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Autore: effe_95    01/10/2022    3 recensioni
[Questa raccolta partecipa al Writober2022 indetto da Fanwriter.it ]
***
31 racconti diversi, ambientati in 31 universi alternativi.
Universi in cui Tooru e Wakatoshi si incontreranno - anche in forme e generi diversi - dimostrando che l'amore, se predestinato, sceglie sempre le stesse persone, non importa quanto diverse esse appaiono.
[ Ushijima x Oikawa ]
***
28. Band
-
«Ehi Tooru, aspetta!». La voce di Tobio lo inseguì, ma lui stava correndo via.
Correva davvero, con i polmoni in fiamme. Sentiva dentro una strana tempesta.
Aveva quasi raggiunto l'altro lato della strada, quando sentì il foulard che aveva messo attorno al collo scivolare sulla pelle. Lo toccò automaticamente, sentendolo sfuggire dalle dita. A quel punto si voltò di scatto e Wakatoshi era dietro di lui, con l'affanno a sua volta, e il suo foulard stretto nel pugno della mano piena di anelli.
«Tooru» lo chiamò per la prima volta con una voce profonda e monocorde, facendo muovere quella tempesta dentro di lui come un mare agitato «ti prego, diventa il cantante della mia band!».
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Gender Bender, Mpreg, Tematiche delicate
Capitoli:
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“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Pirate

N° parole: 2.131

Note: Salve a tutti :) Cominciamo questa sfida con qualcosa di soft, nella speranza di arrivarci fino in fondo.
Ho davvero intenzione di sperimentare con questa coppia, sperando di riuscirci. Ho inserito l’avvertimento OOC giusto per, nel caso, ma spero di non farli uscire troppo dall’IC. Inoltre, volevo segnalarvi che potete trovarmi anche su Instagram qui per qualsiasi cosa e aggiornamento: effe9_5.
Aggiornamento previsto ogni giorno e speriamo bene!


 


 

One last toast


 

Se tardi a trovarmi, insisti.
Se non ci sono in nessun posto,
cerca in un altro, perché io sono
seduto da qualche parte,
ad aspettare te…


 

Tooru osservava come ipnotizzato le goccioline d’acqua scivolare lungo il vetro dei boccali di birra. Non erano ancora stati toccati, e la schiuma biancastra era ormai quasi sparita.

Nella locanda il chiacchiericcio continuo non scemava mai.

Si mischiava alla puzza di fumo, corpi ammassati non lavati da tempo, cibo e alcol.

Nascosto dietro una scala a chiocciola di legno, in una sezione separata, Tooru poteva fingere che tutto quello non lo toccasse, che la sedia vuota all’altra parte del tavolo non lo ferisse.

La guardava come ipnotizzato, e non riusciva a capire come avrebbe fatto ad accettare la verità che si manifestava tangibile proprio davanti ai suoi occhi.

L’ambiente gli era familiare, il legno dei tavoli, il rosso delle tende, gli odori, i colori.

Tutto era uguale a come lo aveva lasciato un anno prima, quello stesso giorno.

Mancava solo una persona, seduta proprio lì, su quella sedia vuota.

Tooru avrebbe voluto essere meno testardo, meno orgoglioso.

Avrebbe voluto avere il coraggio di voltarsi alla fine della passerella di legno che lo aveva condotto sulla terra ferma, voltarsi verso la sua nave – con la bandiera verde acqua che sferzava il vento indomita – e chiedere al suo capitano d’armi, Hajime, di andare con lui.

Ma Tooru era il capitano di quella ciurma, il Grande Re dei mari conosciuti e non era mai davvero stato in grado di venire a patti con le sue debolezze – che erano molte.

Perciò aveva litigato con Hajime – il suo migliore amico – la sera prima che attraccassero al porto e non si era fermato alla fine della passerella per mettere il suo orgoglio da parte.

Non si era voltato alla volta dell’uomo di cui si fidava maggiormente per dirgli che forse non ce l’avrebbe fatta ad affrontare quella verità, che aveva avuto ragione, come sempre.

