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Autore: Nao Yoshikawa    21/09/2022    0 recensioni
Le cose per Genos e Saitama cambiano quando Maga Tamago legge loro il futuro con i tarocchi. Amore, sventura, avversità, trauma e rinascita.
E il tempo non è più lineare.
«La fortuna» continuò Maga Tamago. «Ma è al rovescio. Di solito ha un significato positivo, ma quand'è al contrario simboleggia un destino avverso, per l'appunto.»
Saitama iniziò a provare disagio. Perché quell'impostora prediceva solo sventure?
«E poi?» chiese Genos, che pareva serio e indifferente.
«Gli amanti» Maga Tamago sorrise. «Non c'è bisogno che ve lo spieghi, giusto? Ci sarà l'amore nel vostro futuro. Vi innamorerete.»
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Garou, Genos, Nuovo personaggio, Saitama
Note: nessuna | Avvertimenti: Mpreg
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Capitolo diciassette: Non più lacrime
 
Adesso Genos trovava un senso a tutto ciò che era successo, ma non riusciva comunque a metabolizzare certe cose. Nel futuro, lui e Saitama avevano perso Tamago. Nel futuro, avevano sofferto tutti e tre. Non erano stati capaci di proteggere la loro unica figlia. Lui non ne era stato in grado. Eppure adesso quella figlia eccola lì. Se ne stava in piedi a parlare con gli altri che, curiosi, avevano iniziato a porle un sacco di domande. Lei era diventata grande e al contempo dormiva nella sua culla, era assurdo anche solo pensarci. Saitama gli parlava, ma recepiva ben poco di ciò che gli stava dicendo.
«… Lo so che è tutto assurdo. Mi sta scoppiando la testa. Insomma, succede un casino del genere, nel futuro? Addirittura ci lasciamo? Col cavolo, una cosa del genere non può accadere!»
Genos finalmente ritornò in sé. Non era l’unico a voler impedire quel futuro. Ma non c’era niente di scritto, come potevano avere la certezza che sarebbe tutto cambiato in meglio
«Non sono stato capace di impedirlo. Non sono un granché come genitore.»
«Questo non è vero. E, come vedi, io non sono tanto meglio» Saitama sospirò e guardò Tamago. La sua bellissima bambina, cresciuta da sola tra il dolore e chissà che altro che non conosceva. «Dobbiamo cercare di capire.»
Allungò una mano e strinse quella di Genos. Adesso sarebbe stato tutto diverso, pensarono mentre si avvicinavano a lei.
«Non posso credere che tu venga dal futuro» commentò Child Emperor. «Puoi spostarti a tuo piacimento nel tempo?»
Tamago arrossì.
«No, e il problema è proprio questo. Non sono mai riuscita a controllarlo completamente. Sono arrivata qui la prima volta per pura fortuna» smise di parlare quando vide i suoi genitori davanti a sé. Saitama sorrise, in imbarazzo.
«Così eccoci qua, eh?»
Genos si sentiva ancora più in imbarazzo di lui, anzi. Si sentiva colpevole.
«Tamago… mi dispiace per quello che hai passato. Eri solo una bambina, avrei dovuto pensarci io a proteggerti.»
«Noi» lo corresse Saitama. La ragazza lo guardava, le spalle dritte e l’espressione contratta in una smorfia di dolore. Oh, se solo avessero saputo tutto ciò che aveva visto e provato. Le parole non sarebbero bastate. E, pensandoci, non ne aveva bisogno.
«La colpa non è vostra» e dicendo ciò allargò le mani. «Forse posso mostravi direttamente ciò che mi è successo. Se solo stando a contatto con me siete stati capaci di vedere degli sprazzi del futuro, allora forse toccandomi sarà tutto più chiaro.»
Genos guardò Saitama e viceversa. Non si sentivano pronti a vedere quel futuro disastroso, ma che altra scelta avevano? Così toccarono e poi strinsero le mani di Tamago. E videro tutto, come se le immagini passassero loro davanti agli occhi. Gli anni felici, poi il momento in cui Tamago aveva acquisito i poteri. La sua scomparsa, la loro sofferenza e la sua, il tentato suicidio, la voglia di mettere fine a tutto. La fine della loro storia d’amore, che lasciava posto solo al rancore e alla rabbia. Arrivò tutto insieme e Genos fu il primo a staccarsi dalla sua presa.
