per… lui?
“Il messaggio è per Peter Parker.” Rispose Edith.
Peter strinse le labbra, facendo alcuni passi verso l’albero da cui era sceso poco prima, rifugiandosi dietro al tronco.
“Va… va bene.” Annuì, piano. “Mostramelo.”

Le lenti brillarono e Tony Stark appariva proprio davanti a lui. Peter si tolse le lenti, di scatto, ma davanti a lui non c’era nessuno. Era da solo. Si rimise gli occhiali e il proprio mentore era lì, a pochi metri da lui.
Fece per sfilarseli di nuovo, ma Tony alzò una mano. “Non… non sono davvero qui, qui. È un messaggio registrato.” Spiegò.
“Tony…” Eccola lì, la nausea che era riuscito a scacciare grazie alla solarità della piccola Morgan.
“Non so nemmeno perché lo sto facendo – probabilmente questo messaggio rimarrà nella memoria di Fridey o Karen e io avrò perso del tempo.” Borbottò Tony tra sé e sé, girandosi un paio di volte. Guardò verso Peter, quando un guizzo di decisione lampeggiò nel suo sguardo.
“Ciao Pete.” disse. “Scusa per… per questo.” aprì le braccia, alludendo al video.
“Ciao.” Rispose Peter in un sussurro, anche se il Signor Stark non l’avrebbe potuto sentire.
“Se vedi questo messaggio – insomma...” Tony fece una smorfia. “Questo vuol dire che l’idea di Lang ha funzionato, o almeno lo spero – oggi è venuto Scott Lang con un’idea da fanboy esaltati, vuole viaggiare nel tempo per recuperare le gemme e farvi tornare qui. Come ho detto, è un’idea da famboy esaltati.” Si bloccò, scuotendo la testa. “Probabilmente, se fossi qui, mi avresti bloccato con una citazione da qualche film. O avresti aiutato Lang con la sua idea strampalata.”
Peter annuì verso il mentore, mordendosi le labbra per bloccare il leggero sorriso che aveva fatto.

“Comunque, se non ti ho detto personalmente cosa è successo, vuol dire che non sono riuscito a riportarti indietro, oppure che sono morto nel farlo, o tutte e due, ma non voglio essere pessimista.” Chiuse gli occhi e incrociò le braccia. “Pete, non so cosa dire, non esattamente. Ma… sono successe tante cose da quando…” guardò in basso “Da quando ti ho perso.”
Peter risucchiò un respiro tremolante, guardando le rughe sul viso del mentore molto più evidenti di quanto si ricordasse.
“Quando siamo tornati… Credevo di aver perso anche Pep – grazie a Dio così non è stato. May – May è sparita e con il governo è stato un disastro – hanno requisito le case dei blippati, tutti i possedimenti per redistribuirli.” Tornò a guardare Peter. “Ho fatto in modo di imballare tutte le vostre cose prima che arrivassero gli agenti a sgomberare la casa, però – sono in uno dei miei appartamenti e se torni… beh ho cercato di lasciarci tutti i vostri mobili… puoi… è casa tua.”
“Signor Stark, io…” si sentì in dovere di dire Peter, al vuoto. poi scosse la testa, ricordandosi che quella era solamente una registrazione. Ma sembrava così vera, Tony era lì, davanti a lui e alle sue spalle c’era il piccolo boschetto di casa Stark.
“Io e Pep ne abbiamo passate, ho – molti non ce l’hanno fatta. Abbiamo Morgan, la – lei è una piccola peste.” Sorrise. “Le abbiamo raccontato di te e sì, insomma, stravede per te. Credo che Spider-man sia il suo supereroe preferito, oltre a me, si intende.”
Si passò una mano sul viso. “Non so che cosa sto facendo. Ora… Mi manchi, Pete. Forse non te l’ho mai detto ma… mi manchi e, sì, sono fiero di te, ragazzo.”

