Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug
Ricorda la storia  |      
Autore: Louis Agreste    29/08/2022    0 recensioni
[Storia scritta per il contest di Miracle-Box #reveal2022]
In un giorno di pioggia, quando la sera è ormai alle porte, Marinette riceve l'inaspettata visita di Chat Noir.
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Sabine Cheng, Sorpresa, Tom Dupain
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Appeler un Chat un Chat

Da quel terribile scontro faccia a faccia con Papillombre, o meglio, Monarch, erano passati diversi giorni. Era stato difficile per Marinette, che a stento era riuscita a distinguerli, superarli uno alla volta. L’avere a fianco Chat Noir, più che normalità, l’aveva ritenuto colpo di fortuna. Senza di lui, dubitava sarebbe anche solo riuscita a rialzarsi dopo il furto dei Miraculous.
Anche quella sera aveva la testa da tutt’altra parte. Aveva provato a distrarsi facendo altre cose, ma nulla aveva funzionato. Alla fine aveva accettato di aiutare i genitori a sistemare la boulangerie per la chiusura, ma, all’arrivo improvviso di un fulmine, che la fece sobbalzare solo appena, il faccione costituito da akuma le tornò in mente e non riuscì a scacciarlo con un rapido movimento del capo.
Tom, che aveva appena finito di dare un’ultima lucidata alle vetrine, non aveva potuto fare a meno di notare l’espressione della figlia.

«… Marinette? Principessa, va tutto bene?»
«Cosa…? A-Ah, sì! Certo che sì, non potrebbe andare meglio!» riuscì ad esclamare lei, con annesso un sorriso tirato pollice alzato.

L’omone aveva temuto per i vassoi, che la figlia stava sorprendentemente riuscendo a tenere in bilico precario su una mano, e non riusciva esattamente a dare per buona quella sua reazione, ma arrivò comunque a ricambiare il suo sorriso con uno accennato. Abbandonò la pezza sulla propria spalla e poi la affiancò, per appoggiare una mano sulla sua spalla non appena lei tornò a reggere i contenitori con entrambe.

«Lo sai che, se hai bisogno, io e la mamma ci siamo. Dico bene?»
«Sì! Certo che lo so…» gli rispose, annuendo freneticamente con la testa.

«Io vado di sopra ad aiutarla con la cena. Tu raggiungici appena hai finito di mettere quei vassoi a posto.»
«Va bene!»
«Ah!» si ricordò Tom, una volta messo piede sul primo gradino: «… Chiederti anche di chiudere la porta è troppo?»
«… No, papà» negò subito lei, con un sorriso completamente diverso.

Tom allora ricambiò, con maggiore enfasi, e poi la imitò nel gesto di rivolgerle un pollice rivolto all’insù. Marinette ridacchiò, a bocca chiusa. Rimase a seguire la figura del padre salire le scale finché non sparì dal suo campo visivo.

«Tikki è di sopra a riposare… Penso di potermi trattenere un po’» disse a se stessa, dopo aver preso un profondo respiro e aver poi buttato fuori l’aria.

Proprio la kwami le aveva consigliato di ripetere quegli esercizi ogni tanto, dopo quell’attacco di panico che aveva avuto in casa Agreste e quello che aveva rischiato di avere poco dopo su un tetto; entrambe le volte era successo davanti ai due ragazzi che significavano tanto per lei, finì per aggiungere.
Smettere di pensare, anche solo per un attimo, sarebbe stata una manna dal cielo, secondo lei.

«Ahhh… Dannazione!» finì per imprecare a un certo punto, nell’esatto momento in cui i campanelli all’ingresso suonarono a contatto con la porta: «Certe volte vorrei spegnerlo il mio cervello!»
«… Posso essere contrario?»
«AH!»

La ragazza quasi saltò in aria in quel momento, abbastanza da far volare tutti i vassoi dalle proprie mani. Fece appena in tempo a voltarsi con tutto il corpo verso la persona che era appena entrata quando si trovò costretta ad allungare entrambe le braccia e piegare la testa per evitare di fare così tanto rumore da svegliare tutto il vicinato.

«… Wow. Non mi aspettavo lo spettacolo.»
«Chat Noir…» lo richiamò lei, con anche una leggera smorfia.

Il giovane supereroe, dopo aver scosso per un attimo la testa, corse in suo aiuto.

«Ammetto che mi mancavano i tuoi ordini, dettati dalla rabbia nei miei confronti.»
«Che cosa ci fai qui?» gli chiese, subito dopo aver appoggiato tutti i vassoi sul bancone.

«Mhhh… Vorrei dire che girare a zonzo per la città è normale per i gatti randagi, ma… in realtà, ho bisogno di una mano.»
«Non una zampa?» domandò lei d’impulso. Si morse il labbro inferiore e chiuse gli occhi quando se ne rese conto, a differenza di Chat Noir che ridacchiò a bocca chiusa: «… Perché avresti bisogno di una mano? Ladybug ti ha di nuovo lasciato da solo ad occuparti di un akumizzato?»
«… No. Penso te ne sarai accorta anche tu che… Monarch, sembra essersi preso una pausa.» al non vederla reagire in alcun modo, pensò bene di cambiare subito argomento: «In realtà stavo-… Sono già un tantino occupato in una mia missione.»
«Cosa normale per te, giusto?» ripeté lei. Si sistemò i vassoi contro il petto prima di cominciare a sistemarli sul portavassoi lì vicino: «… Hai fatto tappa qui perché ti mancavo, micetto?»

