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Autore: sasdavvero    02/09/2022    0 recensioni
“Cosa intendevi quando parlavi dei genitori?”
La donna gli sorrise. “Non ho bene in mente di cosa parli.”
L’uomo si sistemò sulla sedia, il suo sguardo incerto ricadeva ovunque, tranne che su di lei.
“Beh… sì, ecco, la roba del si diventa grandi quando si perdono i genitori.”
Le diede uno sguardo e la vide sorridere, abbastanza divertita. “Ah, hai visto la live?”
Salvatore sentiva le fiamme sul suo volto. “C’ho provato, anche se farle alle sei meno un quarto di mattina mi sembra una cagata."
“Alzarsi presto al mattino è sempre una buona idea, secondo me, e poi, a quell’ora è più facile che le persone non siano impegnate.”
Salvatore pensava fosse abbastanza una rottura, ma non disse nulla.

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[Ispirato a una live della mia psicologa
(link alla serie su ao3 nella nota iniziale)
Questa storia è più importante lmao]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NOTA: yoo!!!!

storia inspirata alla mia fantastica psico, ChiaramentePsicologia (link a insta) che fa ste belle live alle 5:45 (quelle le fa su ChiaramentEsperienze (altro insta))

e nada, appena ha parlato di questa cosa mi è venuto in mente il mio caro Salvatore (oltre a riflettere sulla mia vita ofc) quindi c'ho scritto 'sta storia

DabiHawks Chainsaw Man AU

ps: se vi va, andatevi a vedere le storie in evidenza sul "Cross Your Mind" su ChiaramentEsperienze, e vedere se fa per voi! ;)

enjoy!!!

__________

“Cosa intendevi quando parlavi dei genitori?”

La donna gli sorrise. “Non ho bene in mente di cosa parli.”

L’uomo si sistemò sulla sedia, il suo sguardo incerto ricadeva ovunque, tranne che su di lei.

“Beh… sì, ecco, la roba del si diventa grandi quando si perdono i genitori.”

Le diede uno sguardo e la vide sorridere, abbastanza divertita. “Ah, hai visto la live?”

Salvatore sentiva le fiamme sul suo volto. “C’ho provato, anche se farle alle sei meno un quarto di mattina mi sembra una cagata."

“Alzarsi presto al mattino è sempre una buona idea, secondo me, e poi, a quell’ora è più facile che le persone non siano impegnate.”

Salvatore pensava fosse abbastanza una rottura, ma non disse nulla.

“Cosa non hai capito di quella frase?”

Prese un respiro. “Non— non so bene come esprimerlo, ma… tu hai detto questa frase, e io li ho persi, i miei genitori, ma credo che tu non intendessi il perdere come morte.”

La donna sorrise. “Beh, no, per niente, ma effettivamente anche altri hanno provato a chiedere, quindi mi sa che non l’ho spiegato bene io. Sai, una domanda che faccio spesso a persone che vengono qui è: Come tratteresti tuo figlio? Rispetto a te, a come ti comporti con te stesso, come ti comporteresti con lui? Facendo un esempio semplice, ad una persona con un disturbo alimentare, in eccesso, chiederei: Faresti mangiare a tuo figlio ventitré barrette di Kinder Bueno in un pasto solo? Tutti mi dicono sempre: No, no, gli darei un pasto completo, pasta, sogliola, verdure, e gli farei bere molta acqua, ed è questo che intendo. Diventare grandi significa perdere i genitori e diventare noi stessi i nostri genitori, prendere le responsabilità che hanno i genitori e farle nostre per poter essere responsabili di noi stessi, togliendo questa parte del rapporto che si ha con loro. Certo, questo non significa che il legame debba cessare di esistere, anzi, può esistere in un modo più leggero, privato di queste responsabilità e da ciò che deriva da queste. Spesso, un legame con un genitore è caratterizzato da un forte senso di costrizione che porta ad aver paura di slegarsi da loro per paura di deluderli, ma diventare grandi è proprio riconoscere questa costrizione e far pace con questa paura, è essere responsabili di sé stessi come un genitore è responsabile di un figlio.”

Salvatore non disse nulla, pensava e pensava a quelle parole che già sentiva scappare via dalla sua mente.

Dio, la sua memoria della minchia, ma un po’ aveva capito quello che intendeva.

Essere responsabili di noi stessi, non—

“Non so se sono grande, non ancora, almeno.”

“Che intendi dire?”

Come se già tu non lo sapessi.

Probabilmente.

“Che— non lo so, non mi tratto come tratterei mio figlio, ma nemmeno lontanamente, mangio cose che non sono salutari e ignoro i miei problemi, e sono qui, no? Per vari motivi, ovvio, ma uno di questi è sicuramente la… la mia tendenza a prendere troppe pastiglie, credo. Ma loro— loro sono morti, e io sono responsabile, non è che non so vivere per conto mio, sono anni che sono da solo, ma loro… a volte è come se potessi ancora sentirli, sentire i loro sguardi su di me e le poche parole che mi dicevano e a volte mi sembra quasi come se sto ancora cercando la loro approvazione. Non lo so.”

“Prendere su di noi la responsabilità di un genitore è un percorso lungo, Salvatore, non succede tutto in fretta o tutto in una volta sola. Tu sei in grado di vivere in parte le loro responsabilità, quelle più pratiche, possiamo dire: fare la spesa, pagare le tasse, pulire in casa, cose per cui puoi avere una concreta prospettiva di un risultato. Ci sono cose, invece, che vengono difficili a te come verrebbero difficili a chiunque, è normale non essere subito alla fine di un percorso come questo, ma siamo qui per questo, no? Il trauma che loro ti hanno lasciato è stato rivangato per tutto questo tempo, ma avremo il modo di poterne parlare e poter capire cosa fare per questo.”

Salvatore annuì, testa piena solo di quella parola.

Trauma.

Trauma.

Trauma.

Non gli era mai piaciuta, quella parola, come rimbombasse nella sua mente e come fosse sempre seguita da una sola altra frase nella sua mente:

Che falso che sei.

Eppure, era anche questo, no? Questo suo impulso a pensare No, non ho un trauma, mi hanno solo ignorato, ma non è un trauma, perché se una qualsiasi altra persona fosse andata da lui e gli avesse detto Guarda, i miei non erano molto presenti nella mia vita quando ero bambino, e ancora mi porto dietro strascichi di questo trauma, lui non avrebbe iniziato a dire Guarda che non è un trauma, avrebbe annuito e detto solo Mi dispiace, se posso fare qualcosa per te fammi sapere.

Non avrebbe mai potuto dire a qualcuno una cosa del genere, negare una loro esperienza.

Nemmeno a un suo possibile figlio.

Certo, non voleva avere figli e di sicuro sperava sarebbe stato meglio di suo padre, ma quello era un altro discorso.

Il discorso vero era che anche su questo, anche su questo, avrebbe dovuto essere più paziente con sé stesso, accettare questa cosa come la accetterebbe in chiunque altro.

Era difficile, e aveva ancora paura.

“A che stai pensando?” chiese la donna dopo chissà quanto silenzio.

Salvatore alzò le spalle, mormorando un niente.

Non aveva più voglia di parlare.

Dio, com’era stanco.

Passarono ancora un po’ di minuti a guardare il pavimento, quando la donna gli fissò l’appuntamento successivo.

Si salutarono e Salvatore uscì dallo studio pensando solo a quanto non avesse voglia di andare a lavoro.

Sperava almeno che ammazzare diavoli l’avrebbe aiutato a calmarsi.

   
 
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