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Autore: Vento di Levante    04/09/2022    1 recensioni

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Una piccola storia in un universo alternativo di Our Flag Means Death.
Le sirene esistono.
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Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Stede Bonnet
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Submarine | prima parte

 

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Calma era la notte e senza vento; solo una grande luna pareva vegliare, bianca sopra il mare in bonaccia.

Nel silenzio, lo sciabordio dell'acqua pareva un bisbiglio a cui la nave rispondeva con piccoli schiocchi e cigolii sottovoce.

Uscendo dalla sua cabina, il capitano Edward Teach badò ad accompagnare la porta perché chiudendosi non facesse rumore.

Scivolò non visto dal marinaio di guardia, appisolato con la guancia contro la balaustra; passò oltre il ponte, fino ad arrivare a prua; e si affacciò sulla notte cavernosa spalancata sopra la nave, sul mare senza fondo acquattatole sotto.

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Al tempo in cui Edward Teach si era imbarcato, ormai molti anni prima, notti come quelle lo riempivano di meraviglia.

Non era che un bambino, allora, e nella sua testa piena di sogni misteri favolosi si nascondevano sotto il pelo dell'acqua; e il buio era tale solo perché gremito di segreti, gravido di promesse che attendevano soltanto lui per realizzarsi.

Mozzo miserabile, passava le notti in coperta a fantasticare di tesori sepolti, di duelli e gesta eroiche, di mostri marini e di sirene; e non importava che nessuno ne avesse mai visti, prima, perché di certo a lui si sarebbero rivelati.

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Ma gli anni erano passati, bui e pieni di fumo, e nessuna delle meraviglie che aveva sognato si era avverata.

Aveva imparato a maneggiare la spada e la pistola, a brandire l'ammirazione e la paura, a calpestare e uccidere e mutilare.

Era diventato capitano di vascello, poi ammiraglio di una flotta, uomo molto ricco e dalla fama tenebrosa e immensa.

Il mozzo Edward Teach dormiva in coperta e contendeva gli avanzi ai gabbiani; mentre Blackbeard, Blackbeard aveva la fama di pasteggiare con carne umana, aveva occhi di brace e al posto del cuore la bocca di un cannone.

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Ma tutto finiva oggi.

Perché Edward aveva deciso che quella notte avrebbe preso la propria vita; e la sferragliante leggenda di Blackbeard si sarebbe conclusa nel buio e nel silenzio.

Pareva un finale appropriato.

Ecco dunque perché Edward Teach si trovava a prua, nell'ora cupa prima dell'alba, mentre non un'anima era sveglia sulla sua nave all'ancora.

Mentre se ne stava a guardare la notte vuota, però, i minuti passavano; e Edward non sapeva risolversi.

E' davvero tutto qui?

L'aurora cominciava già a tingere di indaco l'orizzonte, quando finalmente si riscosse; se voleva farlo prima che fosse giorno, doveva affrettarsi.

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Proprio allora, però, in una luce che quasi ancora non era, Edward intravide qualcosa nella piatta distesa delle acque.

Udì, più che vederla, un'interruzione nell'esausto ripetersi dell'onda; e aguzzando gli occhi nell'oscurità che andava scemando, gli parve infine di indovinare un minuscolo peschereccio, tristemente inclinato su un lato, misteriosamente a miglia e miglia dalla costa più vicina.

Sembrava abbandonato alla deriva, lentamente spinto verso la nave da pigre correnti sottomarine.

Edward rimase a osservarlo in silenzio per un po'; infine, però, la sua curiosità ebbe la meglio. Si sfilò gli stivali e si tuffò.

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L'acqua fredda lo riscosse, e quando riemerse non aveva addosso più alcuna traccia del torpore che lo aveva trattenuto per ore sul ponte.

Raggiunse il peschereccio in poche bracciate, proprio mentre il sole si affacciava all'orizzonte incendiando l'alba di riflessi.

