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Autore: Angel TR    07/10/2022    2 recensioni
I've had some trauma, did things I didn't wanna, was too afraid to tell ya, but now I think it's time
Billie Eilish - Getting Older
Long fic che segue la vita di Jin Kazama dai quindici anni fino al Terzo Torneo.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jin Kazama
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
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Nickname: Angel TR
Fandom: Tekken
Tipologia: Long fiction
Titolo: Happy Ending
Personaggi: Jin Kazama/Devil Jin
Personaggi secondari: Jun Kazama, Heihachi Mishima, Kazuya Mishima, Hwoarang, Ling Xiaoyu
Genere: Introspettivo, Angst, Slice of life
Note: Otherverse, Missing Moments

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Happy Ending



*

ATTO I: DALL'ADOLESCENZA AL TERZO TORNEO



Capitolo I parte I: Happier than ever


Spira sul mare e sulla terra
un primaveril soffio giocondo
O allegro cinquettar di gioventù

Puccini, "Madama Butterfly"

수많은 소원 아래
A child dreaming different dreams
매일 다른 꿈을 꾸던
every day under countless wishes

IU - My Sea


A Yakushima c'erano venticinque gradi, il cielo era miracolosamente terso e perfetto; era uno di quei cieli che imploravano di trascorrere il pomeriggio fuori. Il mese di giugno era stato particolarmente clemente quell'anno e, così, anche quel giorno, le persone che popolavano l'isola scalpitavano nell'attesa che le ore a lavoro e nelle scuole passassero in fretta – specialmente nelle scuole, dove le poche settimane di vacanze primaverili erano oggetto della nostalgia di molti studenti.
Jin Kazama lanciò velocemente un'occhiata fuori dalla finestra per sincerarsi che le condizioni metereologiche si mantenessero stabili. Il suo banco sostava proprio vicino alla vetrata e la luce del sole inondava le pagine del suo quaderno su cui campeggiavano gli appunti scritti durante la lezione di inglese. La scuola non gli dispiaceva ma le sue lezioni preferite restavano quelle di karate insieme alla mamma. Lei riusciva a esercitare un controllo incredibile sul proprio corpo e sulla propria mente; Jin sperava di riuscire a raggiungere il suo stesso livello un giorno. Quella riflessione lo reguardì e gli fece ricordare uno dei tanti saggi motti che la mamma amava pronunciare quando intendeva impartirgli una lezione di vita: "mente sana, corpo sano"; e, in quel momento, era proprio la sua mente a doversi allenare quindi riportò la sua attenzione alla lezione. La grammatica dell'inglese era molto più semplice rispetto a quella giapponese, tuttavia la sua fonetica rappresentava un vero e proprio grattacapo per molti studenti e lui non era da meno, anche se i suoi voti dimostravano il contrario. In fondo, la mamma ci teneva parecchio al suo andamento scolastico e non mancava mai di guidarlo nello svolgimento dei compiti, specialmente se si trattava di inglese, per il quale era particolarmente portata.
In realtà, si rese conto Jin, vagamente divertito, lei aveva un trucco: ogni volta che lo vedeva scoraggiato, si alzava dalla sedia e prendeva dalla credenza una foto che la ritraeva in una delle sue innumerevoli avventure all'estero; si risiedeva poi affianco a lui e, piazzandogliela sotto il naso, gli raccontava un aneddoto dove la conoscenza dell'inglese le era venuta in soccorso. Allora Jin, con gli occhi sbarrati dalla meraviglia – la mamma era davvero una moderna Indiana Jones! –, si fiondava di nuovo con la testa sui libri e riprendeva con rinnovato vigore a studiare. Solo quando era soddisfatto del risultato chiudeva i libri – sotto lo sguardo contento della mamma che, a quel punto, lo premiava con una sessione di karate tra gli alberi che circondavano la casetta.
