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Autore: Cress Morlet    29/09/2022    10 recensioni
[Ben Solo/Rey] SoulMates AU!
Era corso in bagno e aveva preso uno sgabello dal ripostiglio lì vicino. Con un gioco di angoli e punti ciechi aveva letto il nome che era stato forgiato sulla sua carne. Rey.
Poche lettere. Un unico suono. Vibrante contro i denti e con un sospiro finale.
Rey.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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COME IL RUMORE DELL’OCEANO
 
 
 
Lì fuori il mondo era altamente assordante.
Invece, tra le mura di un piccolo pub e il legno scricchiolante su cui era seduto, la situazione gli sembrava molto diversa.
Forse.
Sapeva di illudersi e gli piaceva.
Gli era sempre piaciuto fingere di essere in una bolla di sapone in cui raggomitolarsi al sicuro dalla realtà in cui era stato relegato con la forza e contro ogni sua possibile volontà.
Fosse stato per lui non avrebbe mai scelto di nascere e così sarebbe stato meglio per tutti. Sicuramente i suoi genitori sarebbero stati più felici e senza inutili pensieri.
Cosa fare con Ben? Come aiutare Ben? Come aggiustare Ben? Ma c’è un modo per aggiustare Ben? Resterà da solo, non è vero?
Così si lasciava trasportare dal mormorare incessante dei clienti e dei passanti curiosi - con la fronte che sfiorava il tavolo e le mani immerse tra i capelli.
Nessuna bevanda davanti a lui.
Nessun libro e niente di niente.
Solamente se stesso e un altro tipo di rumore che riusciva a sopportare meglio.
Sono stanco di ascoltare il ritmo della mia solitudine. Sono esausto di essere me.
Solo e non amato e disprezzato.

Rise piano e le sue mani corsero ad accarezzarsi il collo.
Fuori c’era rumore. In quella stanza sporca e buia c’erano suoni a cui era abituato. E sulla sua pelle una nota soltanto.
Rey.



Non si era mai reso conto che gran parte del rumore che sentiva erano i battiti del suo cuore che strombazzavano nelle sue orecchie. Il concetto stesso di esistere lo rendeva irrequieto. Così il cuore cominciava a scalciare in maniera frenetica e i respiri si trasformavano in rantoli biascicati e tanto rumore gli fasciava la testa. Il terreno sotto ai suoi piedi come cartapesta e le altre persone altre fonti di rumore che colpivano e stordivano i suoi sensi. Difficile focalizzare se stesso e chi fosse e cosa gli chiedessero.
Era come fluttuare nel mondo - ma senza alcuna leggerezza, anzi.
Dentro il suo sterno continuava a dimorare un peso oscuro della stessa consistenza dei sogni infranti e della consapevolezza di dover rimpiangere ogni scelta. Tutta colpa tua. Sei tu l’errore.
Ben Solo rise e sentì di nuovo l’unica nota che aveva un senso.
Rey.



Non l’aveva incontrata.
La sua anima gemella. E come avrebbe potuto.
Diciotto anni erano passati da quando si era svegliato all’alba, contorcendosi tra le lenzuola e chiamando sua madre con grida soffocate da un cuscino che aveva morso e strattonato fino a quando il fuoco incandescente sulla nuca non si era placato. Così era comparso quel nome e così era nata la persona a cui era destinato.
Erano stati dei giorni belli e sereni.
Qualcuno nel vasto universo e nelle innumerevoli galassie aveva il suo nome inciso sulla pelle. Non era solo. C’era qualcuno che lo attendeva e che avrebbe potuto comprenderlo. Forse volergli bene. Nelle sue più bizzarre fantasie di bambino pensava che la sua anima gemella avrebbe potuto addirittura amarlo. Le mani contro le palpebre e una risata che gli scuciva le labbra sempre strette in una linea di rabbia e angoscia.
Addirittura amarlo.
Poi, una sera, ascoltò le parole dei suoi genitori e comprese che c’era qualcosa di sbagliato.
“Solo il nome.”
“Nessun cognome.”
“E se?”
E se, cosa? avrebbe voluto urlare.
Cosa? Cosa non andava? Cosa stava succedendo? Cosa stava sbagliando ancora?
Era corso in bagno e aveva preso uno sgabello dal ripostiglio lì vicino. Con un gioco di angoli e punti ciechi aveva letto il nome che era stato forgiato sulla sua carne. Rey.
Poche lettere. Un unico suono. Vibrante contro i denti e con un sospiro finale.
Rey.
Gli era piaciuta la nota e il calore che il suo corpo aveva percepito. Lo aveva placato nonostante il dubbio di aver commesso l’ennesimo errore o di essersi immaginato ogni cosa: capitava ai bambini soli, nati senza la loro metà e con l’eco del vuoto a perseguitarli, di inventarsi un’anima gemella. Era una reazione naturale del corpo, del tutto imperfetta. Una forma di compensazione mal riuscita. Come il nome che gli era nato, proprio sulla nuca e invisibile al mondo intero. Un nome non completo forse. O forse semplicemente così.
Lei è solo nascosta. Io la troverò.
Io tornerò da lei. Lo farò, lo giuro.