A Chat Noir si rizzarono coda e orecchie, e si colorarono anche le guance di un rosso acceso, quest’ultimo abbastanza nascosto dalla maschera.

«Eh… Io veramen-»
«Scherzavo» aggiunse, con un sorriso smagliante e gli occhi chiusi, mentre era ancora occupata a mettere a posto.

Il ragazzo tornò fortunatamente a respirare in quel momento, però il suo cuore non sembrava ancora intenzionato a tornare al suo battito regolare.
Marinette, non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma non era affatto disturbata da quella visita all’orario di chiusura da parte di Chat Noir.

«Quindi? Quale sarebbe la verità, mio caro supereroe?» gli chiese, con finalmente le mani libere, prima di appoggiarsi con entrambe le braccia al bancone.

«… Mi prometti che non dai in escandescenze?» domandò a sua volta, senza assumere il suo stesso tono.

«Cosa?»
«Non… urlare o… impazzire, per favore.»
«… Dipende. Quale ferita hai intenzione di curarmi con i tuoi capelli biondi?» nell’esatto momento in cui vide le sue orecchie abbassarsi e la sua bocca storcersi, dovette trattenersi dal non rivolgergli un sorriso suo marchio di fabbrica.

«Ah-ha, molto divertente.»
«Il mio pagliaccio preferito ha perso il suo caratteristico senso dell’umorismo?»

Lui cambiò totalmente espressione a quelle parole. Distolse lo sguardo e sorrise imbarazzato, ma, questa volta, decise di darle corda. Marinette, poco prima, aveva appoggiato il mento al palmo ed era rimasta fissa sulla superficie in attesa. Quando incrociò nuovamente i suoi occhi verdi, lui aveva recuperato il proprio sorrisetto da schiaffi. Poi lo vide piegarsi leggermente in avanti con entrambe le mani dietro la schiena per poterla guardare meglio.

«Sconvolto?»
«… Nah, dopotutto è reciproco. Anzi, io sono convinto che non esisterà mai un pagliaccio capace di farmi ridere tanto quanto…» in quel momento aveva tirato fuori la mano da dietro la schiena, con solo l’indice alzato, per avvicinarla al suo viso: «Marinette. Dupain. Cheng.»

Le toccò la punta del naso con l’artiglio tre volte e non smise mai di guardarla negli occhi. Nel suo tono di voce l’accenno di malizia era andato scemando e il suo sorriso si era sciolto.
Quella frase, in realtà, aveva acceso qualcosa in lei, ma, nel momento esatto in cui tentò di dargli adito, le tornò in mente la questione primaria, incognita, di quel loro incontro.

«Micetto… Posso sapere che cosa ci fai qui?»
«Ahhh!» imprecò, prima di allontanarsi per tirarsi una manata dritta in faccia.

Marinette ridacchiò di gusto a quella scena. Rimase con gli occhi incollati su di lui anche quando si allontanò per tornare alla porta. Invece di uscire, però, lo vide piegarsi sulle ginocchia per recuperare una scatola di media grandezza, con alcuni buchi laterali, che aveva lasciato a terra lì vicino.

«… Cos’è, un regalo? Il mio compleanno è tra più di sei mesi.»
«Lo s- eh!… Lo terrò a mente, ma… no.»
«Mh?»

Lui fece per tornare da lei, ma Marinette lo precedette e gli arrivò di fronte.
Chat Noir le rivolse un altro sorriso e poi si piegò per rimettere a terra la scatola. Entrambi si sedettero a gambe incrociate e poi lui afferrò i lembi.

«Penso che abbiamo urlato abbastanza. Possiamo evitare di alzare nuovamente la voce?»
«… Va bene» gli disse, dopo un cenno di assenso.

Chat Noir aprì la scatola e lei si sporse poco dopo di lui. I suoi occhi si sgranarono e la sua bocca si spalancò alla vista dell’inquilino, un gatto, che stava tranquillamente dormendo acciambellato su diverse coperte. Era prevalentemente bianco, ma aveva anche macchie nere e rosse sparse per tutto il pelo.

«… Oddio…!» si portò entrambe le mani sul viso, poco sotto gli occhi che le erano subito diventati lucidi: «Che carinaaa!»
«CarinO.»
«… È un maschio?»
«Eh sì.»
«… Ma non sono solo femmine i gatti dal pelo di tre colori?»
«Uuuh, non mi aspettavo quello livello di conoscenza sui felini…» la prese un po’ in giro lui, prima di sorriderle ancora di più: «Comunque, è così… prevalentemente. C’è una minima possibilità che siano maschi. Così come per i ginger, che sono maschi per la maggior parte, ma possono esserci anche femmine.»
«… E tu sei giustificato perché parliamo dei tuoi simili, giusto?» domandò lei, con il sorrisetto che lui aveva mollato quasi subito.

