Quella
che stava per volgere al termine era stata una delle giornate
più calde
dell’estate. Per fortuna, l’aria montana delle
Catskills aveva reso
sopportabile a chiunque l’infinita catena di festeggiamenti
organizzati da
Midge per il quarto compleanno della piccola Esther.
L’agenda
della signora Maisel esplodeva per via degli ingaggi che fortunatamente
stava accumulando
sin da novembre. Quindi, allontanarsi per due mesi dalla metropoli per
isolarsi
nel bungalow della famiglia Weissmann nella cosiddetta “terra
del Brosh” rientrava
tra i reati più gravi della lista nera che le aveva dato
Susie prima di partire.
Se si fosse macchiata di una colpa del genere avrebbe potuto
considerare il
loro rapporto di lavoro concluso irreversibilmente.
Fino
ad allora, però, Midge era riuscita a non fare neanche un
passo falso.
Viste
le circostanze, prendersi un giorno libero per celebrare sua figlia non
fu
affatto facile.
Il
camper che aveva affittato era partito da New York per raggiungere il
resort
nel pomeriggio. Lì avevano fatto un lunghissimo bagno nel
lago per poi
cambiarsi i vestiti e cenare in un ristorante, dove trovarono anche
Joel. Tuttavia,
al taglio della torta Midge fu chiamata da uno dei camerieri per
rispondere con
urgenza al telefono.
«Ma
non può dirle che in questo momento sono impegnata? La
prego!»
Il
cameriere scosse la testa con aria affranta, «Mi dispiace
signora, ma ci ho
provato. Abbiamo perso il conto di tutte le volte che la sua amica ha
richiamato.»
«E
va bene, arrivo. Glielo dice lei a Susie che dovrà pagare le
sedute dall’analista
a Esther per il trauma che riceverà? La madre assente mentre
spegne le sue prime
quattro candeline!»
Una
volta sfilatosi l’orecchino per appoggiare più
comodamente la cornetta all’orecchio,
Midge rispose con un “Pronto?” che non trasmetteva
affatto entusiasmo. Doveva
ammettere di essere abbastanza curiosa del motivo di tanta insistenza,
però.
«Ah,
quindi la tua manager può tranquillamente sbattere contro
uno stramaledetto albero,
su un sentiero buio come la strada per l’inferno di Dante
Alighieri, che tu ti
prendi il lusso di rispondere al telefono dopo cinque fottutissimi
squilli?»
«Oddio,
Susie! Come stai?»
«Un
“mi dispiace” sarebbe stato un esordio migliore,
non ti pare?»
Midge
si morse il labbro in preda al senso di colpa, «Scusami, ma
oggi è il compleanno
di mia figlia. Sono sicura di avertelo detto e di aver ricevuto almeno
trenta
minacce di morte da parte tua nel caso avessi deciso di trattenermi qui
più per
più di un giorno.»
«E’
proprio perché non mi fido delle tue promesse che ho preso
la macchina. Quindi,
indovina un po' dove mi trovo? Beh, non è difficile
immaginarlo se hai
mantenuto una soglia dell’attenzione più alta del
solito.»
«All’inferno?»
Tentò Midge.
«Non
è il momento di fare la spiritosa.»
«Ma
dove sei finita?»
Susie
si sforzò di trattenere l’impazienza che
minacciava di farla esplodere in
turpiloqui di non ardua comprensione, «Nel bel mezzo del
nulla, qui sulle
Catskills. Ecco dove sono! Volevo
seguire il tuo ridicolo camper per assicurami che tornassi domani. Ti
ricordi
che abbiamo la registrazione della puntata speciale dello show,
vero?»
«Certamente.
Sarei tornata in ogni caso.»
Susie
scoppiò in una risata isterica, «Devi farti
trovare allo studio di
registrazione alle sei di mattina, Miriam. Alle sei in punto! Questo
significa
che saresti già dovuta partire e prepararti per un
sonnellino ristoratore.
Credi che la tua crema notturna si assorbirà in tempo? E i
tuoi boccoli, anche
loro saranno pronti per le sei? Chi ti stirerà i vestiti se
Zelda starà stanca
morta dopo il viaggio?»
«Calmati!
Inspira e conta fino a quattro, poi espira e dimmi da quale posto stai
chiamando.»
«C’è
una cabina telefonica, grazie a Dio. Ero sulla via per lo Steiner e
improvvisante
mi è spuntato davanti un albero
dall’oscurità più
nera…»
«Ma
stai bene? Sei tutta intera?»
«Ci
sono degli strani animali in giro, Miriam. Tra un’ora
potrebbe non essere
rimasto niente di me. Vienimi a prendere. Prometto di risarcire tua
figlia per
i danni psicologici.»