Trascorsero anni e non successe nulla.
Sentì la parola borbottata da suo zio Luke la sera del suo quindicesimo compleanno.
Isteria.
Il male che affliggeva i bambini rotti, con qualcosa di sbagliato, non degni dell’anima gemella.
Sindrome dell’arto fantasma, avrebbe parafrasato pochi minuti dopo. Come a voler indorare la pillola - per non far soffrire troppo sua madre, la sua gemella di carne, e non lui.
Aveva sentito un forte dolore alla pancia e aveva scelto di scappare, lontano dalla sua casa e dai suoi parenti che non gli credevano. Lui riusciva a percepirla ogni ora e lei stava soffrendo immensamente. Pochi giorni prima l’aveva sentita urlare e piangere nella sua testa, un’agonia intollerabile.
Lo aveva raccontato a suo padre, scegliendo di confidarsi soltanto nella speranza di aiutare lei. Come uno stupido aveva creduto che sarebbe stato ascoltato e che loro due insieme avrebbero trovato Rey.
Un adolescente illuso.
Questo era stato il risultato.
Suo padre non era corso ad acciuffare il mazzo di chiavi del Falcon per partire insieme a lui - le uniche tracce da percorrere delle grida nella sua testa simili ad impronte nel petrolio.
No.
Han Solo aveva chiesto aiuto a Luke Skywalker che aveva sciorinato un discorso di cui l’unica parola realmente importante era una. Isteria.
Mi dispiace, Han. Temo sia isteria.
Finalmente lo aveva detto.
Mi dispiace, Leia. Non so come aiutarlo.
E nessuno lo aveva mai ascoltato.
Aveva corso e non si era fermato fino a quando non aveva visto l’alba all’orizzonte. Colori tiepidi a colorare il cielo visibile tra gli alti edifici che spezzavano le stelle. Un’aria fredda a graffiargli le guance mentre lui piangeva e si stringeva la pancia e c’era stato tanto rumore nella sua testa e troppo insistenti le voci dei suoi parenti che gli ricordavano quanto non avrebbe dovuto nascere.
Isteria.
Un abominio. Non il degno erede dei suoi magnifici genitori.
Era caduto in ginocchio e aveva toccato il nome sulla sua nuca. Il trillo di una nota aveva vibrato alla base del suo collo e giù al centro delle sue scapole.
Rey. Non sei sola. Ci sono io. Ti fidi di me? Non ti lascerò mai sola. Dove sei? Ti prego, dimmelo, dove sei?
E nell’immenso rumore della sua testa un sottile filo di silenzio si tese e non si fermò mai. Come se lei fosse troppo distante.
Come se lei non esistesse. Non più.

Rese orribile la vita della sua famiglia e stralci di pentimento non furono sufficienti a bloccarlo. Loro non lo avevano accolto e non avevano salvato Rey. Non gli doveva nulla. Non avrebbe più provato pietà o finto di essere una persona che non era - una non persona che nessuno era in grado di aggiustare.
Nessuno gli aveva mai detto di volergli bene e non credeva che potessero esserci dei possibili buoni sentimenti. Lui non era adatto ad un’esistenza normale.
Soltanto tristezza, dolore e solitudine. Un’infelicità tanto profonda da tagliuzzarli lo sterno con lame affilate e fargli grondare nero dalle costole - il suo corpo avrebbe vomitato catrame e fiori viola appassiti.
Lì, in quel pub, cercava per l’ennesima volta di dimenticare. Erano ventotto anni di tentativi falliti.
E se questa sera fosse quella giusta? La sera del silenzio perfetto.

