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Autore: ABee    09/10/2022    1 recensioni
Le vite di tre ragazzi legate da un sottilissimo filo d'argento 🌙 OS scritta per il concorso di AryaFreya 💜
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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12 anni



 

Sulla Luna non sono mai stato. 

L'ho immaginata tante volte, perché è li che vorrei essere. A scuola ci hanno insegnato che la Luna rende leggeri. Lassù, la forza di gravità è debole. Quaggiù, invece, quello debole sono io.

Sulla Luna potrei camminare, persino correre e volare, farei le capriole a mezz'aria come gli astronauti. Sarei più veloce dei miei compagni e non rimarrei indietro, mai. Certe sere, quando sono troppo triste, la mamma si siede al bordo del letto e mi dice che non serve arrivare primo, che ognuno ha i suoi tempi, ma lei non capisce. Io non voglio essere primo. Mi basterebbe non essere ultimo.

Sulla Luna non sarei ultimo. 

Ho fatto quel sogno, quello bellissimo (non quello bello e basta, ma quello stupendo). Ho sognato i crateri e la polvere sottile. La sedia non c'era, scomparsa. Giustamente, direi, sulla Luna non serve mica, la sedia a rotelle. Sulla Luna la mia spina dorsale è forte come un serpente, fa tutte le cose che qui non sa fare.

Però era solo un sogno. 

Stamattina, quando mi sono svegliato, c'erano il soffitto e la macchia di muffa e la stanza e la sedia. Sta sempre vicino al mio letto, la sedia, come un cane da guardia. Anche se la metto lontano, quella si avvicina mentre dormo. Io non la vedo e non la sento, ma sono sicuro. È nuova, papà ha risparmiato per comprarmela, così non cigola quando passo e la gente non si volta a guardarmi come fossi un dinosauro, così nessuno bisbiglia poverino, che tristezza. A volte io mi dimentico della tristezza. Forse per quello papà me l'ha regalata, così gli altri non me la ricordano. 

Comunque, nel sogno di stanotte ho incontrato il mio amico che sta sulla Luna. Sono stato così felice di rivederlo! Non conosco il suo nome, non parliamo la stessa lingua ma ci capiamo. Dopotutto, a che servono le parole sulla Luna? 

Ho deciso di fargli un regalo. Se lo merita, perché è mio amico. Non ha paura delle mie gambe, delle ginocchia che stanno come se mi avessero investito (nessuno mi ha investito, per fortuna, altrimenti chi se la sente la mamma). Ma cosa regalargli? Ci ho pensato per giorni, ma per fortuna la zia mi ha illuminato... si dice così, quando uno ha una buona idea. Giovedì mi hanno operato di nuovo, perciò lei mi ha preso un palloncino. L'ha legato alla sedia e ha detto così non vola via. 

Invece volevo proprio che volasse. 

Ci ho scritto sopra un saluto al mio amico, sempre che riesca a leggerlo. Ho scritto indelebile col pennarello caro amico che stai sulla Luna, grazie di essere mio amico. Spero che questo palloncino ti trovi. Spero che tu sia felice. Ma poi, sulla Luna sapranno come si fa ad essere felici? Se sì, spero proprio che il mio amico me lo confidi. Mi piacerebbe scoprirlo.

*

Il palloncino è arrivato!

Oggi sono davvero contento, perché il mio amico che sta sulla Luna ha ricevuto il mio regalo. Me l'ha mostrato stanotte, se l'è legato al polso e la cosa mi ha reso molto orgoglioso (sta meglio a lui che alla sedia, comunque).

La zia è venuta a trovarmi, mi ha chiesto che fine avesse fatto il suo regalo e io le ho fatto giurare di non dispiacersi, perché l'ho donato ad una persona molto cara. Ha pianto di nascosto, forse era contenta pure lei. 

Stanotte, comunque, ho detto al mio amico arrivederci. Non penso riuscirò ad incontrarlo perché domani devono operarmi (ancora!) e sono sicuro che la paura mi terrà sveglio tutta la notte. Se non dormo non posso sognarlo, ricordi? Spero di rivederlo presto, magari verrà lui a trovare me. Forse stavolta sarà lui a sognarmi, sempre che dorma. Chissà se dormono, quelli che stanno sulla Luna. Forse, se l'intervento andrà bene e lui verrà, potrò fargli vedere come cammino. Sicuro non sarò primo ma nemmeno ultimo, e faremo una bella festa. Papà dice che dobbiamo essere cauti, la mamma che dobbiamo sperare. Io non so cosa conviene. Mi fa paura, sperare. E se poi non succede? Meglio essere cauti.