L'imbarcazione gli offriva il fianco parzialmente sollevato; Edward vi si aggrappò, e il suo peso bastò a riportarla dritta. Con un colpo di reni riuscì a salire.

Una volta a bordo poté accorgersi di due cose: che sul peschereccio giaceva ancora il cadavere del pescatore, il corpo riverso fuori dal natante; e che l'inclinazione dello scafo era dovuta al peso eccezionale della rete.

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Edward scivolò cauto sul fondo della barca, muovendosi lentamente per non ribaltarla; scansato il corpo esanime del pescatore, si affacciò a guardare.

Una formidabile coda di pesce riluceva sotto il pelo dell'acqua, catturando i raggi del sole su squame d'oro fulvo. Spariva e riappariva da sotto lo scafo, ornata di pinne trasparenti, screziando il verde dell'onda di riflessi arancio e cremisi.

Il cuore di Edward batteva forte. 
La coda era lunga quasi quanto la barca; e oltre le pinne pettorali, dove un pesce avrebbe avuto la testa, le scaglie simili a lucide monete lasciavano il posto a un busto di forma umana.

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Una spalla, un collo bianco baluginavano fra le maglie della rete, aggrovigliatasi in un nodo così stretto da immobilizzare la creatura contro lo scafo. Il capo sommerso, il viso nascosto da una nube bionda di capelli, pareva quasi inanimata.

Edward allungò una mano esitante, saggiando la resistenza della rete; e istantaneamente la creatura iniziò a dibattersi, inclinando di nuovo pericolosamente il peschereccio in un ribollire di schiuma perlacea.

"Cazzo." mormorò fra sè Edward indietreggiando nel ventre dell'imbarcazione. Si morse le labbra; ci pensò solo un altro attimo e poi si tuffò.

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Rischiò di non riuscire a riemergere.

Appena fu in acqua la pinna lo travolse con forza poderosa, facendogli battere la testa contro lo scafo e aprire la bocca in un grido che lo privò del fiato. Accecato dal dolore e dall'acqua salata, a malapena riuscì ad aggrapparsi con la sinistra a una delle corde che assicuravano la rete alla barca; e quasi nello stesso istante avvertì una fitta lancinante incendiargli il braccio destro.

Fu solo con uno sforzo estremo - e forse un piccolo miracolo - che riuscì a issarsi in alto abbastanza da respirare, fuori dai vortici di schiuma che minacciavano di inghiottirlo.

Mentre tossendo riprendeva fiato, lentamente l'acqua si fece di nuovo calma; finché la luce radente del sole tornò a seminarla di riflessi. Allora Edward abbassò gli occhi sul braccio dolorante, e lo vide.

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Era il viso di un uomo, eppure non lo era.

Aveva zanne affilate come lame, ancora affondate nella carne del suo avambraccio; ma gli occhi fissi su di lui, lucenti di rabbia e di paura, erano umani e del colore dell'ambra.
La sua pelle aveva una curiosa qualità iridescente; ma le rughe, il naso aquilino lungo cui scendevano silenziose gocce d'acqua, non sarebbero sembrati fuori posto sul viso di un rispettabile ammiraglio inglese.

Edward stava ancora registrando quella visione impossibile, quando lo sguardo della creatura si offuscò; la morsa delle mascelle si allentò per un momento, prima di tornare a stringersi convulsa, mentre l'essere marino veniva scosso da un lungo brivido.

Edward si rese conto allora che nella lotta le corde si erano conficcate ancor più a fondo nella carne della creatura, fino a lacerarne la pelle. La rete lo stava soffocando.

Edward rimase ancora un istante con gli occhi negli occhi della creatura; poi lasciò la presa sulla corda, e ancora una volta si abbandonò al mare.

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Armeggiando con la mano libera, Edward riuscì a sfilare dalla cintura il proprio coltello. Nel veder lampeggiare la lama l'essere marino serrò le fauci, ma Edward ignorò il dolore; e iniziò veloce a recidere le maglie della rete.