Lo vide roteare gli occhi e poi alzare le spalle.
Chat Noir si allontanò con la testa, quando lei si appoggiò, leggermente, con le mani alla scatola per sporgersi di più, unicamente per poterla guardare.

«… E com’è che voi due siete entrati in contatto? Hai percepito con il tuo udito la sua richiesta d’aiuto?»
«In un certo senso…» mormorò, con gli occhi ancora fissi su di lei: «L’ho… incontrato qualche sera fa, dopo una ronda. Era tutto sporco e malridotto… L’ho preso e sono corso dal veterinario più vicino per farlo visitare e oggi sono tornato a prenderlo.»
«E come mai non sei tornato di volata a casa?»
«Perché non posso tenerlo…» confessò, distogliendo solo in quel momento lo sguardo dal suo viso per poter tornare sul gattino.

«Perché non puoi?» gli domandò, dopo aver rialzato la testa. La nota di tristezza che aveva percepito nel suo tono l’aveva allarmata.

Il ragazzo tentò di aprire la bocca per rispondere un paio di volte, ma, invece di dare voce a tutte quelle parole che aveva bloccate in gola, buttò solamente fuori aria.

«… Perché mio padre non me lo permetterebbe mai. Casa mia poi è cupa… grigia, anche enorme, ma… vuota» lei aveva visto le orecchie di lui abbassarsi nuovamente e le sue sopracciglia – nascoste dalla maschera – avevano finito per fare la stessa cosa.

«Non sarebbe il posto per lui. È giusto che trovi una vera casa.»
«E allora perché l’hai portato qui?»
«Pensavo che… la rinomata boulangerie Dupain-Cheng potesse aiutarlo. Questo perché so che ci lavorano delle persone meravigliose, che non potrebbero mai lasciarlo nelle mani di cattive persone…»

Marinette rimase a guardarlo in silenzio, anche quando allungò la mano all’interno della scatola per grattare la nuca al gattino.

«… Quindi hai totalmente escluso l’ipotesi che possa adottarlo io?»
«Eh?» gli scappò, prima che tornasse a guardarla dritto in faccia: «Cosa?»
«Preferisci che lo faccia uno sconosciuto?»
«No no no no no. Io non-… Ahhh, non intendevo questo…» finì per mugolare contro i propri palmi.

Marinette era rimasta un tantino confusa dalla sua spiegazione, ma vederlo reagire in quel modo davanti ai suoi stessi occhi l’aveva spiazzata completamente.

«No, Chat Noir, non c’è bisogno che ti scusi… Mi dispiace, avrei dovuto tenere a freno la lingua.»
«No… Scusami tu.» le disse, dopo essersi passato le mani lungo tutto il viso e poi tra i capelli: «Non l’avevo escluso a priori. Semplicemente non ci ho pensato, tutto qui… Anche tu dici tante cose che hanno senso, ma non sono mai cattive…» Aveva mugugnato l’ultima parte, ma Marinette dovette comunque chiudere gli occhi e scuotere la testa per continuare il discorso.

«… Avevi paura di essere sostituito?»

Il ragazzo aprì bocca nel tentativo di ribattere, ma si ripeté la scena di prima, fatta eccezione per il sospiro: distolse solamente lo sguardo. Marinette, una volta chinata la testa di lato, allungò la mano verso di lui e la appoggiò sulla sua guancia. Chat Noir sgranò gli occhi al contatto e, quando incrociò nuovamente i suoi, si paralizzò al sentire le sue dita spostargli i capelli.

«I-Io… Ehm…» era nuovamente arrossito, questa volta più di prima.

Marinette parve non accorgersene. Continuò ad accarezzargli il viso per un po’, con una faccia che gli trasmetteva tristezza e… dolore.

«Io non potrei mai farlo…» gli confessò, con accenni di lacrime agli occhi: «… Tu sei insostituibile.»

Lui, per l’ennesima volta, fece per aprire la bocca e rispondere, ma si bloccò sul nascere dal momento in cui il suo cervello passò in rassegna quelle parole: gli erano parse così familiari, le aveva sentite da qualcun altro per caso? Non riusciva tanto a collegare in quel momento, proprio perché aveva Marinette davanti, che lo stava guardando in quel modo.

«Ma-… Marinette, io-»
«Meow…» miagolò il gatto all’interno della scatola, in una sorta di sbadiglio.

I due sobbalzarono sul posto e tornarono composti, lei con entrambe le mani appoggiate sulle gambe. Rimase un paio di secondi a interrogarsi per la scena appena fatta, ma decise di prendere un altro respiro profondo e tornare all’altro gatto.

«Ehi… Ti sei svegliato.» Chat Noir, dalla voce, sembrava, allo stesso tempo, felice e contrariato per l’interruzione: «Hai dormito bene?»

Marinette vide il ragazzo prendere il felino in braccio. Le sembrava leggermente più piccolo dei soliti che le era capitato di incontrare per strada e si era voltato verso il giovane supereroe unicamente quando lui gli aveva parlato. Lei forse lo spaventava?