Comunque se non succede ho deciso, me ne vado sulla Luna. Forse, se la zia mi regala tantissimi palloncini, ci posso arrivare davvero. 

*

21 anni

«Taehyung?»

Limpida, la voce di sua madre gli solleticò la nuca. Taehyung sorrise, le mani premute sulle ruote; divorate dall'asfalto, dalla calura che arroventava la città. Mi sa che hai bisogno di una revisione, bellezza.

«Tesoro, non puoi leggere fino all'alba! Hai lezione, domani.»

Con un guizzo di muscoli, Taehyung la superò. Si spinse fino alla libreria, indagò il dorso del volume che gli frullava in pancia da giorni. L'aveva preso in prestito alla biblioteca di Seul, un'edizione illustrata difficile da trovare. Lo depose sulle gambe come una reliquia, le labbra arricciate in un sorriso radioso; era quello, il suo momento preferito della giornata.

«Ti servono energie se vuoi fare tutto da solo. I corridoi dell'università sono lunghissimi, dovrai-»

«Essere in forze per spingere. Lo so, mamma, lo so. Spingo da una vita.» 

Risero entrambi, complici di un destino tutto spigoli, in mezzo agli ingranaggi i corpi loro. Sua madre gli soffiò un bacio, buonanotte, poi il soffice suono dei suoi passi in lontananza, il calpestio delle ciabatte ingoiate dal silenzio. Taehyung afferrò le ruote, scivolò fino al balcone spalancato. 

Fuori, nel cielo addensato dalle tenebre, la Luna sonnecchiava. Taehyung annusò l'aria ferma, fresca e perfetta, l'assaggiò con tutta l'anima; gli pizzicò la pelle scoperta, le gambe immobili nei pantaloncini di cotone. Allora la Luna lo vide, gl'imbiancò i capelli arruffati.

Era in mezzo ai rampicanti, il posto migliore. Tra le foglie abbarbicate alla ringhiera, Seul scintillava come una galassia. Era talmente a suo agio, Taehyung, che solo il luccichio dell'alba riusciva a distoglierlo. Rientrava in casa col chiarore del Sole, quando ormai era troppo tardi per dormire e troppo stanco per spingere.

Non se ne curava. Il suo ritmo circadiano andava fuori tempo, stonava, ma col favore del buio gli piaceva quel suo incedere claudicante, l'applauso luminoso delle stelle alla sua esistenza azzoppata. Col favore del buio, la sua era una vita come tante. 

Afferrò le ruote per accomodarsi meglio, il libro aperto sulle ginocchia nodose. 

Più d'ogni altra cosa al mondo, al gabbiano Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.

«Ciao!»

L'urlo squarciò il silenzio. Col cuore di Taehyung sparato dritto in gola, il Gabbiano Jonhatan Livingston decollò come un siluro nella notte. Taehyung assistette impotente alla sua dipartita, e tanti saluti all'edizione illustrata.

Ovviamente non c'era nessuno, lì con lui al ventottesimo piano.

«Ciao!» 

Ancora. Rasserenato all'idea di essere semplicemente impazzito, Taehyung torse lentamente il collo in direzione della vocetta. Seduto sulla ringhiera, le gambe penzoloni nel vuoto, lo sconosciuto sorrideva. 

«Ciao, Taehyung.»

Preda di una mistica razionalità, Taehyung sfilò gli occhiali. Era il caso che desse retta sua madre, per una volta. Chiuse gli occhi e massaggiò le palpebre, certo del fatto che quella sconcertante visione sarebbe sparita in un battito di ciglia. 

Ma lo sconosciuto era ancora lì. Tra i ciuffi d'edera. A mezzanotte. Al ventottesimo piano. Bruno come la terra e pallido come un osso. Il corpo infantile galleggiava nei vestiti scuri, una maglietta e dei pantaloncini impolverati. Calzava ciabatte di plastica con estrema noncuranza, come se arrampicarsi su quel balcone senza rampini fosse un gioco da ragazzi.

«Il tuo regalo non vola più. Lo puoi, per favore, riparare?»