La penna riprese a scorrere veloce sul foglio mentre seguiva la spiegazione del professore. Sentiva le occhiate sdegnate dei compagni di classe pungergli la nuca ma le ignorò bellamente. Se avevano un problema con i suoi voti, avrebbero dovuto impegnarsi di più; certamente lui non avrebbe adeguato la propria media alla loro solo perché era "quello senza papà" – specialmente a giugno, con i test di metà semestre che si avvicinavano. La sua condizione di "senza papà" lo rendeva un bersaglio facile per i bulletti del quartiere ma Jin aveva imparato che l'indifferenza era la carta migliore da giocare in quei casi. Fino a quel momento, non erano andati oltre l'isolarlo in classe e sbeffeggiarlo fuori. I professori l'avevano notato; purtroppo, il loro massimo intervento consisteva in un'inarcata di sopracciglio. Era un patto tacito: fin quando si limitavano a non renderlo un membro attivo della classe, i professori non sarebbero intervenuti. Probabilmente non sarebbero intervenuti nemmeno se i bulletti si fossero spinti oltre, chissà. A lui bastava che le sue performance fossero premiate con il giusto peso e tanti saluti.
Forse il suo sguardo aveva tradito la fiamma improvvisa di ferrea determinazione perché il professore gli lanciò un'occhiata stranita e tra le sue sopracciglia si formò una ruga.
A quel punto, il trillo acuto della campanella li sorprese. Erano già la tre: gli studenti si alzarono dalle sedie per inchinarsi all'insegnante e si organizzarono per pulire l'aula. Era durante quei momenti che solitamente i compagni gli ricordavano che non era esattamente il benvenuto: uno dei ragazzi gettò la carta della merendina proprio ai piedi di Jin.
«Raccoglila tu, Kazama» mormorò, irriverente.
Jin sospirò. Si sforzò di pensare che anche quell'attività sarebbe terminata presto e lui sarebbe tornato a casa; così, si chinò e raccolse la carta. Evita lo scontro, sii migliore, sii una persona matura. Lascia le baruffe agli altri, diceva sempre la mamma e lui agiva di conseguenza. Eppure c'era una parte di lui, non sapeva quanto grande e quanto importante, che non digeriva quei suggerimenti e che invece avrebbe voluto raccogliere il guanto di sfida ogni qualvolta venisse lanciato, una parte di sé che avrebbe voluto imporsi sugli altri… Jin si riscosse. Non sapeva da dove gli venivano certi pensieri: la sua vita era sempre stata all'insegna del pacifismo e del rispetto per gli altri, secondo i principi dei Kazama che riprendevano la filosofia shintoista e buddista. Il karate gli veniva insegnato per gestire le emozioni, per controllare il proprio corpo e la propria mente e solo in ultima istanza per difendersi qualora venisse attaccato, se e solo se non avesse avuto altro modo per evitare lo scontro. E allora perché sentiva che quel modo di vivere gli iniziava a stare un tantino stretto? Giusto un po', appena un po', quel po' che gli faceva storcere il naso una volta chinata la testa. Forse era l'età: in fondo, aveva quindici anni, stava attraversando quella fase definita da tutti "difficile", era normale che sorgessero in lui degli sprazzi di ribellione contro la società. Sì, era così.
Gettò la carta nel cestino e fece un bel respiro. Il controllo era recuperato, la giornata era finita. Andava tutto bene, finalmente tornava ai suoi allenamenti. Il pensiero fece fiorire un bel sorriso sulle sue labbra e varcò le porte della scuola quasi correndo, felice di respirare l'aria dolce di giugno.
Di fronte al liceo c'era la fermata dell'autobus che raggiungeva il porto di Miyanoura e dal quale partivano altre linee, la Tanegashima-Yakushima Kotsu e la Matsubanda Kotsu, che portavano a Shiratani Unsuikyo, una delle foreste ricoperte di muschio più visitate dell'isola; la mamma aiutava a preservarla nel suo lavoro di guardiaparco. Molti studenti abitavano nelle vicinanze del centro di Miyanoura oppure venivano accompagnati con la macchina dalle zone di Anbo o Nagata; Jin, invece, abitava verso l'entroterra della città, nell'area boscosa, e ci impiegava una ventina di minuti a piedi per raggiungere la scuola.