«Prima che tu ti faccia strane idee…» aprì il discorso lui, quando il gatto si era già accomodato in mezzo alle sue gambe: «Lui è cieco.»
«… Cosa?»
«È cieco, non ci vede. Il veterinario mi ha spiegato che potrebbe aver perso la vista per colpa di un trauma…»
«Oh, povero piccolo…» commentò lei, abbastanza imbarazzata per non essersene accorta prima, considerata la mancanza degli occhi.

«… Avvicinarti ti disturba?»
«Ah-!… no. Aspetta che chiudo e… ti raggiungo, ok?» gli rispose, quando si era già alzata per raggiungere la porta.

Chat Noir annuì, ma continuò a seguirla con lo sguardo.

«… Ma i tuoi genitori?»
«Oh porca mi-!» riuscì a tapparsi la bocca in tempo e, quando, con gli occhi sgranati, incrociò quelli ridotti allo stesso modo del ragazzo, tornò a respirare: «… Io dovrei già essere tornata su.»
«… Perché già?»
«Mio caro, sarò anche imbranata, ma non ci metto un’ora a mettere a posto dei vassoi e chiudere una porta.»
«Lo so, tu sei fantastica» commentò sottovoce, prima che lei si accomodasse al suo fianco.

«Ma ce l’ha un nome?»
«Ehm… in realtà no. È un’altra cosa a cui non ho pensato.»
«Quindi vuoi continuare a chiamarlo solo “gatto”?»
«Mhhh… Sans.»
«… Eh?» finì per dire lei, con comunque un sorriso a bocca aperta: «E questo da dove l’hai tirato fuori?»
«De Sans nom» spiegò lui, ridacchiando poi insieme a lei.

«Teniamolo come soprannome.»
«Ah, allora in quello posso sbizzarrirmi.»
«Un nome è quello che dobbiamo trovargli prima, poi per i soprannomi sì, potrai darti alla pazza gioia.»
«… Quindi vuoi davvero adottarlo tu?»

Sans, nel frattempo, era tornato sulle quattro zampe e si era messo a girare attorno al ragazzo. Quando entrò a contatto con un tessuto diverso, cominciò prima a strusciarcisi contro e anche qui prese a seguire il busto e poi le gambe di Marinette. Lei se lo ritrovò accanto e, con un lato della bocca alzato, avvicinò la propria mano al suo naso. Sans se la annusò ben bene per un po’ e poi prese a strusciarcisi contro, cosa che portò la ragazza ad accarezzargli prima la testa e poi tutta la schiena fino alla coda.

«… Penso che comincerei ad offendermi da sola se ti dicessi di no proprio adesso.» mormorò, con il ragazzo leggermente più vicino perché fin troppo intenerito da quella scena: «E poi, non prenderla come pietà, però… mi interessa che tu possa rivederlo senza che la gente dia troppo di matto.»
«… Davvero?»
«L’hai salvato tu, no?» ricordò lei ad alta voce, prima di spostare lo sguardo da un gatto all’altro.

I due si ritrovarono fin troppo vicini. Tra loro c’era veramente un millimetro di distanza e non guardarsi era praticamente impossibile. Lei arrossì in modo evidente e lui, paralizzatosi sul momento, finì per rilassarsi e far sì che i loro nasi entrassero in contatto, cosa che portò la faccia di Marinette ad assumere un colore rosso acceso. Lui era troppo vicino, e poi che cosa le stava succedendo? Non aveva mai reagito in maniera così evidente alla vicinanza con Chat Noir, era capitato con Adrien, non con… lui.

«Marinette, tesoro, di sopra la cena è pronta. Hai bisogno di una… mano?» Sabine, una volta scesi tutti i gradini, parve non reagire affatto alla vicinanza tra sua figlia e il giovane supereroe che, tempo addietro, si era trovato attaccato da Tom perché non aveva potuto ricambiare i sentimenti della loro bambina. Fu il gatto acciambellato tra le gambe della ragazza a farle spalancare occhi e bocca: «E questa meraviglia da dove arriva?»
«A-Ah, l-lo ha trova-…» Marinette, compresa la propria situazione, chiuse gli occhi e prese un altro profondo respiro, mentre il giovane supereroe tornava seduto composto: «… L’ha trovato Chat Noir.»
«Oh, è bellissimo…» commentò ancora la donna, quando si era già piegata sulle ginocchia per accarezzare il micetto sotto il mento: «L’hai adottato?»
«No, io… non posso.»
«… Marinette?» la richiamò sua madre, rimanendo poi in attesa di una sua spiegazione.

«Allora. Chat Noir l’ha portato qui perché voleva chiedere alla boulangerie Dupain-Cheng, rinomata e amata da tante persone, di aiutarlo a trovare una casa. Poi però… ci ho pensato e, adesso che l’ho visto non posso fare altro che confermarlo… vorrei adottarlo io.»

Sabine riservò ancora un po’ di attenzione a Sans e poi tornò a guardare la figlia, con la solita espressione calma.

«… Tesoro, io non ho nulla in contrario, però avresti dovuto parlarcene prima, soprattutto a tuo padre. Sai che un animale domestico è una grande responsabilità, ancora più grande se si tratta di uno che ha un senso in meno.» entrambi i ragazzi si scambiarono una rapida occhiata alle parole della donna: «Sapete cosa, però?»
«Cosa?» domandarono i due all’unisono, facendola sorridere.