Midge
si distrasse un attimo; guardò verso il tavolo dove Esther
ed Ethan stavano
divorando compiaciuti la loro fetta di torta. Poi, il suo sguardo cadde
involontariamente sul suo ex marito: a giorni sarebbe diventato padre
per la
terza volta e saperlo felice con Mei, innamorato e soddisfatto della
sua nuova
vita, aveva aperto anche per lei degli eccitanti orizzonti di crescita
di cui in
fondo aveva paura.
«Ehi?
Ci sei o sei già scappata a prendermi?»
«Sì,
ci sono. Arrivo tra un minuto.»
«Allora
posso anche mettermi comoda a dormire per un’ora. Ti conosco
troppo bene per
crederci.»
«Un
minuto.» Chiuse il telefono e chiese a suo padre le chiavi
del camper, senza
aggiungere dettagli. Prima di precipitarsi dalla sua manager, diede un
bacio
sulla fronte ai suoi figli.
Abe
e Joel scoppiarono all’unisono in un preoccupato
“Ma dove diavolo stai andando
a quest’ora?!”
«Salvataggio
in extremis. È un recupero a bordo
strada»
«Non
hai neppure la patente, Miriam!» Rose la guardò
esterrefatta.
«Ma
è gente affidabile? Vuoi che ti accompagni?» Joel,
da altro canto, non riusciva
a impedirsi di non allarmarsi.
«Dipende
da quanto reputi affidabile Susie. E Joel, tu devi tornare da Mei. Io
me la
caverò.»
«Non
posso cederci, cazzo!»
Midge
scese dal camper per tastare Susie, alla spasmodica ricerca di ferite
mortali.
«Sei
ancora viva!»
«Sei
venuta da sola? E dov’è quell’imbecille
di Joel una volta tanto che poteva
servire a qualcosa? Potevi farti male, Miriam!»
«Si
era proposto di accompagnarmi, ma ho preferito che andasse da Mei. Non
mi
perdonerei mai se partorisse senza di lui. E, inoltre, temevo che tu lo
assalissi. Sai essere aggressiva quando hai fame.»
Susie
ci pensò un po' su, «Mhmm… è
vero, ma ciò non toglie che avresti potuto
perderti e non tornare in tempo per lo show di quel damerino.»
«Non
è per caso che eri in ansia per me, perché oltre
ad essere la tua cliente di
punta sono anche la tua migliore amica?»
Sapeva
che punzecchiarla usando la verità avrebbe reso Susie
più onesta con se stessa.
«Sì,
sì. Anche per quello.»
Quando
arrivarono al ristorante non trovarono nessuno ad aspettarle. In preda
al
panico, Midge iniziò a guardare sotto ogni altro tavolo
nell’irrazionale
speranza di scoprire i suoi figli pronti a farle una sorpresa, ma non
c’era
nessuno.
«Ehi!»
Fermò un giovane cameriere esercitando una forte presa sul
suo braccio, «Che
fine hanno fatto i Weissmann e il signor Maisel?»
Susie
si affrettò a correre in aiuto del povero giovanotto
specificando, «Due piccole
pesti dalle mani appiccicose, una coppia di ebrei apparentemente snob e
svitati
e un vero e proprio coglio…»
«Susie!»
«Che
c’è? Ho detto solo quello che nessuno ha il
coraggio di dire», aggiunse a mo’
di scuse, mentre in punta di piedi afferrava un vol-au-vent
dal vassoio.
«Signora
Maisel, ma non sa nulla?»
Midge
scosse la testa.
«Sono
andati al pronto soccorso perché la bambina è
caduta e ha urtato la testa
contro un piede del tavolo. Si è ferita leggermente, ma i
suoi genitori hanno
preferito portarla in ospedale. Ah, e suo marito è dovuto
scappare a New York
per un’emergenza più grave.»
«Il
suo ex marito», Susie trovò giusto sottolinearlo.
Midge
non perse tempo e la trascinò via con sé.
«Ma
è solo un graffio. Stai tranquilla!»
La
pentola stava per esplodere. Susie
lo aveva capito guardandole il volto pallido e le labbra tremanti.
Prevedeva
che la radio accesa all’una e mezza di notte su quelle
montagne tortuose
sarebbe stata una ninnananna in confronto alla logorrea che presto
avrebbe
preso possesso della donna che le sedeva a fianco. Era un sacrificio di
empatia
che andava fatto, non dalla manager ma dall’amica che Midge
aveva miracolosamente
tirato fuori da lei.
Non
appena giunse in prossimità della sala d’attesa
dell’ospedale, il suono delle
risate di una voce familiare servì a tranquillizzare Midge,
Ethan
era crollato tra le braccia di suo nonno, con indosso ancora il
capellino della
festa di compleanno. Abe, invece, lottava con tutte le sue forze per
rimanere
sveglio, ma si trattava di una battaglia che avrebbe avuto un esito
facilmente
prevedibile.