Peter sbattè le palpebre un paio di volte, sentendo le lacrime calde scivolare, lentamente, dalle ciglia fino alle guance.
“Se stai vedendo questo, se sono… se non ci sono più – devi… Lascerò delle predisposizioni, ci lavorerò appena avrò finito con l’estrapolatore – sempre che funzioni. Voglio che sia tu a gestire il laboratorio. Scriverò una lettera al MIT, la invierò domani, perché sei brillante e – Dio, volevo discutere con te dell’università, volevo farti fare personalmente il giro del campus e… spero di riuscire a riportarti indietro e poterlo fare comunque ma, qualcosa potrebbe andare storto.” Peter tremò. Gestire il laboratorio Stark. Tony gli stava lasciando i suoi macchinari, i suoi spazi, ciò che lo rendeva Tony Stark. Tutto questo… a lui?
Sei brillante. Quelle due parole gli rimbombarono nel petto, bloccate dal grosso macigno che aveva nel petto. Vide Tony sgranare impercettibilmente gli occhi, in un moto di addolorata comprensione che gli oscurò il volto. Abbassò la mano e vi poggiò il mento, coprendosi la bocca e chinando il capo. “Non… porta Rhody, quando andrai al MIT. Lui la conosce forse meglio di me.” Aggiunse, prima di portarsi le mani dietro la schiena e dondolare sul posto.
“Edith è… l’A.I. degli occhiali è nuova. Ma puoi farla confluire in Fridey e Karen così… così da avere tutto insieme.” Tony lo additò, cercando di risultare minaccioso. “Ti chiedo solo di non distruggere tutto, ragazzo, o uscirò dalla tomba per venirti a cercare.”
Tony sorrise, passandosi le dita sulla barba, nervoso. “Rimanete uniti, Pete, prenditi cura della nostra famiglia. Prenditi cura di Maguna. Per me.”
Tony sorrise, fermandosi a guardare la telecamera per qualche secondo e Peter si sentì in dovere di rispondere a quello sguardo, cercando di memorizzare ogni sfumatura del viso del proprio mentore.
“Addio, Bimbo-ragno.”

“Aspetti, Signor Stark!” Peter fece un passo in avanti, disperato, quando l’immagine dell’uomo sparì davanti ai suoi occhi.
“Edith! Riportalo qui!” gridò.
“Vuoi rivedere il messaggio?” chiese la voce dell’A.I.
“No, non – riportalo qui. Voglio… ho bisogno di parlargli, devo – deve…” Peter si passò una mano sul viso, attento a non urtare gli occhiali, per asciugare le guance dalle lacrime.
“Posso mostrarti di nuovo il messaggio, Peter. Ma il Signor Stark non è più qui.” Rispose Edith.
Peter si tolse gli occhiali e li girò verso di sé, specchiandosi nelle lenti.
Era un’eredità, quella. Un’eredità che comprendeva responsabilità e doveri ma, ancor di più, aveva ricevuto un compito. Morgan. Come avrebbe fatto la bambina senza suo padre? Come avrebbe fatto lui a proteggerla? Io volevo che tu fossi migliore. Le parole che Tony gli aveva gridato contro la prima volta che aveva combinato un vero guaio, prima di riprendersi il costume, gli rimbombarono nella mente.
Come poteva essere, lui, migliore di Tony Stark? Migliore di quello che aveva considerato per lungo tempo un modello ineguagliabile.
Peter la vide, vide formarsi davanti a lui una montagna insormontabile, carica delle aspettative del proprio mentore, di Morgan, di tutti quanti. Non ne era capace. Lui era solo un amichevole Spider-Man di quartiere.
Immaginò Tony, specchiarsi in quegli stessi occhiali, mentre decideva a chi lasciare il proprio posto. E la scelta era ricaduta su di lui, Peter Parker, un semplice ragazzo del Queens. Perché? Cos’aveva, lui, di speciale?
Peter sospirò piano, indossando di nuovo quegli occhiali che gli erano stati destinati.

“Edith.” Chiamò, cercando di non farsi tradire dalla propria voce, simile ad un sussurro.  
“Si, Peter?”
“Sai dove posso trovare dei cheeseburgher?” chiese.
“C’è un fast food a dieci isolati dalla proprietà Stark, vuoi che li chiami?” propose l’A.I.
Peter annuì, tirando su con il naso. “Puoi ordinare cheeseburger e patatine per tutti quelli che sono rimasti qui?”
Ricevuta una risposta affermativa, Peter si passò la lingua sulle labbra. Si guardò intorno, lasciando vagare lo sguardo verso il bosco, per incamminarsi lentamente verso la casa. Vide con la coda dell’occhio Pepper, Happy, Rhody e zia May sotto la veranda, insieme a Captain America e il dottor Banner. Si guardò intorno, quando raggiunse il gazebo, cercando con gli occhi Morgan o Harley, ma di loro non c’era traccia.
I sensi di ragno trillarono all’improvviso e fece appena in tempo a girarsi leggermente e stendere il braccio davanti al proprio viso, per fermare una patata diretta alla propria nuca.