«Penso che neanche Tom riuscirà a prenderla così male. Dopotutto è stato il primo a dire che già immaginava i gattini camminare per casa.» rialzò lo sguardo in quel momento e li ritrovò occupati a guardare in direzioni completamente opposte, entrambi rossi sulle guance: «Chat Noir,» il ragazzo tornò subito a guardarla «immagino che anche questa sera tu non possa rimanere.»
«… Penso di… poter fare uno strappo alla regola» arrivò a dire lui.

Sia Marinette che Sabine rimasero sorprese, ma la donna tornò subito a sorridergli.

«Allora vi aspetto di sopra. Nel frattempo cerco di presentare…?»
«Ehm… Non ce l’ha ancora un nome.»
«… Il nuovo membro della famiglia a tuo padre.» completò comunque la signora Dupain-Cheng, prima di cominciare a salire le scale: «Voi due cercate di non farvi aspettare.»
«Sì» risposero ancora all’unisono, con annesso cenno di assenso.

Sabine scomparve dal loro campo visivo e loro si ritrovarono nuovamente soli.

«… Uno strappo alla regola?»
«Non mi va di andarmene così presto…» borbottò, prima di incrociare le braccia al petto e abbassare lo sguardo.

«Io intendevo dire che non è la prima volta che fai come vuoi, ma… ok, micetto.»
«… Vieni qui!»
«Provaci a prendermi!» lo sfidò lei, quando era già riuscita ad evitarlo e raggiungere le scale prima di lui.

«Adesso vedi che te la faccio pagare!»
«Ehehehe!»

Quando i due raggiunsero il primo piano, trovarono Tom occupato a dare loro le spalle e sembrava già avere le braccia incrociate.

«… Ehm, papà?»
«Come vi siete permessi?»
«Eh?»
«Come vi siete permessi…» ripeté, prima di girarsi con tutto il corpo e mostrarsi già occupato ad accarezzare Sans, che stava tenendo in braccio «di non parlarmene prima! Lui è così carino…»

Chat Noir e Marinette avevano sgranato gli occhi e storto la bocca a quella scena, più per confusione che altro.

«… Posso dire che mi aspettavo tutt’altra reazione?»
«Veramente l’hai già detto.» gli fece presente Marinette, sorridendo al vederlo mostrare i denti: «… Comunque è paragonabile a una situazione di divorzio.»
«Eh?»
«Pensaci, lo terrò io, ma tu comunque passerai ogni tanto a trovarlo, con cosa lo vedrai tu.»
«… Sì, però io e te non siamo… mai stati in quei rapporti.»
«Vero anche questo.»
«E poi… io non vorrei mai arrivare a quello. Però, se accadesse comunque, io non potrei esattamente fare più tanto.»
«… Puoi promettermi che non saremo mai così quando saremo una vecchia coppia» finì per ripetere lei, con la testa da tutt’altra parte.

Fu Chat Noir a reagire per entrambi a quella sua uscita. Arrossì quasi completamente in volto e prese a grattarsi il collo con la mano sinistra, che era quella più lontana da lei.

«Scusa… Non serve che lo fai, stavo pensando a voce alta.»
«… Parola di gatto» disse comunque lui, dopo essersi portato la mano destra al petto e aver lasciato in aria l’altra.

«Speravo non ti sentissi a disagio, però… sei umano per metà, ne hai tutto il diritto.»
«E sono il tuo preferito, ammettilo.»
«… No» rispose, di nuovo con un sorriso rubato dei suoi.

«Sei crudele» borbottò, prima di assottigliare gli occhi e tornare a guardare i suoi genitori.

Tom aveva lasciato Sans a terra e lo stava fissando mentre girava per la stanza, probabilmente nel tentativo di orientarsi in quella stanza. Marinette, invece, da questa passò a lui e finì per sciogliersi al vederlo sorridere con forse una nota di invidia.

«Però…» mormorò a un certo punto, catturando immediatamente la sua attenzione «… ammetto che la mia vita sarebbe più noiosa senza di te.»
«… Anche la mia» concordò, con la maschera all’altezza delle sopracciglia piegata all’ingiù.
 
· · ·

«Qui c’è la tua cuccia, la tua acqua e il tuo cibo…» gli disse Marinette, mentre lui, ancora restio, era comodo tra le sue gambe: «… Dovrei aggiungere Macaron alla lista dei tuoi soprannomi.»
«… Come va?»

Marinette girò leggermente la testa e sulla propria spalla ritrovò Tikki, anche lei con gli occhi fissi sull’ultimo arrivato.

«Al piano di sotto gira tranquillo. Spero che riesca a orientarsi anche qui.»
«Beh, tu dovresti smetterla di correre e spostare continuamente le tue cose. Altrimenti lui potrebbe allarmarsi nel non ritrovare i suoi punti di riferimento.»
«Sì, lo so… Dovrò praticamente farmi una piantina della mia camera, ma… se si tratta di aiutarlo, non posso certo prendermela» disse, mentre era occupata ad accarezzargli la schiena.