Perchè proprio come aveva detto Hajime, Tooru non avrebbe solo dovuto affrontare la consapevolezza di quella assenza e di che cosa significasse, ma anche il peso delle proprie scelte e del proprio orgoglio.

Il vociare nella sala crebbe di intensità, e come se si fosse appena risvegliato da un sogno molto lungo si rese conto che stava calando la sera.

La finestra alla sua sinistra affacciava sul porto ormai quasi deserto, illuminato da fiaccole mosse dal vento, infuocato dalla luce arancione del sole morente che si specchiava nelle pozze d’acqua tra le pietre levigate e sconnesse del pavimento.

Tooru riusciva perfino a vedere la sua amata nave da quella distanza, ormeggiata accanto alla banchina, con la bandiera ancora mossa dal vento ostinato.

Il giorno stava finendo e quella sedia sarebbe rimasta vuota, ormai lo sapeva.

Ma non era facile combattere contro la voglia di rimanere seduto lì, ad aspettare che il tempo scorresse e che lui fosse lentamente in grado di versare quelle lacrime che non arrivavano, oppure alzarsi in piedi e andare via come se nulla fosse successo.

Come se non gli stesse implodendo il petto dall’interno.

Un rumore di nocche sbattute contro il legno lo riportò al presente che stava vivendo.

Voltandosi nella direzione del rumore, Tooru vide un uomo appoggiato al pilastro di legno portante che sosteneva il soffitto della struttura, aveva le braccia incrociate su un grembiule sporco e un’espressione seria, rammaricata forse.

Guardava Tooru, le birre ancora intoccate e quella sedia vuota.

« Le voci che circolano devono essere vere, allora »

Tooru fissò Osamu Miya come se gli avesse appena sparato un colpo di rivoltella in petto.

Il proprietario del locale in cui si trovavano – La volpe bianca – non sembrò nemmeno rendersene conto, eppure Tooru non si era mai mostrato tanto vulnerabile di fronte a nessuno. Forse solamente con Hajime – entrambi venivano dal fango e dal letame della loro terra natia, Seijoh. Due orfani cresciuti a pane, cipolle e bastonate fino a quando non avevano messo piede su una nave per la prima volta.

Il resto era diventato leggenda e ancora se ne parlava in tutti i mari conosciuti.

« Suppongo di si » Fu la sua risposta accennata, mormorata appena.

Osamu si scostò dalla colonna di legno e gli si fece vicino, posandogli una mano sulla spalla.

Lui era stato testimone di ogni appuntamento avvenuto nel corso degli anni, in quella che all’epoca era la locanda di suo padre, quello stesso identico giorno.

Inarizaki era una nazione grande, autosufficiente, con una potenza militare notevole.

Tooru non avrebbe mai attraccato ai suoi lidi, anni addietro, se non fosse stato per Atsumu Miya – il gemello pirata di Osamu, la Volpe Rossa – ma era una delle poche nazioni su cui non pendeva una taglia stratosferica sulla sua testa.

« Non credevo che sarebbe mai arrivato quel giorno » Fu il commento sommesso di Osamu.

Nemmeno io, Tooru non riuscì a pronunciare quelle parole.

Era proprio perché non ci aveva mai creduto che in quel momento stava soffrendo.

Perchè vedeva una vita a cui aveva rinunciato per orgoglio diventare ormai impossibile.

Osamu non commentò la sua mancanza di parole, gli diede un’altra stretta sulla spalla e se ne tornò in sala a servire i suoi clienti abituali e di passaggio, lasciandolo al suo dolore.

Tooru sapeva che sarebbe dovuto andare via, ma non ci riusciva.

Fissò di nuovo la seria vuota, il boccale di birra rossa – la sua preferita – che aveva ordinato per abitudine, intoccata, e immaginò che ci fosse lui dall’altra parte, con la sua postura rigida, l’espressione indecifrabile e le gambe sempre divaricate, come se avesse fretta di andare via.

Il cielo stava diventando blu cobalto e gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto Hajime la sera precedente, durante il loro litigio furioso:

Wakatoshi non verrà domani.

 

Lui non aveva voluto credergli, anche se sapeva che era vero.

 

𒆨𒆨𒆨

 

Era stato Tobio a dargli la notizia.