Lo sconosciuto s'imbronciò. Prese a dondolarsi pericolosamente, sul volto rotondo il piglio capriccioso di chi è prossimo al pianto. 

«Taehyung! Mi ascolti? Accidenti a te, io ti ascolto sempre!»

Con un balzo misurato atterrò tra le gardenie, e in quel gesto etereo Taehyung rivide qualcosa - qualcuno - che aveva imparato a conoscere da bambino. Prima che potesse formulare domande di senso compiuto, il ragazzo gli si parò davanti, tra le mani un vecchio canovaccio.

«Si può riparare?» ripetè, ansante.

E quella salma sdrucita e logorata dal tempo, Taehyung la riconobbe immediatamente; il palloncino della sua infanzia. Tra le pieghe della plastica sgonfia una grafia maldestra, il tratto gioioso di chi ha ricalcato ogni lettera con somma dedizione.

Caro amico che stai sulla Luna - 

«Dove - dove l'hai preso?» esalò, svuotato. 

Lo sconosciuto sorrise, illuminò la notte con una chiostra di denti bianchissimi. «Me l'hai regalato tu.»

Allora Taehyung si aggrappò alla sedia pronto a scappare, ma qualcosa prese a danzargli nel ventre come un derviscio. «È uno scherzo divertente, ma non può durare a lungo» predicò, agitato.

«Non può?»

«No. Il bel gioco dura poco.»

«Peccato. I bei giochi dovrebbero durare parecchio.»

Lo sconosciuto sembrava a suo agio in mezzo alle piante, quasi conoscesse ogni centimetro di quel rifugio. Taehyung si guardò attorno, incapace di comprendere.

«Come... come diavolo sei salito quassù?»

«Veramente sono sceso. Comunque, puoi ripararlo?»

Quando un mistero è così sovraccarico, non si osa disubbidire. 

Taehyung spinse gli occhiali contro le palpebre, esaminò il palloncino. Logoro e sottile come una vecchia bandiera, prossimo a polverizzarsi.

«Mi dispiace, è rotto.»

«Quindi... non volerà più?» Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, deluso. «Ci tenevo molto. L'ho custodito con cura ma... si è rovinato comunque.»

«È durato parecchio, in ogni caso.»

«Hai dei cerotti, in casa tua?»

A quella bizzarra richiesta, Taehyung sorrise. Ad occhio e croce lo sconosciuto doveva essere poco più giovane di lui.

«Non sei un po' troppo grande per i palloncini?»

«Guarda che sono giovanissimo. Ho appena quattro miliardi e mezzo di anni. Il tuo pianeta è molto più vecchio.»

A quella inverosimile confessione, la bocca di Taehyung si schiuse per lo stupore.

«Ma tu... chi diavolo sei?»

Il ragazzo sorrise, rischiarando la notte. 

«Sono il tuo amico che sta sulla Luna.»

*

Si sarebbe fatto chiamare Jungkook. In verità, il suo nome era decisamente più lungo e complicato, ma al ragazzo che stava sulla Luna piacevano le cose semplici. 

Taehyung avrebbe dato qualsiasi cosa per avere una coperta. L'avrebbe messa sulle gambe, ci avrebbe nascosto cosce e ginocchia, i piedi rinsecchiti. Era proprio lui, il suo amico d'infanzia. E avrebbe scoperto che era un bugiardo; che non sapeva camminare né stare in piedi, figurarsi volare. Che sulla Terra, con la forza di gravità, Taehyung era meno di niente, come le piante di cui si circondava. 

«Ho aspettato a lungo che tornassi a trovarmi» confessò Jungkook, ammirando le stelle. Erano belle, viste da lontano. Da vicino erano un casino, roba morta e sgretolata, niente per cui valesse la pena prendere freddo in spiaggia. Niente, comuque, capace di esaudire desideri.

«Io... mi dispiace. Non sono più riuscito a sognare.»

«Mi manchi. Dovresti tornare, di tanto in tanto. Ti ho fatto una stanza tutta tua, sai?»

«Davvero? E come ci sei riuscito?»

«Ho usato i rover. Non li sopporto. Sempre a spiare, a fare rumore.»

Taehyung scoppiò a ridere. Poi una certa urgenza gli nacque in bocca, il bisogno di confessarsi. 

«Io... non cammino. Qui, sul mio pianeta, non posso camminare.»