Susie
si sedette vicino a Rose, mentre Midge rimase in piedi, incapace di
rilassarsi
del tutto o anche soltanto di far riposare i piedi.
L’agitazione che provava
nell’aspettare che qualcuno uscisse dalla stanza in cui si
trovava Esther era
implacabile.
Dopo
venti minuti, un’infermiera fece capolino nella sala
d’attesa. Accorgendosi
dell’insolito mutismo di Midge, Rose le spiegò che
la madre della piccola era
arrivata e che desiderava starle accanto.
«Certo
signora, può seguirmi da questa parte.»
Midge
si affrettò ad andarle dietro lungo il corridoio, facendole
mille domande e non
badando minimamente al dolore provocatole dalle scarpe col tacco che
indossava
ormai da ore.
«Sua
figlia è in ottima compagnia, sa? Non ha più
smesso di ridere da quando…»
«Ma
non ha appena detto che le stanno mettendo dei punti di sutura alla
ferita?»
«Esatto.»
Midge
assunse un’aria confusa, «E non la trova una
contraddizione? Esther ha quattro
anni e, per quanto sia coraggiosa, è incline a piangere a
dirotto quando si fa
male, come tutti i bambini della sua età. A maggior ragione
se le viene
inserito un ago nella fronte per ricucirle la pelle.»
La
giovane bussò alla porta sogghignando irrefrenabilmente. Poi
si rese conto della
mancanza di tatto e si premurò di spiegare a Midge il motivo
della sua ilarità,
«Mi scusi, ma non riesco a smettere di ridere se ripenso alla
situazione».
Un’altra
infermiera andò ad aprire, interrompendo il lavoro che aveva
quasi terminato. In
quella stanza, però, c’era un’altra
persona: era di spalle ed era Lenny Bruce,
seduto sul lettino con Esther sul grembo.
La
bambina era tranquillissima e in immersa in un placido sonno sulla
spalla del
comico.
«Oh,
cielo! Proprio quando credi di averle viste
tutte…», Midge aveva la bocca
spalancata per la sorpresa.
Lenny
si illuminò, ma rimase immobile e non disse nulla per non
svegliare Esther. Era
più bravo di lei a nascondere lo stupore.
Sbarazzatasi
della borsa e del cappello, Midge si fiondò su di lui e su
sua figlia per
controllare che fosse tutto a posto. Poi, gli puntò la
lampada dritta in faccia
con aria indagatrice, «Cosa ci fai qui? Stai bene?
Perché sei su un lettino
d’ospedale?»
«Ehi,
e questo cos’è? Un interrogatorio?»
«Vorrei
capire come ha fatto Esther a finire su di te.»
L’infermiera
intervenne prima che potesse farlo lui, «Il signor Bruce
è stato così adorabile
da aiutarci a far calmare la piccolina. Era davvero impossibile
medicarla! Neanche
i nonni sono riusciti a farla distrarre.»
Si
scambiò un’occhiata d’intesa con lui,
«Beh, questo è del tutto normale.»
«Se
proprio vuoi saperlo, sono qui per un mio amico. Intossicazione
alimentare.»
Midge
alzò un sopracciglio, «Aveva mangiato troppi
biscotti?»
«A
quanto pare…»
«Così
Lenny… Oh, scusi posso chiamarla per nome?» Chiese
l’infermiera in tono
adorante. Lenny si accorse dell’aria annoiata di Midge e
ridacchiò sotto i
baffi. La gelosia non aveva risparmiato nemmeno lei.
Invitò
la sua ammiratrice a proseguire.
«Quindi,
dicevo…Lenny l’ha presa in braccio e ha iniziato a
raccontarle delle battute.
Esther non ha smesso di ridere fino a qualche minuto fa. Ci sa fare con
i
bambini!»
«Non
esageriamo. Ora è arrivato il momento di restituirla alla
sua legittima
proprietaria. È stato un onore intrattenere la figlia della
migliore comica in
circolazione». E
fece un inchino.
Quando
gliela consegnò, Lenny notò il rossore sulle
guance di Midge. Possibile che i suoi
complimenti la imbarazzassero ancora così tanto? Era solo la
verità, spoglia di
inutili adulazioni. Sapeva che quel rossore era il sintomo di
un’emozione
molto, molto, più forte della semplice modestia. Prima di
uscire si voltò di
nuovo.
«Ah,
Midge. Se dovesse ripetere la parola “tette” sappi
che questa volta non sono io
il responsabile. In effetti, mi aveva colpito che una bambina tanto
elegante
avesse una tale… proprietà di linguaggio, se
così si può dire. Adesso però non
ne sono più sorpreso.»
Richiuse
la porta con gli occhi di Midge puntati come una calamita nella sua
direzione.