La kwami spostò il proprio interesse sulla portatrice e l’espressione che aveva la confuse sul momento. Erano passati un paio di giorni e Chat Noir si era fatto vivo solo una volta. Questo a casa sua, perché con Ladybug era sempre stato puntuale. Durante le ronde, però, non si era tanto lasciato andare a chiacchiere, aveva mantenuto un tono serio, e tutto, a lei, era suonato… diverso.

«Marinette, stai ancora pensando ai miraculous?» le domandò a un certo punto, facendola come risvegliare.

Sgranò gli occhi e poi scosse la testa un paio di volte. Fece per aprire bocca e risponderle, ma si zittì nel momento in cui il gatto si allontanò a rallentatore da lei per mettersi ad esplorare il suo personale angolino della camera.

«… Marinette?»
«Eh? Ah, sì…» le rispose, forse ancora distratta dall’amico felino.

Rimase a guardarlo toccare entrambe le ciotole, annusare il contenuto e poi assaggiarlo. Sans riservò diverso tempo anche alla sua cuccia, che Marinette si era permessa di realizzargli a mano, incurante delle ore di sonno che poi aveva perso.

«… Tu e Chat Noir riuscirete a risolvere la situazione, non ti devi preoccupare» si premurò di ricordarle la kwami, che ricevette un sorriso dalla portatrice.

«Mh… Grazie, Tikki.»
«Meow» miagolò il suo amico peloso, tornato con le zampe a contatto diretto con il pavimento, prima di zampettare verso di lei e arrampicarsi sul suo petto per strusciarsi contro il suo collo «Meow…»
«Ehehe… Grazie anche a te».

Lui prese a fare le fusa non appena lei cominciò ad accarezzargli la testa.

«Non hai ancora pensato a che nome dargli?»
«No… Voglio che ci pensi Chat Noir.» confessò, mentre era occupata ad accarezzare la schiena al micio: «Insomma, lui vivrà con me e con i miei, però lui non appartiene a nessuno e… sicuramente hanno stretto un legame. Mi sembra solo giusto…»
«Io scommetto che tu non ci avresti messo neanche mezzo secondo, considerati tutti i film che ti sei fatta da quando conosci Adrien.»
«… Già» concordò la portatrice, con un sorriso accennato che scomparve poco dopo.

Il gattino si allontanò e quando Marinette fece per tornare con entrambe le mani sulle gambe, lui seguì il suo braccio per poterle leccare il dorso un paio di volte.

«Su, vai a fare un pisolino…» gli consigliò, con un solo lato della bocca alzato.

Questa volta non rimase ferma a guardarlo, si tirò su con aiuto delle braccia e la coccinella la seguì fino alla scrivania, dove la portatrice si accomodò sulla sedia, quasi abbandonandocisi sopra.

«… Tikki?»
«Sì?»
«Io ho avuto prova concreta del fatto che un semplice atto possa scindere il percorso del tempo…»
«Esatto.»
«E se, ancora adesso, sta procedendo tutto senza che qualcuno mi abbia rapita per mostrarmi che l’intero universo è in rotta di collisione… vuol dire che sta procedendo tutto per unico verso, giusto?»
«Sì.»
«Mh…»
«Qualcosa non va?»
«No, nulla, stavo solo… pensando.»
«… Chat Blanc non ha ancora smesso di tormentarti, vero?»
«Come potrebbe…?» sussurrò la ragazza, che subito si portò entrambe le mani agli occhi per asciugarsi le lacrime: «… Ho come l’impressione che… io stia perdendo Chat Noir, nonostante adesso lui stia… solo facendo quello che gli ho sempre chiesto…»

Tikki smise di guardare la portatrice per un attimo e poi si decise a volarle davanti. La ritrovò quasi sul punto di cadere all’indietro, con le mani che le coprivano interamente il volto e le braccia e il suo corpo appena scosso, forse da brividi.

«Marinette?»
«Io vorrei solo smetterla di trovarmi sempre in queste situazioni… Non riesco più a capire un bel niente!»
«Marinette…» la richiamò, prima di avvicinarsi nuovamente e sdraiarsi sulla sua testa «… Calmati, respira…»
«Io vorrei solo riavere la mia vita… La vita che avevo prima di avere tutte queste responsabilità sulle spalle…» arrivò a singhiozzare a un certo punto, nonostante tutti i suoi sforzi di reprimere quelle emozioni: «L’ho fatto soffrire per così tanto tempo… Io sono stata una guardiana e partner orribile…»
«Marinette, tu hai sempre e solo fatto quello che ritenevi fosse giusto.»
«E ho sbagliato! Gli ho tenuto tutto nascosto, abbiamo litigato così tante volte che ho perso il conto e… e adesso che sta solo… cercando di essere un partner adatto…»
«… Non era Cat Walker il tuo partner adatto?»
«No…» singhiozzò, con aggiunti diversi movimenti laterali della testa «… Sono stata un mostro con lui…»
«… Hai esagerato, questo è innegabile.»
«Mh…» mugolò alla fine, prima di asciugarsi il naso contro la manica della giacca.

Tikki, dopo averla sentita tirare su un paio di volte, si alzò nuovamente in volo e tornò di fronte a lei. La trovò con gli occhi rossi, i capelli in disordine e lo sguardo rivolto verso Sans.