“Lo avevo detto che l’avrebbe sentita arrivare!” gridò la piccola Morgan Stark a poca distanza da lui, rivolta ad Harley Kneer che si era coperto il viso con le mani e sbirciava da dietro le dita.
“Scusa!” gridò, dopo essersi accorto dello scampato pericolo. “Non sono riuscito a fermarla.”
“Non fa niente.” Disse Peter, in risposta, camminando verso i due e stringendo la patata tra le dita.
“Hai visto? Harley e io abbiamo fatto una pistola a patate!” Morgan gli mostrò la propria arma: due tubi incastrati l’uno nell’altro con alcune patate all’interno e alcune molle al centro a costituire il meccanismo.
La bambina si bloccò, così come Harley, riconoscendo gli occhiali. “Ti stanno bene.” Disse, con semplicità.
“Sono…” Harely lo guardava, non credendo ai propri occhi.
“Già.” Rispose Spider-man, mentre consegnava il proiettile alla più piccola.
“Ma non hai la barba giusta.” Commentò Morgan, prendendo la patata e inserendola all’interno della bottiglia.
Peter sorrise, cercando di mascherare l’emozione, mentre stringeva le palpebre per imporre alle proprie lacrime di rimanere al loro posto all’interno degli occhi.
“Non credo che riuscirò ancora a farmi crescere la barba.” Si fermò, per poi aggiungere “Maguna.”
Il viso della bambina si riempì di gioia e se Morgan avesse potuto illuminarsi come Carol Danvers, probabilmente la Terra non avrebbe più avuto bisogno di un Sole a scaldarla.
“Dobbiamo mostrarli alla mamma! E anche la mia pistola nuova!” Morgan saltellò sul posto, per dirigersi di corsa verso la veranda, dove si erano ritirati i pochi eroi rimasti per fare compagnia alla famiglia Stark. “Mamma, guarda!”

Peter non fece in tempo a fermarla, che tutti gli adulti si girarono in contemporanea verso di loro.
Si sentì raggelare, sentendosi particolarmente osservato.
Sentì, probabilmente Harley, una leggera spinta di incoraggiamento sulle spalle e solo grazie a quella si costrinse a camminare verso il gruppo. “Hai visto che bella pistola che ha fatto Harley?” stava chiedendo Morgan alla madre.
“Non è una vera pistola.” Si difese Harley, quando Pepper fece una smorfia contrariata. “E’ uno spara-patate. Non è pericoloso. Più o meno. Non è mortale.”
Peter rimase in silenzio, sfregando le mani sui pantaloni. Prenditi cura di loro. Loro, la famiglia di Tony. Come poteva, lui, farne parte? Non era una famiglia di sangue, quella, ma era la famiglia che Tony Stark si era costruito.
“Ti stanno bene.” La voce di Pepper lo fece bloccare sul posto, in evidente black-out. “Come?”
“Tony – lui voleva farti degli occhiali su misura ma… l’ho convinto a lasciarti i suoi. Non avrebbe avuto senso, altrimenti, no?” Pepper lo guardava, con un sorriso stanco, l’espressione nostalgica ma piena di affetto.
“Lei è d’accordo?” chiese Peter, scuotendo la testa. “Erano – io non merito tutto questo, non…”
“Sono tuoi.” Confermò Pepper. “Li ha lasciati a te.”
“Sono solo un po’ grandi per un ragazzino.” Aggiunse il colonnello Rhods.
“Ma ci crescerai dentro.” Disse sua zia.

Peter strinse le labbra, alternando lo sguardo tra gli eroi presenti, che annuivano di fronte a quella scelta. Si girò verso Morgan, che lo guardava con i suoi occhi brillanti mentre stringeva al petto lo spara-patate.
“Ci vorrebbero dei cheeseburgher, che dite?” chiese Happy, sovrastando le altre voci. “C’è un posto qui vicino che…”
“Ho chiesto a Edith di farceli portare.” Lo interruppe Peter, sottovoce. Si schiarì la voce, rendendosi conto che gli altri lo guardavano, senza capire. “L’A.I. degli occhiali.” Spiegò. “Cioè… se volete…” forse era stata una pessima idea, quella di ordinare dei panini senza interpellare gli altri.
“Ottimo, ragazzo.” Annuì Steve Rogers. “Possiamo fermarci?” chiese lui a Pepper, per conto di tutti.
“Certo.” Garantì lei. “Grazie, Pete.”
Peter balbettò qualcosa di indistinto, passandosi una mano sul viso e accorgendosi di non aver ancora tolto gli occhiali.
Si tastò le tasche della giacca, riuscendo a recuperare la piccola custodia di legno, quando i sensi di ragno gli indicarono di doversi girare. Diede le spalle al gruppo, notando solo in quel momento che Harley Kneer si era allontanato dalla veranda e stava camminando lentamente verso quella che, probabilmente, era la sua auto.