«Non è vero. Tutto questo è successo a te, a noi. Tu non dovevi soffrire così.»
«No, e nemmeno voi. Alle volte ho pensato che se non ci fossi stata, sarebbe stato meglio per tutti.»
Saitama scosse la testa. Non se n’era nemmeno accorto, ma aveva le guance bagnate di lacrime. Lui non piangeva mai. Ciò che aveva visto però gli aveva toccato l’anima.
«Non so chi siano questi tutti di chi parli, ma di certo la cosa non riguarda noi»
Le accarezzò la testa, con dolcezza.
«Cosa dobbiamo fare?» domandò ancora Saitama. Tamago si rasserenò sotto il suo tocco.
«Dovete solo impedirmi di venire a contatto con I Jikan. Non so come, ma avete visto quello che succede. Io non posso…»
«Ma aspetta!» gridò Metal Bat, che fin ora aveva evitato di immischiarsi per lasciare loro un po’ di intimità. «Vuoi veramente rinunciare ai tuoi poteri? Questa è una cosa stupida, un potere come il tuo può essere  un dono. E tra l’altro hai anche detto ua bugia. Non sei mai riuscita a controllarlo? Balle! Quando sei tornata qui con Garou sei riuscita eccome, mi pare!»
Per Saitama e Genos non fu troppo strano sentire pronunciare il nome d Garou. Avevano visto anche questo. Certo era un po’ strano pensare che la loro bambina fosse diventata amica di uno come lui. Tamago fece spallucce.
«È stato solo un caso» si schernì.
«Ragazza, ascolta» intervenne Silver Fang. «Tutto quello che è accaduto a noi, di certo è accaduto per un motivo. Anche negli attimi più bui può trovarsi un po’ di luce, basta cercare. Se tu hai questo dono, magari sei solo destinata a compiere qualcosa di straordinario.»
Tamago se l’era immaginato tante volte. Da bambina aveva sognato di diventare un’eroina, sarebbe stato bello usare quel potere per aiutare le persone. Ma fin ora non aveva aiutato nessuno.
«Però io ho solo portato sofferenza.»
«Non è vero, questo» Genos poggiò anche la sua mano sulla sua testa. «Noi possiamo anche fare quello che vuoi, cercare di impedire il contatto tra te e il Jikan. Ma noi ti ameremmo a qualsiasi condizione. È sempre stato così.»
«Puoi ben dirlo!» aggiunse Genos. «Ti abbiamo voluto bene quando ancora non sapevamo chi fossi» e poi abbassò la voce. «Però io ti voglio più bene.»
Tamago si mise a ridere. Aveva le lacrime agli occhi, non perché fosse triste. Ma perché si sentiva scaldata magari fuori ci fosse il gelo.
«Ragazzi, attenzione!» gridò ad un tratto Metal Bat. Aveva avvertito qualche istante prima la terra tremare sotto i loro piedi. Come un terremoto.
«Ah! Ma che succede?» domandò Tatsumaki. «Un terremoto?»
«No, macché! Sono i Jikan, li sento» Metal Bat si concentrò. «Oh, no. Merda. Temo siano scappati.»
«Scappati?! Questo non era previsto!» esclamò Saitama.
«Perché questo effettivamente non è successo. Ma adesso sì» spiegò Tamago. «E ora?»
Il suo compito poteva anche dirsi finito. O forse no.
Si sentì ad un tratto coraggiosa. Risoluta. Non che non avesse paura, quella l’accompagnava sempre come una fedele amica. Ma adesso non aveva più voglia di scappare.
«E ora si va da loro, questo è quanto» sussurrò, sollevando la testa,
 
Quando Genos aveva chiesto a Kiko di prendersi cura di Tamago mentre non c’erano, quest’ultima aveva cercato di porre delle domande, ma il cyborg gliel’aveva impedito. Si era detto che prima di riprendere la carriera da eroe si sarebbe preso de tempo, per sé stesso e per Tamago.