Sollevò il capo non appena sentì il legno della sedia davanti a lui strisciare contro il pavimento.
Chi osava sedersi al suo tavolo e disturbarlo? Tutti sapevano che era un pericolo. Lui doveva essere lasciato in pace. Da solo. Libero dal disturbo soffocante di ogni altro essere umano.
Spostò i capelli attaccati alla sua fronte e alla sua guancia destra e la vide.
Doveva essere una ragazzina. Forse non era neanche maggiorenne. Bassa. Efelidi ovunque. Un vestito bianco e dei capelli raccolti in maniera strana. Efelidi anche sul collo. Che strani quei capelli. E il suo volto era bello e perché - perché? - lo avesse pensato non gli importava.
Lei sorrideva. Con uno sguardo disincantato e qualcosa di nascosto tra i suoi pensieri. Un segreto che era celato in piena vista.
“Ciao.”
Si riscosse leggermente e raddrizzò la schiena. Ma non ricambiò il saluto.
“Ti disturbo?”
Il movimento delle sue mani lo distraeva e lo disturbava anche. Sollevò le spalle e lei dovette considerarlo un invito dato che si sedette dinanzi a lui.
“Sei di poche parole?”
“Diciamo.”
La risposta gli era sfuggita dalle labbra ma la ragazza sorrise ancora di più - e gli sembrava ancora più triste.
“Come ti chiami? Sto cercando una persona. Si chiama Ben Solo. Tu lo conosci?”
Ebbe un fremito e si chiuse in se stesso.
“Io sono Kylo Ren e non conosco alcun Ben Solo. Tu chi sei?”
Lei perse il suo sole e all’istante comprese che era stato un errore mentirle. Gli dava la sensazione di averle sottratto un arto senza averlo mai desiderato - come se l’avesse privata di un sogno, scaraventando a terra una clessidra zeppa di granelli di sabbia.
“Scusami. Non mi sono presentata. Ma lo cerco da tempo e non lo trovo. Forse sto impazzendo.”
Le sue mani si muovevano sinuose nell’aria e poi si persero a tormentarsi e a scavare fosse e segni di luna nei palmi. Corrente elettriche di ansia e di terrore.
“Chi sei?”, le chiese, sentendo un ritmo stonato rintronargli la nuca.
“Sono Rey. Solo Rey. Nel senso… semplicemente Rey. Solo è il cognome della mia anima gemella. Non mi ha sposato, non ho il suo cognome. Ma non l’ho mai incontrato, come potrebbe sposarmi. Poi mi vedrà e non vorrà mai sposarmi. O parlarmi. O riconoscermi. Sono Rey, insomma.”
La vide deglutire e lui cadde giù insieme al suo groppo di saliva.
“Sono Rey e Ben Solo è la mia anima gemella. Quindi tu non lo conosci? Giusto?”
E pensò di svenire ma si resse ancorato al tavolo e non abbassò lo sguardo. Occhi scuri lo osservavano e una galassia di efelidi. La nota vibrante che scorreva placida nelle sue vene e che gli aveva dato uno scopo nella vita - che lui aveva disatteso e per cui era stato un fallimento.
Lei lo aveva trovato. Lei c’era.
Lei esisteva e non se ne era mai andata.
Era viva.

Sentì un’assurda nausea e si nascose il volto tra le mani.
“Ben Solo è morto.”
 






Angolo autrice
Eccoci! Avrebbe dovuto essere una OneShot, ma devo almeno dividere a metà questa storia. Non ho abbandonato le altre mini-long, prestissimo termineremo anche le altre. Cosa ne pensate di questa SoulMates AU? La storia vi piace? I vostri commenti sono vita per me. Grazie infinite, lettori.
   
 
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