Miyanoura, situata a nordest dell'isola, era una delle città più grandi e, di conseguenza, offriva più servizi rispetto ai villaggi: ospitava supermercati, negozi, benzinai, il noleggio auto, la palestra, il Centro Culturale per l'Ambiente di Yakushima a quattro passi dal terminal per i traghetti, dove si dipanavano le linee bus, vari ristoranti e non era nemmeno troppo lontana dall'aeroporto a Koseda – lì c'era un ristorante italiano chiamato "Il Mare" e Jin si era chiesto se anche in Italia la gente pensasse di provare vero cibo giapponese così come loro pensavano di trovarsi davanti a vero cibo italiano.
Con gli anni, Yakushima andava sviluppandosi – e internazionalizzandosi – sempre di più: adesso l'inglese che la mamma aveva costantemente promosso iniziava a essere considerato con occhi nuovi e interessati man mano che facevano capolino sempre più turisti stranieri tra le file di quelli soliti provenienti dalla regione del Kento. Forse dovrei davvero considerare di iscrivermi al club di inglese, pensò Jin, considerando che così avrebbe alleviato il carico di lavoro della mamma. C'era una lista infinita di club da frequentare nell'unica scuola superiore pubblica presente sull'isola di Yakushima ma il nome di Jin ancora non era segnato in nessun modulo – d'altronde, era ancora il primo semestre e quello era il suo primo anno alle superiori. Sbilanciò lo zaino che pendeva da una spalla così da poter pescare il volantino dei club da una tasca. Con la testa china sulle paginette lustre che mostravano studenti felici intenti nella cerimonia del tè, nell'arte del kendo, nello studio – sì, erano splendenti anche mentre seppellivano i nasi tra le pagine fitte fitte –, percorse la strada su cui si affacciavano il complesso sportivo e il campo di baseball circostante. Costeggiò la 77 fino all'angolo dell'agenzia funebre e finalmente si inoltrò nella foresta, senza mai perdere d'occhio l'elenco di club.
Fra le fronde degli alberi filtrava placida la luce del sole di primo pomeriggio, abbastanza forte da illuminare le pagine senza accecarlo. Il chiasso del centro era sempre più distante, passando da brusio di sottofondo a silenzio totale, interrotto solo dal cinguettio degli uccellini – l'isola contava ben centosessantasette specie, gli aveva rivelato la mamma – e dal soffice fruscio del vento. I suoi polmoni si gonfiavano, ingurgitando aria pulita, aria freschissima. Era ormai argomento di discussione popolare che il fumo delle fabbriche cinesi giungesse fin lì; la gente diceva che stavano uccidendo gli alberi secolari e lamentavano colpi di tosse mai sofferti prima. In realtà, anche il turismo indiscriminato avrebbe finito con lo stravolgere i delicati equilibri dell'isola, gli aveva detto la mamma.
«Si cerca sempre un capro espiatorio, Jin. Difficilmente si accetterà la propria parte di colpa» l'aveva ammonito.
Jin sapeva bene che quelle parole non si applicavano solo a quella determinata situazione e quindi, come d'abitudine, ne aveva fatto tesoro. Ogni volta qualcosa andava storto, si sforzava di riconoscere anche la propria responsabilità – persino quando gli risultava onestamente difficile, anche quando avvertiva quel pizzico sulla pelle, una pressione nel sangue, come se qualcosa stesse ribollendo nelle vene e premesse per schizzare fuori, come se non avesse controllo. Il suo cuore batté più forte in risposta alla sua agitazione improvvisa. È l'età, mi passerà, si ripeté, come un mantra. Inspirò ed espirò profondamente per calmarsi, ricorrendo alla tecnica per eseguire i kata. Assiduamente, un passo avanti all'altro, si spinse nella foresta lussureggiante, e per ogni passo che muoveva, il suo umore migliorava di una tacca e il suo battito tornava regolare.
Finalmente, dopo una buona manciata di minuti, intravide le mura di casa. Il tetto spiovente, che non aveva raccolto nessuna goccia di pioggia grazie al tempo mite degli ultimi giorni, proiettava una sottile ombra lungo tutto il perimetro della casa. Dalle finestre spalancate proveniva il profumo del tè verde.
Jin sentì il cuore leggero a quella vista: poteva succedere di tutto al di là della foresta ma lì era al sicuro, tra i maestosi yakusugi e l'odore di erba fresca. Lì era a casa.