Si erano scontrati sulle coste di Karasuno, alla ricerca dello stesso tesoro.

Tooru non aveva mai perso un’occasione, ma quel giorno aveva perso in molti modi diversi.

All’inizio aveva creduto che quella di Tobio fosse solamente una vendetta nei suoi confronti.

Era un membro della sua ciurma prima che Tooru lo abbandonasse su un’isola deserta – contro il volere di Hajime. Ma Tobio se l’era cavata bene, e ora depredava i mari insieme ai Corvi, l’equipaggio selvaggio di Daichi, soprannominato il Capitano.

Stavano tirando di sciabola quando gli aveva dato la notizia: l’Imperatore è caduto.

Tooru non aveva capito subito, Tobio aveva sempre un’espressione corrucciata sul volto quando doveva dire qualcosa, poi era stato più chiaro:

« L’Aquila Reale, la nave di Wakatoshi, è affondata a largo di Karasuno »

Non aveva voluto credere a quelle parole. Era impossibile.

Si era lasciato ferire al fianco, quel giorno, e aveva perso anche l’inestimabile tesoro: un baule pieno zeppo di rubini e diamanti raffinati. Ma aveva perso anche qualcos’altro.

Qualcosa di molto più importante: il suo cuore.

 

Tobio non si stava vendicando di lui.

Non aveva mai voluto farlo, non ne era capace, nemmeno dopo essere stato abbandonato in quel modo crudele e spietato, solo per una mera gelosia.

Gli aveva dato quella notizia solamente perché sapeva.

Sapeva che dietro la rivalità con Wakatoshi vi era un grande amore.

Non era un segreto nei mari conosciuti, loro due erano una leggenda anche solo per quel motivo: l’Imperatore e il Grande Re che si inseguivano fino in cima al mondo per vedere chi sarebbe arrivato prima al prossimo bottino.

Tooru non aveva mai vinto, nemmeno una sola volta.

Lui e Wakatoshi non si vedevano spesso, lo facevano raramente ed erano momenti preziosi, a cui entrambi davano un grande valore. Erano eguali quando si toccavano.

Avevano solo un appuntamento, fissato ogni anno lo stesso giorno in quella taverna ad Inarizaki, territorio neutrale per entrambi.

L’anniversario del loro incontro, quando si erano ritrovati a scappare insieme – ancora ragazzini – da un pirata potente a cui avevano tentato di fare le scarpe.

Era stato Atsumu, incontrato durante la loro fuga, ad indirizzarli verso Inarizaki.

E cosi si erano nascosti nella locanda La volpe bianca per la prima volta.

E per la prima volta quel giorno – dopo settimane a scappare insieme in attesa di riunirsi alle loro rispettive ciurme – avevano dato sfogo a quello che provavano.

Poi era diventata un’abitudine.

 

Tooru era andato sul luogo che gli aveva indicato Tobio.

Il relitto dell’ Aquila Reale era ancora lì, mezzo sprofondato tra due scogli insidiosi.

Casse di viveri galleggiavano vuote in superficie, pezzi di legno, travi spezzate, stoffa incastrata e zeppa, ma nemmeno un solo corpo da recuperare o su cui piangere.

 

Nonostante avesse visto con i suoi occhi, Tooru non aveva creduto.

Wakatoshi non poteva essere morto in quel modo.

Non poteva.

 

𒆨𒆨𒆨

 

L’ultima volta che lo aveva visto gli aveva detto una cosa terribile.

Erano sul pontile della sua maestosa nave, con le vele bianche e viola sospinte dal vento e la bandiera con l’aquila reale che sventolava annunciando terrore ai suoi nemici.

Il mare era un amico familiare che scorreva in spruzzi bianchi sotto di loro.

« Mi sono sempre chiesto se tu verresti a cercarmi, dovesse mai succedermi qualcosa »

Tooru aveva posto la questione in modo spensierato, come faceva sempre.

Sapeva che Wakatoshi avrebbe preso la faccenda sul serio – prendeva tutto sul serio dopotutto- e gli piaceva prenderlo un po’ in giro con quei discorsi pesanti.