Peter si sfilò velocemente gli occhiali, per poi metterli al sicuro in tasca, protetti dalla custodia, e correre verso l’altro ragazzo.
“Harley!” lo chiamò.
 “Non rimani?” chiese.
“Non credo che faccia per me.” Si strinse nelle spalle lui. “Voi siete supereroi e io… io sono un meccanico.”
Per un momento, Peter vide se stesso la prima volta che aveva incontrato gli Avengers. Credeva di non essere abbastanza, che quel gruppo fosse troppo per un amichevole Spieder-man di quartiere, non che ora la situazione fosse propriamente cambiata, comunque.
“Sono sicuro che avrebbe fatto piacere al Signor Stark.” Peter abbassò lo sguardo, dondolando sulle gambe “E credo che arriveranno davvero troppi cheesebur – Morgan!” Peter fece appena in tempo a fermare una patata diretta sul finestrino della macchina di Harley.  
“Venite! Zio Rhody racconta una storia su papà!” rispose la bambina, senza curarsi di aver rischiato di distruggere completamente il vetro dell’auto.
Peter vide Harely tentennare sul posto. “Credo di aver bisogno di una mano con lei.” Disse. Poi ci ripensò. A conti fatti, Harley era come lui. “E con la gestione dei laboratori di Tony.” Propose, allungando la mano verso il giovane di fronte a lui.
Vide Harley sorridere, sorpreso ed emozionato. “Certo, ma credo dovremo confiscarle lo spara-patate, prima che sua madre ci uccida.” Disse, stringendo la mano di Spider-man.
Peter sorrise a sua volta. “Ormai le hai mostrato come costruirne una.”
Harley ridacchiò, rimettendo le chiavi dell’auto in tasca ed incamminandosi verso gli altri.  “Ehi, Morgan, e se mettessimo una sicura a quell’affare?”
“No!”
Peter strinse la custodia degli occhiali, al sicuro nella propria tasca sinistra. Ancora non capiva come mai Tony gli avesse lasciato quella responsabilità, quella famiglia. Ma era sicuro che, un giorno, il Signor Stark sarebbe stato fiero di lui. E, probabilmente li stava già guardando dal Valhalla insieme alla signorina Romanov e al dio degli inganni, come aveva detto Thor.
 



 

Allora. Non so esattamente cosa sia questa… cosa che è uscita dalla mia testa. Ma è sicuramente qualcosa. Diciamo che, sì, ho istinti suicidi: prima scrivo una minilong per cambiare il finale canonico di endgame e dare una minima speranza ai fan che, come me, sono rimasti delusi dalla morte di Tony e poi ne scrivo un’altra (anche se questa è una one – shot) in cui tutti i miei buoni propositi vanno a quel paese perché mantengo il finale canonico. Boh. Certe volte nemmeno io capisco cosa succede nella mia testa.
Comunque, visto che i film non ci hanno dato un incontro tra Morgan, Peter e Harley (ed erano tutti lì, perdindirindina, quindi un ciao tra quei tre me lo meritavo) ho deciso di scriverlo io.
Ovviamente, alcune cose le ho riprese dai film, altre le ho cambiate.
Ho trovato più carino, per esempio, che Tony lasciasse Edith a Morgan per il suo fratellone (e ho aggiunto il lascito del settore tecnologico delle Stark Industries). Ho pensato che fosse cosa buona e giusta lasciare tutte le invenzioni di Tony, i macchinari, i progetti nelle mani di Peter (e a disposizione di Harley, qualora ne avesse bisogno).
Quindi, non lo so… ecco.
Ringrazio davvero tanto chiunque sia arrivato fino a qui e chi, se lo vorrà, mi lascerà un feedback. Tanto per sapere se è venuta fuori una cosa immonda o è accettabile.
Il problema, per questa ff, è che ha avuto una gestazione davvero, davvero lunga. Era in cantiere da mesi, ma continuavo a cancellare e riscrivere pezzi, a cambiare le idee e potrebbe essere che, alla fine, questa mia confusione mentale si sia riversata qui dentro.
Può succedere.
Comunque sia, vi ringrazio di averla letta.
Ciao 😊
   
 
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