Sempre per Tamago, adesso si ritrovava a fare il contrario.
E poi, i Jikan in qualche modo andavano fermati, quindi era a prescindere un loro compito.
«Tamago, so che forse non dovrei ricordartelo» disse Saitama andando dietro sua figlia. «Ma l’ultima volta che sei venuta a contatto con loro, hai iniziato a viaggiare nel tempo. Non dovresti lasciare fare a noi?»
«Neanche per sogno! E poi rischiano di far male a delle persone innocenti!»
Tastumaki scosse la testa.
«Mi chiedo proprio da chi abbia preso la testardaggine.»
Fuori c’era il gelo, ma aveva smesso di nevicare. Tutto intorno era coperto da un bianco candido, il sole appariva tiepido: I Jikan erano così imponenti da coprire anche la fioca luce dell’inverno. Tamago poté giurare di ricordarli molto più piccoli. Alcune persone venivano sfiorate dai tentacoli dei Jikan, che avanzavano a pochi metri da terra.
«Merda» imprecò Metal Bat. «Non li vedo, ma non ci vuole la vista per capire che questo è un vero casino.»
«E ci serve un piano. Abbiamo un piano?» domandò Saitama. Tamago si guardò attorno. Lei non era un’eroina, stava solo improvvisando.
«Qualcuno di voi deve occuparsi di mettere in salvo i civili. Io vado dai Jikan.»
«Aspetta un attimo» Genos l’afferrò per un braccio. «Non hai il potere di fare nulla!»
«Per l’appunto. Fai andare me. Potrei eliminarli con un solo colpo» disse Saitama. «Se adesso io li uccido, tu non li incontrerai mai e avrai una vita normale. Non era quello che volevi?»
In teoria sì, lo era. Ma adesso Tamago sentiva che c’era qualcosa che doveva fare, che doveva capire.
«Sì, ma… oh, ascoltate! Fate quello che volete, cercare di catturarli, ma non uccideteli. Io devo andare…»
La stretta di Genos si fece più stretta.
«Non intendo perderti di nuovo!»
Ricordava troppo bene quello che aveva visto accadere nel futuro e se c’era una sola possibilità che ciò accadesse, doveva evitarlo.
«Se le cose non cambiano, forse mi perderai lo stesso! Qui stiamo rischiando tutti alla fine, no?»
Saitama non sapeva cosa Tamago avesse in mente. Sapeva solo che, per quanto in passato gli fosse scocciato ammetterlo, si fosse sempre fidato di lei.
Si avvicinò a lei e la baciò sulla fronte.
«Sì, sei proprio la mia ragazza, non c’è che dire. Solo che tu sei molto più eroica di noi.»
«Parla per te…» borbottò Genos, allontanando la mano da lei. «D’accordo, Tamago. Ti copriamo le spalle.»
Tamago annuì e poi si rivolse a Metal Bat.
«Coprimi le spalle anche tu.»
«Tsk, sono qui per questo, ti ricordo!»
 
C’era qualcosa di diverso, questa volta. I Jikan, creature pacifiche da quando avevano messo piede sulla terra, sembravano adesso inquiete. I loro tentacoli, sottili e trasparenti come quelli delle meduse, sfioravano tutto ciò che incontravano, condannando o donando. Lei che cosa aveva da perdere? La sua vita era già stata abbastanza difficile. Mentre gli altri si occupavano di tenere a bada i Jikan (facendo attenzione anche a non farsi colpire a loro volta), Tamago passò sotto i loro tentacoli. Era terrorizzata oltre il limite della ragione. Adesso non c’era un vetro a separarli.
«Ehi! Io sono venuta qui per capire, non per combattere!» gridò, agitando le braccia. Meta Bat alzò la testa.
«Ma vostra figlia è forse impazzita?!»
«Cazzo!» imprecò Genos. «Tamago, smettila di giocare a fare l’esca!»
In quel momento la terra sotto i loro i piedi tremò un’altra volta. Talmente forte che Metal Bat perse l’equilibrio.