« Ti cercherei » Aveva risposto Wakatoshi con la sua aria severe mentre scrutava l’orizzonte infuocato dal sole morente « Anche in capo al mondo, se fosse necessario »

Tooru aveva sentito un brivido innegabile di potere nel sentire quelle parole.

Aveva potere sul cuore di quel pirata spietato, ed era forse una vittoria più grande di quanto non lo sarebbe stata una sulla carta.

« Di tutti i tesori che posseggo, tu sei quello più prezioso per me »

E lo aveva guardato come se avesse davvero davanti il tesoro più prezioso del mondo.

Tronfio del suo potere, e della certezza che sarebbero stati entrambi eterni, che la morte era lontana anni luce e non avrebbe mai potuto sfiorarli, Tooru aveva riso di lui.

« Io non sono tuo, e tu non mi possiedi, Wakatoshi » Aveva risposto beffardo.

L’altro non aveva replicato, tornando a fissare il mare di fronte a se, lasciando Tooru a domandarsi a che cosa stesse pensando tanto intensamente.

« So che tu faresti lo stesso » Se n’era uscito qualche minuto dopo, strappando Tooru dalle sue riflessioni « Mi cercheresti anche in capo al mondo, se fosse necessario » Aveva chiarito.

Tooru lo avrebbe fatto, certo. Ma lui e Wakatoshi non si erano detti ti amo nemmeno una sola volta e a lui piaceva quel gioco del fingere che non importasse.

« Non ne sarei così sicuro » Aveva replicato, dimenticando che Wakatoshi aveva il brutto vizio di prendere tutto alla lettera.

« Unisciti alla mia flotta, Tooru. Insieme, con i nostri uomini uniti, potremmo dominare i mari conosciuti » Gli aveva detto con una certa disperazione, afferrandolo per il braccio.

Tooru non aveva capito in quel momento. Non aveva capito perché Wakatoshi avesse improvvisamente espresso il desiderio di legarlo a se in quel modo.

Non aveva capito che era stato lui, con le sue parole, a renderlo disperato.

« Non potrò mai unirmi a te » Gli aveva risposto, liberando il braccio.

E Wakatoshi lo aveva semplicemente guardato.

 

La sua espressione gli era rimasta impressa nella mente per parecchio tempo.

Sembrava … ferito.

Poi non lo avrebbe più rivisto, ma ancora non lo sapeva.

 

𒆨𒆨𒆨

 

La sera era ormai calata fuori dalla finestra della locanda.

E Tooru era venuto a patti con il fatto che quella sedia sarebbe rimasta vuota ancora per molto tempo. Aveva afferrato il suo boccale di birra, senza ancora berlo.

Era venuto a patti anche con la sua determinazione, e la necessità di rimangiarsi quelle parole terribili che aveva pronunciato per orgoglio.

Ma per farlo, doveva trovare la persona che mancava dall’altro lato del tavolo.

« Un ultimo brindisi, Wakatoshi » Mormorò, facendo cozzare il proprio boccale di birra contro quello ancora intoccato, davanti alla sedia vuota.

« Me lo concederai. Perchè verrò a cercarti anche fino in capo al mondo, se necessario »

Bevve un sorso generoso e scrutò ancora una volta fuori dalla finestra.

Il porto era illuminato dalle torce, e la sua nave brillava nella notte, sotto una luna piena.

Il suo cuore non si era arreso e non lo avrebbe mai fatto, avesse campato anche mille anni.

Avrebbero raccontato un’altra leggenda su di lui: il pirata che setacciava i mari conosciuti per amore. Un po’ sdolcinata come storia, ma decisamente adatta per la sua indole.

Wakatoshi era vivo, da qualche parte, e lo avrebbe trovato.

Era il cuore a suggerirglielo.

Avesse dovuto intraprendere quella avventura da solo, lo avrebbe fatto.

« Sta a vedere » Mormorò.

E la bandiera sulla sua nave oscillò al vento della notte, come un alito di speranza.

 

e se non mi trovi più, in fondo ai tuoi occhi,
allora vuol dire che sono dentro di te.

 

( Se tardi a trovarmi – Walt Whitman )

 

  
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