Jungkook non rispose. Guardava il cielo, sulle labbra un sorriso delicato. Taehyung s'irrigidì; gli aveva appena confessato il suo dolore più grande, ma l'altro non aveva battuto ciglio. 

«Allora? Ti dispiace per me?» domandò, arrochito dall'imbarazzo e un pelino risentito. 

«Per niente.»

Taehyung avvampò, preso in contropiede. 

«Se mi dispiaccio per te, ti rendo inferiore.  Nemmeno io so fare tante cose, qui sul tuo pianeta, ma tu...tu sai fare delle cose straordinarie, sai? Sei riuscito ad arrivare a me! Hai idea di quanta gente sia stata sulla Luna?»

Taehyung sbuffò, gli occhi come pesci guizzanti sotto le lacrime. «Neil Armstrong, tanto per cominciare» bofonchiò, ma Jungkook balzò in piedi, le mani premute sul bacino.

«Si, vatti a fidare degli americani!»

«Stai dicendo che hanno mentito?»

«Io non dico niente, mi faccio gli affari miei, ma poi sai che ci vuole con un razzo? Sono bravi tutti, pure gli animali ci sono arrivati! Io parlo di quello che hai qui.»

Con l'indice bianchissimo, Jungkook si avvicinò al suo cuore. Taehyung distolse lo sguardo, sospirò.

«Se solo potessi abitare un posto che mi somiglia.»

«Quel posto è dentro di te, Taehyung. Cercalo, e quando lo avrai trovato facci una festa. So che la sogni da tanti anni.»

«E tu che ne sai, dei miei sogni?»

«Beh, me li racconti da tutta la vita.»

*

Jungkook volle provarci comunque. Al sedicesimo cerotto, il palloncino sembrava sopravvissuto ad un terribile incidente; Jungkook gli dedicò un sorriso scintillante, una sfumatura d'acquerello sulle guance di vetro.

«Sta benone, adesso.»

Taehyung rise, scosse la testa. Evidentemente, stare sulla Luna rendeva ottimisti. 

«Non volerà mai, così conciato» sentenziò, lapidario, ma l'entusiasmo di Jungkook era tenace, bucava la notte come una supernova.

«Non deve volare per forza, per essere il mio palloncino.»

«E a cosa serve, un palloncino che non vola?»

«A un mucchio di altre cose. Per esempio, potrei riempirlo d'acqua e usarlo come borraccia durante le escursioni. Potrei imbottirlo di stoffa e dormirci sopra. Se mi sentissi in pericolo, ci nasconderei dentro dei sassi per difendermi dai nemici. E se mai lui dovesse avere nostalgia del volo, lo lancerei in alto per poi riacciuffarlo.»   

«Non potresti, semplicemente, chidermi di regalartene un altro?»

Quelle parole dovettero suonargli oscene, perché Jungkook trasalì, gli occhi tondi resi ancora più grandi dall'indignazione. 

«Ma che ti viene in mente? Non è che uno piglia e fa così.»

«Ti sbagli, tutti fanno così.»

«Non Jimin.» 

Quel nome gli trapassò il cuore come una stilettata. Taeyhyung avvampò, nascose l'imbarazzo tra le peonie assopite. 

Lo incontrava spesso alla fermata del tram. Biondo come una spiga, rosso più di una fragola per la corsa. Seguiva letteratura premuto contro il muro, nel pomeriggio aiutava i genitori al ristorante.

Jungkook gongolò, i piedi penzoloni nel vuoto. 

«Dovresti farci amicizia. Ti piacerebbe, dico bene?»

«Lo racconterai a qualcuno?»

Alla preoccupazione di Taehyung, il ragazzo rise più forte. «Al cielo e a tutte le stelle, ma non a Saturno. Quel pianeta è un gran chiacchierone.»

«Perché dovrebbe volermi come amico? È sempre in ritardo, io lo rallenterei più che mai. Non funzionerebbe.»

«Io dico di sì. Quando i pezzi s'incastrano bene, il risultato è gradevole. Ma quando i pezzi non s'incastrano del tutto, si chiama capolavoro; è in quegli spazi vuoti, Taehyung, che esistiamo per davvero.»

Taehyung nascose quella frase nelle tasche del suo cuore. Poi, timidamente, parlò.

«E se non dovessi piacergli?»

«Gli piaci.»