«Maledizione» subito portò una mano davanti a sé, per percepire la presenza dei Jkan o dei loro tentacoli attorno a sé. Ma era stordito e Metal Bat non avrebbe mai saputo cosa avrebbe potuto ottenere o perdere, se fosse stato sfiorato. Qualcuno l’aveva spinto, prendendo il colpo al posto suo.
«Ah! Cosa…? Chi è stato?»
Poi si fece attento.
«Chi vuoi che sia stato?» domandò una voce scorbutica.
Garou. Garou era arrivato per salvare lui. Garou ora si sfiorava il braccio dolorante, come se tutte le sue ossa fossero state frantumate.
«Garou…» mormorò. «Bastardo, ma che cosa fai tu qui?»
«Senti, vai al diavolo, d’accordo? Sono monco adesso, per colpa tua! Ma dovevano farlo» dicendo ciò si fece serio. «Non posso certo starmene a guardare mentre fanno del male alla persone che amo.»
Una dichiarazione nel bel mezzo di un campo di battaglia non era certo ciò che Metal Bat si aspettava.
«La persona che… io?»
«Non mettere il dito nella piaga. A che serve dire che non ci innamoreremo? Tanto sta già succedendo. E visto che tu sei cieco e io senza un braccio, temo che dovremmo anche collaborare.»
Metal Bat sorrise. Propri strano il destino, doveva ammetterlo. Ma al so fianco ci avrebbe combattuto volentieri. Lo sentiva giusto, naturale.
Intanto, uno dei due Jikan aveva rivolto le attenzioni di Tamago. Quest’ultima non si era mossa. Anzi, si era piantata sull’asfalto come a voler dire io ti aspetto. Tu che aspetti?
Poi i tentacoli del Jikan le sfiorarono il viso. E non ebbe paura, né sentì dolore. Sentì solo una voce che la chiamava.
 
La sensazione che provò fu familiare. E capì subito perché: era tornata nel vuoto, anzi, qualcuno ce l’aveva portata.
«Ma cosa…?» domandò guardandosi intorno. Non era sola: il Jikan era lì con lei, solo che ora splendeva di una luce che irradiava da dentro, rendendo il suo corpo quasi trasparente.
«Tamago»
La chiamò una voce femminile.
«C-chi è?»
«Sono io, Tamago. Sono davanti a te.»
Davanti a lei c’era solo il Jikan. Il Jikan femmina ad essere precisi.
Non aveva idea che parlassero. Ora che ci pensava, era la prima volta che li udiva. Il Jikan parlava con voce calma e rassicurante, con fare quasi materno. Tamago si avvicinò, cauta.
«Ma tu parli? Com’è possibile? Pensavo stessero cercando un modo per comunicare con voi.»
Non aveva paura. In realtà, lì ne Vuoto, si sentiva tranquilla, come se niente contasse più.
«Noi parliamo con chi è disposto ad ascoltarci. Come te, cara Tamago. Anche se ci hai tanto odiato.»
Tamago arrossì. Si sentiva violata, lei le guardava dentro. Questo non le piaceva, le faceva venire voglia di piangere.
Scosse la testa.
«Beh, per forza. Voi siete il nemico. Avete fatto male a me e anche a tante persone. Quello che non capisco è perché. Perché siete arrivati su questa erra?»
Di sicuro doveva star parlando a nome di tutti, a quel momento. Era quella la domanda che chiunque si era posto: perché?
Il Jikan le fece segno, con i suoi lunghi tentacoli, di avvicinarsi ancora. E Tamago obbedì.
«Sai, cara Tamago. Dal pianeta in cui noi veniamo, non esiste una parola per guerra. Su questo pianeta è tutto diverso. Ma è per questo che esistete voi eroi, non è vero?»
«Ma io non sono un’eroina, per niente. Forse lo sarei stata, però…»
«Però non hai creduto abbastanza in te.»
«Come potevo credere in me? Questo potere mi controlla. L’unica volta in cui non mi ha controllato è stata… è stata…» si guardò le mani. Era stata nel momento in cui la sua volontà si era concentrata tutta sul voler salvare la sua famiglia. Quando per un attimo aveva distolto l’attenzione dal voler controllare quel potere.