La prima corda cedette, e un braccio bianco guizzò libero, stringendo subito il fianco di Edward in una morsa d'acciaio; ma egli proseguì. Attaccò la seconda corda, e quando anche questa si ruppe la rete si staccò dallo scafo. I due iniziarono lentamente a sprofondare; ma nemmeno a quel punto Edward si interruppe. Con gli ultimi colpi di coltello finì di tagliare via la rete, liberando le delicate fessure simili a branchie sul torace della creatura.

A quel punto Edward aveva esaurito il fiato; la superficie splendeva ormai lontana, dieci braccia più su; la creatura era libera.

Era questo, forse, che essa stava ponderando, mentre senza lasciare la presa fissava Edward con occhi spalancati.

Così, Ed sollevò la mano che ancora reggeva il coltello; aprì le dita, e lo lasciò cadere nel fondo del mare.
La confusione lampeggiò talmente chiara nello sguardo della creatura che Edward scoppiò a ridere: un ultimo gorgoglio di bolle, che sparirono filando brillanti e velocissime verso la superficie.

Ed chiuse gli occhi. Alla fine, sarebbe riuscito almeno a morire in un modo che avrebbe fatto battere il cuore di Edward bambino.

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...a quanto pareva, però, non era destino.

Un istante dopo una forza irresistibile lo afferrava e lo trascinava in alto, verso il sole; il respiro che trasse rompendo la superficie dell'acqua fu doloroso, devastante e totalmente magnifico.

Ansimò per qualche momento nella luce, riempiendo d'aria i polmoni doloranti; con il capo rovesciato e gli occhi rivolti al cielo, poteva sentire, più che vederla, la creatura che lo aveva riportato a galla, mentre muoveva appena la coda per sostenere entrambi fuori dall'acqua.

...La creatura che lo teneva ancora stretto.

Edward poteva sentire attraverso la camicia dita artigliate premergli nella carne; tutta la forza elastica di un corpo padrone del suo elemento in contrasto con la propria debolezza, che in quel momento gli faceva dubitare perfino di poter rimanere a galla da solo.

Si rese conto con un brivido che quell'essere era un predatore; che quei denti, quegli artigli erano fatti per dilaniare la carne.

Gli occhi della creatura gli erano nascosti, ora; aveva reclinato il capo sul suo braccio ferito, e Edward poteva sentirla sfiorargli la pelle con i denti aguzzi, assaggiare il suo sangue con piccoli colpi della lingua calda e liscia.

Lentamente, la bocca della creatura si spostò dal suo avambraccio alla pelle sottile all'interno del gomito; risalì lungo il bicipite, sfiorò una clavicola. Edward sentì i denti passare sulle ossa, cercare sulla gola il punto dove il cuore pulsava più forte; e il cuore di Ed batteva come non gli accadeva da tempo, rapido e martellante e come sull'orlo di un precipizio.

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E poi, in un solo guizzo, la creatura lo lasciò andare.

Sparì sotto il pelo dell'acqua per riemergere diversi metri più lontano, affiorando quel tanto che bastava per osservare Edward mentre tornava ad aggrapparsi al peschereccio, annaspando goffamente.

La luce del giorno ormai sfolgorava in un glorioso mattino; il mare e il cielo erano di nuovo di un implacabile azzurro.

Dalla vicina nave giungevano ora voci che chiamavano, rispondendosi dalla poppa alla prua; probabilmente chiamavano proprio il suo nome. La vita tornava a reclamare il capitano Blackbeard, con tutto il suo carico immutabile e ben noto.

Ma nel mezzo dei flutti, Edward poteva ancora vedere i riflessi dorati di una pinna gigantesca, sentire fisso su di sé il raggio di due occhi d'ambra.

Era mattino, e Edward Teach era ancora vivo.

 

.

 

NdA
Breve storia ispirata dall'AU di Feriowind (su Twitter e Tumblr)

 

 

   
 
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