Life and death come together
in a serene balance,
neither joy nor pain
in his eternal power,
the resilient forest heals the soul of the walker
Frédéric Leyre, "Kodama Poem, Yakushima"

**



I hope that she turns out to be
Someone who'll watch over me
I'm a little lamb who's lost in the wood

Frank Sinatra - Someone who'll watch over me


«Ma', sono a casa» annunciò, sfilandosi le scarpe all'ingresso. Le ultime note dell'infanzia iniziavano a staccarsi dalla sua voce, lasciando il posto a toni più caldi e profondi.
La testa scura della mamma fece capolino dalla cucina. «Bentornato, com'è andata oggi?» gli chiese, sorridente.
«Bene» fu la risposta sincera.
Ma sì, era andata bene: aveva preso appunti ordinati, c'era bel tempo, i bulli l'avevano lasciato stare; insomma, tutto sommato, una buona giornata scolastica. Evidentemente la mamma fu soddisfatta della risposta perché il suo sorriso si estese e i suoi occhi formarono due mezzelune. Jin non poté far a meno di ricambiare.
Visti così, madre e figlio sarebbero parsi due gocce d'acqua: avevano lo stesso profilo elegante, lo stesso viso pulito, lo stesso fisico robusto e slanciato come un albero di cedro, gli stessi occhi dolci e brillanti; le stesse ciocche folte, con una frangia disordinata a sottolineare lo sguardo, di un nero liquido come le piume di un corvo; le stesse labbra piene, facili a incurvarsi; la stessa sana sfumatura calda e delicata come sabbia che anni di allenamento all'aria aperta aveva regalato alla loro pelle. Ma, a uno sguardo più attento, piccole crepe si facevano strada in quel delizioso quadro: l'ovale del ragazzo stava perdendo le ultime rotondità infantili e i suoi zigomi e la sua mascella iniziavano ad affilarsi come spade; le sue spalle si stavano allargando; piccoli accenni di vene fiorivano sulle sue mani, ormai più grandi e possenti di quelle della donna; nei suoi occhi dalla forma allungata ogni tanto bruciava un incendio che faceva ridurre lo sguardo della mamma a una fessura – anche se solo per un breve istante –, come se stesse osservando un fenomeno che richiedeva la sua massima attenzione.
Era in lui visibilissima l'eredità del sangue dei Kazama, nel suo viso come nei suoi modi, nella sua visione della vita; eppure, forse proprio perché così contrastante – come una terribile sbavatura su un dipinto che balzava subito all'occhio –, ancora più visibile era la presenza di un'altra eredità alla quale non avrebbe saputo dare un nome. Jin non aveva mai conosciuto suo padre, non sapeva nemmeno che nome o che faccia avesse, quale fosse il suo lavoro, come si fossero conosciuti lui e la mamma. La sua assenza non aveva mai rappresentato un ostacolo nel suo sviluppo, semmai erano gli altri a tessere traumi e difficoltà da fotoromanzo: Jin li sentiva spesso confabulare tra di loro al suo passaggio, appollaiati tra gli scaffali mentre facevano la spesa. I loro occhi preoccupati da uccelli del malaugurio lo seguivano in attesa di una sua rovinosa caduta, come se la sua educazione e il suo viso pulito fossero solo una maschera, e prima o poi anche lui sarebbe stato vittima del destino di quelli cresciuti in famiglie disagiate e sarebbe diventato un buono a nulla, confermando i loro oscuri presagi. Non gli erano concessi i tremori dell'adolescenza – "adolescenza", una parola che, come una coperta avvolgente, tutto capiva e tutto giustificava. Non gli erano concesse giornate storte, ogni sua mossa e parola ed espressione venivano analizzate e dissezionate come se fosse un topo da laboratorio.
«Povero ragazzo, è già tanto che vada ancora a scuola».
«Ah, deve soffrire molto, guardatelo com'è taciturno».
«È nervoso perché non ha un padre».
Quelle frasi arrivavano al suo orecchio e al suo soltanto perché davanti alla mamma non si permettevano più dopo che lei aveva fatto perdere loro la faccia con una bella lezione sul non giudicare, la pagliuzza e la trave negli occhi o qualcosa del genere. Purtroppo, la lingua di Jin non si era ancora affilata e le sue botte e risposte sembravano le lamentele di un ragazzino, con il risultato di alimentare soltanto le chiacchiere – "Ti dicevo che è nervoso!". Dunque, aveva imparato che la migliore tattica era la noncuranza, esattamente come per i bulli. Piano piano, la sua cortesia e la sua condotta irreprensibile stavano scavando la roccia dietro la quale si arroccavano le malelingue. "Che bravo ragazzo" avrebbe battuto "Povero ragazzo" a lungo andare, ne era certo.