«Più lo controllerai e più ti sarà nemico. Tutto può essere un dono o una maledizione, dipende dal punto di vista. Guarda il tuo amico… Metal Bat, giusto?»
Tamago sollevò la testa.
«Lui ha perso la vista… però è stato felice. Cioè… sarà felice.»
«E che mi dici del cyborg chiamato Genos? Era così spaventato all’inizio. Eppure ha avuto te.»
Tamago si commosse nel sentirgli dire ciò e le venne da sorridere.
«Stai cercando di dirmi che tutto quello che succede, succede per una ragione?»
Il tentacolo sottile del Jikan si posò sulla sua guancia. Non fu sgradevole. Tamago sentì anzi un piacevole calore su tutto il viso.
«In tutti i momenti di difficoltà, puoi scoprire la gioia. In tutti i momenti di gioia puoi scoprire il dolore. Ma questo in pochi riescono a capirli. L’hanno capito i tuoi genitori, lo hanno capito i tuoi amici eroi… e ora stai capendo anche tu. Puoi anche lasciare che ci uccidano per eliminare ogni pericolo. Oppure no. Ma Tamago, il futuro non è scritto e io ho visto l’eroina e la persona che potresti diventare. Ma devi avere fiducia, nella gente che ti ama… e in te stessa.»
Tamago chiuse gli occhi. Oh, una piagnucolona come lei, un’eroina? Era incredibile anche solo a pensarci. Le venne da sorridere.
«Quindi voi siete delle creature che sono venute da lontano per dare insegnamenti all’umanità? Non è molto originale» affermò Si sentì molto simile a Saitama in quel momento: lui avrebbe detto la stessa cosa.
«Sei destinata a grandi cose. Ma solo tu puoi decidere.»
Le accarezzò la testa e Tamago respirò profondamente.
«Io decido di non voler avere più il controllo su nulla» dichiarò.
 
 
«Genos, aspetta.»
«Cosa devo aspettare, Saitama? Non dirmi che Tamago è scomparsa di nuovo. Lo sapevo che non era una buona idea, io…»
«Volete finire di litigare voi due?!» gridò Tatsumaki. «Questo qui è duro da far fuori.»
Saitama alzò gli occhi al cielo.
«Io potrei eliminarli. Ma non se è quello che Tamago vuole.»
«A me sembra quello che voleva invece» Genos afferrò la sua mano. «Ti prego, fallo.»
Saitama era combattuto. Era davvero quella la volontà di sua figlia?
 
Sollevò lo sguardo, verso il cielo che stranamente non gli bruciava gli occhi.
Il sole aveva una forma strana…
«Tamago?»
«Cosa?» domandò Genos. Era assurdo: Tamago non sarebbe piovuta dal cielo.
Ma la ragazza che atterrò dal cielo, cadendo perfettamente in piedi e con un’espressione nuova, era proprio caduta da lì.
«Tamago! Sei caduta dal cielo» notò Saitama, sollevato. Sembrava diversa. Non avevano idea di dove fosse stata, eppure sembrava improvvisamente maturata.
«Avremo tempo dopo per parlare. Adesso non dovete più combattere.»
«Figlia mia, stai bene?» domandò Genos. Come poteva dir loro di non combattere? Tamago era avvolta in una calma serafica.
«Proprio quello che ho detto. FERMATEVI!» gridò poi ad alta voce.
Metal Bat rimase con la mazza sospesa a mezz’aria.
«Tamago…?»
Garou ansimava accanto a lui, stanco e provato dal fatto che avesse appena perso un braccio. Tamago s’incamminò vicino ad uno dei due Jikan.
«Tamago, che fai?» domandò Genos, in allerta. Non riusciva a capire. Tamago sollevò una mano e si lasciò sfiorare dal Jikan. E non le accadde niente.
 «Eh…?» ansimò Garou. «Non le sta accadendo niente. Proprio niente.»
Tamago sembrava a suo agio. Sembrava risplendere di una nuova luce.
Sì, capisco. Ora ho capito tutto.
   
 
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