«… Ho paura, Tikki…»
«Perché? Non c’è motivo per il quale Chat Blanc dovrebbe ripresentarsi, hai appena detto che Chat Noir non sta insistendo più con Ladybug.»
«… Però io con lui sto bene…» sussurrò, prima che un’altra lacrima le rigasse la guancia: «Lui è mio amico… Riesco a scherzare con lui, io… mi sento tranquilla, con lui.»
«Pensi di provare qualcosa di più forte per lui che per Adrien?»
«Tikki…» sussurrò: «… Adrien… ha un lato di sé che, in passato, mi ha sempre lasciata perplessa. Quella facciata perfetta mi ha sempre accecata, però anche lui è una persona… e di conseguenza perfetto non lo è.»
«Quindi pensi che questo possa allontanarti da lui in futuro?»
«No…» in quel momento riaprì gli occhi e prese un respiro profondo: «… Poterlo finalmente vedere libero di mostrarsi per chi è davvero mi riempie il cuore di gioia, ma… allo stesso tempo, mi fa storcere il naso vedere il mio partner assumere quell’apparenza “perfetta” che io ho sempre richiesto.»
«… Ti confonde che i due ragazzi più importanti per te stiano assumendo comportamenti completamenti opposti?»
«Penso di essere sempre stata confusa… e lo sono tuttora» mormorò, prima di rivolgere finalmente i propri occhi azzurri verso la piccola divinità in rosso.

«… Non devi avere paura dei tuoi sentimenti, Marinette.»
«Ripensa a cosa hanno portato i nostri sentimenti…» borbottò, prima che la kwami si avvicinasse di nuovo a lei, questa volta per accarezzarle la guancia.

«Si è trattato di un futuro sbagliato, Marinette…»
«… Uno?» ripeté, dopo aver tirato su con il naso e puntato gli occhi sgranati su di lei.

Quelli di Tikki reagirono alla stessa maniera e allora la ragazza li chiuse assieme alla bocca. Aveva cominciato a prendere un respiro profondo dopo l’altro e non stava riuscendo a calmarsi, il peso sul suo petto era diventato fin troppo pesante.

«… Marinette, io-.»
«Lasciami da sola…» la pregò, prima di alzarsi con attenzione dalla sedia e poi dirigersi verso le scalette.

Queste riuscì a salirne una di seguito all’altra senza inciampare e, arrivata davanti al letto, il suo stesso corpo la abbandonò e lei si ritrovò a pancia in giù sul materasso.

«… Vorrei essere lasciata qui…» singhiozzò prima di aggrapparsi alle lenzuola: «… Però poi farei comunque del male alle persone…» cosa la fermò dall’addentarsi il labbro inferiore non avrebbe mai potuto spiegarlo, ma non riuscì comunque ad impedire a se stessa di crollare in lacrime.

Passati diversi secondi, riuscì a spostarsi da quella posizione per sdraiarsi sulla schiena, ma, nell’esatto momento in cui appoggiò la testa al cuscino, incrociò due strane luci verdi poco sopra di lei. La sua vista era rimasta offuscata dalle lacrime e stava davvero faticando a mettere a fuoco ciò che la circondava, ma non fece in tempo ad assottigliare gli occhi che l’istinto la portò a girarsi un momento su un fianco. Una figura in nero le atterrò accanto e, riconosciuto lo sguardo color smeraldo ancora sopra di lei, Marinette sgranò gli occhi.

«… Ti mancavo, eh?» le chiese, con un sorriso piuttosto tirato e gli occhi lucidi.

La ragazza, con la bocca storta in una smorfia, annuì più volte con la testa e ritrovò la forza di tirare su il busto per potersi fiondare tra le braccia del giovane supereroe, che strinse come mai aveva fatto prima; nemmeno quelle volte in cui l’aveva visto davvero sparire.

«Scusa se non sono passato più spesso…» lei negò ripetutamente con il capo contro il suo petto: «… Anche tu mi sei mancata.»

Appoggiò la testa alla sua e un rumore familiare cominciò a diffondersi dalla sua bocca, ma, per chissà quale motivo, non se ne preoccupò affatto. Rimase con gli occhi chiusi ad annusare i capelli di Marinette, che, prima scossa dai singhiozzi e con il respiro corto, riuscì piano piano a calmarsi. Lui poi tirò su leggermente la testa, abbastanza da potersi appoggiare sulla sua. Su questa strofinò per un po’ il mento e, al sentire lei ridacchiare, socchiuse gli occhi e sorrise.

«… Ho voluto pensarci bene prima di passare da te. Si tratta di una questione importante e, lo ammetto, alla fine ci ho messo così tanto impegno che mi imbarazzava dover tornare da te…»
«Perché imbarazzare? Ti ricordi con chi stai parlando?» gli chiese, quando entrambi si erano appena allontanati, l’una dall’altro, controvoglia.

Lui, con la testa leggermente chinata di lato e il centro della maschera piegato all’ingiù, prese il suo viso tra le proprie mani e, con attenzione, le asciugò i rimasugli delle lacrime. Lei chiuse gli occhi quando lui ci passò delicatamente sopra le dita, ma non lo perse mai di vista.