Con un pizzico di innocenza e ottimismo ben adatti alla sua età, vedeva la sua vita snodarsi placida come il fiume Miyanoura che attraversava l'isola senza badare a ostacoli, irremovibile, eterno.
Ma non sei un poco curioso?, chiese una vocina nella sua testa. Non vuoi vedere cosa c'è oltre? Non vuoi sapere qual è l'altra metà della mela?
Ammise a se stesso di essere curioso, sì, in fondo, aveva chiesto più volte alla mamma chi fosse suo padre ma lei era piuttosto elusiva e, davanti all'insistenza del figlio, gli angoli delle sue labbra solitamente piegati all'insù si tendevano in una linea dura. Tagliava corto alzandosi da tavola, cambiando discorso o rivolgendogli una di quelle occhiate che lo ammutolivano di botto; e a quel punto si sentiva invaso dalla vergogna: magari la mamma interpretava la sua ostinazione come un rimprovero nei suoi confronti, una richiesta di dargli di più perché lei era solo una e non poteva sopperire alla figura paterna, non poteva ricoprire i ruoli di due persone. Magari la mamma si sentiva in colpa. E allora anche Jin si sentiva in colpa per averle rivolto quella stupida domanda e taceva, promettendo a se stesso di non ripetere più quell'errore; puntualmente, però, un elemento, un evento, un aneddoto riaccendevano in lui la fiamma della curiosità e, prima che potesse evitarlo, le sue labbra si muovevano per formulare quella domanda – "Perché non parli mai di mio padre?" – e, puntualmente, il cuore perdeva un battito davanti agli occhi amareggiati della mamma e si domandava stupito come mai, come mai qualcuno potesse fantasticare d'inquieti sonni, per coloro che dormivano in quella terra tranquilla.¹
«Ti va un po' di tè prima dei compiti?» chiese lei e la sua voce gentile lo riportò al presente, scuotendolo da quelle elucubrazioni.
Jin annuì. Prima di tutto, filò in bagno per una doccia veloce così da liberarsi della divisa scolastica e indossare una ben più comoda tuta da ginnastica. Ritornò in cucina e si sedette al tavolo. Sulle mensole campeggiavano foto che documentavano la vita della mamma: da volontaria nei quattro angoli del mondo a guardiaparco a Yakushima e, infine, a giovane madre single con un neonato in braccio. Non c'era nessun segno sul suo volto che potesse tradire l'ansia di affrontare l'impresa di crescere un figlio da sola: i suoi occhi splendevano radiosi, le sue braccia circondavano forti e solide quel corpicino fragile, il suo viso era inclinato verso quello del bambino cosicché le loro guance rosate si sfiorassero. La sua espressione era così estatica e serena da trasformare quella foto in un quadretto bucolico, quasi iconografico, la rappresentazione principe di una madre profondamente legata a suo figlio. Nonostante vedesse la foto ogni giorno, Jin ne restava sempre particolarmente colpito.
«Da cosa vuoi iniziare? Matematica o inglese?» domandò la mamma, un sopracciglio inarcato, divertita, mentre soppesava i due libri tra le mani.
Jin allungò le braccia sul tavolo, sbuffando; un ciuffo si sollevò sotto il soffio d'aria, conferendogli un'aria buffa. La mamma ridacchiò a quella scena. «Non potremmo passare direttamente alla lezione di karate?» bofonchiò lui, poggiando il mento su una mano.
Lei scosse la testa, anche se sulle sue labbra aleggiò l'ombra di un ghignetto. «Non credo proprio, giovanotto. Prima il dovere, poi il piacere. E poi, mente sana…»
«Corpo sano» concluse Jin, ripetendo il motto ormai memorizzato, raddrizzando suo malgrado la schiena per prepararsi ai compiti. «Iniziamo dal meno peggio: inglese» patteggiò.
«Così ti voglio. Guarda che anche la matematica è fondamentale. Come farai quadrare i conti a fine mese, se no?» scherzò la mamma, prendendo anche lei posto al tavolo di fronte a lui.
«Per quello basta la matematica delle elementari» borbottò Jin, aprendo il libro di inglese alla pagina segnata sul diario.
«Ah, è così?» lo punzecchiò lei. Aveva incrociato le braccia al petto. «E a te basta sapere come fare una semplice addizione e basta? Il cervello va stimolato, Jin, e la matematica serve a migliorare i tuoi ragionamenti. Ergo, devi studiare tanto visto che pensi ancora che sia inutile!» concluse, poggiandosi allo schienale, un'aria soddisfatta sul viso.
Jin accettò di buon grado la vittoria della mamma. «Il tuo ragionamento non fa una piega» ammise, ricambiando il sorriso. «Iniziamo da matematica.»