«E tu che ne sai?»

«Beh, si da il caso che tanta gente parli alla Luna.»

*

Non veniva via. Jimin sfregò ancora, il polso dolente per lo sforzo. Niente da fare, la sua divisa era rovinata. Pazienza, si sarebbe seduto a braccia incrociate.

Sospirò, lanciò il canovaccio tra i tovaglioli sporchi. Appollaiato dietro al bancone del ristorante, tornò a concentrarsi sui libri. Quell'esame di letteratura comparata l'avrebbe fatto impazzire, avrebbe perso la borsa di studio. Guardò l'orologio, era quasi ora di chiudere. 

Fu lo scampanellio della porta ad allarmarlo. Esterrefatto dall'impudenza di quel cliente inatteso balzò in piedi, simulando una cortesia posticcia. 

«Chiedo scusa, signore, ma siamo in chiusura e-»

Un tuffo al cuore e poi milioni di fenicotteri impazziti. Jimin si aggrappò al bancone; un sorriso gli era nato in pancia, sbocciato sulle labbra come un fiore in primavera. Era lui.

«B-buonasera!» balbettò, eccessivamente euforico. 

Fermo sull'uscio, il ragazzo non rispose al saluto. Stringeva le ruote della sedia, le nocche bianche per lo sforzo. Jimin pregò di non averlo offeso, maledisse la propria indisponenza. Non aveva mentito, la cucina era chiusa per davvero, ma gli avrebbe preparato ramen istantaneo spacciandolo per fresco, lo avrebbe fatto gratis - qualsiasi cosa, pur di farlo restare.

«T-ti chiami Taehyung, giusto? Io sono Jimin. Seguo il tuo stesso corso di letteratura, mi siedo dietro.»

«E per quale motivo ti siedi dietro, Jimin che segue il mio stesso corso di letteratura?»

Jimin abbassò lo sguardo. Improvvisamente, le sue vecchie scarpe gli parvero miserabili, così come il ristorante dei suoi genitori, e tutta la sua vita di stenti. La sua borsa di studio, la tracolla sdrucita, i libri stropicciati da altri. 

«Io-»

Allora Jimin strinse i pugni, dalla memoria trafugò una poesia. L'aveva letta quel giorno. Il suo primo giorno di lezione, lui col sussidio ripescato a metà semestre, coi suoi calzini rattoppati dalla nonna. Aveva scelto quella poesia per presentarsi, l'aveva letta nell'indifferenza generale. Solo un paio d'occhi dentro i suoi. Così vicini che avrebbe potuto baciargli le palpebre. Dubitava, però, che Taehyung potesse ricordarla. 

Invece la ricordò.

«Tienimi l'ultimo posto, Dio. Quello che non da troppo nell'occhio, in fondo alla tavola, più vicino ai camerieri che ai festeggiati. Sarò a mio agio e non dovrò vergognarmi.»

E se la felicità somigliava ad una pioggia di meteore, Jimin avrebbe dato fuoco al mondo. 

«Sai, Jimin che si siede sempre dietro, se ti siedi sempre dietro non posso raggiungerti. Ci sono le scale.»

Taehyung diede una pacca affettuosa alla sedia e Jimin arrossì.

«Per i miracoli ci stiamo attrezzando.»

Scoppiarono a ridere. 

«V-vuoi mangiare qualcosa?»

«Pensavo la cucina fosse chiusa.»

«Ha riaperto.»

Fuori, la Luna brillava. E chi avesse guardato davvero, quella notte, l'avrebbe visto galleggiare tra i crateri; un palloncino guarito da sedici cerotti.















 

Ciao 💞
Ogni tanto mi piace rileggere questa piccola OS che ho scritto qualche tempo fa per il concorso della splendida AryaFreya, così ho pensato di aggiungerla qui, nel caso qualcuno volesse leggerla. Non sarà perfetta, ma occupa un posto speciale nel mio cuore per tanti motivi. Mi ricorda che posso farcela anche - e soprattutto - quando penso che tutto sia perduto, che il mio istinto è mio amico, che anche in mezzo ai sassi ogni tanto germoglia qualcosa - basta piangerci sopra, ma non troppo. 

Grazie a chiunque vorrà leggerla 💜 fatemi sapere se vi è piaciuta, che fa carburare la mia voglia di scrivere. Vi bacio forte.

S.

   
 
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