«Con la ragazza più fantastica che esista al mondo…» sussurrò, sul punto di sciogliersi completamente quando notò il suo sorriso: «… Vuoi leggere la lista, non è vero?»
«Ehehe…» ridacchiò con gli occhi chiusi, prima di sfiorargli il campanello e poi alzarsi dal letto: «Vieni, micetto?»
«… Ovunque con te» gli scappò, quando lei aveva già cominciato a scendere le scalette.

La raggiunse alla scrivania in un battito di ciglia e lui aprì la tasca del costume per tirare fuori un foglio ripiegato più o meno quattro volte.

«Ce ne sono un po’…» le disse, prima di porgerglielo.

Marinette si accomodò nuovamente sulla propria sedia e Chat Noir si appoggiò a questa, per poter passare le dita tra le ciocche sfuggite ai codini disordinati di lei.

«Thomas… Buyo, Wonder… Matatabi, Monet… Artemis?» lesse, con lo sguardo aggrottato, prima di voltarsi verso di lui e coglierlo sul fatto.

«Sai benissimo chi è, non guardarmi così.»
«… È probabile, ma te lo avrei appoggiato solo se avesse davvero avuto una voglia a forma di luna sulla fronte.»
«Precisina…» la scimmiottò alle sue spalle. Gli scappò comunque da ridacchiare quando si ritrovò ancora i suoi occhi addosso.

«Roku, Oggy, Charles… Azrael, Hércules, Ambroise…» credeva di averne inquadrati alcuni che le piacevano più di altri, ma, proseguendo, erano aumentati fin troppo di numero: «… Cavoli, ne hai segnati proprio tanti.»
«Perché non riuscivo a decidermi!…» mugolò dispiaciuto, contro il sedile, prima che lei allungasse la mano per grattargli dietro l’orecchio nascosto: «Non mi consoli così.»
«… Troverò una soluzione. Ti fidi di me?» gli chiese, sorridendo immediatamente quando lui ritrovò il suo.

«Sempre, super Marinette.»

A quelle parole, lei spalancò gli occhi e le sue guance si colorarono di un rosso acceso. Lui le rivolse un occhiolino e poi si allontanò per raggiungere l’angolino del loro micetto. Si accomodò a terra a gambe incrociate e appoggiò la schiena contro al muro, un attimo prima che qualcuno si alzasse dal proprio giaciglio per raggiungerlo.

«Ehi, Matisse… Ti è mancato papà?»
«Meow…» miagolò lui, tra le fusa, prima di tornare comodo tra le sue gambe.

«Mamma ti tratta bene?»
«Meow
«… Sono un po’ geloso di te, sai? Vorrei poter passare io tutto questo tempo con lei…» sussurrò, mentre era occupato ad accarezzargli la schiena.

Rimase lì ad aspettare per un po’, finché lei non li raggiunse con ancora il foglio stretto tra le dita.

«Allora? Quale hai scelto?» non stava più nella pelle e lei si era dovuta trattenere dal non urlare poco prima.

«… Charm.»
«Charm?» ripeté lui, confuso e più che dispiaciuto: «… Ma io non-.»

Lei, prima che lui potesse finire di parlare, girò il foglio e glielo riconsegnò. Lei aveva sottolineato cinque nomi e cerchiato l’iniziale di ognuno.

«… Charles Hércules Ambroise Roku Monet.»
«Abbreviato è Charm.»

Chat Noir non riusciva a credere ai suoi stessi occhi. Tutte le parole gli erano morte in gola e le lacrime lo stavano minacciando di uscire a fiotti, ma lui non riuscì a fare a meno di rimanere a bocca aperta.

«Ma-… Come hai-? Come…?»
«… Volevo che avesse anche lui cinque nomi, come il suo papà» il suo sorriso si allargò quando notò i suoi occhi sgranarsi e il suo viso alzarsi lentamente dal foglio.

«… Tu-… Tu come fai…?»
«… Quando una cosa è importante, è importante dirla non importa cosa. Forse non te ne sei accorto, ma… hai ripetuto tante di quelle cose che mi hai detto senza maschera, Adrien.»

Il ragazzo voleva semplicemente scoppiare a piangere dalla felicità, il cuore gli stava esplodendo nel petto.

«Meow…» miagolò il suo gattino, adesso arrampicato sul suo petto.

«… Charm.» lo chiamò, per la prima volta, prima di prenderlo in braccio «Hai sentito piccolo? Tu ti chiami Charm.»
«Meow

Marinette avrebbe voluto rimanere a guardare quella scena per sempre, ma si tirò su comunque, questo per potersi sedere accanto a Chat Noir.

«Sai una cosa?»
«Mh?»
«… Per la prima volta non ho bisogno dei miei ragionamenti contorti per capire dove vuole portarmi il mio Lucky Charm.»

Lui, che si era già voltato a guardarla, spalancò ancora di più gli occhi e rischiò veramente di esplodere quando incrociò di nuovo i suoi.

«… Buginette
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Miraculous Ladybug / Vai alla pagina dell'autore: Louis Agreste