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¹ Emily Bronte, "Cime Tempestose"



N/D: che dire. Ho ceduto. Tenterò di seguire la vita di Jin a partire dai quindici anni fino al Tekken 8. Non so se taglierò la storia, dato che solo il primo capitolo è venuto la bellezza di 10.000 parole e quindi l'ho dovuto dividere in tre parti, boh, chi vivrà vedrà lol
Partiamo con ordine, però. Innanzitutto, tutto quello che avete letto su Yakushima – dalla città al fiume, al supermercato con i suoi reparti, alla scuola, al programma, all'agenzia funebre – è vero. Gli dei benedicano Google Maps, i satelliti e la gente che posta foto, video, recensioni! L'ho usato per osservare e informarmi su ogni struttura, strada, e cacchi e mazzi di Yakushima. Non posto la foto perché non so come si faccia ma ho individuato un'area che poteva essere la zona dove Jin e sua madre hanno vissuto in quanto non troppo distante dall'unica scuola pubblica superiore a Yakushima. Se digitate su Google Maps e impostate la visione satellitare, vedrete che vicino a questa scuola c'è un'agenzia funebre (presagio funesto) e poi c'è una stradina che si inoltra nella foresta e proprio non troppo distante ci sono due case. Persone che vivono lì, sappiate che qualcuno in Italia ha usato le vostre abitazioni per scrivere una storia. Vi amo moltissimo. Inoltre, se cliccate "Strade", potrete cliccare su ogni strada e avere una visuale completa. Insomma, per farla breve, ho cercato di essere il più accurata possibile e di seguito vi lascio i siti usati, oltre al già citato Google maps:
https://savvytokyo.com/bullying-japanese-schools/
https://yesyakushima.com/facts-about-yakushima/getting-around-yakushima/
https://www.town.yakushima.kagoshima.jp/en/tips-for-your-enjoyable-stay/
https://www.town.yakushima.kagoshima.jp/en/tourist-information/major-area-maps-koseda-around-the-airport-miyanoura-and-anbo-major-area-maps/
https://www.japan-guide.com/e/e4651.html
Grandissimo il sito della città di Yakushima, dovremmo copiarlo.
Poi.
La canzone che sarà un po' il filo conduttore di questa storia è My Sea di IU proprio perché spero di scrivere una ff di formazione.
Il titolo della storia è ovviamente un po' un ossimoro, un po' dolceamaro perché sappiamo tutti che Jin non avrà un lieto fine (poi non so cosa ha in serbo per lui la Namco ma già la piega che gli hanno fatto prendere dal 6 non è bellissima e, insomma, è chiaro che Jin cerca letteralmente la morte). Inizialmente era il titolo che avevo dato alla serie ma poi ho letto un poema di Emily Dickinson che mi ha acceso una lampadina ed ecco qua! Il titolo del primo capitolo è davvero agrodolce perché Jin non sarà mai più felice come lo è stato a 15 anni, spensierato e insieme alla mamma. Chiaramente, riprende l'album di Billie Eilish di cui il singolo "Getting Older" sarà un'altra colonna sonora di questa storia. La poesia su Yakushima è scritta da Frédéric Lyer, un fotografo e scrittore francese che vive tra Kyoto e Yakushima, lascio qui il link del suo sito: https://www.leyre.photo/%E5%B1%8B%E4%B9%85%E5%B3%B6-yakushima-kodama-poem
La storia seguirà l'anime solo se mi sembrerà il caso altrimenti mi atterrò alle vicende del gioco, ovviamente arricchendole e bla bla… MA CAMBIERÒ L'ETÀ. Mi dispiace ma è davvero ridicolo che ben 4 tornei (se t8 non ha subito il time gap, cosa che dubito fortemente) si siano tenuti in un anno soltanto. È ridicolo specialmente dati gli eventi accaduti.
Chiudiamo queste note lunghissime!
Sarà stato il tweet sdolcinato del doppiatore di Tekken Bloodline ("Jin is very sweet, please take care of him", madooo ma tu mi vuoi mortaaa), sarà stato l'anime, sarà stato l'annuncio di Tekken 8, sarà la mia fissa, quel che sarà sarà, ma alla fine mi sono decisa a scrivere 'sta lettera d'amore a uno dei personaggi più maltrattati di Tekken e niente, spero arrivi forte e chiara. Che drama queen che sono, mamma mia :')
Baci baci,
Angel <3 (probabilmente farò copia incolla di questo angolo autrice dato che l'avevo scritto a conclusione del capitolo considerando di postarlo tutto in un colpo… poi ci ho ripensato lol)

  
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